Dipinti in vendita 1	Dipinti in vendita 2	Dipinti in vendita 3
Dipinti in vendita 4	Dipinti in vendita 5	Dipinti anonimi
e-mail 1 - e-mail 2	Le opere che cerchiamo	Altre opere in Galleria
Notizie su Castelfranco	Consulenze	Pittori di Castelfranco

Le mostre

Links

Altro ancora

DOV'E' LA NOSTRA GALLERIA

Home page

GALLERIA FOTOGRAFICA

ELENCO DIPINTI, IN VENDITA E NON IN VENDITA, A DISPOSIZIONE DEGLI STUDIOSI

Galleria d’Arte ed Antiquariato

ALCUNE BREVI CONSIDERAZIONI SUGLI AFFRESCHI ESTERNI

DEL CENTRO STORICO DI CASTELFRANCO VENETO

di Marco Mondi

Chi non vive a Castelfranco, o non la frequenta con una certa regolarità, quando vi giunge ne rimane affascinato. Riesce a vedere quello che a noi, la quotidianità, ci fa conoscere senza più osservare. Il visitatore interessato, in più, col fiuto sagace del "turista" attento, individua subito un percorso ideale per una prima escursione: il passeggio Dante, che attraversa con passo lento, ammirando da un lato la cinta muraria medievale con le sue torri e con gli antistanti giardini, che riecheggiano ancora del sapore tardoromantico col quale furono pensati oltre un secolo fa, e dall'altro lato la teoria isocefala dei palazzi lungo le bastie; dopo di che, generalmente, s'inoltra all'interno della cinta muraria. Il passeggio Dante[i], che ben interpreta anche lo sviluppo urbanistico secolare delle piazze principali fuori del castello, propone infatti un itinerario che permette di abbracciare visivamente alcuni tra i più suggestivi scorci della nostra città. Non a caso, esso coincide con la linea che corona il fossato[ii] e che, oggi come in antichità, delimita le due grandi piazze che si aprono ad Est e a Nord del castello, chiuse dai rispettivi "filari" di palazzi e raccordate dal perno quattrocentesco del "Pavejon" col suo loggiato.

Capire l'evoluzione dello sviluppo urbanistico antico di Castelfranco, come di ogni altra città, è di particolare importanza per comprendere meglio i luoghi dove sorgeranno i palazzi che saranno in seguito affrescati. La costruzione di sontuose dimore e l'apparato scenico che spesso le rivestiva di pitture, almeno per gli affreschi di facciata[iii], univa allo scopo del decoro urbano e del prestigio di chi vi abitava, una inseparabile valenza rappresentativa, specchio dell'importanza politica, economica e sociale del committente: il soggetto delle raffigurazioni, infatti, non era mai casuale.

Castelfranco sorgeva ottocento anni fa, per volontà del Comune di Treviso. Alla città fondatrice, si mantenne sempre legata, anche per la preoccupazione di Treviso di mantenere alle sue strette dipendenze e sotto il suo controllo un territorio particolarmente importante dal punto di vista strategico[iv]. Così, anche tra il XV ed il XVI secolo, dopo essere passata sotto Venezia (1339), che pur trasformò profondamente l'assetto istituzionale dei territori di terraferma, la struttura costituzionale cittadina continuò sostanzialmente ad essere regolata dagli antichi statuti, che erano statuti trevigiani. La funzione militare del castello, nei primi secoli, non venne mai a mancare. Tuttavia, ciò non impedì che la quotidiana vita cittadina si svolgesse nei periodi di pace sfruttando al meglio la vantaggiosa posizione geografica del nuovo insediamento, posto al centro di importanti vie di comunicazione[v] e favorito dalla concessione di particolari franchigie che, tra l'altro, dovevano servire anche ad assicurare la sua assoluta fedeltà al Comune dominante. Nel volger di breve tempo, Castelfranco divenne un centro commerciale di notevole importanza[vi], togliendo, forse, sotto più punti di vista il ruolo sino ad allora assolto dal castrum[vii] e dalla chiesa arcipretale di Godego[viii]. Antichi documenti attestano che nel 1233, a pochi anni dalla fondazione del castello, veniva confermata la libertà di svolgere il numero "consueto" di mercati nelle piazze antistanti i lati Nord e Ovest del castello, tradizione che dura sino ai nostri giorni. L'economia cittadina, che pur si basava prevalentemente sull'agricoltura e sull'allevamento di bestiame, trovava allora, sempre più, nuove fonti di ricchezza anche nel commercio e nel parallelo svilupparsi di attività artigianali e manifatturiere[ix]. La zona dentro le mura mantenne la prerogativa di centro religioso, amministrativo e culturale, tuttavia si riversarono in maniera determinante al di fuori della cinta molte attività di lavoro e di commercio, che videro, soprattutto nel Cinquecento, una ricca fioritura dei più diversi "mestieri". Le piazze esterne, ancora oggi le più importanti di Castelfranco, furono il teatro di una attività economica tanto intensa e vasta da essere considerata tra le maggiori dell'entroterra veneto dalla stessa Venezia. Il crescente benessere ed il sopravvenire di nuove esigenze incentivarono lo sviluppo edilizio dentro e fuori le mura: a tal proposito esistevano precise disposizioni edilizie già nella prima metà del XIII secolo[x]. Il XVI secolo fu sicuramente determinante per l'ulteriore sviluppo e consolidamento dell'assetto urbanistico cittadino, che, riconsiderato nel corso del XIV secolo, arriverà gradualmente ad avere l'attuale aspetto. Sorsero allora molti dei palazzi lungo le bastie. Questi, nonostante i talvolta profondi rimaneggiamenti subiti nel corso dei secoli, imposero, pure stilisticamente, quel signorile equilibrio estetico a cui tutte le successive costruzioni si dovettero adattare.

La tradizione degli affreschi di facciata era particolarmente viva nella marca trevigiana, che deve la sua denominazione di "marca gioiosa" anche a questo[xi]. In Castelfranco pure, questa tradizione dovette essere stata sentita in ugual modo e, forse già dalla fine del XIII secolo, quando cominciarono a prendere corpo con una certa diffusione vere e proprie costruzioni abitative in muratura, le facciate di queste dovettero essere dipinte con pitture a decorazioni stilizzate come losanghe policrome, arabeschi o altre "tappezzerie" di vario genere. Risalenti con ogni probabilità ai secoli XIV e XV, ne sopravvivono ancora oggi alcuni rari esempi, riportati alla luce soprattutto in tempi recenti. Queste poche testimonianze dei primi secoli di vita cittadina sono rintracciabili qua e là, percorrendo vie e vicoli soprattutto dentro le mura, nelle facciate delle più antiche case. Si vogliono qui ricordare la parte di facciata decorata a mattoni rossastri, con una sovrastante fascia policroma a rombi (riconoscibile facilmente per la presenza di una superstite bella bifora gotica), della seconda palazzina a destra, provenendo da Porta Cittadella, passato l'imbocco del vicolo del Cristo, in via F.M. Preti (fig. 1); quella parte che affiora sulla facciata di palazzo ora Menegotto, all'inizio del vicolo Montebelluna (fig. 2), e, sempre in questo vicolo, a metà circa del suo percorso, ma probabilmente ascrivibili alla seconda metà del XV secolo, nonostante l'impiego di stilemi ancora gotici, gli interessanti brani a fiori stilizzati (restaurati nel 1974 grazie ai contributi della Banca Popolare di Castelfranco Veneto) che, nel loro intreccio, creano riquadri mossi contenenti dei graziosi cherubini (fig. 3). Databili con maggior precisione (1381-1388 ca.), sono gli affreschi superstiti delle volte della torre principale del castello (fig. 4), detta anche torre davanti o dell'orologio, rappresentanti a colore rossastro le antiche insegne dei Carraresi[xii], <<con le quattro ruote del carro, raffigurate secondo la legge delle vedute principali, in cui le due anteriori sono più piccole di quelle posteriori, raccordate dalla linea verticale del carro e da quella traversa del timone. Le due imprese, accompagnate da enormi sigle in terretta gialla, occupano l'intera superficie dei due archivolti della torre>>[xiii]. Sulla parete interna della porta, ad Ovest, sopravvivono altri brani dai colori più vivaci; sul lato opposto, tra due stemmi, è visibile il leone marciano, di fattura quattro-cinquecentesca; mentre sono andati ormai in pratica completamente persi gli affreschi che, come vedremo, là il Castagnola aveva dipinto. Fuori dalle mura, tutte e tre le facciate del porticato, sopra le arcate (compresi gli archivolti), della Loggia del grano, o "Pavejon", che fu innalzata nel 1420 e radicalmente restaurata nel 1603 <<con denaro della Podesteria, a perpetuo uso dei cittadini e dei distrettuali per decreto dell'ecc.mo Senato>>[xiv], sono dipinte a finta tappezzeria decorata a bugnato (fig. 5); mentre sulle pareti all'interno del loggiato, sopravvivono altre decorazione con scritte e uno stemma.

