IRLANDA 2001

Appunti da un viaggio in camper, di Ugo Bechini . Altri appunti: Islanda 1999 , Medio Oriente 2000 . Alla homepage

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Che le città del mondo comincino ad assomigliarsi tutte, farcite come sono di Benetton Stores e fast foods, è ormai un luogo comune, ma per le periferie l'omologazione è ormai completa. Il vecchio caro Carpento, glorioso camper su meccanica Ford Transit Diesel del '76, lento ma a suo modo solenne, ci sta portando in Irlanda e, se non ho sbagliato strada, quella al di là del guard-rail dovrebbe essere la banlieu parigina. Agli 80 di crociera c'è tutto il tempo per esplorare il paesaggio: dove diavolo sono finiti gli ipermercati Casino (fornitissimi di biscotti Belin, per i prevedibili lazzi dei miei concittadini genovesi), le insegne del Pastis, gli chevrons in campo rosso della Citroen? McDonalds, Metro, Ikea, Lidl, Volkswagen, Scania: potrebbe essere Genova (la Valpolcevera, per essere esatti) oppure Atene, come anche Stoccolma. Se vogliamo annusare un poco di grandeur dobbiamo accontentarci dei nomi degli svincoli: Fontainbleau, Versailles, Saint-Cyr.

Una disavventura familiare ci ha impedito di far programmi sino all'ultimo, ma questo è uno dei grandi, insostituibili lussi del camperista: giri la chiave e la strada è tua. Resterebbe il problema del traghetto, ma qui soccorre Internet: la prima settimana d'agosto, nella notte tra giovedì e venerdì, il sito Irish Ferries offre ancora un posticino sulla nave del lunedì successivo, da Cherbourg (Francia nordoccidentale) per Rosslare (Irlanda sudorientale). Non c'è la cabina ma questo sarebbe pretender troppo: compriamo il biglietto con la carta di credito. A Cherbourg sorge un problema: alla tizia del check-in la prenotazione non risulta; per un controllo ci vorrebbe un pezzo di carta che io non ho (per un motivo in verità molto semplice: a casa non ho mai avuto la stampante). OK, nella fretta sono stato un poco imprudente, ma ci sono tanti modi per verificare: il nome, la targa del veicolo o la carta di credito impiegata, di cui posso mostrarle l'originale. La signora è irremovibile: nave piena, restate a terra. La prego quindi di contattare il quartier generale di Dublino per vedere se si può fare qualcosa, ma si rifiuta (ed è l'unica cosa che proprio non le perdono, mentre sul resto sono pronto a riconoscere la sua onesta parte di ragione). Chiamo allora la compagnia in Irlanda col mio GSM, e nel giro di qualche decina di secondi si spalanca per noi il portellone del Normandy: mi basta recitare data di nascita e targa del camper.

Un vero peccato, questo stupido atteggiamento del check-in di Cherbourg, perchè per il resto il viaggio con Irish Ferries scorre piacevole: il Normandy è vecchiotto ma comodo, hanno anche il mago per intrattenere i bambini, il ristorante di bordo (il Renoir ) è passabile, per colazione ci sono i pain-chocolat tiepidi e poi, che diamine, è pur sempre una nave irlandese, e quindi non manca il pub di bordo con fiumi di Guinness alla spina. Metto subito le mani avanti: non sono un fan della celeberrima stout dublinese e soprattutto non ho la capienza apparentemente illimitata degli indigeni; cionondimeno debbo riconoscere che la differenza tra una Guinness in bottiglia e quella servita dagli espertissimi pubtenders dublinesi si sente, eccome; non ho provato però la bottiglia di nuovo tipo, che promette faville. Non mi pare invece clamorosa la differenza tra i pubs irlandesi e quello sotto casa mia, lo storico Britannia di Genova, ma come detto non faccio testo in materia. In Irlanda ci sono comunque altre stout che meritano un assaggio: segnalo la popolarissima Murphy's e la più rara Black Biddy, prodotta dalla Biddy Early Brewery ad Inagh, vicino Ennis (contea di Clare). La Guinness viene talora proposta freddissima, versione cosiddetta Ice Cold; diventa di gusto più facile, naturalmente, più adatto ai palati allenati (si fa per dire) a Bud e Corona, ma che senso ha? Anche chi (come me) non ama particolarmente la stout non mancherà comunque, dopo aver reso il dovuto omaggio alla bevanda simbolo d'Irlanda, di scoprire birre di suo gusto; io prediligo le ambrate ed ho trovato davvero ottima la Smithwick's.

