La seconda parte del Codice Deontologico ha ad oggetto, come
già si è ricordato, la prestazione notarile: una serie di
disposizioni, tra loro coordinate, sono dirette ad assicurare anche sotto
questo profilo un elevato standard professionale. Prendiamo le mosse dalle
previsioni in materia di personalità del ministero notarile: una
specifica disciplina è dettata al punto b.2.2., mentre un richiamo
si trova al punto a.3.1., laddove la spersonalizzazione dell'attività
è considerata sotto il particolare profilo della illecita concorrenza
che è possibile in tal modo realizzare.
La disciplina gravita intorno ad un principio di carattere generale:
«la facoltà di valersi di sostituti ed ausiliari non può
pregiudicare la complessiva connotazione personale che deve rivestire l'esecuzione
dell'incarico professionale». Di alcune fasi nominativamente indicate
dell'attività notarile si stabilisce invece l'assoluta indelegabilità:
accertamento dell'identità personale dei comparenti, compreso l'esame
dei documenti; approfondita indagine della volontà delle parti,
che si estende all'esame dei motivi che le muovono ed alla ricerca di possibili
alternative; direzione della compilazione dell'atto nel modo più
congruente alla volontà delle parti, «lettura a voce chiara
e finale domanda d'approvazione» (1). In più punti questi
precetti vengono dunque ad affiancarsi a quelli contenuti nella legge
notarile; si ha in verità più coordinamento che mera giustapposizione,
nel senso che le prescrizioni del Codice Deontologico sono principalmente
dirette ad evitare che alla disciplina fissata dalla legge venga tributata
un'osservanza di stampo farisaico, tradendone spirito e finalità.
Così, se la legge prevede semplicemente che il notaro si dichiari
certo dell'identità personale dei comparenti (articolo 49LN), i
Principi disciplinano le modalità di tale accertamento; all'indagine
sulla volontà delle parti staticamente intesa, che l'articolo 47LN
riserva al notaro, si affianca l'obbligo di un'indagine non superficiale,
che metta a fuoco i motivi e le possibili modificazioni della volontà
stessa; si prescrive che la lettura dell'atto, obbligatoria ai sensi dell'articolo
51LN, debba avvenire in forma comprensibile, onde non svilirla ad insensato
rituale.
Se in superficie la questione presenta aspetti che a prima vista
rasentano il folcloristico, assai seria è la sostanza del problema.
Una pronunzia della Corte di Cassazione che già si è avuto
modo di richiamare (2), dopo aver riconosciuto il diritto del notaro a
perseguire l'incremento dei propri guadagni, soggiunge: «Tuttavia,
qualora i più favorevoli risultati siano dovuti non già all'elevata
capacità professionale del notaio, alla maggiore dedizione al lavoro
e maggior senso del dovere, e, quindi, alla maggior stima e fiducia dei
clienti per la personalità umana e professionale del notaio, ma
derivino, invece, dalla creazione di un sistema di lavoro, in cui la persona
del notaio è al centro di un'organizzazione di persone e di mezzi
tali da allontanare di fatto e sostanzialmente i singoli atti della funzione
notarile dalla persona, e quindi dalla prestazione professionale diretta
del notaio stesso, con l'effetto che la funzione notarile venga esplicata
soltanto di nome dal notaio, ma sostanzialmente o di fatto da persone diverse,
dotate o meno di conoscenza legale e di rettitudine, ovvero qualora gli
accennati risultati siano connessi all'opera dei cosiddetti procacciatori
di affari, ovvero a corrispettivi e doni offerti in forma ed entità
diversa, direttamente o indirettamente, a rappresentanti di istituti o
enti vari, preposti al conferimento o distribuzione degli incarichi notarili,
in tali casi deve ritenersi che il comportamento del notaio diventi illecito».
Si noti che procacciamento e spersonalizzazione sono considerati in via
alternativa: ciascuno dei due comportamenti è illecito in sè.
