GLI UOMINI ILLUSTRI DI COLLE SANNITA

 

LEANDRO GALGANETTO

Nacque a Colle nella seconda metà del cinquecento. L'ipotesi avanzata da qualche parte che Leandro Galganetto non sia nato a Colle, non ha trovato finora alcun riscontro in atti ufficiali (1). Fino al 1980 era ancora possibile visitare la casetta, che sorgeva nell'attuale via che porta il suo nome, dove la tradizione vuole che nacque.
I gravi danni del terremoto del 1980 hanno vanificato ogni sforzo di recupero dell'abitazione.
Come e quando lasciò Colle non è dato sapere. Poiché nei registri parrocchiali, dal 1588 ai nostri giorni, non è dato incontrare alcuna famiglia registrata col cognome Galganetto, è probabile che a spostarsi sia stata la famiglia intera.
Studiò forse a Roma, dove lo troviamo, adulto e affermato, negli anni che vanno dal 1605 al 1621 presso la Corte pontificia di Paolo V Borghese. La sua profonda cultura giuridica, esercitando egli la professione forense, gli permise di conseguire i massimi titoli onorifici del tempo. Fu conte palatino e cavaliere aurato ("auratae militiae eques").
Stimato dal cardinale Scipione Borghese, nipote di Paolo V, esercitò una non indifferente influenza negli affari della Chiesa. Fu segretario del Papa in un periodo non certamente facile per la Chiesa di Roma. Se Paolo V ottenne, con le riforme giudiziarie del 1612, brillanti risultati nel governo degli Stati Pontifici ciò fu merito anche del nostro Leandro Galganetto.
Esperto in diritto canonico, difese sempre le posizioni della Chiesa anche quando questa non indugiò a condannare il sistema Copernicano e a diffidare Galileo che lo sosteneva.
Nella "Biblioteca Nazionale Centrale Vittorio Emanuele II" in Roma abbiamo potuto consultare le seguenti opere: "De differentiis individuorum utriusque" (1609). "De conditionibus et demonstrationibus, modo, causa et poena tractans in duas partes divisus" (1609). "Glossae ad Statuta Almae Urbis Romae au-ctoritate Gregorii P. P. XIII a Senatu Popoluque Romano edita et re formata " (1611). "De tutela et cura tutoribus et curato-ribus tractatus absolutissimus..." (1617). " Tractatus de iure publico sive de legibus et magistratibus saecularibus et ecclesia-slicis etc... (1623).
V'è, poi, una raccolta di pareri legali attribuita al Galganetto, "Syntagma communionum opinionum".
Ignoriamo il luogo e la data di morte.


(1) P. Antonio Corsignani - "De viris illustribus Marsorum" - Romae -1712.

 


 

