La 'ville machine habitée

La città è una macchina, una macchina così grande che neanche i suoi abitanti hanno idea delle sue dimensioni; i suoi condotti, le serie di ingranaggi, le cinghie, le bielle si perdono a destra e a sinistra, in alto ed in basso, davanti e dietro rispetto a qualsiasi punto la si guardi, nella penombra indistinta, grigia e nebbiosa, che riempie la caverna che essa occupa e di cui nessuno è mai riuscito a scorgere le pareti. In alto un enorme sistema di lenti concentra un fascio di luce solare in un punto della macchina ed è questo che trasforma in grigia penombra quella che altrimenti sarebbe una perenne oscurità.

Gli abitanti vivono nella macchina, trascinati senza sosta da nastri trasportatori a norie, da scivoli e condotti pneumatici dal punto della nascita a quello della morte. La macchina provvede a tutto; lungo gli innumerevoli percorsi che si intersecano, si uniscono e si dividono secondo gli incomprensibili programmi della macchina, gli abitanti trovano il cibo e la paura, il sonno e la gioia, il sesso e la speranza, la morte e l'ira, a volte anche la ribellione; ma gli abitanti sanno bene che uscendo dai percorsi obbligati stabiliti dalla macchina si finisce stritolati dagli ingranaggi. La macchina è autosufficiente, prende dall'esterno solo i raggi solari, l'aria e l'acqua ricca di sali minerali del sottosuolo, provvede ai bisogni dei suoi abitanti elaborando e sintetizzando le sostanze che furono messe al principio dentro di essa; ricrea cioè al suo interno il ciclo vitale dalle colture vegetali, agli allevamenti animali; anzi la perfezione del meccanismo fa si che gli incrementi energetici e materiali apportati da luce acqua ed aria si trasformino in eccedenze; ogni residuo, tutto ciò che muore, viene trasformato e la quota di esso che non serve al ciclo della macchina viene emesso all'esterno. La macchina produce concime.

 

Superstudio, le dodici città ideali, 1971