Ora che è nato! Sterilizzare che passione
di Paolo Sarti
Dai tempi in cui si andava a partorire in ospedale con terrore
perché, la madre per un motivo (=febbre puerperale), il bambino per un altro
(=gastroenteriti acute), tutti e due a causa dei germi rischiavano di lasciarci
la pelle (e infatti chi poteva permetterselo si guardava bene dal farsi curare e
tanto più dal partorire in ospedale) di strada ne è stata fatta: la asepsi
della sala parto e la sterilizzazione di latte e biberon hanno spazzato via
tutte quelle morti. Oggi scegliere di partorire in ospedale (pur comportando una
notevole e talvolta insostenibile quota di disagio affettivo e relazionale) è
diffusamente ritenuto fonte di significative garanzie per la salute sia della
madre che del bambino, questo grazie anche all’introduzione delle tecniche di
sterilizzazione.
A casa c’è più “pulito” che in ospedale
D’altra parte non sono i neonati ad aver bisogno di sterilità, ma la nursery,
a causa delle sue regole “comunitarie” e come conseguenza delle tante
limitazioni che impone ai bambini: non possono stare ognuno con la propria madre
ed essere accuditi unicamente da lei, ma devono invece subire mani di personale
che si sposta da un paziente ad un altro; mani quindi che sono potenziali
probabili veicoli di germi; spesso vengono alimentati con biberon preparati con
grande anticipo nelle cucine, e che se non fossero stati sterilizzati, rimanendo
ore al caldo, potrebbero veder aumentare pericolosamente al loro interno la
carica batterica; i bambini poi viaggiano continuamente nei reparti
ostetrico-ginecologici su affollatissimi carrelli per essere consegnati alle
madri e in queste condizioni non sono poche le possibilità che hanno di
incontrarsi con pericolosi germi “ospedalieri”.
Tutto questo però che senso ha una volta tornati nella propria casa ? E’ vero
che i genitori devono sterilizzarli tutto, e non solo i biberon ma anche il
ciuccio, i pannolini (come dice la pubblicità di un famoso detersivo per
neonati), i giocattoli e magari anche le mani di chi lo prende in braccio ?!
Un buon rapporto con l’ambiente
Certamente no, e non solo questa pratica della sterilità è inutile ma, e qui
veniamo al nocciolo del problema, questa prescrizione porta con sé un messaggio
profondamente sviante nel nostro rapporto con virus e germi: la salute non va
basata sulla totale assenza di questi “ospiti” terrestri (=sterilità) ma su
un corretto rapporto con loro, basato su abitudini di vita igieniche (e non
fobiche) e soprattutto su buone difese immunitarie personali, da conquistarsi
con una corretta alimentazione, un sano stile di vita generale, una crescita
graduata nel tempo degli strumenti di difesa di cui siamo geneticamente dotati
fin dalla nascita (e non a base di vaccini e immunostimolatori, farmaci di cui
oggi si abusa).
Solo quando non sia possibile rispettare questi accorgimenti, si rende
consigliabile ricorrere alla sterilizzazione dei biberon e della tettarella.
E’ importante che si crei un clima più casalingo e meno sanitario intorno al
momento alimentare del bambino: nutrirlo non è dargli una medicina e il biberon
non è una “siringa” con cui somministrare un “liquido curativo”, ma è
semplicemente un bicchiere dalla forma un po’ particolare con cui nutrire il
bambino.
Conoscere il mondo
La carica batterica normalmente presente nel mondo circostante il bambino (sui
giocattoli, il lenzuolo, le mani dell’adulto, il vestiario ecc.) è parte
integrante dell’ambiente che deve essere da lui “conosciuto” e contro il
quale svilupperà idonee difese (immunologiche). Una limitata, normale presenza
di germi nel biberon non è dannosa: essenziale però è che questi germi non
abbiano l’opportunità di moltiplicarsi a dismisura per condizioni favorevoli
(come quelle create dai residui di latte sulle pareti o dallo stazionare dei
latte per alcune ore al caldo). Seguendo il consiglio di preparare il latte
“al momento”, ponendolo in frigorifero in caso di attesa, e lavando
accuratamente il biberon subito dopo l’uso, si evita che il latte acquisti
cariche batteriche pericolose.
(www.uppa.it)