Lo sbarco in Irlanda è accompagnato da grandi aspettative. Cito così, alla rinfusa: Joyce, Yeats, Beckett, Shaw, Heaney (Nobel 95). E poi Swift, gli U2, Sinead O'Connor, Enya ed il celeberrimo (almeno nei Paesi di lingua inglese) Roddy Doyle. Provate a toccarmi (indifferentemente) Ulysses o Nothing Compares to You cantato dalla O'Connor e ve ne accorgerete. E poi ci sono i grandissimi film d'ambientazione irlandese, da Un uomo tranquillo a The Dead, l'ultimo capolavoro di John Huston. Solo i Cranberries non mi fanno né caldo né freddo. Dietro tutti questi artisti non può che celarsi un Paese meraviglioso.

La copertina di Newsweek del 20 agosto 2001 offre una chiave di lettura opposta e crudele. Le arti irlandesi, recita lo strillo, hanno tratto ispirazione dalla miseria. Ed ho proprio paura che l'autrice della cover story, Carla Power, abbia ragione. L'Irlanda è immediatamente, visibilmente, un Paese di ancora non cicatrizzata povertà. Basta un rapido giretto per le vie di Cork per farsene una prima idea: i bambini che mendicano hanno gli occhi azzurri ed i capelli rossi. Secoli di dominazione inglese, a tratti feroce, hanno lasciato il segno anche nel paesaggio irlandese: i paesini semplici e colorati sono divertenti e fotogenici, naturalmente, ma quelle che le guide turistiche chiamano di solito "tracce di un glorioso passato" sono alquanto scarse. E non è un caso. Galway, ad esempio, è una magnifica cittadina, accogliente, molto divertente e con ottimi ristoranti: vale senz'ombra di dubbio una sosta non troppo frettolosa. In una piazza una stele commemorativa omaggio del comune di Genova (astenersi please dalle battute sui genovesi ed i regali: sono già state fatte tutte) ricorda la visita di Cristoforo Colombo del 1477: si ipotizza che in città egli abbia potuto ascoltare le leggende medioevali su san Brendano il Navigatore, che forse gli furono di stimolo per la sua avventura di quindici anni dopo, ed è documentata una sua sosta di preghiera nella bella Collegiata di San Nicola, oggi chiesa protestante, da non confondersi con l'orripilante cattedrale cattolica, pure dedicata a san Nicola. Oltre alla Collegiata e ad un simpatico palazzetto oggi sede di un banca non c'è in verità molto altro da vedere a Galway, ma quel che impressiona è apprendere il perché: nella cinta urbana vi erano (a tacer d'altro) altre quattordici chiese, fatte radere al suolo da Cromwell nel 1652; la Collegiata si salvò in quanto venne adibita a stalla.

Forse è proprio il desiderio di risalire ad un passato più remoto, grandioso e (soprattutto) inequivocabilmente a-britannico, a spiegare la considerazione di cui gli irlandesi circondano il sito, peraltro splendido, di Newgrange. Le tombe dell'area di Newgrange hanno circa 5000 anni e sono quindi di qualche secolo più antiche delle piramidi d'Egitto (stando almeno alle datazioni classiche). Si tratta prevalentemente di strutture del tipo detto a corridoio, grandi tumuli circolari percorsi da uno o più corridoi che conducono a camere ricavate all'interno del monumento; in verità la stessa definizione di "tomba" è alquanto convenzionale, dato che non vi sono tracce sicure di un uso sepolcrale. Il corridoio del tumulo principale è disposto in modo tale che il sole dell'alba del solstizio di inverno colpisca la camera interna. L'allineamento solare dei monumenti megalitici non è certo una novità: basti pensare al sito inglese di Stonehenge (che però, come qualunque irlandese vi preciserà all'istante, è meno antico). La visita regala cionondimeno qualche emozione. L'inesorabile accorciarsi delle giornate doveva suscitare nell'uomo di cinquemila anni fa un'angoscia insopportabile; il solstizio, che preannuncia il rialzarsi del sole sopra l'orizzonte, era con ogni probabilità un momento fondamentale della vita delle comunità umane dell'epoca. D'altra parte anche la corrispondente festa dell'antichità classica, il Natalis Solis Invicti che si festeggiava il 25 dicembre, era talmente importante da aver suggerito ai cristiani del quarto secolo di sovrapporvi la festività attuale. E' lecito immaginare come una folla convenuta anche da luoghi lontani salutasse la luce che attraversava il corridoio di Newgrange come la promessa che il mondo non sarebbe sprofondato nel buio, nel freddo e nella morte.

