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STUDIO MONDI
DIPINTI ANTICHI E MODERNI

galleria d’arte ed antiquariato

presenta

PAOLO BONATO

Autoritratto, 1923, olio su tela, cm 54 x 33, collezione privata.

Opere dal 1919 al 1968

Treviso, Casa dei Carraresi, 16 – 25 aprile 2005

 

PAOLO BONATO

Opere dal 1919 al 1968

di Marco Mondi

Gli anni in cui Paolo Bonato visse ed operò, furono anni, anche per l’arte, di gran fervore e di grandi rivoluzioni. Un esempio per tutti: tra il 1906 ed il 1907 prendevano vita le Demoiselles d'Avignon e con esse si dava ufficialmente avvio ad una delle più importanti reimpostazioni dei canoni figurativo-estetici di tutti i tempi. Dalle basi dell’Impressionismo francese, anzi, come reazione all’Impressionismo stesso, l’arte si aprì ad un universo tutto da scoprire e tutto da sperimentare che, nelle sue mille sfaccettature e nelle sue mille opportunità, portò direttamente sino ai nostri giorni. Paolo Bonato nasce nel 1892 a Borso del Grappa, in una terra dove il genio loci del momento era senza ombra di dubbio Noè Bordignon. Noè Bordignon non solo era il Realismo veneto di fine Ottocento, ma era stato, e lo era ancora nei primi anni del Novecento, il massimo cantore di una semplicità di vita e di un realismo del quotidiano fatti di una poesia altissima proprio perché “ritraevano” l’indole più profonda del nostro entroterra, la sua anima più vera. Come sempre in raffronti di questo genere, chi guarda al Realismo veneto volendovi cercare, ad esempio, le innovazioni e la modernità dell’Impressionismo sbaglia strada, poiché ogni espressione artistica di un luogo in una determinata epoca deve saper cogliere ciò che culturalmente caratterizza quel luogo in quel momento, ed ogni luogo ha sempre, anche nei momenti di koiné, la propria inevitabile ed autoctona identità. Il Veneto non era Parigi e ancor meno lo era il suo entroterra; e nemmeno l’Italia lo era! L’Italia ed il Veneto erano diventati provincia; provincia con le proprie realtà economico-rurali, cultural-sociali, estetiche, artistiche. Non è un confronto sul piano della modernità e dell’innovazione figurativa che bisogna fare, ma semmai sul piano estetico, quindi su quello della qualità e della poesia. E, a ben pensarci, è stato Picasso stesso a dircelo proprio con le sue Demoiselles d'Avignon, provando che sul piano estetico la punta più avanzata dell’arte occidentale, Cézanne, aveva lo stesso valore e doveva convivere con quella che allora era considerata la più primitiva tra le espressioni figurative, l’arte negra. Paolo Bonato si forma in un ambiente culturale lontano dai grandi clamori dell’arte internazionale, sebbene con essi, inevitabilmente, viene in contatto. Va, giovanissimo, nello “casa-studio” di Noè Bordignon e là, da un maestro, riceve i suoi primi insegnamenti apprendendo subito lezioni che saranno fondamentali per tutta la sua arte: la profondità delle cose genuine, la semplicità e la sincerità della raffigurazione e, in primis, l’onestà pittorica. E sono queste caratteristiche salienti dell’eredità artistica di Noè Bordignon che s’insinuano durature nell’animo poetico del giovane pittore.

