Abbigliamento ecologico: una scelta per la salute dei bambini e la salvaguardia dell'ambiente

 

di Francesca Gasparini

 

Fin da quando è nato, io ho vestito mio figlio con indumenti creati con tessuti (o lana) da coltivazione biologica o biodinamica. Così come ho rivestito la sua culla prima e il suo lettino poi esclusivamente con biancheria da agricoltura biologica o biodinamica (e lo stesso vale per i materassi e i cuscini).

Perché dare così tanta importanza all’abbigliamento cosiddetto ‘naturale’? Innanzitutto occorre una spiegazione riguardo a cosa sta dietro a quei tessuti che a noi paiono così innocenti.

 

Per prima cosa c’è una questione di composizione. Quando noi compriamo un capo qualsiasi per nostro figlio, se si tratta di un capo di tipo tradizionale, dobbiamo sempre controllare l’etichetta della composizione perché molto spesso insieme al cotone o alla lana possono essere presenti fibre sintetiche in grosse percentuali, visto che nulla vieta di usarle nei capi per neonati e per bambini. E purtroppo le cose non vanno molto meglio neppure quando troviamo la dicitura ‘cotone 100%’, visto che la legge permette di definire tale anche un tessuto contenente piccole percentuali di altre fibre. Mentre un capo ‘naturale’ certificato sarà sempre composto esclusivamente e totalmente di fibre naturali, senza aggiunte di altre fibre non dichiarate, seppur in percentuali minime (non avremo mai bisogno di controllare l’etichetta). Questo vale tanto per il cotone quanto per la lana.

 

Per seconda cosa c’è una questione di trattamenti. I tessuti convenzionali, anche quelli con fibre naturali come cotone, lana, seta, lino, ecc. (in realtà come abbiamo già visto falsamente naturali), vengono sottoposti a innumerevoli trattamenti che prevedono l’utilizzo di sostanze chimiche anche altamente tossiche che lasciano residui importanti nella confezione finale. Per non parlare poi del pesante carico inquinante che questa mole di sostanze chimiche tossiche trasmette all’ambiente in cui viviamo (aria, acqua, terra) e che non può che non riflettersi ad un secondo livello sulla nostra salute. I principali trattamenti subiti dai tessuti nell’industria tessile tradizionale sono i seguenti:

“-Carbonizzo (lavaggio in acido solforico), Antitarlo, Antiparassitari, Superwash: alcuni dei trattamenti che subisce la lana.

-Imbozzinatura: impregnazione del filato con prodotti ausiliari (bozzime), solitamente chimici, per aumentarne la resistenza in fase di tessitura. -Sbozzinatura: eliminazione del bozzime tramite lavaggio con sostanze quali enzimi, acidi e ossidanti.

-Sbiancatura: prodotto chimico, sbiancante ottico azzurrino, che serve a mascherare il colore greggio (ipoclorito e sbiancante al cloro). […]

-Mercerizzo e Alta Stabilità: lucidatura e stabilizzazione con prodotti chimici.

Dopo queste fasi di lavorazione negli indumenti saranno presenti, in dosi più o meno elevate, le seguenti sostanze: formaldeide, residui di metalli pesanti (cromo, rame, cobalto, nichel, argento di mercurio), pesticidi e pentaclorofenolo, con innegabili conseguenze sulla nostra salute e su quella dei nostri figli” [Vestire biologico: una scelta naturale, a c. di Roberta Pedicino, “Suolo e salute”, n. 8:2, 2002 –Se vuoi leggere l’articolo per intero clicca qui].

Mentre gli standard dei tessuti da agricoltura biologica o biodinamica, che rientrano in certificazioni internazionali riconosciute da regolamenti CEE, vietano categoricamente l’utilizzo di tali trattamenti (compreso lo sbiancamento) e di qualsiasi sostanza chimica. I capi certificati ‘naturali’ o non sono trattati o sono trattati solo in modo meccanico (per esempio restringimento meccanico o prelavaggio con sapone) e non subiscono nessuna immersione in sostanze chimiche o sintetiche (per maggiori approfondimenti clicca qui).