Tra la fine del XV secolo e gli inizi del XVII secolo, da quel che è possibile giudicare oggi, Castelfranco vide il suo periodo di massimo splendore per quel che concerne le decorazioni esterne ad affresco. Ma a questo punto, è bene soffermarsi velocemente sulla penetrazione del patriziato veneziano nell'entroterra[xv] che, più o meno direttamente, è da mettere in relazione con la fioritura delle decorazioni parietali. Questa penetrazione, infatti, nel volger di breve tempo coincise con il consolidarsi del potere, e quindi della ricchezza, nelle mani di un gruppo piuttosto ristretto di famiglie autoctone[xvi]. Vanificata l'inespugnabilità medievale della città murata e finita l'epoca delle continue guerre, l'urbanistica della città poté svilupparsi soddisfacendo le nuove esigenze. Questo si verifico in special modo durante il XVI secolo, dopo gli esiti della lotta contro la lega di Cambrai, quando si ebbe uno straordinario impulso per l'edilizia urbana, spinta anche dal ruolo mercantile sempre più rilevante, che fece diventare Castelfranco tappa obbligata dei tragitti commerciali tra gran parte dell'Europa e Venezia. L'impulso economico e culturale che regnò all'interno della cives[xvii], sull'esempio e sullo stimolo della nobiltà "forestiera", diede il via all'edificazione e alla conseguente decorazione di nuovi palazzi e nuove dimore. Il potere locale, anche perché i grandi proprietari terrieri veneziani[xviii] vivevano altrove e la loro partecipazione alla vita politica e sociale della comunità era scarsa[xix], venne quindi a concentrarsi nelle mani di una piccola nobiltà costituita da gruppi di possidenti terrieri[xx]. Come in molte altre zone dell'entroterra veneto, anche da noi, la richiesta di nuove dimore nasceva allora dal desiderio della committenza locale e da quella "straniera", veneziana innanzitutto. Il patriziato veneto, da quasi due secoli, aveva iniziato ad investire in fondi terrieri della Castellana: già nel 1317, Marco Soranzo, figlio del doge Giovanni, acquistò a Treville terreni appartenuti una volta al fisco ezzeliniano, e <<passa per tradizione che queste siano state le prime possessioni che possedessero i nobili veneti in Terraferma>>[xxi]. E' bene inoltre ricordare come i Soranzo fossero promotori di studi neoplatonici, divenendo mecenati e sostenitori di ogni rinnovamento culturale ed artistico. La presenza sempre più cospicua della nobiltà veneziana in terraferma e i quasi tre secoli di pace che seguirono la Guerra di Cambrai (fatto del tutto straordinario per l'epoca), furono alla base del fenomeno del fiorire delle ville in campagna: il territorio sotto la giurisdizione di Castelfranco arrivò a contarne ben oltre una ventina[xxii]. Nella loro prima diffusione, le ville venete risposero a finalità non semplicemente estetiche, come sarà nei secoli XVII e XVIII, ma in qualche modo connesse alla conduzione rurale del podere e all'interesse per i miglioramenti produttivi in agricoltura: esemplare a tal riguardo è villa Emo del Palladio. Rimane comunque certo che il raffinato gusto culturale, e di vita, importato nel nostro territorio dalla capitale veneziana, influenzò la nobiltà locale e le stesse espressioni artistiche.

Alcuni tra i più antichi affreschi esterni con figurazioni di Castelfranco, risalgono alla fine del XV secolo, o ai primi anni del successivo. Datato, infatti, 1496 è quello rinvenuto nel 1962 in palazzo Soranzo Novello[xxiii], oggi sede centrale della Banca Popolare di Castelfranco Veneto[xxiv]. Approfonditamente studiata da Giampaolo Bordignon Favero, si tratta di un'opera di estremo interesse per la storia della pittura cittadina di fine Quattrocento, il cui autore si mostra influenzato dalla contemporanea pittura padovana e da quella di ascendenza belliniana. L'affresco raffigura la sacra Conversazione di Maria con i santi Antonio Abate e Girolamo (fig. 6), dove sulla base del trono della Vergine si legge la suddetta data. Come precisa lo studioso, la sua collocazione originaria, con la funzione di immagine devozionale, era in una vano dell'adiacenza del palazzo, ubicato sotto i portici della bastia nuova. Sulla traccia delle indicazione del primo Settecento riportate dallo storico ed erudita locale Natale Melchiori[xxv], che sintomaticamente non menziona quest'opera, il Bordignon Favero suppone giustamente di collegare l'esecuzione dell'affresco, datato, con l'occasione del restauro della <<diruta chiesa dell'antico convento francescano dedicata a Sant'Antonio Abate>>, come testimonierebbe la figura del.<<santo dottore Girolamo che tradizionalmente è raffigurato, in circostanza di edificazione di chiese, con il modello del tempio sacro offerto dalle sue mani, e dall'altro vi è l'immagine del santo titolare dell'erigenda o della restaurata chiesa francescana. E si sa anche che tra le nobili famiglie del tempo, se non la più illustre e la più doviziosa di tutte quelle esistenti nella Parrocchia di Pieve (di fronte alla cui chiesa sorgeva l'oratorio e l'annesso monastero dei Conventuali) era quella dei Soranzo, la cui casa dominicale è questa nella bastia nova, di fronte alla torre davanti, nel cui limite di proprietà con l'adiacente casa è dipinto l'affresco>>[xxvi]. Di qualche anno successivo è il ciclo di facciata di palazzo Bovolini Soranzo, ora Pinarello, raffigurante scene dalle Fatiche di Ercole e dal Corteo di Diana. Il suo autore è ignoto, sebbene in passato, e per taluni sino al secolo scorso, fu addirittura ritenuto opera di Giorgione. Così ne parla il Melchiori: <<La facciata della casa di ragione della famiglia Bovolini evvi in fresco fra due finestre da una parte Ercole et Anteo, e dall'altra lo stesso Ercole in atto di sbranare un leone, e di sopra varie figure, quali pitture vogliono molti professori che sieno di mano del nostro Giorgione della sua prima maniera>>[xxvii]. Con ogni probabilità si tratta di una lavoro di una maestranza fortemente influenzata dalla scuola padovana di ambito mantegnesco, che si ispirò, nelle scene di Ercole, a delle incisioni del maestro padovano. Di sapore più giorgionesco sono le quattro scene di Diana, che hanno fatto pensare a taluni alla mano di un altro artista. Chi scrive, però, alla luce del recente ed accorto restauro della facciata, è propenso pensare l'intero ciclo opera della stessa mano, come dimostrano le tipologie stilistiche nel trattare gli incarnati delle figure e l'impiego (per quel che è possibile vedere da terra) della medesima materia pittorica, tanto nei corpi quanto negli sfondi. L'influenza giorgionesca ravvisabile nelle scene superiori, pertanto, porta a datare l'intero lavoro ai primi decenni del Cinquecento. I recenti lavori di restauro, inoltre, hanno portato alla luce, sotto l'intonaco della pellicola pittorica cinquecentesca, piccoli frammenti di un fregio più antico (fig. 7), probabilmente risalente ai primi decenni del Quattrocento, che testimoniano come questo palazzo fosse già stato in precedenza affrescato nella sua facciata. Degli affreschi successivi, comunque, partendo dall'alto a destra e proseguendo verso il basso, le scene si sviluppano con i seguenti soggetti: il primo riquadro del sottotetto dovrebbe raffigurare Atteone che sorprende Diana, divinità protettrice dei boschi e della selvaggina, e le sue ninfe al bagno; il secondo, tre ninfe al bagno nel lago, mentre una quarta sulla sinistra sembra intenta a svestire una fanciulla, forse la stessa Diana, se l'oggetto oblungo tenuto sollevato con la mano destra è l'arco; il terzo, Diana che tiene il suo arco con la mano sinistra mentre indica con l'altra alle sue ninfe le acque del lago che s'intravedono in lontananza nel paesaggio; il quarto, con lo sfondo di un paesaggio, forse Atteone che si dispera in attesa della punizione; in corrispondenza del piano nobile, a sinistra Ercole che lotta con Anteo, a destra Ercole che uccide il leone nemeo (fig. 8). Nei depositi della civica collezione museale di Castelfranco Veneto, si conservano quattro disegni[xxviii] relativi ai brani delle storie di Diana dipinti nel sottotetto. Eseguiti probabilmente nel 1877[xxix] da un disegnatore tedesco, studioso forse del Giorgione[xxx], sono particolarmente interessanti in quanto permettono di meglio leggere le scene raffigurate sulla parete[xxxi]. La scelta dei soggetti (e forse anche delle maestranze), infine, non fu certo casuale, considerando che la famiglia Bovolini era originaria di Padova, e che la sua più autorevole personalità, allora, era Taddeo, letterato e giurista al seguito della regina Cornaro, impegnato con Venezia per bandire gli ebrei dal territorio asolano, e pertanto legato, probabilmente, anche all'attività del nostro Santo Monte di Pietà. Con gli affreschi sulla facciata del suo palazzo, Taddeo voleva probabilmente sottolineare la sua capacità autoritaria nel lavoro, che richiedeva certo, al momento opportuno, l'imposizione di decisioni energiche[xxxii].

Il pittore, o la maestranza, che ha eseguito gli affreschi di palazzo Bovolini Soranzo, è stato forse attivo in altri luoghi della città. I cherubini raffigurati sulla facciata della su descritta casa situata a metà circa di vicolo Montebelluna, non sembrano così lontani da queste pitture. Inoltre, esiste una fotografia, probabilmente scattata da Carlo Naya poco dopo la seconda metà del secolo scorso[xxxiii], fatta dalla parte di palazzo Duodo, oggi Polese, e che riprende tutto corso XXIX Aprile fino all'angolo del "Pavejon", nella quale è possibile vedere alcune facciate dei palazzi posti sulla bastia a Nord delle mura. Tra queste, s'intravede anche la facciata di casa Moletta, quindi Barisan[xxxiv] (subito a sinistra di palazzo Piacentini), sulla quale paiono esservi degli affreschi molto antichi che, da quel che si può giudicare dalla foto, sembrano vicini, stilisticamente e per data, a quelli di palazzo Bovolini Soranzo (fig. 9) [xxxv]. Non è da escludere che essi si conservino in parte ancora sotto l'attuale intonaco, considerato che la facciata non sembra aver subito restauri nel secondo dopoguerra[xxxvi] e che i restauri fatti prima, generalmente, si limitavano a ricoprire, al fine di contenerne i costi, con un nuovo intonaco il vecchio (questo è il motivo per cui ci sono giunti, nonostante le ristrutturazioni subite nei secoli, molte pitture murali antiche)[xxxvii].