    All’incirca negli stessi anni, tra il 1912 ed il 1914, Paolo Bonato frequenta la Scuola d’Arte di Bassano del Grappa, allora diretta da quel Giuseppe Lorenzoni di cui una recente mostra ha cercato di ricostruirne l’attività: finirà questi studi meritando una menzione d’onore e la medaglia d’argento. Dopo la guerra, a Venezia, frequenta l’Accademia di Belle Arti per poi trasferirsi a Milano dove, nelle sale della Scuola d’Arte Cristiana Beato Angelico, segue le lezioni di Vanni Rossi e Giuseppe Polvara. Di questi suoi primi anni, vi sono in questa sede esposti diversi lavori che ci mostrano un giovane pittore sorprendentemente dotato e che pare aver già individuato la propria strada, quella di sincero “ritrattista” di vedute montane e collinari o di ambienti rurali con vecchi casolari o edifici di campagna, che svilupperà ininterrottamente durante tutta la sua lunga carriera artistica; sebbene non manchino, soprattutto in questi primi anni, aperture e sperimentazioni figurative di vario genere. Tra le sue prime opere, merita una particolare e singolare menzione la tela del 1919 raffigurante Valdobbiadene - rovine della Grande Guerra (n. 1), risolta con un'architettura volumetrica degli edifici certo trasmessagli dal Lorenzoni, ma esaltata dalla luce attraverso l'impiego di una materia pittorica pastosa e corposa che tradisce l'ammirazione per la tecnica pittorica del Bordignon degli ultimi lavori; opera, infine, davvero sorprendente per la forza del suo realismo crudo e "silenzioso" che pare quasi anticipare la serie delle "demolizioni" di Mario Maffai e di certe "denuncie" presenti in altri lavori della Scuola Romana. Contatti con l’ambiente culturale veneziano dell’Accademia del primo dopoguerra, ma anche con quello più aggiornato di Ca’ Pesaro, mostrano invece i due scorci di Venezia (nn. 5 e 6) caratterizzati, soprattutto il primo, da un fare bozzettistico da impressione tratta dal vero, giocata tutta nell'uso di una pennellata vibrata e talvolta aggressiva da ricordare certe soluzioni di Nino Springolo o certi tremolii di Pio Semeghini. Su queste esperienze, s’insinuano ben presto nuovi stimoli che gli giungono dalla frequentazione, a Milano, dei pittori legati, più che alla tradizione scapigliata, che in talune sue opere qua e là pure emerge, specie nei primi veloci e rapidi bozzetti (si vedano, ad esempio, i nn. 10 e 12), al tardo Divisionismo d’inizio secolo. Se l’ammirazione per il “montanaro” Segantini non poteva certo mancare, sono soprattutto l’amicizia con Carlo Fornara e la visione dei suoi dipinti a suggestionarlo di più. Nascono in questi anni, infatti, vere e proprie opere divisioniste, dove la puntinatura e la segmentazione del colore e le conseguenti suggestive esaltazioni luministiche ottenute, sono sperimentate con successo tanto in scorci paesaggistici con casolari (n. 4) quanto in nature morte (n. 11). Per quanto riguarda la sperimentazione, inoltre, singolare appare la tela presentata al n. 8, carica di suggestioni simboliste alla maniera secessionista mitteleuropea che fa pensare, oltre che all'ovvia frequentazione delle esposizioni della Biennale di Venezia, a contatti fin da questi anni con Teodoro Wolf Ferrari. Mentre il bell’Autoritratto del 1923 (n. 9), nella disinvoltura con cui la luce modella la volumetria del volto, colto leggermente di sbieco, e del collo forte e giovane che lo sorregge, stagliandone la figura con gran forza rappresentativa sull'azzurro chiaro del cielo estivo sintomaticamente e simbolicamente solcato da una miriade di rondini (rondini che allusive spesso ricorrono anche in altre opere di questo momento), respira già della monumentalità del cosiddetto “ritorno all'ordine” di quegli anni, portando alla memoria opere simili di Ercole Sibellato, ad esempio, o, seppur con intenti diversi, di Bortolo Sacchi.

    Il ritorno alla terra natia, alla sua Borso e alle sue colline, montagne e vallate, rafforza in Paolo Bonato la scelta del “vedutismo” di questi luoghi come tematica principale per i suoi lavori. Tematica principale che non gli impedisce però, come già visto, di eseguire ritratti, scene di figura, decorazioni ad affresco o nature morte di notevole spessore qualitativo, mostrandolo capace di una versatilità pittorica davvero invidiabile, grazie alla quale la sua pennellata sicura, spesso densa e pastosa, sempre vibrata e cromaticamente armonica, va a modellare il volto e gli incarnati della persona effigiata (n. 27) o le piume soffici di una natura morta di volatili di gran maestria esecutiva com’è quella presentata al n. 15. Nascono in questi anni alcune tra le sue più suggestive grandi descrizioni paesaggistiche, che lo fanno essere davvero cantore sensibile ed emozionato della bellezza dei luoghi raffigurati come lo fu, per le montagne e le vallate feltrine e bellunesi, ed in fondo quasi negli stessi anni, Luigi Cima (si vedano a tal proposito in particolare le opere ai nn. 13, 17 o, andando più avanti, 25, 26 e 29). Sono questi gli anni della sua piena maturità artistica; anni in cui il dipingere, e lo si nota facilmente in ogni sua opera proprio per la facilità e disinvoltura esecutiva con cui essa è realizzata, è un vero piacere per l'artista innanzi tutto, poiché adesso egli si sente pienamente in grado di maneggiare il pennello guidandolo con tocco sicuro ad ottenere quei risultati che descrivono un motivo paesaggistico fedele al reale tanto nelle sue valenze topografiche quanto e soprattutto nella capacità si saper trasmettere la poesia cromatica e l'intima atmosfera delle terre ritratte. Vi sono in questa sede presentati dipinti che, pur nelle loro dimensioni "macchiaiole", sono in grado di tracciare distese enormi di paesaggio; opere che sono veri e propri gioielli dell'arte figurativa veneta tra le due guerre e subito dopo, nei quali sovente il paesaggio è l'unico, vero protagonista, poiché la presenza umana è solo indirettamente suggerita da edifici e paesi in lontananza, o quando è esplicitamente inserita è parte integrante ed armonica al pari d’ogni altro elemento costruttivo della raffigurazione: l'uomo, così, si sente vivere in un rapporto di piena armonia con la natura, in un ambiente che lo accoglie e lo ama, come egli ama, e non può che amare la natura che lo circonda e che egli sente sua, perché egli, di quella natura, sa coglierne la poesia più profonda, più intima e più segreta. Ed era certamente questa capacità nel saper trasmettere con qualità pittorica l'anima vera di questi luoghi a suscitare l'ammirazione dell'amico Teodoro Wolf Ferrari per pittura del nostro: i due artisti, infatti, mostrano in questi anni non poche assonanze stilistiche a riprova che, entrambi, sono stati veri e sinceri interpreti dei luoghi in cui hanno vissuto. Paolo Bonato muore nella sua Borso del Grappa il 6 agosto 1984, mantenendosi fedele fino a che le sue mani glielo hanno concesso a questa tradizione figurativa, saldamente figurativa, del paesaggio veneto della prima metà del XX secolo.

