Queste pagine nascono da una costola del SITO PERSONALE DI VINCENZO TOPA LA QUERCIA MILLENARIA è un'associazione che aiuta a portare avanti le gravidanze difficili, quelle in cui molti medici consigliano di abortire... sommando dolore al dolore. Visita il sito: ci troverai delle storie meravigliose, ci troverai il senso della vita... di qualunque vita, anche quella che a noi, poveri infedeli, sembra senza senso. |
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Quando rimasi incinta del mio terzo figlio, vivevo assieme a Carlo un periodo spiritualmente stupendo. Era diverso tempo che ci eravamo abbandonati all'opera creatrice di Dio circa la nostra vita matrimoniale, e non prendevamo nessun tipo di precauzione. Covavo dentro di me una sorta di gestazione ideale. A sorpresa, e stranamente, non ne ero spaventata. Questo mi stupiva, perchè nella seconda gravidanza ero entrata in forte conflitto e l'avevo vissuta con molta pesantezza. Quel giorno di Natale ebbi la percezione che qualcosa di stupendo per la mia vita iniziasse a prendere forma. Feci il test così precocemente che non risultò nulla ma, ripetendolo dopo qualche giorno, venne positivo! Eravamo così felici... Abbiamo telefonato a tutti, e nostra figlia maggiore (Priscilla, all’epoca 5 anni e mezzo), non stava più nella pelle, e anche lei diceva alle amichette: "Aspettiamo il terzo!". Insomma: una vera festa, anche se ci poneva l'eterno problema della nostra casa di 50 mq, della Fiat Panda non ancora pagata del tutto, del mio lavoro part time, e di quello ancora precario di Carlo. Ma avevamo fiducia. Qualcuno la chiamerebbe fede... Era quella sorta di abbandono filiale nei confronti di un Padre che aveva provveduto in ogni momento, nel nostro matrimonio. Era la cieca sicurezza che questo Padre avrebbe fatto quest'altra storia meglio di noi, ancora una volta. Era la voglia di andare ancora oltre le nostre forze, oltre i nostri limiti, e lasciar fare a Lui. E uscirne di nuovo con più fede di prima. A chiunque tentava di terrorizzarci, costringendoci a prevedere il futuro economico dei nostri figli, rispondevamo: "Dio provvede". Oggi che scrivo, realizzo che abbiamo una monovolume nuova di zecca; mio marito è stato assunto a tempo indeterminato, nel momento in cui avevamo più bisogno di certezze e di stabilità. Al lavoro subii una vera aggressione verbale perchè, in tredici anni di (onorato) servizio, avevo osato mettere al mondo tre figli. Ma io ero felice come una pasqua e certo non mi sentivo in colpa per aver accolto dentro di me un'altra vita voluta dal Signore su questa terra! I soliti problemi iniziali di minacce d'aborto, le solite precauzioni... Un mese a letto, qualche problema di ordine pratico; ma al quarto mese già conducevo una vita normale. Non avevo neanche le contrazioni che, nella precedente gravidanza, mi avevano costretta ad assumere dei farmaci. Qualche nausea di troppo ed una spiccata propensione a vedere il mondo "in celeste" mi avevano convinta che, stavolta, dopo due femminucce, forse era in arrivo un cucciolo di natura diversa! Ero felice. Fino all'ecografia morfologica della 21ma settimana. Tutte le mamme si avvicinano a questa ecografia con un po' di apprensione. Vennero anche Carlo e Priscilla. Era così curiosa di vedere un bimbo nella pancia... e poi voleva sapere a tutti i costi di che sesso fosse. La dottoressa della Asl fece entrare prima me soltanto, con gran disappunto di tutti noi. Quando il suo esame raggiunse la mezz'ora, cominciai ad entrare in ansia. E poi... era così seria e scostante. Perchè non era rassicurante e brava come i dottori dei centri privati? Mi pentii all’istante di non aver investito quella bella somma per un'ecografia a pagamento. Appena entrarono Carlo e Priscilla, esordì: "C'è qualche problema". Io sentii una morsa allo stomaco e, mentalmente, rividi tutto l'esame. La testa sembrava delle dimensioni giuste, aveva due mani, due piedi... cosa poteva essere che non andava? Iniziò a spiegare, cercando