S'è detto, che nella seconda metà del XVI secolo Castelfranco ebbe un notevole impulso edilizio, al quale fece riscontro una altrettanto notevole attività pittorica, anche in affresco. Numerosi furono gli artisti di Castelfranco[xxxviii] attivi in questi anni, al punto che alcuni studiosi hanno parlato, per la pittura veneta dell'epoca (fino ai primi decenni del Seicento), di scuola provinciale castelfranchese[xxxix]. E' sempre il Melchiori a rappresentare la fonte più importante a tal proposito, testimoniando inoltre, anche per gli affreschi, un cospicuo numero di opere oggi andate perse[xl]. Tra gli affreschi superstiti, o almeno oggi visibili[xli], di questo periodo, potrebbe forse rientrare anche la Madonna col Bambino (fig. 10) dipinta sulla facciata della seconda casa, a partire dall'imbocco del Borgo Bassano, nella bastia a Nord del castello. La lettura a distanza dell'opera non è facile. Sembrerebbe piuttosto antica[xlii], e a ciò fa pensare anche l'edificio su cui è stata eseguita. Iconograficamente, potrebbe risalire alla seconda metà del XVI secolo, o prima; tuttavia si conserva in uno stato di conservazione precario, che le conferisce uno strano sapore neoclassico, od ottocentesco, frutto forse pure di qualche ripresa più tarda, che la rende di difficile interpretazione e datazione. Attorno alla Madonna, si può comunque ammirare un brano in finta tappezzeria a riquadri bianchi e rossastri, risalente probabilmente al XV secolo, che un tempo doveva decorare l'intera facciata dell'antica casa.

Proseguendo lungo questa bastia, tra gli ultimi palazzi s'incontra la mole di palazzo Piacentini, quindi "Hosteria della Spada" (adibita ad albergo fin dalla fine del XVI secolo, e destinata quindi ad ospitare alcune tra le più eminenti personalità di passaggio in città), la cui facciata è tutta dipinta con varie scene e composizioni (fig. 11). Tra queste, sono oggi leggibili parzialmente solo alcuni brani: a livello del piano nobile, tra le finestra, a sinistra una scena di battaglia, a destra, sulla parte superiore del riquadro la michelangiolesca Caduta di Fetonte dal Carro, e sotto il Giudizio di Paride, tratto con ogni probabilità da un'incisione del Raimondi, riproducente un soggetto allora molto famoso di Raffaello; una fascia decora lo spazio subito sopra, dove in corrispondenza delle quattro finestre laterali sono dei riquadri, solo in parte leggibili, dipinti con figure femminili allegoriche (nei riquadri sottostanti alle finestre, a monocromo ocra, altre scene delle quali solo una ancora esistente), mentre putti e festoni decorano la rimanenza del fregio; tra le finestre sovrastanti, altri quattro riquadri racchiudono brani difficilmente decifrabili a causa delle estese cadute della superficie pittorica. Si tratta di un ciclo dipinto certamente nella seconda metà del XVI secolo, ad opera di un artista che, nonostante le influenze iconografiche romane, stilisticamente può esser fatto rientrare nell'ambito della scuola veronesiana, che molto influenzò, più ancora di quella dei Bassano, la pittura in Castelfranco. A titolo informativo, si ricorda che il Ponchini, amico del Veronese, fu fortemente influenzato dalla pittura michelangiolesca. Sulle pareti laterali sotto al portico del palazzo, il Melchiori ci informa che gli affreschi ancora oggi visibili raffigurano (quello a levante) <<Christo deposto di Croce da una parte [fig. 12], e dall'altra nostra Donna, S. Giuseppe e S. Catterina [fig. 13]; et sopra le porte delle due botteghe nel prospetto [ma sono andati persi] sonovi due graziose donne simboleggiate una la Pace, l'altra l'Abbondanza, il tutto in fresco, di mano di Cesare Castagnola>>[xliii]. L'affresco con la Madonna ed il Bambino appare oggi alquanto, se non totalmente ridipinto (al punto che le figure ai lati sono state cambiate), e forse ciò avvenne già in epoca settecentesca, in occasione probabilmente dell'apposizione della scritta sottostante (1726). Sotto il porticato di casa Moletta, quindi Barisan (il palazzo prima dell'Hosteria della Spada), inoltre, il Melchiori precisa umilmente che la Madonnina (fig. 14) dipinta nella parte interna di uno dei pilastri è opera sua, quindi del primo Settecento (l'opera è siglata e datata <<N.M.P. 1726>>): <<Sotto il portico di detta casa nel pilastro di mezo dopo restaurata la medema fabrica fu fatta dipingere M. Vergine in meza figura nel muro fresco dalla famiglia Barisani per mano del mio humile pennello>>[xliv]. Il piccolo affresco, tra i pochi lavori oggi conosciuti del pittore, nonostante sia stato restaurato alcuni anni fa e protetto con una lastra di materiale trasparente, presenta nuovamente estese cadute di colore causate principalmente dall'umidità della superficie di supporto; per fortuna queste sembrano interessare in primo luogo parti ridipinte. Ascrivibile ad un pittore attivo verso la fine del XVI secolo, invece, è l'affresco dipinto sotto il porticato di palazzo Pulchieri Favero, ora Bordignon Favero, in Corso XIX Aprile, raffigurante la Madonna col Bambino tra un vescovo ed un santo (fig. 15), già restaurato in anni recenti (1976), come indica la scritta in basso a destra. Poco più avanti, nella direzione della torre civica, vi è casa Didonè, del XVIII secolo (con riduzioni successive), che una fotografia scattata nel 1959, conservata nella fototeca della Biblioteca della Fondazioni Cini in Venezia (n. 8115), mostra con tutta la facciata decorata in affresco con riquadri raffiguranti scene, da quel che si può giudicare dalla foto, di gusto forse neoclassico.

Un altro importante ciclo ad affresco (fig. 16) di questo momento, è quello sulle facciate di palazzo Spinelli Guidozzi, tra le architetture più notevoli di Castelfranco, costruito, come precisa il Melchiori, intorno al 1570 per volontà di Attilio Guidozzi[xlv]. Gli affreschi nel corso dei secoli hanno avuto una controversa fortuna attributiva: opere di scuola veronesiana databili tra la fine del XVI secolo e l'inizio del secolo successivo, furono da varia letteratura locale attribuiti al Veronese, allo Zelotti, ad Alvise del Friso, al Ponchini, ai Castagnola e ad altri ancora. Natale Melchiori riferisce gli affreschi a Benedetto Caliari[xlvi], ma la Crosato, nel suo volume sugli affreschi delle ville venete (1962), a giudicare da quanto è ancora leggibile, specialmente per il riquadro con il ratto d'Europa, trova la giovane troppo aggraziata nelle forme per essere di mano di Benedetto, così come l'intonazione chiara e luminosa dei colori non corrisponde a quelle consuete di questo pittore[xlvii]. In essi vi sono raffigurate scene mitologiche d'ispirazione ovidiana, tra le quali spiccano, sulla facciata verso il castello (sull'altra facciata, quella verso via Riccati, poco si conserva, così come nelle facciate interne), il Ratto d'Europa[xlviii] e Diana e Atteone[xlix], concepite in origine probabilmente con intenti educativi moralisti e controriformisti[l]: il degrado delle divinità e delle semi-divinità pagane deboli verso peccati terreni tipicamente umani, e la conseguente, indiretta, esaltazione delle divinità religiose cristiano-cattoliche; la committenza, infatti, era una famiglia di spicco all'interno delle cariche pubbliche cittadine ed era conosciuta per la sua dedizione ad opere di carità e di fede. Nei depositi della civica collezione museale di Castelfranco Veneto, si conservano undici disegni, parte di una serie di diciannove, riferibili a Palazzo Spinelli Guidozzi ed ai suoi affreschi, che sono particolarmente significativi in quanto permettono di conoscere anche raffigurazioni oggi scomparse. Collocabili per l'esecuzione probabilmente nell'ultimo quarto del secolo XIX, sono forse stati eseguiti da uno studioso di pittura veneta dell'epoca. Alcune scritte poste su di essi, ci informano che il loro autore credeva gli affreschi copiati opera di Gian Battista Zelotti e di Paolo Veronese, mentre alcune date riportate stanno forse ad indicare, se non la data di esecuzione dell'intero ciclo ad affresco, il possibile momento di edificazione o di risistemazione del palazzo[li]. Un altro interessante ciclo in affresco, oggi purtroppo del tutto illeggibile (sebbene se ne vedano le tracce), doveva essere quello dipinto sulla facciata della cinquecentesca casa dominicale Dolfin, ora Chiavacci, all'inizio del Borgo Pieve, sulla sinistra.

Gli affreschi lungo le bastie, per il loro affacciarsi sulle trafficate piazze, che costituivano l'indubbio centro commerciale del territorio castellano[lii], assumevano un evidente importanza scenografica che spesso travalicava gli intenti di semplice decoro pubblico o di prestigio, per assolvere ad un contemporaneo ruolo di propaganda politico-sociale dei committenti. Si deve anche a questo la fioritura particolarmente ricca degli affreschi in questi luoghi, che un tempo dovevano essere ben più numerosi di quanti non se ne vedano oggi[liii]. Tra i cicli pittorici di facciata allora sicuramente più interessanti ed oggi andati irrimediabilmente perduti, si vogliono qui ricordare, proprio in faccia ai palazzi Spinelli Guidozzi e Soranzo Novello, dall'altra parte del ponte, attingendo ancora dal Melchiori, quello del palazzo a quel tempo abitato dai Piacentini (l'attuale Hotel alla Torre) e quello sulla facciata del portale della torre civica: <<Le due facciate della casa di ragione della famiglia Piacentini appresso la Torre principale, et ponte anteriore al di fuori delle mura in cui appariscono freggi, festoni, chiaroscuri puttini, e quattro tavole tra le fenestre in una delle quali per essersi conservata si ammira gentilmente espresso il giudicio di Paride, nell'altre tre pur si vedono figure dipinte con molta tenerezza come anco una Venere in soffitto con tre amorini, sono tutte opere in fresco di Pietro Marascalchi da Feltre che niente altro del suo vedesi in queste parti ma bensì a Feltre sua patria. Nota però che molti professori dicono esser di mano di Pre Gio: Battista Ponchin detto Bozzato nostro cittadino>>[liv]. Gli affreschi andarono distrutti, con parte del palazzo, a seguito del terremoto che colpì la città il 4 gennaio 1637 (un altro terremoto, che causò danni e crolli alla torre si ebbe la mattina del 24 febbraio 1695) [lv]. Per quel che riguarda gli affreschi della torre, continua il Melchiori: <<Di sua mano [cioè di Cesare Castagnola] si osservano ne' muri del Capitello sotto le Porte della Torre dell'Orologio alle parti laterali d'una antica Madonna una Tavola di maniera greca, le SS: Lucia et Appolonia Vergini M.ri, et nel cantone S: Prosdocimo Vescovo in atto di battezzare diversi popoli[lvi], et al di fuori della detta Porta, e Torre alcune virtù, et un fregio di Puttini, ma hora il tutto danneggiato dal tempo>>[lvii]. Forse, questi affreschi menzionati dal Melchiori, sono quelli che pare di intravedere nel dipinto di fine Settecento raffigurante una Veduta delle mura di Castelfranco (fig. 17), conservato nella Civica Collezione Museale cittadina[lviii]. La torre civica, non era comunque l'unica torre affrescata, come precisa sempre il Melchiori[lix].