La morte, appunto. Nell'Ottocento l'Irlanda fu il palcoscenico di uno degli eventi più drammatici della storia europea di quel secolo, la Grande Carestia, dovuta ad una malattia che devastò le coltivazioni di patate, unico cibo che i contadini irlandesi potessero permettersi. Mai nella storia una carestia ha ucciso una più grande percentuale della popolazione di un paese. Non solo: spinti dalla fame, a centinaia di migliaia tentarono l'avventura al di là dell'Atlantico: per moltissimi il viaggio fu fatale, ma quanti sopravvissero alla traversata, ed alle drammatiche condizioni di vita che attendevano i nuovi immigrati in America, diedero vita alla poderosa comunità irlandese d'oltreoceano. Mentre in Irlanda si moriva letteralmente di fame, l'isola esportava verso la Gran Bretagna importanti quantitativi di grano, bestiame ed altre derrate pregiate, che i contadini irlandesi erano troppo poveri per poter comprare. Come ha osservato l'economista Amartya Sen, premio Nobel 1998, carestie di questo tipo sono indissolubilmente legate a situazioni di tipo coloniale: prova ne sia il fatto che l'India, paese povero e dalla popolazione sterminata, non ha mai dovuto fronteggiare carestie dopo l'indipendenza.

E' trascorso oltre un secolo e mezzo, ma la ferita è ancora viva. Non c'è nulla di esagerato in ciò, solo che si consideri che la popolazione irlandese è tuttora meno numerosa di quanto non fosse prima della carestia, e che per oltre un secolo l'Irlanda ha perduto, per via dell'emigrazione, una gran parte degli uomini validi, così compromettendo le proprie possibilità di sviluppo. L'immagine dei convogli inglesi che trasportano il cibo dall'Irlanda alla fame verso la ben nutrita Gran Bretagna resta un punto fermo dell'immaginario collettivo irlandese, così come il disinteresse dei governanti inglesi per la sorte dei loro sottoposti irlandesi, nei cui confronti non mancarono mai di mostrare il più profondo disprezzo. La carestia veniva correntemente spiegata con una pretesa atavica pigrizia degli irlandesi; Charles Edward Trevelyan, responsabile all'epoca del Tesoro inglese, giunse ad attribuire una parte della colpa alle donne d'Irlanda, "le cui capacità culinarie di rado vanno al di là della lessatura di una patata". Rileva Amartya Sen che l'affermazione ha portata storica, giacché è davvero raro che un inglese abbia occasione di svolgere opera critica internazionale in campo gastronomico (Development as Freedom, New York 1999, pag 175 dell'edizione tascabile Anchor Books, New York 2000).

Tutto questo aleggia ancora sullo sfondo delle contraddittorie relazioni angloirlandesi: la Gran Bretagna è vicino troppo odiato per poter dimenticare, ma troppo importante (e troppo vicino) per poterne prescindere. A proposito: se viaggiate utilizzando la Guida Mondadori, non cercate traccia del National Famine Memorial, poco ad ovest di Westport: le guide Mondadori sono una traduzione delle inglesi Eyewitness Guides della Doring Kindersley e, guarda un po', sorvolano. Non è un problema di edizioni: quella che avevamo con noi era di due anni posteriore all'inaugurazione del Memorial, ed aggiornatissima sotto ogni altro profilo. Oooops. Il Memorial merita invece qualche istante di sosta (è proprio sulla strada costiera): la scultura metallica della nave della morte è emozionante come poche altre. Le librerie irlandesi sono piene di volumi sulla Grande Carestia ma questo, ho appreso, è un fenomeno recente: sino a poco tempo fa, la coscienza collettiva irlandese sembrava non avere ancora metabolizzato l'evento. Forse solo il recente sviluppo del Paese ha consentito di guardare alla fame ed alla povertà dell'Ottocento come ad una fase ormai consegnata alla Storia.