di descrivere ciò che vedeva: il bambino aveva una vescica enorme, ureteri dilatati, reni dilatati, non c'era più traccia di liquido amniotico (ma lei, signora, ha per caso avuto delle perdite continue di liquido? Ma no, no, me ne sarei certo resa conto!). C'era qualche malformazione di tipo urinario... Ci consigliò di andare in un centro di secondo livello, per una diagnosi più precisa. Arrivederci, auguri. Dolore, sgomento, terrore. Perchè? Che cos’ha? Si può risolvere? Non sapevamo neanche se fosse maschio o femmina. L'assenza di liquido lo aveva costretto in una posizione trasversale, dalla quale non poteva girarsi. Priscilla intanto, che non aveva capito niente, sbuffava, perchè voleva sapere il sesso del piccolo per poter scegliere insieme a noi il nome. Ed io che dovevo continuare a fare le cose di sempre, andare a prendere a casa di mia madre l'altra nostra figlia, Vivian, allora di 2 anni, quando avrei voluto solo rannicchiarmi dentro il letto, e dormire fino al giorno dei nuovi esami! Ma proprio le mie figlie e la quotidianità mi costringevano a vivere, anche se per me la vita si era fermata in una attesa, piena di immagini spettrali e di incognite. E arrivò quel mattino. Andammo io e Carlo, accompagnati spiritualmente dalle numerose preghiere della nostra comunità di fede. Viviana, una giovane sorella di comunità, laureanda in pediatria proprio nel presidio in cui avrei fatto quegli accertamenti, sarebbe venuta a dare un'occhiata. Quando arrivò, mi buttai singhiozzando tra le sue braccia. Avevano confermato tutto. Anzi, sembrava che nel frattempo la vescica si fosse rotta per la troppa pressione. Maschio o femmina che fosse, aveva una ostruzione urinaria che gli aveva compromesso tutto l'apparato. Possibilità di sopravvivenza, nessuna. Sarebbe morto in utero, o, al massimo, sarebbe arrivato a nascere, ma morto subito dopo, per l'impossibilità di sviluppare i polmoni, vista l'invasione di liquido, che lui continuava a bere, e che si riversava nel torace e nel pericardio. Senza contare che, in assenza di liquido amniotico, lui non poteva muovere gli arti, per cui anche la capacità motoria sarebbe stata irrimediabilmente compromessa. "Signora, le consiglierei di abortire, anche se, capisce, a quest'epoca gestazionale si tratta di affrontare un travaglio vero e proprio; la legge non consente l'aborto per un feto così grande...". Il medico parlava, ma quello che diceva, per me, non aveva senso. Aborto, legge, feto... il mio bambino è vivo, e non sa di essere un condannato a morte. Il mio bambino è vivo. E' vivo, respira. Il mio bambino non ha bisogno di una mamma che lo faccia smettere di vivere. Io voglio che il mio bambino muoia dentro di me, nel posto migliore dove morire, non in una sala operatoria, dove nessuno gli attaccherà un respiratore appena nato per salvargli la vita. Il ricordo di mio figlio non sarà il ricordo di un aborto. "Andiamo via, Carlo, ti prego, andiamo a casa". Abbiamo pianto, pregato. Carlo lo ha detto a tutti; per due giorni non ho voluto parlare al telefono con nessuno. A Priscilla abbiamo spiegato la verità, nel modo più comprensibile per una bambina di quella età. Fortunatamente è una bambina nata e cresciuta in un ambiente dove parlare di Dio fa parte del quotidiano e non scandalizza nessuno. Le abbiamo detto che questa vita era per il Cielo, non per la Terra. Che in Cielo c'era bisogno di un Angelo che pregasse per i bambini più sfortunati. Che il Signore ci avrebbe donato altre vite, ma che ora dovevamo essere generosi e lasciare che questo bimbo tornasse a Dio, perché era a Lui che apparteneva. Le abbiamo detto che poteva anche sentirsi triste e piangere, anche alla mamma succedeva; ma che quando era triste doveva parlare con Dio e chiedere che fosse Lui a consolarla, perchè le preghiere dei bambini sono prioritarie agli occhi del Signore. E così iniziò il periodo dell'attesa. L'unico modo che avevo di capire quando fosse il momento di separarmi dal mio piccolo