Proseguendo nella descrizione degli affreschi esterni di fine Cinquecento-inizi Seicento ancora visibili, eseguiti in edifici fuori dalle mura, attorno alla cinta, si ricordano ancora quelli di Borgo Cittadella, sotto al porticato di una delle prime case allontanandosi dal Castello. Qui, precisa il Melchiori, <<nel 1534 Francesco Bresolato fu il fondatore della maggior parte della Case... dove ancora appariscono le sue Arme>>[lx]; ed in altro luogo continua: <<Dilettosi molto Cesare [Castagnola] di dipingere in qualunque loco, dove se gli rappresentava l'occasione l'Imagine di Maria Vergine, e di nostro Signore onde due ne dipinse a fresco nel Borgo di Cittadella sotto il Portico della Casa Bresolati, effigiando da una parte il nostro Redentore passo e Angioletti dai lati del medesimo [fig. 18], et all'altra la SS.ma Vergine con il Bambinetto Giesù nel seno [fig. 19]>>[lxi]. Vista la collocazione (vicino all'angolo della parete a sinistra di quest'ultima immagine) e le affinità stilistiche, è da ritenersi opera di mano di Cesare Castagnola anche la figura di Sant'Antonio (?) (fig. 20), che nello stesso sottoportico si vede.

Prima di passare alla descrizione delle opere esterne in affresco, per la maggior parte databili a questi anni, visibili dentro la cinta del castello, si vuole accennare velocemente alle pitture murali, così come ne parla sempre la stessa fonte, oggi conservatesi solo all'interno del capitello[lxii] posto all'incrocio tra il Borgo Vicenza e la strada che conduce a Treville, in quanto queste sono tra le pochissime opere conosciute di Bartolomeo Castagnola: <<Ma finalmente coronò le sue ultime fattiche [Cesare Castagnola] nel Cappitello oltre il Musone dove nel di fuori espresse li quattro Evangelisti, la SS.ma Annunziata, et li SS: Andrea, e Bortolamio Apostoli, et nella mezaria in una figura il Nro: Crocifisso Redentore, un'altra il medesimo gloriosamente risorto, con alcune guardie, et nell'ultima figurò S: Christoforo mentre passando il fiume porta sopra le spalle Gesù in forma di Bambino, nel quale istante miracolosam.e gli fiorisce il bastone, lasciando carico il dipingere l'interno del medesimo a Bortolamio suo fratello... nel quale da una parte espresse li tre Maggi, che osservando la miracolosa Stella cavalcano per giungere a Betteleme; et dall'altra la nascita del Messia[lxiii]>>[lxiv].

Dall'altra parte della città, in via Riccati, vi sono ancora degli antichi affreschi di facciata nella seconda casa a sinistra dopo via Bastia Vecchia, raffiguranti un fregio con varie decorazioni ed in un riquadro più in basso, all'interno di un festone, forse quella che era una rappresentazione del sole, o meglio un simbolo eucaristico rotondo (monogramma di Cristo) (fig. 21). La loro esecuzione pare possa risalire ai primi anni del XVI secolo, o addirittura alla fine del secolo precedente. Mentre quattro case più avanti allontanandosi dal centro, sempre sullo stesso lato, in un'altra facciata, sotto le finestre del secondo piano, sono ancora visibili quattro riquadri dove vi sono dipinte in monocromo, forse, figure allegoriche o mitologiche: potrebbero raffigurare, ma l'interpretazione non è chiara, partendo da sinistra guardando, Il giudizio di Paride, Leda col cigno, un'allegoria della musica ed infine un'allegoria della pittura (fig. 22). La loro esecuzione va collocata verso la fine del XVI secolo. Poco più aventi, subito dopo Palazzo Riccati, ora Avogadro, sulla facciata del lungo edificio da poco restaurato, è emerso un bello ed elaborato stemma gentilizio di manifattura settecentesca (fig. 23). Proseguendo per il Borgo Treviso, nel palazzo dove ha trovato sede la scuola delle Magistrali, altri riquadri in monocromo, databili probabilmente alla seconda metà del XVI, sembrano raffigurare le allegorie delle stagioni (fig. 24). La loro esecuzione, nello stato di conservazione in cui ci sono giunti, sorprende per la "modernità" della stesura di alcune parti, come negli alberi dello sfondo. Il più celebre ciclo in affresco di questo borgo, oggi però non più visibile, era certo quello di fine Cinquecento di una delle palazzine dello Scamozzi, dove oggi sorge villa Revedin Bolasco: <<Il di fuori del palaggio di Ca' Cornaro detto del paradiso posto nel borgo trivigiano è dipinto da Orazio da Castelfranco nostro cittadino detto Orazio dal Paradiso, perché ha dipinto tutto il detto palazzo anco di dentro>>[lxv]. Degli affreschi, tra gli altri, ne parla anche Francesco Maria Preti[lxvi].

Entriamo ora dentro le mura. Prima, però, bisogna ricordare che lo spazio interno al castello subì una profonda riorganizzazione durante il secolo XVIII, la quale fu la causa della perdita di un notevole numero di opere in affresco che qui vi erano state dipinti. Se il sec. XVII, infatti, non portò grandi rinnovamenti, fu durante la prima metà del sec. XVIII, al seguito delle idee illuminate dei componenti della famiglia Riccati e del cenacolo che attorno a loro si creò, che Castelfranco ebbe un nuovo forte impulso, soprattutto edilizio, contribuendo di buon grado a dare alla città l'aspetto architettonico e urbanistico tutt'oggi in parte visibile e vivibile, specie dentro le mura. Nella prima metà di questo secolo, fu abbattuta l'antica chiesa "di dentro" e fu iniziata l'edificazione della nuova fabbrica del Duomo. Urbanisticamente, questo rappresentò un intervento di notevole portata: le parti più sporgenti degli avancorpi di casa Marta, oggi Casa di Giorgione, vennero amputati; parte della cinta muraria nel suo lato meridionale venne abbattuta per dar spazio all'abside della nuova architettura; il piccolo oratorio del Cristo si trovò rilegato in uno spazio angusto, mentre fu risistemata la facciata della casa domenicale dei Riccati, destinata a diventare in seguito la nuova sede del Santo Monte dei Pegni; infine, negli anni Venti del secolo scorso, il vetusto edificio del Santo Monte, venuto infelicemente a trovarsi tra la facciata della settecentesca chiesa e l'originario, sebbene riadattato nei secoli, Palazzo Pretorio (al posto de quale, più tardi, sorgerà l'attuale Municipio), venne demolito. Verso la metà del XVIII secolo si iniziarono i lavori per la costruzione del Teatro Accademico, sede all'inizio dell'Ottocento prima dell'Accademia dei "Capponici" e poi di quella dei "Filoglotti"; l'edificio verrà ristrutturato dopo circa cent'anni dalla sua costruzione e re-inaugurato nel 1858. Attorno alle mura, molte facciate di case e palazzi vennero rinnovate, e ristrutturate, o ricostruite, alcune chiese della città.

Sebbene il Melchiori, inoltre, testimoniasse la ricchezza dell'attività commerciale, artigianale e di traffico straniero nei primi decenni del Settecento, la crisi politico-economica dello Stato Veneto, non tardò a far sentire i suoi effetti anche a Castelfranco, che vide bloccarsi la precedente euforia edilizia e assistette all'avvio della graduale soppressione di conventi e chiese, con la conseguente perdita di altri brani in affresco. Nella seconda metà del XVIII secolo (1769), infatti, la Serenissima Repubblica decise la soppressione (attuata tra il 1770 e il 1793) in tutto il Veneto di oltre un centinaio di comunità religiose[lxvii]. A conseguenza di ciò, in quegli anni a Castelfranco vennero soppressi il monastero dei Servi di Maria[lxviii], annesso al Pio Ospedale di San Giacomo, il convento dei Padri Cappuccini[lxix], che sarà allora adibito a nuova sede del Pio Ospedale, il convento della Congregazione degli Oratoriani[lxx], il monastero di Sant'Antonio abate dei Minori Conventuali di San Francesco[lxxi] ed il monastero dei Reverendi Padri Zoccolanti della Riforma di Sant'Antonio[lxxii]. Dopo la caduta della Repubblica Veneta, nel 1808 verrà sciolta la comunità delle monache del Redentore e di Santa Chiara, il cui convento sarà di lì a poco adibito a caserma militare[lxxiii]. Come nelle altre parti d'Italia, la soppressione di ordini, congregazioni, parrocchie, sinecure, commende ecc., spesso seguita dall'abbattimento dei relativi locali, anche nella nostra città portò alla distruzione ed alla mobilitazione delle ricchezze là custodite[lxxiv].