REMIGIO DEL GROSSO

Remigio Del Grosso nacque a Colle il 20 maggio 1813 da Pasquale, che esercitava la professione di medico e da Carmela Palmieri. Da bambino fu colpito dal vaiolo. A nove anni un suo zio materno lo portò con sé a Foggia e lo affidò ai Padri delle Scuole Pie.
Richiamato dopo qualche anno a Colle, l'Arciprete Javasile gli insegnò i primi elementi di latino. Dal 1827 in poi frequentò a Benevento le Scuole dei Gesuiti e studiò con interesse le matematiche sotto la guida del P. Giambattista de Sinno. Nel 1837 fu ordinato sacerdote. "Gracile di salute e sofferente, egli aveva bisogno di tornare spesso nel suo paese, dove l'aria pura dei monti, la pace della famiglia e l'affetto della madre lo ristorava, e dove solitario leggeva e meditava" (2). Dal 1838 al 1840 insegnò filosofia e matematiche al Seminario di Larino, "si fece volere gran bene dai giovani, ma s'avvide che i vecchi arricciavano il naso per certe sue dottrine filosofiche che puzzavano di nuovo; onde dopo un anno si ritirò in sua casa, e quivi ebbe parecchi scolari ai quali insegnò liberamente" (3). Nel 1840 fece la sua prima comparsa a Napoli come aiuto di Annibale De Gasparis nell'Osservatorio di Capodimonte, ma ammalatosi dovette ritornare a Colle "dove amici e parenti gli furono intorno, e per rallegrarlo, essendo di carnevale, ordinarono una mascherata, e indussero lui stesso a mascherarsi da guerriero antico. Subito vola una denunzia alla Curia Arcivescovile di Benevento, e questa spicca un ordine che il Sacerdote Remigio Del Grosso vada per un mese agli esercizi spirituali nel mona-stero dei Minori Osservanti in Montecalvo.
Ubbedì prontamente il povero Remigio, ma fu scosso e turbato da quella punizione, e deliberò ad ogni modo di allontanarsi dal paese" (4)
Nel 1843 P. Inghirami, Direttore della Specola di S. Giovanni in Firenze, e Generale dell'Ordine, lo chiamò a Firenze come astronomo Aggiunto. Ma quando nel 1845 l'Inghirami fu chiamato a Roma, il Del Grosso ritornò a Napoli. Dal 1846 al 1847 fu Direttore e Professore presso un Istituto privato a S. Marzano presso Sarno. Nel 1848 fu nominato professore di Astronomia Nautica nella Scuola dei Piloti.
Dal 1860 in poi fu professore di Meccanica applicata alla Università di Napoli. Nel 1863 abbandonò l'abito talare e insegnò Meccanica Celeste, sempre nell'Università a Napoli, fino alla morte avvenuta il 29 febbraio 1876.
"Fu uno scienziato, un matematico che amò la sua scienza e ne seguì attentamente il progresso, ma non fu di quei matematici che se li togli dalle linee e dai numeri riescono goffi in tutt'altro.
Seppe la letteratura antica, e scriveva versi latini con molta eleganza e lepore: leggeva nelle loro lingue i matematici francesi, inglesi, tedeschi: scriveva prose e versi italiani con forma corretta. Amò la Scienza, si piacque di studi filosofici, educò se stesso, pensò liberamente, visse come nascosto, e nella sua breve cerchia fece sempre il dovere, fu sempre buono. Amò teneramente la sua famiglia ed il suo paese, e ogni anno vi andava a passare l'autunno, e mi diceva: Qui a Napoli vagheggio la scienza, là la Musa: i miei monti mi ridanno la vita e la poesia" (5).
Lo scritto del Settembrini fa del nostro Remigio un personaggio nobilissimo, che seppe con la poesia e con la scienza raggiungere vette altissime. Delle opere scientifiche da lui pubblicate ricordiamo: "Elementi di Navigazione (1848), Elementi di meccanica (1865), Newton e l'astronomia moderna (1865). Seguirono altri lavori su diversi argomenti scientifici.
Alla sua morte, il Settembrini sentì il dovere, come egli stesso confessa, di onorare la memoria dell'amico e di "far conoscere al mondo la nuova e mirabile poesia che è nei suoi Carmi" (6) proponendo all'editore Antonio Morano di stamparli.
I sei Carmi: "La cometa Donati"; "L'origine dei vulcani"; "Le nubulose"; "I nuovi pianeti"; "Il mare"; "Il sole" e due frammenti del carme "Il Vesuvio" sono una nuova poesia didascalica, "nuova perché la grande scienza della natura, la mirabile scienza del Cosmo è nuova. E sono ancora una bella poesia, perché questa nuova Scienza è per se stessa bellissima, ed il poeta che la conosce pienamente ne è innamorato, e ne parla con parola casta e vereconda, in forma lucida e trasparente (7).
"Nel Del Grosso, pur contro la teoria che parrebbe materialistica, è uno stupore, una gioia di visione per la materia della sua scienza di astri, di vulcani, di mare, che la pagina se ne impronta e se ne cobra. Il linguaggio, attinto ai classici con indubbio gusto, si direbbe anch'esso una materia stilistica amata e richiamata per esprimere, sotto nuovo ordine, la perenne mitologia dei fatti naturali. La gioia e per fin tenerezza stupita verso gli oggetti celesti della sua scienza il Del Grosso trasfuse e fece palpitare nella parola.
E alla cometa Donati parla come a persona amata:
"O bellissimo errante astro chiomato,
Che ti aggiri innocente intorno al Sole
Come la schiera dei pianeti, e corri
Ubbidiente al suo poter le vie
Del firmamento..."
E v'è una mesta tenerezza nel pensare il tempo in cui quella cometa tornerà, tra secoli:
"Tu dopo molti secoli verrai
Un'altra volta a riveder la terra.
In così tarda etade io sarò polve,
Né di mia tomba resterà pur traccia!
Ma tu diffondi, astro gentile, allora
Un raggio della tua candida luce
Sopra le cime degli alpestri monti,
Ove m'ebbi la cura e i primi affanni
Della vita provai"
(8).
A Colle Sannita esiste una lapide murale, apposta su una parete della sua casa natale, a ricordarne la vita e la feconda attività: "troppo poco per una figura così imponente e significativa nella storia della scienza e della letteratura italiana" (9).
Si pensò di erigere, nel passato, un monumento a Remigio Del Grosso. Enrico Mozzuti, allora professore onorario dell'Istituto di Belle Arti di Napoli, provvide a fare un bozzetto del monumento, ma la realizzazione pratica non fu possibile. Rimane oggi il bozzetto (10).