era controllare che si muovesse. Quando iniziai a raccontare come stavano le cose, a tutti quelli che prima o poi mi avrebbero chiesto che fine avesse fatto la mia pancia, iniziò il periodo più duro... avevo dalla mia parte solo nove anni di un cammino di fede, nei quali avevo fatto esperienza di Dio sotto molti aspetti. Non ero mai stata una persona molto pia, ma avevo acquisito alcune certezze. Prima fra tutte che Dio è mio Padre. Che mi ama di un amore immenso. Che la Croce si affronta appoggiandosi alla preghiera. Che la sofferenza ha un valore enorme, che produce frutti spirituali. Che Dio non permette che tu abbia una Croce più grande di quella che puoi umanamente sopportare. E soprattutto: che Cristo è risuscitato dai morti e che proprio Lui mi avrebbe dato lo Spirito per entrare dentro questa morte, e per rinascere come persona nuova. Dare testimonianza di questo non è stato facile, perchè dovevo aiutare la gente ad entrare in questa sofferenza, quando questa era motivo di scandalo anche per me! Nessuno si risparmiava di dire la sua. Fui compatita, da alcuni ammirata, quasi temuta, chiacchierata, forse derisa. I vicini di casa, le mamme dei compagni delle mie figlie, tutte parlottavano tra loro quando mi vedevano arrivare col mio pancione. Ero portatrice di morte. Ma io sentivo di gestare una creatura speciale, e la sua vita di cristallo mi donava una sorta di elevazione e una forza che mai, avrei sospettato di possedere. Avevo detto "Amen". Niente e nessuno avrebbe potuto spaventarmi. Ero pronta ad attraversare la morte, sapevo che col Signore al mio fianco, le onde non mi avrebbero sommersa. Aggrappata al legno della Croce sarei rimasta a galla. Persino mia madre mi supplicava di abortire. "Lìberati" mi diceva, "tanto ti hanno assicurato che non ci sono speranze; pensa se per assurdo arrivi alla fine della gestazione… sta iniziando il caldo, perchè devi soffrire così? Rischi pure una setticemìa, hai altre due figlie, ma non pensi ai rischi che corri?". "Mamma, non insistere. Lo porto avanti, a costo di morire con lui. Io su questa vita, non metto le mani". La mattina, ancor prima di aprire gli occhi, scendevano le lacrime. Non appena realizzavo che non era stato solo un brutto sogno, il mio bambino davvero doveva morire, la sofferenza mi attanagliava l'anima e il cuore. Facevo uno sforzo enorme, per vestire le piccole, baciarle prima di mandarle a scuola. Non appena uscivano con Carlo, cominciavo a singhiozzare ed a chiedermi in quale modo avrei passato quella giornata. Poi il mio piccolo iniziava a dare qualche lieve colpetto; quello che poteva, considerata la situazione... e cominciavo a parlare con lui; a chiedergli di essere forte e di dare anche a me quella forza... Telefonavo a qualche sorella di comunità per cercare una parola, un po' di conforto. Solo loro la pensavano come noi: "questa vita è comunque preziosa; tenete duro, il Signore vi è accanto; coraggio, fratelli, stiamo pregando tutti per voi"... Ma la mia unica fonte di ossigeno si rivelava il Rosario, scoperto proprio in quel frangente. Mi donava tanta pace. Me lo avevano detto in tanti, ma ero troppo pigra per provare. Tutte quelle preghiere sempre uguali, recitate mentre pensavi ad altro. Che senso poteva avere? Non avrei mai immaginato si potessero recitare 50 Ave Maria tutte diverse, con una intensità, con un fervore così... Il Rosario mi donava una pace profonda che durava qualche ora. Poi dovevo recitarlo di nuovo... Dopo una settimana Viviana, la studentessa in pediatria, si presentò con un biglietto. "Ho navigato in Internet. Al Policlinico Gemelli c'è un certo Prof. Noia che ha fatto degli interventi in utero, in patologie simili a quella del tuo bambino. E' una cosa sperimentale, ma ci sono stati dei successi. Dall’equipe di ginecologia hanno risposto ad una mia e-mail. Prova a telefonare, vai a parlare con lui." "Professore, mi chiamo Sabrina. Sono incinta di cinque mesi; ho fatto la morfologica, e hanno diagnosticato al