Premesso quanto appena detto, l'affresco esterno (sebbene oggi si conservi all'interno del cosiddetto Oratorio della Beata Vergine delle Grazie[lxxv]) che in passato ha goduto di grande fama devozionale all'interno delle mura, fu certo quello di Cesare Castagnola (fig. 25), del quale così ce ne parla il Melchiori: <<Sotto la loggia del detto palazzo Pretorio evi dipinta in fresco sopra la porta, che conduce in Cancelleria Criminale una divota imagine di Maria Vergine col Bambino in brazzo, coronata da due Angeli, et a basso San Marco Evangelista; di mano di Cesare Castagnola nostro cittadino. L'anno 1708 il dì 16 Agosto a questa benedetta imagine principiò gran devozione per le grazie, che ha piaciuto a S.D.M. impartire a molti divoti, come dal processo si vede, onde con permissione del Senato fu fatto un Oratorio [nel 1714] come tutt'ora si vede, et ogni sera vi si cantano le litanie>>[lxxvi]. Al Castagnola, la stessa fonte attribuisce anche gli affreschi di facciata (fig. 26) della <<prima casa dentro le mura alla sinistra nell'entrare [dove vi è] rappresenta in fresco la tavola di Giove convertito in pioggia d'oro sopra Dafne con alcuni gruppi di Battaglie, è di mano di Cesare Castagnola nostro cittadino>>[lxxvii]. E ad un pittore forse di questi anni è, sebbene con riserve perché potrebbe essere più tarda, da riferire anche la Madonna col Bambino e Santo'Antonio (fig. 27) raffigurata sotto al porticato del palazzo dove trova attualmente sede la Pretura, e forse pure il Sant'Antonio con bambino (fig. 28) (ma anche questo potrebbe essere più tardo) dipinto in affresco sulla facciata della palazzina alla destra di casa Costanzo, ora Menegotto. Mentre <<Sopra la porta della Torre principale alla parte di dentro del Castello evi l'imagine di Maria Vergine col Bambino nelle braccia, San Girolamo, e San Francesco, è di mano di Marco Guerra da Bassano[lxxviii] [fig. 29], il quale dipinse nel medesimo sito l'ornamento di detta Porta in fresco con San Liberale, l'arma della Communità due figure rappresentanti la Fama et alcuni Mascheroni che sostentano l'Architrave, et Architetture>>[lxxix]. A parte il riquadro con la Madonna, praticamente nulla, o quasi, rimane delle altre decorazioni. Nella facciata del terzo palazzo a destra del Municipio, in via F.M. Preti, tra le due finestre vi è dipinta una Madonna col Bambino (fig. 30) dall'iconografia antica, forse addirittura quattrocentesca, considerato il suo sapore ancora "fiorito"; tuttavia il precario stato di conservazione ed alcune probabili ridipinture più tarde, la rendono di lettura alquanto problematica e di difficile giudizio. Nella parete laterale di destra della chiesetta dell'Oratorio del Cristo, già Scuola della Confraternita della Beata Vergine e del Santissimo Suffragio, un tempo pure vi erano affreschi[lxxx]: <<Fuori della scuola nel muro verso mattina si vedono di maniera ignota alcuni confratelli con la cappa in atto di far la processione>>[lxxxi]. Un altro interessante ciclo pittorico di facciata (fig. 31), purtroppo oggi alquanto compromesso nella lettura, anche a causa dell'abbassamento del solaio del palazzo, che ha mozzato le figure, si può ancora in parte ammirare nel palazzo di vicolo Montebelluna recante lo stemma marmoreo degli Almerighi de Castellis. Indecifrabile, o almeno alquanto problematica, l'individuazione dei soggetti dipinti nei riquadri subito sotto al tetto, che pure respirano di un sapore giorgionesco che porterebbe a datarli entro la prima metà del XVI secolo, così come fa pensare anche il sottostante fregio a decorazione fitomorfica (che si richiama a quello fito-antropomornfico di palazzo Bovolini Soranzo). Tra le altre pitture antiche esterne esistenti dentro le mura, nella seconda casa a destra sempre in vicolo Montebelluna, entrando dalla parte della torre civica, vi è un piccolo riquadro dove un tempo doveva esservi dipinta un'immagine della Madonna col Bambino (fig. 32), oggi, purtroppo, quasi totalmente scomparsa e praticamente illeggibile.

Infine, è interessante notare come, a giudicare dagli affreschi di facciata ancora oggi visibili in città[lxxxii], questi possano essere collocati per la maggior parte entro il secolo XVI ed i primi decenni del successivo. A Castelfranco si avrà una timida ripresa di questo genere pittorico negli ultimi decenni della seconda metà del secolo scorso, a opera soprattutto di Noè Bordignon. Alla sua giovanile mano (1870 ca.), infatti, si deve l'affresco raffigurante una Dama a cavallo con paggio (fig. 33), nella centina sul portale d'ingresso del palazzetto Martini Stecca, davanti al Teatro Accademico. Ed è ancora il Bordignon che poco più tardi realizza, sempre i affresco, i due riquadri con l'Ingresso di Gesù in Gerusalemme e la Resurrezione di Lazzaro, nonché il lunotto centrale con la Madonna ed il Bambino (fig. 34), sulla facciata dentro il pronao della chiesa di Santa Maria Nascente della Pieve Nuova, in Borgo Pieve, nonché gli affreschi con la raffigurazione storico-biblica dell'Incontro di Jefte con la propria figlia (fig. 35), in quella che fu la sua casa in Castelfranco (in Borgo Treviso, a sinistra allontanandosi dal castello, all'angolo dell'incrocio con viale Italia), dopo l'abbandono di Venezia e prima del suo trasferimento a San Zenone degli Ezzelini, verso il 1897.

OPERE CITATE NEL TESTO

Fig. 1 - Brano a decorazione in finta tappezzeria a mattoni rossastri, con una sovrastante fascia policroma, dalla facciata di una casa in via F.M. Preti, secolo XIV o secolo XV.

Fig. 2 - Brano di decorazione dalla facciata di palazzo ora Menegotto in vicolo Montebelluna, secolo XIV o secolo XV (?).

Fig. 3 - Brano a decorazione in finta tappezzeria, dalla facciata di una casa in vicolo Montebelluna, seconda metà XV secolo (?).

Fig. 4 - Particolare degli affreschi con l'insegna dei Carraresi, da una delle volte della torre civica, 1381-1388 ca.

Fig. 5 - Veduta del "Pavejon" con le sue pitture a finta tappezzeria decorata a bugnato, dopo il 1603.

Fig. 6 - Pittore veneto, Conversazione di Maria con i santi Antonio Abate e Girolamo, 1496, strappo d'affresco riportato su tela, 200x206 cm, Castelfranco Veneto, Banca Popolare di Castelfranco Veneto.

Fig. 7 - Particolare di fregio a decorazione fitomorfica, dalla facciata di palazzo Bovolini Soranzo, risalente probabilmente ai primi decenni del XV secolo.

Fig. 8 - Pittore di ambito padovano dei primi decenni del XVI secolo, facciata di palazzo Bovolini Soranzo.

Fig. 9 - Carlo Naya, Castelfranco, prima del 1872, fotografia, particolare della facciata di casa Moletta, quindi Barisan.

Fig. 10 - Pittore anonimo, Madonna col Bambino, dipinta sulla facciata di una casa in piazza Giorgione.

Fig. 11 - Pittore veronesiano della seconda metà del XVI, La caduta di Fetonte dal carro e Il giudizio di Paride, particolare della facciata di palazzo Piacentini, quindi "Hosteria della Spada".

Fig. 12 - Cesare Castagnola, Deposizione di Gesù nel sepolcro, fine del XVI secolo - inizio del XVII secolo, dal sottoportico di palazzo Piacentini.

Fig. 13 - Cesare Castagnola, Madonna col Bambino e santi, fine del XVI secolo - inizio del XVII secolo (l'affresco è molto ridipinto), dal sottoportico di palazzo Piacentini.

Fig. 14 - Natale Melchiori, Maria Vergine, 1726, dalla parte interna di un pilastro del portico sotto casa Moletta.

Fig. 15 - Pittore della fine del XVI secolo, Madonna col Bambino tra un vescovo ed un santo, dal sottoportico di palazzo Pulchieri Favero, ora Bordignon Favero.

Fig. 16 - Pittore veronesiano della fine del XVI secolo, facciata verso la piazza di palazzo Spinelli Guidozzi.

Fig. 17 - Pittore veneto della fine del XVIII secolo, Veduta delle mura di Castelfranco, olio su tela, 85x136 cm, Castelfranco Veneto, Civica Collezione Museale (part.).

Fig. 18 - Cesare Castagnola, Redentore passo e Angioletti, fine XVI secolo - inizi XVII secolo, dal sottoportico di casa Bresolati in Borgo Vicenza.

Fig. 19 - Cesare Castagnola, Madonna col Bambino, fine XVI secolo - inizi XVII secolo, dal sottoportico di casa Bresolati in Borgo Vicenza.

Fig. 20 - Cesare Castagnola, Sant'Antonio (?), fine XVI secolo - inizi XVII secolo, dal sottoportico di casa Bresolati in Borgo Vicenza.

Fig. 21 - Particolare della facciata dipinta con una rappresentazione del sole, o con un simbolo eucaristico (monoframma di Cristo), da una casa in via Riccati, primi decenni del XVI secolo.

Fig. 22 - Pittore della fine del XVI secolo, Leda col cigno, particolare della facciata di una casa in via Riccati.

Fig. 23 - Pittore del XVIII secolo, Stemma gentilizio, particolare della facciata di una casa in Borgo Treviso.

Fig. 24 - Pittore della seconda metà del XVI secolo, Allegoria di stagione (?), particolare della facciata di una casa in Borgo Treviso.

Fig. 25 - Cesare Castagnola, Madonna col Bambino e San Marco evangelista, fine del XVI secolo - inizi del XVII secolo, Oratorio della Beata Vergine delle Grazie.

Fig. 26 - Cesare Castagnola, Battaglia, fine del XVI secolo - inizi del XVII secolo, particolare della facciata di una casa in via F.M. Preti.

Fig. 27 - Pittore della fine del XVI secolo - inizi del XVII secolo (?), Madonna col Bambino e Sant'Antonio, dal sottoportico del palazzo dove trova attualmente sede la Pretura, in via F.M. Preti.

Fig. 28 - Pittore della seconda metà del XVI secolo (?), Sant'Antonio, dalla facciata di una casa in Vicolo del Paradiso.