Si è molto parlato dei successi economici irlandesi, celebratissimi anche da Silvio Berlusconi; proprio durante le nostre vacanze, il 9 agosto, una doccia fredda ha gettato un'ombra sull'epopea della "Tigre Celtica": la Gateway di Dublino ha chiuso per mancanza di commesse. Non era una fabbrica qualunque: qui Bill Clinton, allora presidente degli Stati Uniti, e Bertie Ahern, Taoiseach d'Irlanda (titolo gaelico che equivale grossomodo a premier) per la prima volta nella storia utilizzarono la firma elettronica per concludere, in modo completamente paperless , un trattato internazionale; si utilizzarono i prodotti di una softwarehouse locale, la dublinese Baltimore. Era il 4 settembre 1998. Anni di successi economici sono giunti al capolinea? Probabilmente no: troppo evidenti i vantaggi strategici che l'isola può vantare, a cominciare da quello linguistico, che consente al personale irlandese di integrarsi in modo molto immediato nel tessuto produttivo delle multinazionali basate negli USA. Senza poi considerare la poderosa "riserva naturale" rappresentata dai lavoratori qualificati irlandesi emigrati nel Regno Unito, spesso disponibili ad accettare posti di lavoro meno retribuiti purché in patria. Resta il fatto che troppi degli insediamenti attirati in Irlanda dalle favorevoli condizioni fiscali e normative non sono strategici per le case madri, né dal punto di vista tecnologico né da quello industriale e quindi, come nel caso Gateway, rischiano di scomparire alla prima congiuntura sfavorevole senza lasciare dietro di sé tracce significative. Gli irlandesi lo sanno perfettamente, e da tempo cercano di privilegiare lo sviluppo di tecnologia locale rispetto al proliferare di "fabbriche cacciavite". Comunque sia di ciò, l'euforia di quel 4 settembre 1998 è evaporata per sempre.

Non siamo stati nel Nord, e quindi non ho nulla da dire sull'argomento: le notizie di queste settimane (ottobre 2001) sembrano peraltro indurre ad un cauto ottimismo. Con l'Ulster ho però un conto in sospeso. Un paio di volte in Palestina, mentre mi esibivo nel consueto show di repertorio dell'europeo idiota che si crede molto realista ed illuminato (Beh, ma insomma, possibile che non si trovi un modo di convivenza con gli israeliani, in fondo le vostre economie hanno bisogno l'una dell'altra ...) ho subìto, per colpa dei nordirlandesi, il micidiale contropiede arabo: Voi europei cristiani sapete bene come vanno queste cose, visto che in Irlanda cattolici e protestanti si sparano da trent'anni.. .

Galway ed i suoi dintorni sono i posti più belli che abbiamo visitato. A sud si trova il leggendario Burren, aridissimo ma affascinante, chiuso dall'haut lieu panoramico d'Irlanda, le famose scogliere di Moher. Nulla di strepitoso, ma valgono senz'altro la visita; davvero molto carino il vicino paesino di Doolin, con un campeggio affacciato sull'Atlantico ed un paio di eccellenti ristoranti (noi siamo stati al Bruach na hAille , riservato e romantico). Forse la località di mare più affascinante che abbiamo toccato, insieme alla più celebre Kinsale, nella costa meridionale, poco a sud di Cork. Località di mare non vuol dire necessariamente località balneare, almeno per i nostri standards, diciamo così, termici; ciò non toglie che indigeni di tutte le età sembrino fare il bagno di tutto gusto.

Immediatamente a largo di Doolin sono le famose isole Aran, i cui prodotti a maglia occhieggiano inesorabili in tutti i negozi di souvenirs irlandesi. Quella del souvenir, a proposito, è un'industria che meriterebbe una piccola iniezione di fantasia: ogni bottega è assolutamente identica alla precedente, ed alla ottava visita ho cominciato ad invidiare le imperturbabili signore e signorine che sondano metodicamente la mercanzia, con pazienza inesauribile, nella speranza di scovare qualcosa di nuovo. Sugli onnipresenti golfoni delle Aran non mi sento di dare consigli: qualche successo, al nostro ritorno, ha avuto la marmellata di arance con irish whiskey, ma anche qui non garantisco in proprio, dato che non sopporto la marmellata d'arance. L'irish whiskey in sè non mi pare una prelibatezza: anche i migliori non reggono il confronto con un buon scotch.