mio piccolo una ascite urinaria e un'idrope fetale. Dicono che non ci sono speranze e mi hanno consigliato di abortire. Io ho deciso di portare comunque avanti la gravidanza, ma vorrei tentare il tutto per tutto. Ho visto su Internet che, in casi simili, c'è la possibilità di tentare qualche intervento e che forse proprio lei può fare qualcosa...". "Prima di tutto non dire che non ci sono speranze, perchè ora sei nelle mie mani e voglio tentare il possibile per aiutare questo figlio". Scoppiai a piangere... "E poi, Sabrina, complimenti, perchè trovare mamme che accompagnano i loro figli fino alla fine è veramente bellissimo. Vedrai che il Signore in qualche modo ti consolerà. Vieni domani e porta tutti gli esami che hai fatto finora...". Continuai a piangere ancora, dopo aver riattaccato. Mi sentivo amata e capita. Parlando di lui, scoprii che era molto rinomato anche all'estero, ma pieno di umiltà e di amore per la vita. Una persona di grande fede e spessore umano, completamente dedito al lavoro, che viveva come una missione donatagli da Dio. Un medico al servizio della vita. Non vedevo l'ora di vedere che faccia avesse... E che faccia poteva avere? Quella di uno zio dolce e bonario, la voce pacata. Una stretta di mano piena di affetto. Tanta verità nelle sue parole e tanto amore nel dare le notizie anche più tristi. Ci spiegò subito che la situazione era molto grave. Ci disse che erano solo 10 i tentativi fatti, in passato, per quell'intervento; consisteva nell'introdurre nell'addome del feto un catetere chiamato "shunt", dal quale lui poteva urinare, e subito dopo la nascita avrebbe dovuto fare un altro intervento, per togliere l'ostruzione che era alla radice di tutto. Avrebbero dovuto farmi una infusione di soluzione fisiologica nell'utero, per ripristinare una situazione fetale di normalità, per riformare liquido amniotico. E comunque, solo tre di quei bambini erano sopravvissuti a tutto l'iter oltre il primo anno di vita. Gli altri non ce l'avevano fatta a causa dell'insufficienza renale. Era una strada difficile e con scarse possibilità di successo. Mi avrebbe quindi capita se avessi rifiutato. Accettando, avrei dovuto affrontare un pre-intervento, che consisteva nel prelevare il liquido che stava nell'addome del bambino, per esaminarlo. Se fosse venuto fuori che il piccolo aveva delle malformazioni genetiche gravi, o delle infezioni compromettenti per la sua sopravvivenza, non avremmo proseguito con l'intervento, perchè, ci spiegò il Professore, "io non faccio sperimentazione sui bambini, nè accanimento terapeutico". Se invece tutto avesse mostrato un risultato favorevole ad una vita normale, saremmo andati avanti. "Oggi l'intervento non te lo posso fare, sono troppo triste per la morte del mio padre spirituale; pensaci e fammi sapere domani, cosi dopodomani eventualmente procediamo". "Ci vediamo dopodomani per l'intervento, professore". E Carlo: "Amore, sei sicura? Non vuoi che ne parliamo un po'?". "E di che dobbiamo parlare? C'è questa possibilità, per me è abbastanza e voglio tentare. Ci vediamo dopodomani". E così andammo avanti. Effettuammo un triplice intervento: pielocentesi, cistocentesi e paracentesi. Fu lungo e doloroso. Il bambino aveva più di 300 cc di liquidi riversati nell'addome e nel pericardio, un piedino torto, un idrocele al testicolo... Ma stavamo andando avanti. Nel primo pomeriggio tornai a casa, con la raccomandazione di stare una settimana a letto e di prendere dei farmaci. Tre giorni dopo sarebbe stato il mio compleanno. Signore, fammi questo regalo... Una settimana dopo, eravamo lì. Venne il Professore con i referti. "Il bambino è potenzialmente sano. C'è qualche elettrolìto sballato, ma direi che è il minimo. Penso che potremo andare avanti, ma ora vieni. Voglio farti un’ecografia". E lì, un duro colpo... Era nuovamente pieno di liquido, anche peggio della volta precedente. Addirittura si vedeva un principio di scompenso cardiocircolatorio... "No, Sabrina. Non posso