Fig. 29 - Marco Guerra bassanese, Maria Vergine col Bambino, San Girolamo e San Francesco, fine XVI secolo - inizi XVII secolo, dal riquadro sopra il portale interno della torre civica.

Fig. 30 - Pittore anonimo, Madonna col Bambino, dalla facciata di una casa in via F.M. Preti.

Fig. 31 - Pittore della prima meta del XVI secolo, particolare della facciata di palazzo Almerighi de Castellis, in vicolo Montebelluna.

Fig. 32 - Pittore anonimo, Madonna col Bambino (?), dalla facciata di una casa in vicolo Montebelluna.

Fig. 33 - Noè Bordignon, Dama a cavallo con paggio, 1870 ca., centina sul portale d'ingresso del palazzetto Martini Stecca.

Fig. 34 - Noè Bordignon, Madonna col Bambino, primo periodo castellano, lunotto sopra il portale della facciata dentro il pronao della chiesa di Santa Maria Nascente della Pieve Nuova.

Fig. 35 - Noè Bordignon, Incontro di Jefte con la propria figlia, 1897 ca., facciata di una casa in Borgo Treviso (già casa dell'artista).

Note:

1) - La cui sistemazione risale al 1865 ca.

2) - Il limite tracciato dal fossato non deve poi scostarsi di molto da quello antico, quando il corso d'acqua, come attestano alcuni documenti, era ben più ampio di quanto non sia oggi, raggiungendo in alcuni punti, a quanto pare, anche una trentina di metri; estendendosi con ogni probabilità più verso le mura che verso le piazze. La complessa struttura difensiva del castello, che continuò a svolgere una funzione prevalentemente militare almeno fino al XV secolo, allo scopo di garantire il controllo e l'equilibrio strategico di un territorio di confine caratterizzato da una grande instabilità politico-militare, se a Sud e a Ovest, i lati più esposti alle avversità di confine, era in parte affidata al corso del torrente Muson dei Sassi, negli altri due lati l'espugnabilità era garantita non solo dalle mura e dalle torri sorte sul rialzo di un terrapieno e dal fossato che le circonda, ma anche dall'ampiezza stessa dei piani spiazzi antistanti, raggiungibili in ogni luogo da un tiro di freccia, chiusi esternamente da un altro fossato, adiacente ad ulteriori barriere e terrapieni. Sulla linea di quest'ultimo fossato, sorgeranno le più antiche costruzioni lungo le bastie: sotto ai portici dei palazzi a nord del castello, esiste ancora oggi il tracciato di un antico fossato.

3) - Sebbene pure gli affreschi generalmente indicati come votivi, raffiguranti soggetti religiosi, spesso nascessero da esigenze non poi così dissimili dalle altre.

4) - Per tale ragione, Castelfranco non avrà mai suoi statuti.

5) - Le strade romane Aurelia e Postumia.

6) - E continuò ad esserlo anche per tutto il periodo della sudditanza a Venezia.

7) - Per castrum si deve spesso intendere, oltre a veri e propri castelli in muratura, che spesso venivano propriamente indicati con tale termine, anche semplici giurisdizioni territoriali facenti capo ad un agglomerato urbano non necessariamente fortificato con mura. Godevo aveva comunque un vero e proprio castello.

8) - Già dalla prima metà del XIII secolo, la giurisdizione di Castelfranco si estendeva ai territori di Piombino, Vedelago, Casacorba, fino a Montebelluna, Asolo, Pagnana, Fonte e Romano; dopo il passaggio sotto Venezia, la dominante assegna ad Asolo alcuni villaggi che nel passato appartenevano alla giurisdizione di Castelfranco: S. Zenone, Liedolo, Fonte, Mussolente e Rossano; i paesi che rimangono sotto Castelfranco sono: Villarazzo, Resana, Treville, Piombino, S. Martino di Lupari, Salvatronda (Capopieve), S. Marco di Campigo, Campigo, Vedelago, Albaredo, Salvarosa, San Floriano, Fanzolo, Riese (Capopieve), Vallà, Godego (Capopieve), Castione, Loria, Spineda, Ramon, Manzolino, S. Andrea oltre Muson, Poisolo, Bessica, Campreto, Monastier, ed altri villaggi ancora.

9) - Accanto alle abitazioni, sorsero allora botteghe, laboratori artigianali e attività manifatturiere come quelle per la produzione di maioliche e di vetri (di quest'ultima ne rimane ancora oggi memoria toponomastica nel vicolo dei Vetri).

10) - Si ordinò di costruire una casa a tutti coloro che possedevano un pezzo di terreno, ed i costruirne altre, a spese della comunità, a chi ne possedeva più di uno. Furori del castello fu vietato costruire nei borghi che erano per longum, disponendo che le costruzioni sorgessero attorno al castello, oltre il fossato, senza invadere gli spazi delle piazze. Si doveva in ogni caso rispettare precisi regolamenti, specialmente a riguardo dell'altezza massima.

11) - <<E' in questo periodo della vita comunale [secc. XIII-XV] che si conia per essa il titolo di Marca Gioiosa, come si trova scritto nell'Entrée d'Espagne, ed è dall'inizio di questo periodo che si incomincia ad affrescare le case con le festose tappezzerie>> (Comisso G., La città gioiosa, in Affreschi decorativi di antiche case trevigiane dal XIII al XV secolo, Dosson-Treviso, 1979).

12) - Bordignon Favero G., Castelfranco Veneto e il suo territorio nella storia e nell'arte, Cittadella, 1975, vol. I, p. 128.

13) - La datazione degli affreschi può essere collocata al periodo di dominazione della città da parte dei da Carrara, avvenuta tra il 1381 ed il 1388.

14) - Cfr. Bordignon Favero G., op. cit., Cittadella, 1975, vol. I, p. 226.

15) - La penetrazione veneziana nel territorio castellano precedette la conquista della terraferma. Tuttavia questa, solo dopo la conquista della città, nel 1339, il patriziato veneziano considerò gli acquisti nell'entroterra veneto con l'ottica di una sicurezza d'investimento.

16) - Contemporaneamente, si riscontrano le prime controversie in merito alla superiorità della chiesa cosiddetta "di dentro" con quella della Pieve nuova; questione che indirettamente indica la presenza di una feudalità, o signoria, stabile legata alle vicende del luogo.

17) - Gli abitanti del centro, contrapposti a quelli della podesteria.

18) - Ma anche trevigiani, padovani, ecc.

19) - Questi proprietari terrieri, che risiedevano in villa per alcuni periodi dell'anno, affidavano l'amministrazione dei loro poderi a gastaldi e coloni.

20) - La piccola proprietà continua ad essere diffusa anche agli inizi del XVI secolo, per quasi scomparire successivamente a causa della concentrazione fondiaria nelle mani di un ristretto numero di famiglie locali e "foreste". Inoltre, verso il 1540, il territorio di Castelfranco contava all'incirca quattordicimila abitanti; mentre Natale Melchiori, nel primo Settecento, ne conta circa ventimila, la grande maggioranza dei quali non viveva in città, e questo a sottolineare il carattere fortemente rurale che il nostro territorio in passato ha sempre avuto, nonostante il fiorire di attività mercantili.

21) - Melchiori N. Catalogo historico cronologico cioè Copiosa raccolta..., 1724-1735, copia manoscritta del Voltolina (datata 29 febbraio 1869, dal manoscritto Gradenigo Dolfin, n. 205, conservato presso il Museo Correr di Venezia), Biblioteca Comunale di Castelfranco Veneto, MS. 158 Q-1, 12 523 R.I., p. 489. Si ricordano, inoltre, dal 1446 i Mocenigo a Godego, dal 1430 i Corner di San Polo a Treville e a Sant'Andrea oltre il Muson, ed i Corner della Regina nella località detta al Paradiso (oggi villa Revedin-Bolasco), dal 1475 i Costanzo a Castelfranco e nei pressi di Riese, i Barbarigo e poi gli Emo a Fanzolo e, ancora, i Balbi, i Barbaro, i Cappello, i Dolfin, i Grimani, i Gritti, i Marcello, i Mocenigo, i Molin, i Morosini e così via, nonché la corte umanistica formatasi tra la fine del XV secolo e gli inizi del successivo ad Asolo, attorno a Caterina Cornaro (Cfr. Bordignon Favero G., op. cit., 1975, vol. I, p. 75).

22) - Tra le più rinomate si ricordano: villa Morosini Marcello ad Albaredo, del XV secolo; villa Soranza (ora distrutta) a Treville, del Sanmicheli, affrescata dal Veronese; villa Priuli (ora distrutta) sempre a Treville, affrescata nel 1542 dal Salviati; villa Corner Tiepolo a Sant'Andrea oltre .Muson, della seconda metà del Cinquecento; villa Corner a Piombino, del Palladio; villa Emo a Fanzolo, sempre del Palladio, con affreschi dello Zelotti; Ca' Moro a Villarazzo, del XVI secolo; le due palazzine dette al "Paradiso", progettate dallo Scamozzi per i Corner; le cosiddette "Cornaron" e "Cornaretta" a Poisolo; la Ca' Amata sulla Postumia, del Rizzetti, e così via.

23) - Di mole architettonica poderosa, situato in faccia alla torre civica del castello, palazzo Soranzo Novello, sebbene la veste attuale sia frutto di una ristrutturazione settecentesca, ha origini ben più antiche, forse addirittura tardo-medievali.

24) - L'opera è oggi conservata nel sala del pubblico, al pian terreno della Banca.

25) - Gli scritti lasciateci da Natale Melchiori (1671-1735 ca.), che fu anche pittore, rappresentano una fonte importantissima, se non addirittura essenziale, per tutto quel che concerne la storia e l'arte di Castelfranco ed il suo territorio. Le informazioni da lui riportate, tuttavia, non sempre devono ritenersi completamente affidabili; lo sono tanto più quanto più ci si avvicina al periodo in cui lo studioso visse. L'opera del Melchiori fu ripresa come fonte autorevole da molti altri storici a lui successivi: il Lanzi ed il Federici, ad esempio, nonché il Crico, il Fapanni e tutta la letteratura d'arte locale. Fu il Coletti, nel 1951, a ridimensionarne l'importanza sulla comparazione degli scritti sulle Meraviglie dell'Arte del Ridolfi, pubblicati nel 1914 a cura del von Hadeln (Cfr. Bordignon Favero G., Nadal Melchiori - Notizie di pittori e altri scritti, Venezia-Roma, 1968; dov'è accuratamente riportato anche l'elenco delle opere manoscritte lasciate dal Melchiori).