L'esistenza di studi organizzati in modo industriale era dunque
nota ai giudici di legittimità un trentennio or sono, e non si potrebbe
con serenità dire che il fenomeno sia nel frattempo scomparso: frequenti
sono purtroppo i casi in cui il cliente ha un frettoloso contatto
col notaro solo al momento dell'atto, ed è in concreto assistito
da collaboratori di variabile qualificazione.
Afferma David H. Maister (3) che la «struttura di ogni
organizzazione, e cioè il peso relativo che nella composizione dello
staff hanno le figure di basso, medio od alto livello, è (o meglio
dovrebbe essere) principalmente determinata dalle capacità richieste
dal servizio che si svolge, ossia dall'incidenza delle mansioni di basso,
medio od alto livello nell'assolvimento dei compiti tipici dello studio.
[...] Le proporzioni debbono restare costanti quando le dimensioni dello
studio crescono». E' ovvio che un'eccedenza di personale d'alto livello
penalizza lo studio dal punto di vista economico, giacché soggetti
ad alta qualificazione (ed alta retribuzione) saranno adibiti a mansioni
per le quali sarebbe sufficiente personale di livello inferiore, a costi
minori. Maister osserva però che «il problema opposto non
è meno concreto. Se uno studio affronta una tipologia di lavoro
per il quale è necessaria una più elevata percentuale di
personale d'alto livello rispetto a quella disponibile, le conseguenze
saranno almeno altrettanto serie: una carenza di personale adeguatamente
qualificato, ed un conseguente rischio sul piano della qualità»
(4).
L'organizzazione efficiente è dunque quella che affida
lo svolgimento di ogni mansione al personale provvisto dell'appropriata
qualificazione. Attribuire compiti ad elevato contenuto professionale a
chi non possiede adeguata preparazione è un errore ai fini della
competitività della struttura sul mercato, e quindi anche (5) della
sua redditività.
La regola (empirica, a fondamento economico) di Maister parla
dunque una lingua assai simile a quella della regola (deontologica, a fondamento
etico) dei Principi. Non si tratta di una semplice coincidenza o di un
accostamento ad effetto. Lo studioso americano documenta come un'organizzazione
squilibrata (nel senso appena indicato) sia economicamente perdente in
un contesto fondato sulla più severa competizione, com'è
quello USA; se ciò è vero, si può concludere che gli
studi notarili spersonalizzati di casa nostra non sono una finestra aperta
su un futuro più moderno ed efficiente, come talora si cerca grossolanamente
di dare ad intendere, ma una rude forma di sfruttamento economico intensivo
di una posizione protetta (6). Si affida a collaboratori il ruolo che compete
al notaro al solo scopo di poter tenere ritmi più elevati, e dunque
guadagnare di più: questo è però reso possibile (non,
come si è visto, da una pretesa maggior efficienza, ma) dalle protezioni
anticoncorrenziali garantite dal sistema: numero chiuso, tariffe minime
e via enumerando. Si profitta di questo scudo, perversamente, per imporre
al cliente un livello di assistenza inferiore a quello cui ha diritto (7).
Tutto questo non è accettabile sotto alcun profilo: le norme che
tutelano il ruolo del notaro, distaccate dai valori in funzione dei quali
sono dettate, si riducono a privilegi eticamente, socialmente e politicamente
indifendibili.
Tornando alle disposizioni del Codice Deontologico, si debbono
ricordare le prescrizioni che riguardano il livello minimo d'assistenza
che deve essere offerto al cliente (punto b.2.2.), e che comprende dettagliate
ed esaustive informazioni sul contenuto e gli effetti dell'atto, proposizione
di eventuali soluzioni alternative, scelta della forma giuridica più
adeguata (8). Strettamente connesso alla qualità della prestazione
è l'aggiornamento professionale, che è fatto oggetto di uno
specifico obbligo (9).