mettere le mani su un bambino così compromesso. Mi dispiace; lo accompagneremo fino alla fine". Nuove lacrime di dolore, nuovo lutto da elaborare, in attesa del dolore più grande... Ma ero già pronta. Già sapevo in quale modo avrei potuto sopravvivere a tutto questo. Nello stesso modo di una settimana prima. "Quanti giorni pensa che questo bimbo possa resistere, professore?". "Penso che tra sette giorni al massimo ci vedremo di nuovo... Fàtti coraggio, figlia mia.". Iniziò così un conto alla rovescia, terribile e struggente al tempo stesso. Ogni giorno era un giorno regalato. Oggi si muove... Grazie, Signore mio, per avermelo donato anche oggi. Nel frattempo, cercavo di informarmi se c'era un ospedale che mi potesse garantire una anestesia epidurale, per risparmiarmi almeno il dolore del travaglio. Era quella, infatti, la cosa che più mi terrorizzava: aggiungere dolore al dolore. Ma non è possibile, in quel frangente ottenere una anestesia. La paura mi annientava e, allo stesso tempo, subentrava la rassegnazione. Va bene. Devo soffrire? Soffrirò. Ne ho partorite altre due, no? Quanto devo soffrire? Cinque ore, dieci ore? Ti dò tutto, Dio mio. Ti dono tutto. Ma tu aiutami a sopravvivere a questo dolore. E i giorni passavano. Sette, otto, dieci, quindici, venti... E lui si muoveva sempre di più... Possibile che stia bene? E' solo un'illusione o non è più di traverso? Io sento come se la sua testa spingesse sulla mia vescica... E questi sotto le costole, che fanno di qua e di là, non sono i piedini? Cavolo, ne ho gestate altre due, certe cose si riconoscono... Possibile? Al 23mo giorno (ero ormai arrivata alla fine del 6° mese) richiamai il professore. Lui si stupì enormemente, di sapermi ancora in quello stato. Pensava fosse tutto finito. Mi chiese di andare il giorno dopo, voleva capire cosa fosse mai successo. Andammo, pieni di curiosità e speranza. Non troppa, a dire il vero… Come d’abitudine, facemmo le lodi in macchina. La lettura del giorno era estratta dal “libro di Giuditta”… il nome che avremmo dato al bambino se fosse stata una femmina… ci sembrò come un segno… Lessi la lettura ad alta voce, mentre Carlo era alla guida: “Ricordatevi che i vostri padri furono messi alla prova per vedere se davvero temevano il loro Dio. Ricordate come fu tentato il nostro padre Abramo e come proprio attraverso la prova di molte tribolazioni egli divenne l’amico di Dio. Così pure Isacco, così Giacobbe, così Mosè e tutti quelli che piacquero a Dio furono provati con molte tribolazioni e si mantennero fedeli”. Ammutolimmo, stupìti… parlava a noi il Signore? Quella Parola sarebbe diventata carne nella nostra vita? Arrivammo al Gemelli. All’ingresso c’era sempre quel quadro meraviglioso di Breccia, che ha come titolo “Resurrexit”… Ebbi un brivido. Ci dirigemmo al Day Hospital e salutammo il Professore. Mi fece stendere e iniziò a farmi l'ecografia. Io e Carlo eravamo abituati a vedere immagini molto scure, a causa del liquido presente nell’addome del bambino. Erano immagini tristi, le avevamo memorizzate. Stavolta vedevamo immagini chiare, simili alle ecografie delle altre figlie. Si vedeva l'addome, si distinguevano le parti scure corrispondenti alla vescica… reni… stomaco… cuore... Ci siamo guardati, e Carlo ha fatto una espressione, come per dire "zitta che facciamo la figura dei cretini!". Ma quando il professore, spalancando gli occhi, ha detto: "E che è successo qua? Da dove viene tutto 'sto liquido amniotico?", siamo scattati come molle. "Professore, che succede?". "Non lo so, è quello che sto cercando di capire; aspetta un momento ti prego... Sabrina! Sei piena di liquido amniotico, ce n'è addirittura troppo!". Il volto del professore era radioso, strabiliato, gli occhi spalancati e ridenti, la bocca aperta in un sorriso incredulo... "Sì, ho capito ma… il bambino... dentro il bambino, che c’è?". "Il bambino è pulito... C'è solo una fetta sottilissima di liquido... Ma che cosa è successo?". Io e Carlo ci guardavamo