26) - Bordignon Favero G., I palazzi Soranzo Novello e Spinelli Guidozzi in Castelfranco Veneto, Cittadella, 1981, p. 31.

27) - Melchiori N., Catalogo historico cronologico..., 1724-1735, Venezia, Museo Correr, MS. autografo Gradenigo Dolfin, 205, p. 163. A proposito di affreschi del Giorgione a Castelfranco, il Melchiori scrive ancora: <<et essendo ancora giovine, et amante di andare ad alcuna scuola, dipinse a fresco sopra il muro d'una casa vicina al ponte del Borgo Asolo l'immagine di Nostra Donna con il Bambinetto nelle braccia, dalla qual pictura scorgesi il suo natural ingegno... Ma è certo che un'altra facciata di casa dentro il Castello, pure dipinta a fresco, sia delle sue primitie, et vedesi in quella l'arma del Patrone [la famiglia Cesconi, originaria di Treviso] di quel tempo, et alcuni arabeschi a chiaro scuro rosso e verde, e di sopra un'aquila. Nella Parrocchia di S. Liberale (dopo esser divenuto pittore) fece... et oltre di questo in fresco sotto la medsma cappella [quella dei Costanzo nella chiesa vecchia] simbolegiò li quattro Evangelisti, et nel mezo fece il Redentore in atto di benedire. Nella casa della Famiglia Marta [oggi Casa di Giorgione] evi di sua mano nella sala un fregio rappresentante cose naturali, cioè istrumenti, libri et ordigni di tutte le professioni, a chiaro scuro, et una Testa in particolare finta marmo bellissima...>> (Cfr. Bordignon Favero G., op. cit., 1968, pp. 177-178).

28) - Incollati a due a due rispettivamente su due fogli di supporto.

29) - Il foglio di supporto reca infatti questa data.

30) - Sui fogli dei disegni vi sono scritte in lingua tedesca.

31) - Cfr. Opere della Civica Collezione Museale, catalogo a cura di Mondi M., Castelfranco Veneto, Casa di Giorgione, Galleria del Teatro Accademico, 15 novembre 1997 - 25 gennaio 1998, Dosson (TV), 1997, pp. 62-63, 192-193, nn. 31, 32.

32) - Cfr. Bordignon Favero G., op. cit., Cittadella, 1975, vol. I, pp. 254, 256.

33) - La sua data di esecuzione è probabilmente da collocare prima del 1872.

34) - Già affrescata a suo tempo da Giovan Battista Canal e da Giuseppe Borsato. Questi affreschi furono barbaramente distrutti durante i lavori interni di ristrutturazione del palazzo, avvenuti pochi decenni fa.

35) - Potrebbe anche trattarsi di affreschi eseguiti più tardi e forse può essere ciò che restava (o resta) della favola del Laocoonte dipinta da Cesare Castagnola e che il Melchiori ricorda caduta nel 1725: <<Dall'altra parte cioè in faccia il Christo morto effiggiò nostra Signora, S: Giuseppe, et S: Catterina, la quale assieme con l'altra facciata ivi vicina [vicina, cioè, a quella di palazzo Piacentini] con la favola di Laocoonte cinto da serpenti, et altre belle macchie l'anno 1725 la notte 23 dicembre precipitò>> (Melchiori N., op. cit., MS. autografo Gradenigo Dolfin, 205, p. 147).

36) - Infatti solo con i restauri "moderni", la risistemazione di una facciata di un'antica abitazione, purtroppo piuttosto spesso, era fatta togliendo ogni strato antico di intonaco, sino a giungere al mattone.

37) - Nella stessa fotografia, pare inoltre d'intravedere ancora, tra le altre interessanti testimonianze fornite (Cfr. Mondi M., Carlo Naya: una fotografia di Castelfranco Veneto, in "Il Punto", Castelfranco Veneto, ottobre 1995, pp. 35-37), sulla facciata del palazzo a sinistra di quello Bovolini Soranzo altri affreschi (se così fosse, o fosse stato,, forse era affrescata anche la facciata della palazzina a sinistra di palazzo Bovolini Soranzo, architettonicamente il pendant del primo) (il Melchiori, nel Catalogo historico cronologico... Gradenigo Dolfin, a pagina 163, scrive, subito prima di parlare di palazzo Bovolini Soranzo, per poi proseguire con palazzo Spinelli Guidozzi: <<Nella Bastia vecchia alla casa di ragione della famiglia Burlina evvi in fresco dipinta la famosa battaglia navale, che seguì aprresso i scogli de Curzolari, nella quale i Christiani ebbero quella memorabile vittoria contro i Turchi. Di mano di Cesare Castagnola nostro cittadino>>; potrebbe trattarsi degli affreschi in questione); mentre gli affreschi della facciata di palazzo Piacentini, a quella data erano nascosti da uno strato di intonaco lavorato a riquadri.

38) - Vale la pena ricordare che il Melchiori, da Giorgione fino ai suoi anni, numera ben trentacinque pittori di Castelfranco, o almeno stabilitesi a vivere in città, che egli però chiama <<Pittori cittadini di Castelfranco>> (almeno un altro, il Cirelli, lo ricorda in un contesto diverso): Giorgione, Giovan Battista Ponchino, Cesare Castagnola, Bartolomeo Castagnola, Antonio Sale, Antonio Talò, Paolo Piazza, Giovan Battista Novello, Orazio del Paradiso, Pietro Damini, Giorgio Damini, Giulio Martinelli, Damina Damini, Andrea Piazza, Gasparo Morosini, Giovanni Lorenzetti, Giovanni Bittante, Francesco Faveretto, Alessandro Zanetti, Melchioro Melchiori, Giacomo Galletti, Nicolò Galetti (sic!), Carlo Osti, Domenico Sartorio, Elisabetta Osti, Giovanni Maria Scandolara, Giovanni Antonio Frattin, Natale Melchiori, Christoforo Pinelli, Ridolfo Manzoni, Catterina Osti, Ignazio Maculari, Giordano Riccati, Bortolamio Scapinelli e Giovanni Francesco Melchiori (Melchiori N., op. cit., MS. autografo Gradenigo Dolfin, 205, pp. 243-244). Altrettanto numerosi sono, inoltre, i pittori "foresti" che il Melchiori ricorda in città e numerosi furono poi anche quelli attivi dopo la morte dello storico. Di molti di questi non si conosce pressoché nulla. Una approfondita ricerca, studiando accuratamente le opere sparse per il territorio castellano, potrebbe certo aiutare a ricostruire la personalità di alcuni di loro.

39) - Cfr. Donzelli C., Pilo G.M., I pittori del Seicento veneto, Firenze, 1967, pp. 16, 23.

40) - Un importante lavoro di ricognizione, seguendo le indicazioni del Melchiori è il testo, già citato, di Bordignon Favero G., Nadal Melchiori - Notizie di pittori e altri scritti, Venezia-Roma, 1968.

41) - Certamente qualcuno ancora si conserva dimenticati sotto vecchi intonaci.

42) - Tra le indicazioni del Melchiori, non può essere individuata con sicurezza.

43) - Melchiori N., op. cit., MS. autografo Gradenigo Dolfin, 205, p. 148.

44) - Melchiori N., op. cit., MS. autografo Gradenigo Dolfin, 205, p. 148. Il 23 dicembre del 1725 (Cfr. nota XXXV), vi fu la caduta di altri brani in affresco dipinti su casa Moletta, e probabilmente vi furono danni anche per quelli di palazzo Piacentini; al 1726, l'anno seguente, risalgono il dipinto del Melchiori e la scritta sotto l'affresco con la Madonna nel sottoportico di palazzo Piacentini, che sono quindi da mettere in relazione con quanto era successo nel dicembre dell'anno prima.

45) - Melchiori N., op. cit., MS. 158 Q-1, 12 523 R.I., p. 261.

46) - <<Tutto fuori della casa posta vicino al ponte anteriore di ragione della famiglia Guidozzi è dipinto in fresco con freggi, puttini, chiaroscuri et historie, tra le quali Europa sopra il toro et Attheone convertito in cervo da Diana, che con altre Ninfe si vedono nel bagno, di mano di Benedetto Caliari fratello di Paolo Veronese>> (Melchiori N., op. cit., MS. autografo Gradenigo Dolfin, 205, p. 163).

47) - Un'altra fonte riporta <<Benedetto Cagliari Fratello di Paolo Veronese dipinse a fresco tutto il di fuori della Casa Guidozzi l'anno 1598>> (Trevisani F., Indice de' Pittori, che in Pubblico Lasciarono Memorie de' Loro Pennelli in Castel Franco, 1806 (?), Castelfranco Veneto, Biblioteca Comunale di Castelfranco Veneto, Ms. 178, L-62. p. 1).

48) - Zeus, innamoratosi della bellissima Europa, per sedurla si tramuta in toro e pascolando in riva al mare fa in modo di farsi notare dalla fanciulla. Iniziando col giocare, riesce a far si che ella, sempre per scherzo, gli salti in groppa (ed è il momento che il pittore coglie nell'affresco), per poi galoppar via e raggiungere a nuoto l'isola di Creta, dove il dio si unirà in amore con la bella giovane.

49) - Diana e le sue ninfe al bagno sono sorprese dalla curiosità di Atteone, che appare già mutato in cervo per la punizione inflittagli dalla dea: <<Or va; narra, se puoi, d'avermi vista senza i miei veli>> (Ovidio, Metamorfosi, III).

50) - Come ha precisato più volte anche il prof. Giampaolo Bordignon Favero.