 

Per terza cosa c’è la questione delle colorazioni. L’industria tessile tradizionale usa colorare i propri tessuti con coloranti artificiali altamente tossici per l’uomo e per l’ambiente, trai i quali “[…] ve ne sono alcuni classificati come cancerogeni” [Vestire biologico…, cit.] (ad esempio anilina e derivati da catrame e petrolio, presenza di ammine aromatiche di cui alcune ritenute cancerogene come la benzidina e la betanaftilamina.), a cui vanno aggiunti il Carrier (prodotti chimici ausiliari per migliorare la velocità e l’assorbimento di tintura) e i sequestranti (prodotti chimici che servono a bloccare quei metalli pesanti che potrebbero alterare la fase di tintura).

Tutte queste sostanze pericolose (si pensi che nella lavorazione delle fibre tessili vengono utilizzate oltre 8000 materie ausiliarie) rimangono massicciamente nelle confezioni finali e si riversano nell’ambiente (aria, corsi d’acqua, ecc.). I tessuti certificati ‘naturali’ possono essere colorati esclusivamente con coloranti vegetali o minerali senza sbiancamento preventivo tranne che per il colore giallo per il quale è previsto uno sbiancamento all’ossigeno.

 

Infine, ma non ultima per importanza, c’è la questione delle sostanze tossiche e inquinanti presenti in quantità massicce nelle fibre del cotone o della lana convenzionali, a causa dei metodi di coltivazione e di allevamento degli animali. “La produzione di cotone da agricoltura tradizionale impiega il 25% dei pesticidi utilizzati sulla Terra e la produzione, la colorazione e il trattamento di tessuti naturali come la lana è una delle più inquinanti” [Vestire biologico…, cit.], ma non ci sono solo i pesticidi, a questi vanno aggiunti i fertilizzanti chimici e i defolianti. È inaccettabile poi che queste produzioni altamente inquinanti, anche per motivazioni di speculazione economica (la manodopera è molto più bassa), subiscano uno spostamento sempre più massiccio in paesi poveri o del ‘terzo mondo’ dove non esistono né misure né regole per proteggere l’ambiente, né tanto meno i lavoratori.

I tessuti certificati da agricoltura biologica o biodinamica sono prodotti con fibre coltivate secondo il Regime CEE 2092/91 e vengono controllate da organi/enti riconosciuti dal Ministero per le Politiche Agricole del paese interessato: questo metodo di coltivazione proibisce l’uso di sostanze chimiche di sintesi (pesticidi, diserbanti, defolianti e concimi) e autorizza solo l’impiego di fertilizzanti naturali, rispettando così, oltre che la salute (di chi lavora e di chi utilizza il prodotto) anche l’ambiente (insetti utili, erbe spontanee, equilibrio e alternanza delle colture). Lo stesso vale per la lana, che non deriva naturalmente da coltivazioni ma da allevamenti di bestiame: la lana naturale è certificata Demeter e proviene da allevamenti che non impiegano nessun pesticida né mezzo chimico per limitare i parassiti (al contrario di quanto avviene negli allevamenti tradizionali); per questo motivo, né nella cheratina, che è la sostanza del pelo della lana, né nella lanolina, che è il suo grasso, si ritrovano questi veleni. Oltre a ciò la lana Demeter viene lavorata senza l’utilizzo di prodotti chimici (per tutte le questioni relative alla certificazione e agli standard delle fibre ecologiche di cui si è parlato qui sopra clicca qui).

 