meravigliati, increduli; mi stringeva forte la mano, e con le lacrime agli occhi mi diceva: "Calma, stiamo calmi, che poi ci rimaniamo male un'altra volta.". Ridevo e piangevo, nemmeno per un minuto ho dubitato che fosse un errore, ero sicura che Dio fosse intervenuto, me lo diceva il mio Spirito, la mia Pace. Il professore continuava a guardare lo schermo e ad esplorare, con un'aria felice e sbalordita, e sussurrava: "Dio, quanto sei grande! Quanto sei grande, mio Dio...". Cominciò a chiamare le infermiere, i colleghi, gli studenti... "Ti ricordi della signora? Ricordi in che condizioni era questo bambino? Guarda, guarda ora!"... Tutti sgranavano gli occhi, tutti coloro che erano stati presenti al drenaggio, all'intervento precedente, dove 6 persone erano attorno a me. Anche se vivessi mille anni, non riuscirei a dimenticare ogni minuto di quel giorno, ogni particolare: "Professore, la prego, ci dica tutto. La testa, è a posto? E i polmoni? Il cuore sta bene? Il piede torto?". "Calmati, Sabrina, ora ti dico tutto. Se lo vedessi per la prima volta, per me sarebbe una gravidanza normale, capisci? Ora non possiamo sapere se il piccolo abbia subìto un danno dovuto alla mancanza di ossigenazione, ma... io dico che Dio è fedele, ed una cosa così non l'ho mai vista... Ma quanto avete pregato?". Piangere e ridere... Che cosa meravigliosa. "Vi avevo detto il sesso di questa creatura?". "No, professore, non si vedeva niente... non lo abbiamo mai saputo". "E' un maschio." "Giona. Si chiamerà Giona. Come il profeta salvato dalle acque". Da lì in poi, fu tutto un susseguirsi di eventi. Bisognava togliere subito quel residuo di liquido. "Portate una flebo di vasosuprina per la signora Pietrangeli!". Io telefonai a mia madre: "Mamma, vai a prenderle tu le bimbe a scuola; io devo rimanere qualche ora qui". "Perchè, che è successo?". "Mamma, una cosa meravigiosa, un miracolo stupendo; il bambino sta bene, forse ce la fa; è un maschio, mamma, è un forte, coraggioso, meraviglioso maschietto!". Inutile raccontare la reazione che ha avuto mia madre, soprattutto considerando che non è mai stata una campionessa di autocontrollo! Facemmo tutto rapidamente; stavolta, provata dalla sofferenza dell'ultimo periodo, ma anche dalla gioia, stavo per svenire durante l’intervento, ma riuscimmo a terminare tutto presto. Dopo l’intervento, ancora dolorante ma felice, sorrisi al professore, e lui, dandomi una pacca sulla spalla, mi disse: “Tu sei una Quercia Millenaria, cara mia…”. Ero totalmente pervasa da un senso di Pace e Gioia profonda. Nel frattempo Carlo telefonava ai genitori, ai fratelli della comunità. Nel giro di un'ora, due o tre persone erano già lì, ad aspettare che uscissi per abbracciarmi forte, per accompagnarci a casa. E poi le continue telefonate, la gioia di tutti... Soprattutto di Priscilla, che mi abbracciò forte, e disse: "Mamma, avevi ragione. Il Signore ascolta le preghiere dei bambini!". Ricordo ancora quella sera che la vidi seduta sul letto, con il Rosario tra le mani; guardava verso l'alto, il viso rigato di lacrime, e muoveva le labbra in una preghiera muta... cosa rimarrà in lei di tutta questa storia? Non potrò mai saperlo. E' la sua storia di fede... La sua storia di vita. Le mie proiezioni future cambiarono completamente... fiorirono nuovi progetti, le cose da fare erano tante… Modificare la cameretta, per accogliere un altro bambino. Andare a rivedere tra i vestiti delle sorelline, ciò che si poteva adattare a un maschietto. E poi, la gioia più grande… La convinzione che avrei potuto sentirlo davvero, il profumo di quella pelle, la sua morbidezza. Avevo temuto così tanto di non poterli mai conoscere... La notizia si sparse a macchia d'olio. Il mio volto raggiante parlava da solo! La normale gioia di aspettare un bambino era decuplicata! Certo, un'ombra aleggiava su questa gioia... La paura che il bambino avesse subìto un danno cerebrale. Che non avrebbe potuto camminare, o parlare, o vedere, o qualcosa di