(2) L. Settembrini "Breve notizia della vita e delle opere di Remigio Del Grosso" in "Poesie" di R. del Grosso. Morano Ed. NA 1877.
(3) Op. cit.
(4) Op. cit.
(5) Op. cit.
(6) Op. cit.
(7) Op. cit.
(8) F. Flora "Storia della letteratura italiana" V. 5 pag. 56 e seg.
(9) R. Matarazzo "Scrittori Sanniti" - De Torna - Benevento 1969.
(10) A. Bozzelli "Per un momento a Remigio Del Grosso" Stab. Tip. Cav. Gennaro M Priore - Napoli 1902.

 


 

PASOUALE MEOMARTINI.

Il 4 novembre del 1968 l'Amministrazione comunale di Colle Sannita, in memoria di Pasquale Meomartini, faceva affiggere sulla facciata della casa natia una lapide per ricordre "il forte ingegno e l'appassionata dedizione alla Patria" del suo illustre concittadino.
Nato a Colle Sannita il l0 agosto del 1859, Pasquale Meomartini raggiunse i massimi gradi della carriera militare distinguendosi per la sua cultura e per il suo valore. Nel 1911 partecipò da colonnello all'impresa libica. A capo di una colonna di soldati, fu l'artefice principale del vittorioso episodio di Agedabia. Durante la prima guerra mondiale comandò la brigata "Catanzaro", riportando notevoli successi. Mutilato e insignito di medaglia d'argento al valor militare, nel 1915, durante il governo Orlando, fu sottosegretario alla Guerra e dovette provvedere alla riorganizzazione dell'esercito. Fu presidente del Tribunale militare supremo e concluse la sua carriera pervenendo al grado di generale d'Armata.
Nominato senatore nel 1929, si spegneva a Roma il 3 aprile 1934.
Uomo di profonda cultura, rivolse i suoi studi ai problemi bellici traducendo dal tedesco varie opere di teoria e tecnica militare pubblicate in Germania dal generale Colmar Vonder Goltz come la "Das Volk 1~affer" (Berlino, 1883 - 1925) col titolo "La Nazione armata" (Benevento, 1894). Curò in seguito (1923) la traduzione delle "Memorie della guerra e della rivoluzione" del generale zarista Basilio Gurko.

 


 

RAFFAELE ANGIULLI

E' il personaggio illustre collese meno noto, se non del tutto sconosciuto alla maggioranza della popolazione. Nacque a Colle Sannita il 3 novembre del 1865 (11) e morì a Napoli 1' 8 giugno del 1928. Come per il Galganetto, così per l'Angiulli buona parte della sua vita collese non è stata possibile ricostruirla per mancanza di fonti. Sappiamo che compì studi legali nell'Università di Napoli ed esercitò la professione affermandosi particolarmente nel campo del diritto civile e nella consulenza marittima. Avvocato di fama, fra le cause celebri da lui difese, ricordiamo quella a favore di Giuseppina Crispi, contro lo Stato che voleva negarle la visione dei documenti pubblici rinvenuti alla morte del padre. Scrive di lui Alfredo Zazo nel suo "Dizionario Bio - Bibliografico del Sannio" "Entrato nella vita politica con programma democratico progressista, vinceva nel Colle gio di Resina - Vico Equense, le elezioni del 1909 contro i dominanti clerico - moderati, assolvendo poi con zelo il suo mandato sia a favore di Resina e sia di Vico Equense.
Ebbe larga visione dei piu urgenti problemi nazionali e fra essi, quello agricolo alla cui soluzione prospettò opportuni rimedi, vigile nel denunziare manchevolezze, parzialità e abbandoni governativi. Si deve a lui principalmente la trasformazione della stazione agraria di Portici e la creazione di cattedre ambulanti di agricoltura. Guardò sopra tutto allo sviluppo della marina mercantile associandosi a quella politica marinara che allora fioriva nei programmi governativi e nei discorsi parlamentari.
Numerose proposte di legge furono da lui presentate nel settore tributario e nella politica dei trasporti, mirando pur sempre alla elevazione della classe lavoratrice. Fu consigliere comunale e poi sindaco di Napoli (1922) dove copri altre e varie cariche pubbliche. Rieletto deputato nel 1924, per le sue molteplici benemerenze, fu poi chiamato al Senato ".