51) - I disegni conservati nella Civica Collezione Museale di Castelfranco Veneto, relativi a palazzo Spinelli Guidozzi, sono i seguenti: Portale e prospetto sul cortile di Palazzo Spinelli-Guidozzi, matita su carta azzurra incollata su foglio di supporto, 153 x 215 mm (Schedatura 1990 n. 3/D); Diana e Atteone, matita e biacca su carta azzurra incollata su foglio di supporto, 199 x 132 mm (Schedatura 1990 n. 7/D); Ratto di Europa, matita e biacca su carta azzurra incollata su foglio di supporto, 198 x 146 mm (Schedatura 1990 n. 5/D); Ratto di Proserpina, matita su carta azzurra incollata su foglio di supporto, 148 x 180 mm (Schedatura 1990 n. 4/D); Da affresco rappresentante figure allegoriche, da una facciata di Palazzo Spinelli-Guidozzi, matita su carta verdina incollata su foglio di supporto biancastro, 242 x 168 mm (Schedatura 1990 n. 2/D); Da affresco raffigurante Giunone, da una facciata di Palazzo Spinelli-Guidozzi, matita e lumeggiature a biacca su carta azzurra incollata su foglio di supporto biancastro, 170 x 123 mm (Schedatura 1990 n. 6/D); Da affresco raffigurante Anfritite [foglio di sinistra], prospetto sul cortile [foglio di destra] e Mercurio [foglio di destra], dal cortile interno di Palazzo Spinelli-Guidozzi, ciascuno dei tre: matita e lumeggiature a biacca su carta azzurra incollata su foglio di supporto biancastro, rispettivamente: 153 x 78 mm; 153 x 112 mm; 153 x 80 mm (Schedatura 1990 nn. 6-7-8/D); Da affresco raffigurante Lucrezia, da una facciata di Palazzo Spinelli-Guidozzi, matita e lumeggiature a biacca su carta incollata su foglio di supporto biancastro, 200 x 149 mm (Schedatura 1990 n. 11/D); Da affresco raffigurante Giunone (?), da una facciata di Palazzo Spinelli-Guidozzi, matita e lumeggiature a biacca su carta grigia incollata su foglio di supporto biancastro; 204 x 143 mm (Schedatura 1990 n. 12/D); Da affresco rappresentante Apollo citareto e figura femminile alla finestra, da una facciata di Palazzo Spinelli-Guidozzi, matita e lumeggiature a biacca su carta azzurra incollata su foglio di supporto biancastro; 153 x 214 mm (Schedatura 1990 n. 13/D) (Cfr. Mondi M., op. cit., 1997, pp. 64-65, 193-194, 256, nn. 33-36, 144-150).

52) - Un dipinto settecentesco conservato nell'Oratorio del Cristo, nonostante raffiguri un corteo funebre, mostra comunque la suggestione conferita dallo scenario dei palazzi nelle antiche processioni pubbliche. Il loro decoro, in eventi meno funesti, oltre che con gli affreschi anche con stendardi ed altro, sicuramente partecipava attivamente alla teatralità scenografica delle celebrazione o di eventi di vario genere.

53) - Come in altri luoghi di questo stesso scritto è stato accennato, non è da escludere che alcuni affreschi si conservino ancora nascosti sotto vecchi intonaci, tanto lungo le bastie attorno alla cinta muraria, quanto, e forse soprattutto, all'interno delle mura.

54) - Melchiori N., op. cit., MS. autografo Gradenigo Dolfin, 205, p. 148.

55) - Cfr. Bordignon Favero G., op. cit., 1975, vol. I, p. 57.

56) - Nella parete sinistra dell'ultima volta del portale sotto la torre, entrando nel castello, si vedono ancora piccolissimi frammenti di quelle che forse erano questi affreschi descritti dal Melchiori.

57) - Melchiori N., op. cit., MS. autografo Gradenigo Dolfin, 205, p. 145.

58) - Cfr. Mondi M., op. cit., 1997, pp. 99, 215, n. 85).

59) - <<In quella del Borgo di Cittadella, effigiò [ancora Cesare Castagnola] da una parte S: Liberale Protettor del Castello, et dall'altra S: Giorgio K: in atto di uccider il Drago, et dentro della Porta una divota Imagine di nostra Donna, il tutto in fresco>> (Melchiori N., op. cit., MS. autografo Gradenigo Dolfin, 205, p. 145). <<Bartolamio [Castagnola, fratello di Cesare]... quello che operò in fresco fu la Porta del Castello detta de Beghi>> (Ibidem, p. 147).

60) - Melchiori N., op. cit., MS. 158 Q-1, 12 523 R.I., p. 58.

61) - Melchiori N., op. cit., MS. autografo Gradenigo Dolfin, 205, p. 146.

62) - Il capitello ha subito una ristrutturazione in epoca settecentesca, la quale ha probabilmente cancellato le testimonianze in affresco, esterne, dipinte da Cesare Castagnola.

63) - Oltre a queste scene, di Bartolomeo Castagnola, all'interno del capitello, sopravvivono altre immagini.

64) - Melchiori N., op. cit., MS. autografo Gradenigo Dolfin, 205, p. 147.

65) - Ibidem, p. 163.

66) - Nella presentazione manoscritta che precede la serie di progetti per la ristrutturazione delle due palazzine scamozziane, commissionata al Preti da Giovanni Cornaro nel 1766 (l'album è conservato nella Civica Collezione Museale cittadina), si legge: <<Due sale abbiamo nei due Pallaggi ch'esistono, dipinta l'una dal Castelfranco nominato poscia Orazio dal Paradiso, perché in essa eccellentem.te vi ha dipinto il Paradiso de' Dei, La qual pittura ha sempre dato e sempre darà fama al Pallaggio, dal che nascer ne' deve, che se per aventura in qualche parte si guastasse, o fosse guasta, convinirebbe da mano giudiciosa, ed eccellente farla risarcire, perché tanto nella volta, che nelle muraglie non avesse giammai a' mancare. L'altra Sala è tutta bianca... Tanto nella facciata, che nella Sala vi ho affettata la maniera dello Scamozzi tenua in questa fabbrica, e perciò sono certo di non aver perduta quella Unità, che tanto mi stà nell'animo... Per dar fine soggiungo, che il Pallaggio posteriorm.te fabbricato coll'altro da fabbricarsi, deve dipingersi a somiglianza di quello che esiste cioè nello esterno verso mezzo giorno, quando vogliasi operazion decorosa, ed applaudita. Troppo incremento riceve la facciata nella struttura dal pennello addoperatovi nel vecchio Edifizio, come chiaramente apparisce, quando se ne voglia fare il confronto, e troppo bella si è l'opera di già fatta per averla a' scancellare, il che senza le grida universali non potria farsi. Dalla parte di tramontana cioè del Giardino, essendo troppo cruda la pittura esistente sarei di parere che fosse cancellata, e si ristabilissero tutte le fabbriche insieme di bianco...>>.

67) - Cfr. Bordignon Favero G., op. cit., 1975, vol. I, p. 79 e Cecchetto G., La podesteria di Castelfranco nelle mappe e nei disegni dei secoli XV-XVIII, Cittadella, 1994, p. 37.

68) - Soppresso nel 1769, nel 1782 divenne sede del Collegio Comunale, al quale passò la proprietà (cfr. Zaccaria V., Il Liceo Ginnasio <<Giorgione>> di Castelfranco Veneto, in Liceo-Ginnasio Giorgione, Castelfranco Veneto, 1966, p. 14 e Storia di una Biblioteca storia di una Comunità, catalogo a cura di Mazzetti A., Castelfranco Veneto, Casa di Giorgione, 5 aprile - 1 giugno 1986, Castelfranco Veneto, 1986, p. 11), e dalla fine del secolo scorso anche del Museo cittadino.

69) - L'ordine fu soppresso nel 1769 (cfr. Davide M. da Portogruaro, Storia dei cappuccini veneti, 1957, II, pp. 331-351; Bordignon Favero G., op. cit., 1975, vol. I, pp. 81, 316; Cecchetto G., op. cit., 1994, pp. 36, 37).

70) - La Congregazione venne soppressa nel 1769 e fu forse allora che venne demolito il convento e l'annessa chiesa (Cfr. Bordignon Favero G., op. cit., 1975, vol. I, pp. 80, 81).

71) - Venne soppresso il 9 settembre 1771 e tre anni più tardi venduto a privati che lì andarono ad abitare; la chiesa annessa al convento venne abbattuta nel 1786 (Cfr. Ibidem., 1975, vol. I, pp. 79, 80 e Cecchetto G., op. cit., 1994, pp. 36, 82).

72) - Fu soppresso alla fine del secolo e le sue fabbriche furono pressoché interamente demolite all'inizio dell'Ottocento (Cfr. Bordignon Favero G., op. cit., 1975, vol. I, p. 79 e Cecchetto G., op. cit., 1994, p. 37).

73) - Cfr. Bordignon Favero G., op. cit., 1975, vol. I, p. 36.

74) - Questo sarà uno dei motivi per cui, nella seconda metà del XIX secolo, soprattutto in Italia settentrionale, nasceranno i musei civici.

75) - Nel 1713 nella loggia dell'antico palazzo podestarile venne ricavato l'Oratorio della Beata Vergine delle Grazie, proprio per salvare l'immagine "miracolosa" del Castagnola. Successivamente, questa fu inclusa, sebbene ridotta nelle dimensioni, nel nuovo palazzo municipale.

76) - Melchiori N., op. cit., MS. autografo Gradenigo Dolfin, 205, p. 119.

77) - Ibidem, p. 148.

78) - Pittore del quale, però, non si hanno altre notizie.

79) - Ibidem, p. 121.

80) - Purtroppo questo affresco, che ancora esisteva, <<anche se invisibile>> (Bordignon Favero G., op. cit., 1975, vol. I, p. 168), è oggi completamente scomparso perché l'intonaco della parete è stato completamente tolto sino ad arrivare al mattone.

81) - Melchiori N., op. cit., MS. autografo Gradenigo Dolfin, 205, p. 142.

82) - Il Melchiori, però, elenca altri affreschi esterni Sei e Settecenteschi oggi non più esistenti o visibili.