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ad Angiolina...

 

 

 

" Porte "

 

Non ne avevo mai aperte tante così diverse.

Veicoli.

Ospedali.

Abitazioni private.

 

Quella scorrevole del Ducato somiglia ad un impegnativo gioco di forza da Luna Park; un violento strattone iniziale ed il pesante corpo metallico della portiera corre lungo le guide fino a sbattere silenziosamente contro la serratura.

Quella della Punto invece sembra di cartoncino; per chiuderla verrebbe voglia di soffiarci sopra ma come ti siedi al volante un disegnino rosso ti si illumina davanti rammentandoti la tua ultima presunzione.

Eppure le persone per cui apro quelle porte, di presunzione ne hanno ben poca; anzi, se ne avessero soltanto un briciolo probabilmente quelle porte se le aprirebbero da sole.

Di solito ti stanno su un fianco.

Il tuo braccio rigidamente piegato ed elle il loro unico sostegno.

Alcuni ti stringono la mano e poggiano il loro avambraccio sul tuo.

Altri invece preferiscono non stringerti la mano.

Altri ancora ti stringono solo quella, come se quel sostegno non lo volessero per le loro deboli gambe ma per quel piccolo umano motore che li tiene al tuo fianco.

Sono sette mesi che ogni giorno, davanti ad una porta, ho una persona su un fianco.

Sono sette mesi che cerco il modo migliore per far oltrepassare quell’insolita membrana a chi mi sta accanto.

A volte la porta si apre concorde alla direzione verso cui procedo, il mio fianco libero coincide con quello dei suoi cardini ed è sufficiente lasciare un pò di spazio dall’altro lato perché quella sequenza di azioni apparentemente banali, sia identica a quando quella porta devo varcarla da solo. Nei casi migliori c’è anche una molla che cortesemente la richiude dopo il mio passaggio.

Spesso invece quella porta si apre proprio diretta contro chi mi affianca. E’ minacciosa; quasi come se volesse arrogantemente sostituire il suo misero, metallico volume a quella densa ed eterogenea stratificazione di memorie che pulsa appoggiata al mio braccio.

I movimenti vengono rallentati ad una velocità che non mi appartiene. Rapidi sguardi sfuggono dai miei occhi, penetrano le deboli chiome e si spingono con imbarazzo fino alla cute mentre le parole si lasciano sommergere dai rumori di una strada affollata.

Spesso vince la porta e con rassegnazione devo pazientemente spostarmi tra gli intimi cigolii di un vecchio ingranaggio che, come per magia, funziona bene anche senza muoversi.