NOTTURNO METROPOLITANO

 

Di Roberto Forconi

 

 

 

Una miriade di persone affollavano l’intera stazione della metropolitana. Tanti si scontravano lungo le scale mobili e c’era chi per fretta, sceglieva le scale normali. Alle pareti dei tunnel, frecce rosse e verdi indicavano le due linee dei treni ed accanto le cartine complete di tutte le fermate. Agli angoli, dove i muri combaciavano, cicche di sigarette s’ammucchiavano e con loro le persone che le calpestavano senza accorgersene.

Tanti cartelloni pubblicitari accompagnavano fino alle rotaie, ed ogni tanto qualche viso sorridente affermava di aver trovato il miglior prodotto sgrassante al mondo. Quel sorriso si sarebbe consumato in pochi giorni, facendo spazio a l’ultima automobile di chissà quale marca, che percorreva ogni sentiero.

Quei luoghi erano il prodotto del consumismo e dall’eterna lotta del vivere quotidiano, dove sentimenti di odio e d’amore s’affrontavano senza esclusione di colpi, dove a spuntarla erano sempre le cose marce.

Contro il muro unto dal tempo c’era un barbone che era addormentato tra le carte di giornali con il cappello steso in terra in cerca di anime compassionevoli. Quando finiva la giornata era difficile ritrovare il cappello vuoto con tutta quella gente che percorreva quel posto. Era impossibile riconoscere i volti di chi passava, ma era probabile, se non sicuro, che uno di quei barboni ce la faceva.

Le luci fioche piovevano sopra le teste; alcune erano guaste, altre s’accendevano ad intermittenza.

Orario d’apertura: la mattina prestissimo.

Orario di chiusura: 23:00, puntuali.

Orario attuale: appena in tempo per veder passare l’ultimo treno del giorno.

A quell’ora della notte non c’era più la voce che annunciava i treni, ma a prendere quell’ultimo erano sempre pochi, e conoscevano bene la strada per andare via.

Dalla galleria si sentiva in lontananza l’eco del treno che annunciava il suo passaggio e l’odore che saliva dai binari non faceva presagire altro che la carrozza sarebbe arrivata in due minuti al massimo.

Precisamente due minuti dopo, dalla galleria spuntarono le luci gialle e la gente si alzò dalle sedie d’attesa per apprestarsi a salire in carrozza.

Non c’era giorno che qualcuno ritardava e le cose si complicavano dato che la stazione chiudeva.

Di per sé quel luogo non incuteva tranquillità e il sol pensiero di rimanervi dentro di notte e da soli, faceva accapponare la pelle anche ai più coraggiosi.

Difatti dalle scale si sentivano i passi veloci di qualcuno che correva per salire.

La carrozza arrivò e le porte scorrevoli si spalancarono e le persone pur spingendosi entrarono veloci. L’ultimo fece in tempo a mettere i piedi sull’acciaio del pavimento prima che la porta si richiuse dietro e il treno partì per l’ultima volta quella giornata.

Un ragazzo non fece in tempo a prendere quella corsa e tra il fiatone che aveva e la rassegnazione, sparò a voce alta alcune parolacce, mentre il treno spariva inghiottito dall’oscurità.

Quel ragazzo rimase immobile fissando il vuoto da dove era sparito il treno, pensando a come avrebbe fatto a ritornare a casa; la ragazza lo aspettava e lui aveva dimenticato il cellulare in ufficio.

Mancava qualche minuti alle 23 e già in lontananza si sentivano i passi del guardiano che ispezionava l’intera stazione alla ricerca di eventuali intrusi o di persone ritardatarie.

Il ragazzo si alzò la manica del giaccone di jeans e guardò il quadrante dell’orologio e le lancette dei secondi che si muovevano. Rimase concentrato fino a quando decise di raggiungere il guardiano che l’avrebbe accompagnato fuori di lì. Data l’ora tarda, l’unico mezzo che aveva a disposizione era un taxi, che avrebbe trovato a pochi passi dal McDonald’s di fronte alle scale della metropolitana.

Da lontano ancora provenivano i rumori cadenzati di scarpe di cuoio, ma il ragazzo faticava a capire da quale direzione venivano.

Provò a fischiettare con la speranza che il guardiano lo sentisse, poi intonò una canzoncina pubblicitaria cercando di strafare con la voce. I passi si fermarono.

- E se non fosse il guardiano? – pensò il ragazzo, ma era improbabile. Non doveva lasciarsi trasportare dall’immaginazione, altrimenti avrebbe reso le cose più difficili.