(11) "Io qui sottoscritto Arcip. di questa chiesa arcipretale di S. Giorgio Martire ho battezzato un infante nato il dì 3 del c. dai coniugi Vito Angiulli e signora Giulia Tizzani di Colle Sannita a cui fu posto nome Raffaele Giuseppe Vittorio Abramo. Arciprete lavasile" Libri Baptizato rum, 1865.


 

FRANCESCO FLORA

Di Francesco Flora, così umano e grande, che trasferisce il principio dell'intuizione pura nel sentimento lirico del linguaggio universale; del critico grandissimo, narratore di genio e poeta, il cui senso cosmico, per l'armonia del canto, fa pensare al Pascoli e al Novalis; Colle Sannita è fiera per avergli dato i natali (12).
Ma lasciamo al Flora stesso il racconto dei suoi primissimi anni: "Sono nato sotto il segno dello Scorpione nell'ottobre del 1891, da Giuseppe e da Vincenza di Lecce. Per una conferma indiretta che mi forniscono date certe di alcuni fatti familiari, colloco il primo chiaro ricordo all'età di tre anni e mezzo, ed è l'immagine di una porta parata a lutto e un mio oscuro sgomento. Ma da ciò non ho mai tratto alcun motivo per una sterile professione di angoscia.
Ho sempre sentita la vita nel suo contrasto tra dolore e litizia, ira e amore, accidia e azione: e questo è il significato vero della parola "tragedia".
Poco più che adolescente mi trovai, per la morte di mio padre che era ancor giovane, a capo di una grossa famiglia, inesperto di affari, ma pur capace, tra grandi sforzi di trarla in porto, sorreggendomi l'immensa forza di animo di mia madre e la docilità operosa dei famigliari: così quando per me vennero i giorni peggiori e io dovetti lasciare Napoli, essi avevano già trovata la loro via.
Mi son sempre confidato alla poesia di tutte le arti. specie della parola e della musica, al lavoro, agli affetti della casa, all'amore, alla crescente solidarietà sociale. Ho preferito piuttosto sorridere che imprecare. Certo ho sfiorato anch'io i precipizi ove l'abisso invoca l'abisso, ma non ho ceduto ai momenti disperati un fatto provvidenziale, che secondava la mia vitalità, giunse sempre in tempo a salvarmi, e mi salvò la mia vocazione e fede umana. Ancora ragazzo, in una carrozza chiusa precipitai nel greto di un torrente da una paurosa scarpata, con cqvalii che s'erano aombrati; ma potei risalire illeso: talvolta quel fatto reale ho assunto come insegna o emblema della necessaria speranza
Frequentò le scuole elementari a Colle, dove nell'anno scolastico 1898 - 99 lo troviamo in II elementare insieme ad altri 60 ragazzi.
Gli studi superiori furono compiuti tra Benevento e Roma. Nel 1912 inizia la carriera giornalistica con un articolo che appare su "La luce del pensiero". In tre puntate su "Vela Latina", pubblica nel 1914 1' "Elogio funebre del futurismo ".
Partecipa alla prima guerra mondiale come ufficiale di artiglieria, passa poi nel corpo dei bombardieri.
Conosce il Croce, al quale molto dovrà circa il suo futuro orientamento poetico e critico.
Redattore capo della "Critica", fondò nel 1944 a Napoli la rivista letteraria "Aretusa" e poi a Milano nel 1946 la "Rassegna d'Italia", in questo stesso anno viene nominato socio dell'Accademia nazionale dei Lincei. Dal 1949 è professore di letteratura italiana all'Università Bocconi di Milano.
Nel 1953 occupa la stessa cattedra all'Università di Bologna, cattedra che terrà fino alla morte. Nel frattempo aveva dato, e altri poi ne darà, alla luce numerosi scritti critici che costituiscono una fonte inesauribile di osservazioni personali sui grandi e piccoli poeti e prosatori italiani. Ricordiamo fra gli altri: "Dal Romanticismo al Futurismo" del 1921, che dà all'autore un grande successo ponendolo fra i massimi scrittori italiani; un saggio su D'Annunzio col commento del "Fiore delle Laudi"; "La poesia ermetica" esposizione polemica di grande valore storico. Altre opere scrisse il Flora come "Saggio sulla poetica moderna ", " Dal Tasso al realismo ", " Scrittori contemporanei", ecc., ma dove mostrò tutta la sua grandezza di uomo di cultura fu senz'altro nella "Storia della Letteratura italiana", che rimane ancor oggi uno dei documenti più significativi per chi vuole veramente conoscere la storia critico - poetica italiana. Davanti al lettore si spiega un complesso paesaggio di toni e accenti di bellezza indagati e soppesati fin nelle più lievi sfumature di una parola, di un accento perché, dice il Flora, la parola è l'essenza della vita umana in quanto la storia dell'uomo nasce con la parola. Ecco perché, riallacciandosi al Vico, dirà che l'uomo, ogni uomo d'ogni tempo, è virtualmente poeta. E come poeta pubblicò il carme "L'immortalità" e "Canti spirituali"; come romanziere 'La città terrena" e "Mida il nuovo satiro"
Questo suo continuo ritorno alla poesia e al romanzo, tra la molteplicità dei saggi critici, costituisce un tema di studio non trascurabile per chi desideri meglio conoscere il Flora nella sua poliedrica attività culturale.
Come uomo diremo che Flora era di una sensibilità straordinaria. Quando il 3 giugno del 1962 Francesco Flora, ormai vicino alla morte, venne a Colle Sannita, accolto con grande gioia dalla popolazione tutta, non seppe nascondere la sua commozione e noi tutti lo vedemmo piangere. Fu per Colle ima giornata unica nella sua storia culturale. A noi docenti della locale scuola media, che oggi porta il suo nome, rilasciò il seguente sublime pensiero: "Mentre il mondo sembra rinnegare tutti i valori della civiltà, sognando guerre stupide e infami, la scuola è ancora il rifugio dell'antica e perenne humanitas che con la poesia e le arti e il pensiero filosofico e scientifico trasse le creature ferme a più alto destino. Nella scuola è oggi la difesa dell'uomo, la speranza di una pacifica e inventiva società, ove il vantaggio mentale e morale del singolo sia nel punto
stesso e reciprocamente il vantaggio di tutti" (13).
Tre mesi dopo questo scritto, precisamente il 17 settembre 1962, il Flora si spegneva a Bologna lasciando in noi collesi un rimpianto incancellabile.


