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Negli ultimi decenni dell’Ottocento l’idea di una pace diffusa e generalizzata sembrò acquistare particolare vigore; l’interprete più appassionata di questa antichissima speranza, che si faceva tanto più forte quanto più si esasperavano i contrasti tra le potenze imperialiste del tempo, in Europa e fuori d’Europa, unica donna in un mondo di uomini sempre più impegnati ad odiarsi, fu Bertha von Suttner.
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Fin dal suo apparire questo libro ottenne
un successo straordinario: solo in Germania ebbe trentuno edizioni e fu tradotto
in molte lingue arrivando persino nella retriva Russia zarista e nel militarista
Giappone. E pensare che il manoscritto di Giù le armi! era stato respinto da più
di una casa editrice, preoccupata per le reazioni che un testo del genere poteva
provocare nei circoli politici e militari. Il trionfo del romanzo fu anche
sancito dai lusinghieri giudizi di illustri personaggi del tempo come Alfred
Nobel, Peter Rosegger, Bjornstjerne Bjorson, Friedrich von Bodenstedt, Leone
Tolstoj che così espresse a Berta tutto il suo entusiasmo per le sue pagine: “La
pubblicazione del vostro libro è per me un buon segno. Il libro La capanna dello
zio Tom ha contribuito all’abolizione della schiavitù. Dio faccia sì che il
vostro libro serva allo stesso scopo per l’abolizione della guerra”.
L’accoglienza entusiastica che l’opinione pubblica internazionale riservò a Giù
le armi! conferì nuovo slancio al movimento pacifista europeo e segnò una svolta
nella vita di Berta: “il mondo ed io ci apparteniamo l’un l’altro e questo mondo
ha bisogno di me e del mio amore”.
Sull’altro fronte, invece, quello degli ambienti bellicisti e sciovinisti e del
sistema militare – industriale si moltiplicano gli insulti, gli attacchi, i
tentativi di delegittimare la coraggiosa scrittrice. Per i commentatori più
benevoli le conclusioni tratte dalla von Suttner nel suo libro “possono essere
solo considerate con un sorriso da qualsiasi serio uomo politico”. Per il
professor Felix Dahn, i veri uomini vogliono battersi; combattere è intanto un
lavoro, poi un dovere. Tutte questioni che le donne non possono capire, quindi
non debbono occuparsene e lasciare agli uomini le responsabilità della guerra e
della pace. Con avversari ed argomenti siffatti, Bertha ha buon gioco a
rispondere: “ Le donne non staranno zitte, professor Dahn. Noi scriveremo,
terremo discorsi, lavoreremo, agiremo. Le donne cambieranno la società e loro
stesse”. Un impegno destinato a diventare una scelta di vita: nel 1891, infatti,
Bertha fonda la Società austriaca per la Pace, di cui resterà presidente fino
alla morte. Sempre nello stesso anno interviene alla Conferenza per la Pace
svoltasi a Roma, in Campidoglio: era la prima volta che una donna parlava in
quel luogo così carico di storia e la prima volta che Bertha interveniva in
un’occasione ufficiale di fronte a un pubblico vasto ed esigente. Se la cavò
benissimo, al punto che l’attività di conferenziere sostituì a poco a poco
quella di scrittrice: anche i malevoli giornalisti romani, che non avevano
risparmiato velenose ironie alla donna che osava parlare a una platea di uomini
in una sede tanto solenne, furono costretti ad ammettere la fondatezza dei suoi
argomenti e la passione che li sosteneva.
Un impegno imperterrito e indefesso
A partire dal 1892 Bertha lavora al mensile “Giù le armi!”, che riprende il
titolo e lo spirito del suo libro più famoso. La aiuta in questa impresa
giornalistica un giovane editore, Alfred Hermann Fried, futuro premio Nobel per
la pace nel 1911. Su questa testata - e su “La vedetta della pace” che dal 1899
la sostituirà – la von Suttner pubblica le sue famose “glosse alla storia del
tempo”, una polemica rubrica, che aveva il potere di mandare in bestia gli
ambienti nazionalisti e imperialisti di tutta Europa. Attaccata e derisa dai
signori della guerra, che sono ormai abituati e definirla “la strega della
pace”, imperterrita, insieme al suo collaboratore A. H. Fried, fonda a Berlino
la Società tedesca per la pace (1892).
Già segretaria e poi amica di Alfred Nobel, ricchissimo industriale che doveva
la sua fortuna economica all’invenzione della dinamite. lo convince a donare una
cospicua parte del suo patrimonio per istituire un premio per la pace da
assegnare a quanti operino per il disarmo e la fratellanza tra gli uomini. Nel
corso di venti anni cruciali e durissimi interviene in migliaia di assemblee
pubbliche, conferenze, congressi iniziative di segno pacifista.
Scrive e parla con accenti non di rado profetici: al quarto Congresso mondiale
della Pace tenutosi a Berna nel 1892 la von Suttner, unico delegato donna,
presenta una relazione per tanti versi anticipatrice intorno a un progetto di
Confederazione degli Stati d’Europa; nella Conferenza per la Pace tenutasi all’Aja
nel 1899, la prima a cui partecipavano finalmente uomini di stato e di governo
di diversi paesi del mondo, afferma che “il ventesimo secolo non finirà senza
che la società abbia abolito come istituzione legale il più grande dei flagelli,
la guerra”.
La sua fama si allarga anche oltre Atlantico: nel 1904, nonostante avesse subito
due anni prima la perdita dell’amatissimo consorte, tiene oltre cento conferenze
negli Stati Uniti e viene ricevuta dal presidente Theodore Roosvelt,
persuadendolo a promuovere la II Conferenza per la Pace dell’Aja (1907), da cui
nasce la Corte permanente di arbitrato. Premio Nobel per la pace nel 1905,
infaticabile convince A. Carnegie, uno degli esponenti di punta del capitalismo
illuminato nordamericano, a istituire una fondazione per la pace. Ma il suo è un
impegno disperato: l’opinione pubblica di tutti i paesi europei è percorsa da
una volontà bellicista sempre più decisa e in tutto il mondo sembra dilagare una
voglia diffusa di morte e sangue.
Questa donna dallo sguardo lucidamente utopico in un suo saggio L’imbarbarimento
dell’aria (1912) intuisce e denuncia con largo anticipo quelli che saranno i
modi radicalmente nuovi e atroci di intendere e praticare la guerra. E,
purtroppo, i terribili bombardamenti di trent’anni dopo daranno ragione ai cupi
presagi di Bertha, a cui la sorte riserverà di non assistere agli orrori del
primo conflitto mondiale. La von Suttner, infatti, muore, sfinita dalla sua
dedizione totale alla causa della pace, una settimana prima che l’attentato di
Sarajevo fornisca la scintilla adeguata a far esplodere la polveriera europea e
mentre fervevano i preparativi per il Congresso mondiale per la Pace da tenersi
a Vienna, l’ennesima iniziativa pacifista ispirata da questa donna indomabile.
Una personalità eccezionale ingiustamente dimenticata |
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Eppure, oggi, istituzioni come
l’Organizzazione delle Nazioni Unite, la prassi degli accordi e dei trattati per
il disarmo, la polemica contro la cultura delle violenza e della guerra e l’idea
di una educazione alla pace sembrano confermare la bontà di molte sue
intuizioni. Al punto da renderla meritevole di attenzione, riconsiderazione e
rispetto da parte delle donne e degli uomini affacciati sul precario balcone di
questo difficile e tormentato inizio di millennio.
Tratto da Scienza e Pace
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