peggio. Ma una cieca fiducia mi accompagnava. Lui sarebbe vissuto, la vita aveva vinto. Avevo amato questa piccola vita totalmente, fino all’ultimo, al di sopra della mia, e questo amore aveva prodotto qualcosa che la scienza non sapeva spiegare. Tutti si complimentavano, gridavano al miracolo. Io e Carlo accettavamo di buon grado queste manifestazioni. Soltanto noi due, però, sapevamo che per la nostra vita, il miracolo fisico era stato qualcosa in più, che forse serviva agli altri. A noi bastava vedere il miracolo spirituale avvenuto nei nostri cuori: quello di stare nella pace, nonostante la Croce fosse molto pesante. La pace che si può sperimentare solamente stando nella volontà di Dio. Andammo avanti per altri due mesi: controlli strettissimi, ecografie ogni settimana; tutte confermavano lo stato di benessere di questo bambino che, tra l'altro, continuava a crescere bene anche di peso. All'inizio del nono mese, aveva raggiunto il peso approssimativo di tre chili e duecento grammi, ed il Professore ritenne fosse il momento di farlo nascere; aveva paura che il protrarsi della gravidanza potesse dar luogo a qualche ulteriore problema. Decidemmo così per un parto cesareo, che volli affrontare in anestesia spinale; non volevo perdere nulla della sua nascita, ed essere presente per qualunque evenienza. Facemmo una amniocentesi tardiva, per vedere se la funzione polmonare si fosse sviluppata regolarmente. Appena avuta questa conferma, feci due iniezioni di cortisone in dose massiccia, il ricovero, ed il giorno dopo, ero in sala parto. Eccitazione, speranza, paura, forza, desiderio di afferrare quel qualcosa così a lungo desiderato e sofferto. Tra pochi minuti ti vedrò, amore mio, vita mia, piccolo mio... ancora un poco e ci guarderemo negli occhi. La paura più grande del Professore, e anche la nostra, era che potesse non respirare autonomamente. "Non sarò tranquillo fino a quando non lo sentirò piangere, appena nato", diceva. Ma lui pianse. Pianse come un leoncino arrabbiato, indispettito. E piansi anch'io, mentre ridevo, e dal mio cuore sgorgava un inno di lode: "Benedetto sei tu, Signore, che fai bene tutte le cose!". Il professore, felice, esclamò: “Sabrina, questo figlio è nato anche con la camicia!”. Me lo fecero vedere solo per un attimo, poi lo portarono via per gli accertamenti. I primi 4 giorni non potèi vederlo, perchè l'anestesia mi aveva causato una terribile cefalea che mi impediva di alzare la testa dal cuscino. Carlo registrò alcune immagini con la videocamera, e così lo vidi. Sembrava stesse bene, ma non ci dicevano nulla di preciso. Lui era al Centro Immaturi, 6 piani sopra il mio reparto. Chissà se gli mancava la sua mamma, se pensava che lo avessi abbandonato… Stimolai la montata lattea con un tiralatte, per poterlo nutrire personalmente, e la cosa funzionò. Lui cominciò a mangiare di più e a riprendere peso. Dopo 10 giorni riuscirono a terminare tutti gli esami necessari a far luce sulle sue condizioni e fummo convocati da un chirurgo per spiegarci le modalità di un intervento fissato per il giorno dopo. Il resto della storia è lungo e articolato. E’ ormai passato più di un anno: Giona ha subìto due interventi chirurgici, due trasfusioni e un blocco renale. Abbiamo appurato che la funzionalità di un rene è totalmente compromessa e l’altro rene non è perfettamente funzionante. Il grave reflusso vescico-ureterale, gli ha portato ripetute infezioni urinarie, alcune molto gravi, sviluppate in 9 ricoveri per i primi 7 mesi di vita. In particolare, ha avuto una candida sistemica che stava evolvendo in setticemìa, quando aveva 5 mesi. Il dottor Mario Castorina, al Gemelli, gli ha salvato la vita, e non solo quella volta... Il Professor Alessandro Calisti, dell'Ospedale San Camillo, ha fatto un intervento eccezionale per recuperare in parte la vescica, gravemente danneggiata. La nostra vita familiare ha subìto uno scossone enorme. Le bambine hanno dovuto fare a meno della loro mamma per diverso