Più di una disposizione dei Principi è diretta
a prevenire gli escamotages che un notaro può essere tentato di
porre in essere onde attenuare la propria responsabilità. Al punto
a.3.1. è sanzionato il ricorso (sistematico) a clausole d'esonero
da responsabilità; una serie di precetti (punto b.3.1.) reprime
il ricorso malizioso alla scrittura privata autenticata. Atto pubblico
e scrittura privata autenticata infatti, pur essendo strumenti operativamente
fungibili in una vasta gamma di ipotesi (che coprono la maggior parte della
quotidiana attività notarile) corrispondono a schemi giuridici nettamente
differenziati. Nel primo il ministero notarile si estrinseca nella sua
pienezza; nella seconda il notaro si limita ad autenticare le sottoscrizioni
senza assumere, in linea di principio, responsabilità alcuna in
relazione al contenuto della scrittura. Esiste certamente un uso fisiologico
della scrittura privata autenticata: si tratta principalmente dei casi
in cui il documento viene predisposto dalle parti o da altri professionisti,
e presentato al notaro solo per l'autentica. Diverso è il caso in
cui il notaro opti per la scrittura privata autenticata in mancanza di
uno specifico incarico delle parti o di obiettive circostanze che lo consiglino
(10).
Anche prima dell'emanazione del Codice Deontologico la giurisprudenza
aveva mostrato di voler reagire a tale uso distorto dello strumento; in
particolare una sentenza della Cassazione (11) ha stabilito che il livello
di responsabilizzazione del notaro dipende non dalla forma dell'atto posto
in essere, ma dal tipo d'incarico ricevuto: «E' di intuitiva evidenza,
infatti, che le parti, rivolgendosi al notaio quale tecnico del diritto
per la stipulazione del contratto, mirano ad ottenere non solo un documento
formalmente perfetto, ma anche un negozio il quale sia idoneo a produrre
il risultato pratico perseguito» (12). Il notaro potrà dunque
optare per la redazione di una scrittura privata da sottoporre poi ad autentica,
ma non potrà pervenire per questa via ad un'autolimitazione della
propria responsabilità o ad un'attenuazione dello standard di diligenza
richiesto (13).
Diverso è l'approccio fatto proprio dal Codice Deontologico,
che afferma innanzitutto la centralità dell'atto pubblico, forma
«primaria ed ordinaria di atto notarile, che i notaio deve generalmente
utilizzare nella presunzione che ad esso le parti facciano riferimento
quando ne richiedono l'intervento». I Principi sottolineano dunque
la diversità delle due tipologie e, implicitamente, del livello
di diligenza richiesto al notaro, ma sanzionano l'ingiustificato ricorso
alla scrittura privata autenticata: operazione in un certo senso inversa
rispetto a quella della Corte di Cassazione che, equiparando la responsabilità
del notaro nelle due ipotesi, non ha interesse ad occuparsi dell'opzione
in sè. E forse non potrebbe essere diversamente: il Codice Deontologico
opera ex ante, proponendo modelli di comportamento ottimali; il regime
della responsabilità non può che definirsi ex post, ed in
questa prospettiva il comportamento (subottimale) del notaro è un
dato storico, per il quale deve solo ricercarsi un appropriato trattamento
sul piano civilistico.
Anche per la scrittura privata autenticata, nonostante il suo
ruolo subalterno, vengono comunque dettate disposizioni tese a rinforzare
gli obblighi di diligenza che incombono sul notaro: si impone il controllo
della legittimità dell'atto e la sua rispondenza alla volontà
delle parti; si prescrive l'indicazione del cd locus loci (14); per gli
atti soggetti a pubblicità immobiliare e commerciale, la restituzione
dell'originale agli interessati, pur consentita dalla legge, può
aver luogo solo per espressa volontà delle parti (15).