- “ Sono uno stupido! “- si lasciò dire a voce alta.

-“ Conosco l’uscita! Imbecille! “- si rimproverò.

Ebbe un tumulto nel corpo che lo spronò a sbloccarsi da quella situazione che lo aveva messo in imbarazzo, e prese la direzione per l’uscita. Una freccia sbiadita indicava la via.

Ora si sentiva più rilassato, anche se la mente cercava sempre di ricordargli i passi di prima.

Percorse due tunnel e seguì quella che doveva essere l’ultima freccia prima dell’uscita, ma quando svoltò l’angolo si trovò nello stesso punto di prima, davanti i binari morti.

Con stupore si rigirò guardando a destra e sinistra non vedendo le scale che portavano al piano superiore. Pensò di aver sbagliato direzione, ma gli pareva impossibile dato che aveva seguito pari passo le indicazioni.

Poteva essere però, era tardi e aveva anche sonno, così si rimboccò le manica un’altra volta e ripercorse la via di prima.

Svolta destra, tre cartelloni che indicano il nuovo centro commerciale, poi a sinistra, il distributore automatico di profilattici e sigarette, poi dritto fino a l’ultima svolta a sinistra e finalmente…

Non poteva essere reale, il binario era ancora lì e dell’uscita nemmeno l’ombra.

In quell’istante i passi ripresero a farsi sentire. Gli stessi di prima. Il cuoio duro che sbatte in terra come se qualcuno stesse marciando.

-“Dannazione!! Non può essere vero!! “- disse il ragazzo guardandosi ovunque. La paura che sarebbe rimasto lì dentro per tutta la notte era più reale che mai.

Piombò subito davanti la cartina con tutte le uscite e vide che la strada che faceva era quella giusta, ma l’uscita non c’era ed era come girare in un labirinto.

“ Tac! Tac! Tac! “ I passi rimbombavano ovunque.

Il ragazzo si frugò in tutte le tasche, con la speranza che il cellulare non l’avesse dimenticato in ufficio, ma la fortuna non era dalla sua. Trovò solo il fazzoletto e qualche spicciolo.

Dal soffitto calavano ragnatele, ma i suoi ospiti non c’erano.

Il fiato si faceva sempre più affaticato e udibile dalla bocca spalancata del ragazzo.

-“ Deve essere per forza il guardiano! Non può essere altrimenti! “- cercava di farsi coraggio.

Il ragazzo prese per la terza volta la via per l’uscita, ma stavolta invece di girare a destra, svoltò a sinistra, verso l’altro binario. Di notte quel posto diventava molto più desolato e lugubre di quanto fosse di giorno. Anche il barbone era sparito. Era rimasta solo una traccia di piscio che brillava sotto la luce fioca della parete.

“ Tac! Tac! Tac! “- Ancora i passi.

Cominciò a correre e percorse tutta la stazione diverse volte senza trovare l’uscita. Provò anche con le porte d’emergenza, ma senza riuscire ad aprirle. Ci voleva la chiave che aveva solo il guardiano.

Dall’angolo della porta d’emergenza spuntò fuori un gattino bianco che teneva la coda talmente dritta da averla girata verso l’interno. Il gattino fissò il ragazzo e si fermò in posizione accovacciata.

-“ Micio, vieni…”- disse al gatto e fece con la bocca il verso per chiamarlo, ma il felino rimaneva sempre immobile.

Quando il ragazzo si avvicinò e protese la mano verso il pelo bianco candido della bestiola, si rimediò un’artigliata e l’animale saltò sul binario e corse verso il buio.

Dalla mano fuoriuscì del sangue che il ragazzo tamponò con il fazzoletto che aveva in tasca.

-“ Se ti prendo! “- Era arrabbiato ma più che con il gatto, con il fatto di essere ancora chiuso tra quattro mura.

Oramai il treno doveva essere arrivato da un pezzo.

Guardò l’orologio che segnava dieci minuti a mezzanotte. Laura la sua ragazza doveva aver già chiamato sul cellulare e non avendo ricevuto risposta, la immaginava in camera sua tutta preoccupata. Ma così com’era non poteva avvisare nessuno del ritardo che se era come pensava, sarebbe stato lungo; anche tutta la notte forse.

-“ C’è qualcuno che può sentirmi? Ehi! Signore mi sente? “- urlò, ma non ricevette risposta.

Da lontano sentiva solo il miagolio acuto del gatto che scorrazzava tra i binari spenti da qualche parte.