tempo, ed hanno imparato a capire il senso della malattia in un bambino. Mia madre ha radicalmente cambiato il suo modo di rapportarsi, come mamma, nei miei confronti e, come nonna, nei confronti delle mie figlie; ciò ha sanato molte ferite che mi portavo dall'infanzia, a causa del divorzio dei miei genitori, e del giudizio che avevo sviluppato nei suoi confronti, perchè aveva lasciato i suoi figli. Ho rafforzato la mia convinzione che Dio solo è l'Autore della Vita, e che i figli si fanno in tre. Il 25 agosto del 2004, Giona ha compiuto un anno; in novembre ha iniziato a camminare da solo, ed è diventato un folletto vivacissimo e affettuoso. Attualmente è un bambino perfettamente in linea con i suoi coetanei. Ha uno sviluppo neuropsicomotorio nella norma. Soprattutto è un bambino felice, sereno, riflessivo, pieno di gioia di vivere. Ed è anche bellissimo. Questo, è il premio per ciò che in passato abbiamo affrontato insieme, io e lui; nei lunghissimi ricoveri, dove cercavamo un modo per passare le giornate, in una stanza; lui nel lettino, con le flebo, e io divisa tra la necessità di assistere il figlio che più aveva bisogno di me, e il desiderio di tornare a casa, con mio marito e le altre mie figlie. La strada è ancora lunga. Ci sono dei controlli, ci sarà sicuramente un altro intervento in futuro. Dovrà togliere il rene che non funziona, e perfezionare la funzionalità della vescica. E' possibile che Giona rimanga sterile, parzialmente incontinente… oppure potrebbe affrontare una dialisi e un trapianto quando sarà adolescente. Questo è ciò che prevede la scienza. Ma io so che la scienza non può stabilire tutto, grazie a Dio! Noi andiamo avanti. Viviamo giorno per giorno, benedicendo ogni mattina per ciò che quel giorno abbiamo. Come dice il nostro Dottor Castorina “guardiamo i nostri piedi, e mettiamo un passo davanti all’altro”… Il domani non ci appartiene, dobbiamo scacciare la paura del domani. Siamo stati protagonisti e anche spettatori di una cosa prodigiosa; ne siamo consapevoli, ma senza superbia. Ci siamo fatti trascinare dagli eventi, docilmente; a volte con tenacia, forzando la mano, quando trovavamo qualche medico poco coscienzioso, quando si dava poca importanza a quella vita, che per noi era invece importantissima, e che ci era costata tanto, veramente tanto... Abbiamo imparato a puntare i piedi, a responsabilizzare quei medici che non consideravano il loro lavoro come una missione, ma come un "impiego". In modo autorevole, e cercando di far passare un messaggio di rispetto e amore, comunicavamo loro che la loro professione era un ministero vero e proprio e che, toccando la sofferenza, erano a contatto di Cristo Crocifisso ogni giorno. E questo era un privilegio per loro e una grande opportunità per la loro stessa vita. Vogliamo ringraziare con tutto il cuore, le persone che hanno avuto un ruolo fondamentale nella vita di Giona e di tutti noi. I medici e gli infermieri che abbiamo in seguito scelto come collaboratori, per il grande valore umano, professionale, e spirituale che è nell'animo di ognuno di loro... Tutte queste persone hanno fatto, e fanno tuttora, parte del nostro mondo e del nostro vissuto familiare. Sono persone delle quali si parla in casa, che vediamo spesso durante i controlli frequenti che Giona fa. E' grazie a loro che, quando vado in ospedale, mi sento come se tornassi a casa. Qualcosa di me rimarrà tra quelle mura, dentro quelle stanze, nei cuori di quelle madri, delle tante madri che ho conosciuto. Donne meravigliose, che dànno ogni giorno la vita per i loro figli. C'è sempre un posto per loro, nelle nostre preghiere. Le mie bambine pregano spontaneamente per i bimbi che sono negli ospedali; loro sanno che la vita non è solo Barbie e Cicciobello! Ma sanno anche che in ogni storia Dio è presente, non abbandona, continua ad amare i Suoi figli, a dare forza. Bisogna solo chiederla! La nostra storia ne è la testimonianza. |
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