Nonostante le sagge e ben congegnate disposizioni dettate dalla
legge e dal Codice Deontologico, può infine sempre capitare che
qualcosa non vada per il verso giusto. Provvede all'uopo il punto a.1.1.
dei Principi: «Il notaio deve poter rispondere in modo adeguato,
anche mediante specifiche forme assicurative, per i rischi inerenti all'esercizio
della professione» (16). Per l'ultima volta, si dovrà annotare
che la disposizione è dettata non nell'interesse del notaro ma,
per dirla con Ulpiano, «propter utilitatem eorum qui apud eum egerunt»
(17): un'efficace tutela della generalità degli utenti è
uno snodo essenziale per la credibilità dell'intero sistema (18).
(2) 20 luglio 1966 n. 1970, cit.
(3) Probabilmente il massimo esperto al mondo nell'organizzazione di studi professionali, già docente presso la Harvard Business School.
(4) I frammenti sono tratti da Managing the Professional Service Firm, New York 1993, pp. 4 ss. L'approssimativa traduzione è mia.
(5) A voler rendere fedelmente il pensiero di Maister, la congiunzione anche è decisamente di troppo. Nel miglior spirito yankee, un solo imperativo percorre il suo libro: «Make money!». Il che, per chi voglia seguirci sul filo dell'apparente paradosso, rende la sua testimonianza persino più significativa.
(6) Al di là del fenomeno degenerativo di cui si occupa il testo, il modello organizzativo del notariato italiano, nella sua fisiologia, non sembra poi troppo criticabile nell'ambito dell'approccio analitico noto alla scienza economica come rent seeking, sul quale in generale James M. Buchanan, Robert D. Tollison, Gordon Tullock: Toward a Theory of the Rent-Seeking Society, College Station (Texas) 1980. Il saggio di Tullock che appare nell'opera appena citata, Rent-Seeking as a Negative-Sum Game (traduzione italiana in Scelte pubbliche, cit., p. 261), offre a prima vista più di una suggestione. L'Autore propone una lettura in chiave economica dell'antico sistema cinese di reclutamento della burocrazia, che avveniva «attraverso un esame molto difficile», superato ogni anno solo da un centinaio di persone. «Il numero di persone che spendeva molto tempo ed energie per prepararsi per gli esami costituiva un multiplo considerevole di coloro che raggiungevano alla fine ...». «In pratica, era come una lotteria in cui un gran numero di persone compera i biglietti e solo pochi vincono». Il giudizio negativo sull'efficienza economica di un simile modello deriva essenzialmente dal fatto che l'esame imponeva l'approfondito studio di alcune materie, tra cui l'antica poesia cinese, di scarsa o nulla utilità pratica, sicché il sistema finiva con l'indirizzare un gran numero di persone verso tali discipline improduttive, disperdendo in modo antieconomico importanti risorse umane. Non sembra il nostro caso, tutto sommato, anche senza considerare la distanza che separa l'approccio di Gordon Tullock dalla prevalente mentalità europea.
(7) Si potrebbe osservare che il mercato potrebbe occuparsi efficacemente di spazzar via questa distorsione, alla sola condizione di lasciarlo liberamente operare eliminando tutte le vigenti restrizioni alla concorrenza. Nel presente contesto l'obiezione sarebbe pertinente, ma una prospettiva di totale liberalizzazione si presenta impercorribile sotto altri profili, come si è cercato di dimostrare retro, §5.
(8) Cassazione 4 marzo 1981 n. 1254, in Vita Notarile, 1981, p. 1115, sancisce anche la responsabilità del notaro che non abbia agito in modo da assicurare al proprio cliente il trattamento fiscale più favorevole.