-“ Ehi mi sentite? Aiuto!!! “- urlò, ma stavolta le grida erano avvolte da un manto nero di paura.

“ Tac! Tac! Tac! “ Dovunque fossero, qualcuno camminava.

Dentro la testa quel rumore gli faceva scoppiare le meningi e sentiva il cervello spappolato come un biscotto inzuppato nel latte caldo.

L’unica soluzione che trovò fu di sedersi in una delle sedie e aspettare che quei passi giungessero a lui. Sempre se non fossero stati solo nella sua testa.

Appoggiò la schiena e si lasciò andare. Gli occhi cominciarono ad essere pesanti e le palpebre cadevano come grossi macigni. Aveva sonno, ma non voleva dormire. Aveva paura che gli capitasse qualcosa di brutto. Ma era più forte di quanto pensasse e si abbandono privo di lucidità.

Il ragazzo era in dormiveglia sulla sedia, quando il rumore dei passi cessò.

L’ambiente era immerso in una coltre di sonno e ombre dove solo i morti avrebbero trovato pace.

Ci fu un rumore spaventoso di qualcosa che cadde e il ragazzo sobbalzò dalla sedia. In ogni angolo della via, sotto i binari e sopra, c’erano centinaia di corpi mutilati e le pareti erano inzuppate di sangue che ancora colava giù fino al pavimento. Qualche persona non era ancora morta, ma irriconoscibile in volto dalle bruciature e dagli arti mezzi penzolanti. Uno spettacolo di follia si protraeva per metri e metri davanti al ragazzo.

Sul binario principale c’erano due treni, uno di fronte all’altro, tutti e due accartocciati e fumanti.

Il ragazzo non sapeva se piangere o urlare mentre camminava tra i corpi in cerca di qualcuno vivo.

Perse le speranze vedendo solo corpi e macerie, quando all’orizzonte comparirono quattro infermieri con una barella che si fermarono accanto a una persona.

Il ragazzo corse verso di loro ma quello che vide fu scioccante.

-“ Forza veloci! Ora gli pratico un massaggio cardiaco per rianimarlo! Uno! Due! Tre! Quattro! Niente da fare… sembra più là che qua! Uno… due… tre…”-

-“ Mio Dio! Questo ha le gambe tranciate e sembra cosciente!!! “-

Gli infermieri stavano cercando di rianimare uno dei corpi a terra e quel corpo era la copia esatta del ragazzo.

-“ Non può essere vero… non sono io quello!!! Sono vivo e parlo… mi sentite!!! “- urlava il ragazzo mentre partecipava alla scena.

-“ Mi sentite!!! “- urlava ancora, ma gli infermieri non lo sentivano e continuavano a praticare i soccorsi al corpo privo di vita.

Il ragazzo si disperava e urlava ancora. E urlava. E urlava fino a che le grida coprirono tutta la metropolitana.

 

-“ Mi senti? Ehi ragazzo svegliati o perderai l’ultimo treno! “-

Il guardiano della metropolitana agitava una mano sulla spalla del ragazzo che era addormentato sulla sedia.

-“ Cosa c’è? Chi è lei?”- disse il ragazzo svegliatosi.

-“ Sta perdendo l’ultimo treno, si era addormentato! “- rispose il guardiano.

-“ Mi scusi… i treni sono andati a sbattere e…”-

-“ Cosa? Stava dormendo. Si sbrighi o dovrà prendere un taxi! “-

Il ragazzo si alzò e corse dentro la carrozza che riparti subito.

Mentre se ne andava vedeva il guardiano diventare sempre più piccolo fino a scomparire.

Nella carrozza c’erano una dozzina di persone. Si sedette e guardò fuori dal finestrino.

La mente vagava ancora tra i tunnel e poi si fermava sul corpo esanime; il suo.

Aveva sognato, ma sembrava tutto troppo attuale e vero per essere frutto della fantasia.

Annusava ancora l’odore stantio dei binari e vedeva il sangue colare dalle pareti.

“ I passi! “ Pensò di colpo. Era scomparsi. Non li sentiva più, ma le meningi gli facevano ancora male. Non poteva essere successo solo in sogno.

Ad una ad una, le persone scendevano e la prossima fermata era la sua.

Il ragazzo appoggiò la testa contro il vetro freddo della carrozza pensando alla ragazza che avrebbe visto tra poco tempo e cercò di dimenticare. Ma i pensieri tornavano sempre e ogni volta faceva male.

Cercò di dimenticare ancora.