(12) Cfr. "Sulle orme di F. Flora" volume curato da G. La Rocca Nunzio per l'Accademia "Gli Amici dei Sacri Lan" - Bergamo 1963.
(13) Manoscritto conservato nella sala di presidenza della Scuola Media Statale "F. Flora" di Colle Sannita.


 

GIOVANNI BATTISTA PIACQUADIO

Nasce a Colle il 15 gennaio del 1900. Fanciullo si fa amare e stimare da tutti per compitezza e per generosità, doti che lo caratterizzeranno per tutta la sua vita.
Compiuti i primi studi nella natia Colle, passa poi a Benevento e a Caserta. A diciotto anni è a Napoli studente della Regia Scuola Superiore di Ingegneria.
Il 3 novembre del 1923 si laurea col massimo dei voti in ingegneria industriale e fa ritorno alla natia Colle, da dove parte per Torino per frequentare un corso di specializzazione presso l'Accademia d'Artiglieria.
Nell'ottobre del 1931 passa al Reparto Progetti della Direzione Superiore del Servizio Tecnico, dove si dedica con impegno agli studi di balistica, del munizionamento delle artiglierie e in particolare delle armi contraerei e delle centrali di tiro.
Dopo aver vinto un concorso del Ministero della Guerra per ufficiali del Servizio tecnico d'Artiglieria, compie dal 1938 al 1943 numerosi viaggi all'estero per assicurare alle nostre Forze Armate materiali bellici. Parla e scrive in francese, tedesco, inglese.
Nei primi mesi del 1943 rientra definitivamente in Italia e riprende la sua attività di ricercatore e di progettista.
Ricercato dai tedeschi, dopo gli avvenimenti del luglio e del settembre del 1943, lascia Roma e si dirige al Sud per presentarsi al Distretto Militare di Benevento. Nel 1944 è assegnato a Lecce al Comando dello Stato Maggiore dell'Esercito. Dopo la fine della guerra rientra nell'Arma d'Artiglieria e viene inviato in Austria presso i campi ARAR americani alla ricerca di materiale necessario alla ricostruzione dell'Arma d'Artiglieria.
Nel 1949 fonda, in collaborazione con altri, la rivista mensile "Scienza Illustrata " Nel luglio del 1950 lascia la redazione della Rivista e si trasferisce a Spoleto come direttore del Laboratorio Caricamento Proiettili dell'Esercito. Ritorna a Roma presso l'Ispettorato di Artiglieria dove spende le sue migliori energie favorendo gli studi e le esperienze della missilistica. Il 14 gennaio del 1963 viene promosso al grado di tenente generale, il più alto della gerarchia.
Muore a Napoli il 27 maggio 1967.