(9) Andrea Fusaro, La deontologia del notaro, cit., p. 988, pone questa prescrizione in relazione con la crescente severità della giurisprudenza, che sanziona sulla base dell'articolo 28LN anche fattispecie obiettivamente dubbie, e non solo quelle «espressamente» proibite dalla legge, come vorrebbe la lettera della norma, confortata da numerosi argomenti (completissima l'esposizione che ne fa Franco Angeloni, La responsabilità civile del notaio, Padova 1990, p. 11 ss.). E' chiaro comunque che una cultura giuridica profonda ed aggiornata è necessaria al notaro non solo quando all'orizzonte si profila minacciosa una toga. D'altronde, proprio la ricostruzione proposta da Andrea Fusaro riserva un ruolo strategico alla qualità della consulenza fornita alle parti, con ciò richiamando, in modo se possibile ancor più pressante, l'esigenza di una preparazione d'alto livello.
(10) Può capitare, ad esempio, che le parti siano impossibilitate a comparire simultaneamente dinanzi al notaro: ciò impedisce il ricevimento di un atto pubblico, mentre le sottoscrizioni in calce ad una scrittura privata possono essere autenticate in tempi diversi, in luoghi diversi ed anche da notai diversi.
(11) 20 gennaio 1994, n. 475, in Foro Italiano, 1994, I, c. 713; Giustizia Civile, 1994, I, 2217; Nuova Giurisprudenza Civile Commentata, 1994, I, p. 665, con nota di Guido Grisi; Rivista del Notariato, 1994, p. 136
(12) In Cassazione 22 marzo 1994, n. 2699, in Giustizia Civile, 1994, I, 2217, e Rivista del Notariato, 1994, p. 1094, riemerge l'orientamento tradizionale che fa dipendere lo standard di diligenza esclusivamente dalla tipologia dell'atto. Nella fattispecie si era però «accertato che al notaro era stata esibita una scrittura privata già compilata dalle parti contraenti»; il professionista è mandato esente da responsabilità, ma la decisione sarebbe stata evidentemente la medesima anche se si fosse applicato il più rigoroso principio fatto proprio dalla sentenza citata alla nota precedente. Sulla questione, in generale, Gaetano Petrelli, Atto pubblico e scrittura privata autenticata: funzione notarile e responsabilità, in Rivista del Notariato, 1994, p. 1422.
(13) Roberto Barone, in Funzione pubblica e sociale del notaio, cit., p. 16, giudica «quasi ridicolo e comunque poco serio che il notaio o la parte possano scegliere un regime di responsabilità minore a seconda di una forma o dell'altra quasi che, nel proprio ministero, l'operatore sia libero di deresponsabilizzarsi».
(14) E cioè del luogo preciso in cui l'atto è stato autenticato, e non solo l'indicazione del Comune.
(15) Quest'ultima previsione viene ufficialmente giustificata con l'esigenza di non disperdere documenti importanti per la storia del Paese. Motivazione insincera: se così fosse non avrebbe senso sottoporre a tale regime proprio gli atti soggetti a pubblicità, e cioè precisamente quelli che sono comunque reperibili in un pubblico archivio. L'intento è verosimilmente un altro: evitare che il notaro, restituendo l'originale, alleggerisca la propria raccolta degli atti di dubbia fattura, sottraendoli così ai periodici controlli. Qualora la lettura apparisse troppo maligna, valga come chiamata di correo il rinvio a Roberto Barone, op.cit., p. 33.
(16) Non è in verità troppo chiaro quali possano essere gli strumenti alternativi cui sembra alludere la congiunzione anche. Il Codice Europeo di Deontologia, cit., punto 2.4, stabilisce tout court l'obbligatorietà della polizza assicurativa.
(17) Digesto, 1, XIII, 3.
(18) La legge notarile del 1913 risolveva efficacemente il problema
imponendo al notaro il versamento di una congrua cauzione al momento dell'assunzione
delle funzioni. L'istituto, tuttora formalmente vigente, è stato
progressivamente ridicolizzato dalla svalutazione monetaria: l'ammontare
della cauzione varia infatti dalle tremila alle quindicimila lire, a seconda
dell'importanza della sede. Un realistico aggiornamento degli importi è
improponibile: si realizzerebbe una barriera censuaria all'accesso alla
professione, evidentemente inaccettabile sul piano costituzionale.