Questi sono i dati. Da cui voglio partire con alcune considerazioni. Come ormai molti studi mostrano, il nostro organismo è in grado di assorbire e tollerare una certa quantità di sostanze tossiche che lo aggrediscono. La capacità (la tolleranza massima) varia naturalmente da individuo a individuo. Dunque, l’organismo assorbe e per un po’ pare rimanere in salute, magari spurga (si libera) di quello che può attraverso la pelle (si tratterà di lievissime dermatiti o irritazioni cutanee) e ancora le cose sembreranno andare abbastanza bene. Poi ad un certo punto l’accumulazione arriverà a toccare quella soglia massima di tolleranza (sarà la fatidica goccia che fa traboccare il vaso) e l’organismo, non più in grado di ripulirsi di una quantità troppo massiccia di tossici si ammalerà: si può andare da malattie meno ‘gravi’ (ma non per questo meno significative e meno problematiche per la persona che ne è affetta) quali intense dermatiti o forme eczematiche della pelle, lievi forme asmatiche, riniti croniche, intolleranze alimentari, disturbi gastro-intestinali, cefalee, ecc., fino a patologie gravissime, debilitanti, invalidanti e anche potenzialmente mortali quali forme asmatiche gravi, intolleranze alimentari invalidanti, forme tumorali varie. Non è, infatti, ormai più un tabù che dagli anni 50 a oggi (anni che hanno visto la crescita esponenziale dell’industria chimica nei più disparati campi di applicazione –dalla farmacutica alla cosmetica, dalla produzione di vernici e materiali edili alla produzione tessile, ecc.- e dell’inquinamento atmosferico) c’è stato un’altrettanto esponenziale crescita di malattie (in precedenza quasi sconosciute) quali le allergie, le intolleranze alimentari, i tumori. Naturalmente i neonati e i bambini piccoli, che stanno costruendo dal nulla il loro organismo, sono i più sensibili e sono, dunque, maggiormente esposti al pericolo (studi hanno mostrato come un bambino di tre anni di età che si sia alimentato con cibi coltivati e trattati con sostanze chimiche di sintesi, presenta nel suo organismo concentrazioni di inquinanti tre volte superiori a quelle considerate dannose per un adulto).

Ora, queste sostanze tossiche che aggrediscono il nostro organismo sono talmente numerose e pervasive da non poter essere controllate. Non possiamo decidere quale aria respirare (a meno che non abbiamo la facoltà di scegliere di abitare in qualche angolo remoto della terra ancora incontaminato, ammesso che ancora ne esistano), né possiamo evitare che nell’acqua che beviamo ci siano sostanze nocive. Eppure, qualcosa possiamo fare. Nella nostra vita quotidiana possiamo fare delle scelte consapevoli che ci permettano, non certo di eliminare completamente il contatto con le sostanze tossiche, il che sarebbe un’utopia assurda e anche funesta, ma di abbassarne la quantità, nel tentativo di non raggiungere quella inquietante ‘soglia di tolleranza’. E di scelte ne possiamo fare in molti campi della nostra vita quotidiana, perché in ogni nostra azione quotidiana noi ci carichiamo di sostanze chimiche potenzialmente nocive (nella maggior parte dei casi anche prese singolarmente e con effetto immediato, ma sempre come addendi che si aggiungono a quella somma pericolosa): nell’alimentazione (scegliere cibi da agricoltura biologica o biodinamica, preparazioni il più possibile casalinghe, evitare i cibi preconfezionati, pieni di grassi, zuccheri e additivi industriali, ecc.), nella pulizia e nella cura del corpo (vedi pagina dedicata a Cosmesi e igiene naturali), nella pulizia della casa e nel lavaggio della biancheria, nella scelta dell’abbigliamento e soprattutto dell’intimo.

Ecco perché ho deciso di far indossare al mio bimbo, fin dalla nascita, indumenti intimi e abiti che non lo caricassero a loro volta di pericolose sostanze inquinanti, le quali si sarebbero andate ad aggiungere a quelle che non posso evitargli (non posso evitare che respiri l’aria di Bologna).

Perciò se non vi interessa fare questa scelta per l’ambiente o per la salute di chi lavora, fatelo almeno per i vostri figli. E vi assicuro che il portafoglio non ne risentirà particolarmente: infatti, la produzione di intimo e abiti ‘naturali’ per neonati e bambini ha ormai raggiunto costi assolutamente in linea, se non addirittura competitivi (bisogna poi guardare alla qualità di questi prodotti, che è nettamente superiore) con quelli della produzione tradizionale (a meno che non vi riforniate in mercati e mercatoni, cosa che vi sconsiglio vivamente, perché è vero sì che i prezzi sono decisamente inferiori rispetto a quelli dei negozi ma la qualità anche tocca livelli bassissimi, soprattutto per ciò che riguarda le fibre in gran parte sintetiche e scadentissime). Vi invito ad andare a vedere i prezzi di alcuni siti che vendono abbigliamento e intimo ‘naturale’ per l’infanzia come: www.lotties.it, www.ipiccolissimi.it, www.newbabyberry.it, www.oticbiotex.it (descrizioni più dettagliate di questi siti potete trovarle nella sezione links).

 

Copyright © Il vero momón, 2003-2005-All rights reserved

 

 

Home page