ELENCO DELLE OPERE ESPOSTE:

1 - Valdobbiadene, rovine della Grande Guerra, 1919, olio su tela, cm 75 x 45, collezione privata.

2 - Case Carlesso – Borso del Grappa, 1919, olio su tela, cm 32,5 x 45,5, collezione privata.

3 - Strada per Campocroce, 1919, olio su tavola, cm 15 x 35 circa, collezione privata.

4 - Rustici a Borso del Grappa, 1920, olio su tela, cm 65 x 88 circa, collezione privata.

5 - Venezia, 1920 circa, olio su tela, cm 20,1 x 28,2, collezione privata.

6 - La Punta della Dogana a Venezia, 1920 circa, olio su tela, cm 23,5 x 35,5, collezione privata.

7 - Sull’argine del Piave a Bigolino - verso il Grappa, 1922, olio su cartone, cm 19,5 x 35, collezione  privata.

8 - Notturno in un parco a Milano, 1922 circa, olio su tela, cm 45,3 x 27,8, collezione privata.

9 - Autoritratto, 1923, olio su tela, cm 54 x 33, collezione privata.

10 - Milano – Al parco, 1923, olio su tela, cm 19,8 x 32, collezione privata.

11 - Mimose, 1923, olio su cartone, cm 49 x 34,5, collezione privata.

12 - Da Carpon di Borso - Verso la pianura asolana, 1923, olio su tela, cm 48 x 61, collezione privata.

13 - Da Carpon di Borso - Verso la pianura asolana, 1924, olio su tavola, cm 27,3 x 36,7, collezione privata.

14 - Dietro il Grappa, 1924, olio su tavola, cm 27,5 x 36,7, collezione privata.

15 - Natura morta di volatili, 1924, olio su tavola, cm 24,5 x 39,3, collezione privata.

16 - La figlia Marta a 3 anni – Borso del Grappa, 1928, olio su tela, cm 15,3 x 20,1, collezione privata.

17 - Ultime nevi sul Grappa – Dal Piave a Valdobbiadene, 1929, olio su cartone, cm 19 x 33, collezione privata.

18 - Il Piave, 1929, olio su tela, cm 9,3 x 11,1, collezione privata.

19 - Il Bacchiglione a Montegaldella, 1929, olio su cartone, cm 17,7 x 29,1, collezione privata.

20 - Chiesa di Sant’Alberto presso Valdobbiadene, 1931, olio su cartone, cm 33 x 24 circa, collezione privata.

21 - Sulle grave del Piave, 1931, olio su tavola, cm 16,8 x 25, collezione privata.

22 - Nubi sul Grappa, 1932, olio su cartone, cm 15,5 x 19,5, collezione privata.

23 - Valdobbiadene - Tramonto, 1935, olio su cartone, cm 15 x 25,7, collezione privata.

24 - Il Grappa controluce dal Monte Croce – Valdobbiadene, 1935, olio su cartone, cm 17 x 25,5, collezione privata.

25 - Lusiana verso il Brenta, 1937, olio su cartone, cm 21,7 x 29,8, collezione privata.

26 - Il Grappa dal colle di San Zenone degli Ezzelini, 1938, olio su tela, cm 39,5 x 43,5, collezione privata.

27 - Ritratto della figlia Teresa, 1941, olio su tela, cm 32 x 25 circa, collezione privata.

28 - Dal Colle della Madonna a San Zenone degli Ezzelini, 1941, olio su faesite, cm 30,5 x 47,5, collezione privata.

29 - La sera presso il Covolo a piè del Frontal, 1946, olio su cartone, cm 13 x 15, collezione privata.

30 - Dallo stradone del Covolo verso Asolo, 1946, olio su cartone, cm 12 x 17 circa, collezione privata.

31 - La Rocca di Caldè – Lago Maggiore, 1960, olio su tavola, cm 17,6 x 25,5, collezione privata.

32 - Sul Lago Maggiore a Porto Valtravaglia, 1960, olio su cartone, cm 16,5 x 25,5, collezione privata.

33 - Case a Sant’Eulalia, 1960, olio su faesite, cm 20 x 15, collezione privata.

34 - Da Borso del Grappa verso la pianura, 1967, olio su tavola, cm 14,6 x 21,3, collezione privata.

35 - Chiesa di Borso con pianura asolana, 1968, olio su tavola, cm 36 x 50, collezione privata.

 

STUDIO MONDI
DIPINTI ANTICHI E MODERNI

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