A nordovest di Galway altri paesaggi molto interessanti, nel celebre Connemara e la Joyce Country: sono i paesaggi elevati alla gloria di Hollywood dall'indimenticabile film di John Ford The Quiet Man (Un uomo tranquillo, USA 1952), con John Wayne a Maureen O'Hara. Indimenticabile non solo per i suoi pregi cinematografici (indiscutibili) ma anche perchè non cesserà di perseguitarvi per tutta la regione: qui la spiaggia della corsa di cavalli, là il ponte, quassù la casetta. Se volete affrontare la cosa in modo scientifico, c'è persino una guida apposita. Nella simpatica cittadina di Clifden (altro campeggio piacevole) abbiamo avuto la fortuna di incocciare, del tutto casualmente, nell'annuale mostra dei ponies del Connemara : se vi piacciono i cavalli, è di sicuro l'evento che fa per voi, ma anche se non avete un particolare debole sul fronte equino si tratta di una buona occasione per osservare uno spaccato di vita indigena senza dare troppo nell'occhio. Non che di solito gli irlandesi siano poco avvicinabili, tutt'altro: abbiamo incontrato ovunque gente affabile e cordiale, senza mai percepire fastidio od ostilità. Anche se l'inglese non è il vostro forte, la barriera linguistica non si farà sentire più di tanto: non essendo ingessati, a differenza dei britannici, nel ruolo di vestali della lingua inglese, gli irlandesi faranno in modo di capire.

La preferenza per la regione di Galway sembra essere condivisa anche da Fiorella Mannoia, che ricorda questi luoghi nel suo Il cielo d'Irlanda: dal Donegal alle isole Aran / e da Dublino sino al Connemara / dovunque tu stia viaggiando ...

La strada da Galway a Dublino offre almeno due tappe che raccomando con calore. La prima è la cattedrale di Clonfert , un memorabile esempio di architettura romanica; non sembra essere in vetta alla hit parade delle mete turistiche irlandesi, e quindi la visita può essere per una volta molto tranquilla. Ho potuto persino sfoggiare il mio buon vecchio cavalletto per qualche foto d'interni come si deve. Poco a nordest il celebre ed emozionante insediamento monastico di Clonmacnoise, con le sue altissime croci scolpite.

Nelle immediate vicinanze di Clonmacnoise, non un must come le precedenti ma pur sempre una tappa curiosa (peraltro perfetta se si hanno bimbi al seguito) è il Bogland Train : una visita guidata a bordo di un trenino ad una delle più grandi torbiere d'Irlanda (e d'Europa), tuttora sfruttata industrialmente: alimenta una vicina centrale elettrica. Il trenino effettua una sosta nel corso della quale i visitatori possono raccogliere qualche pane di torba utilizzando gli attrezzi tradizionali.

La campagna irlandese è verde come da copione e scarsamente popolata; non vi sono particolari problemi di sosta e di rifornimento, ma se desiderate fermarvi in un camping ne trovate ovunque, generalmente ben organizzati e dal prezzo ragionevole. All'ingresso dei campeggi si trovano spesso avvisi complicatissimi: divieto di accesso alle roulottes con due assi, divieto alle roulottes trainati da mezzi diversi dalla autovetture, la direzione si riserva di domandare l'esibizione delle ricevute dell'elettricità di casa (sic). La spiegazione è semplice: in Irlanda esiste un'importante comunità di nomadi, i cosiddetti Travellers, irlandesi purosangue ma comunque, come prevedibile, fortemente invisi alla maggior parte della popolazione stanziale; per il dettaglio degli argomenti rivolgersi ad una qualunque sezione della Lega, tanto sono sempre gli stessi. Non è difficile vedere ai margini dei centri abitati i loro accampamenti (dei Travellers, non dei leghisti).

L'unica città di dimensioni tali da richiedere una tattica camperistica ad hoc è Dublino. Noi abbiamo sostato al Camac Valley Camping , bello e non troppo lontano dal centro, ma c'è un problema: l'ultimo autobus dalla città parte verso le 23. Di perdere il meglio della serata dublinese ovviamente non se ne parla neppure. Un taxi? Giammai, onor di camperista lo vieta. Abbiamo raggiunto al mattino il centro in camper, ed abbiamo adocchiato un posto che faceva al caso nostro: a Victoria Quay, sulla riva destra del Liffey, proprio dinanzi alla fabbrica della Guinness, a poche fermate d'autobus dal cuore della città, c'era tutto lo spazio per parcheggiare con agio, ed altrettanto ne abbiamo trovato l'indomani. Pare che di notte non sia un posto raccomandabile, ma poco male: verso sera siamo tornati a recuperare il camper e lo abbiamo portato in pieno centro, a pochi metri da Temple Bar, la zona dei divertimenti: dalle 19 in poi, ad uffici chiusi, non c'è problema. Se qualcuno volesse tentare la nostra stessa soluzione, la ricetta è semplicissima: dal campeggio dirigere verso il centro; dopo la stazione ferroviaria di Heuston (non Euston, che è a Londra) la strada percorre la riva sinistra del Liffey in direzione del centro, mentre l'altro lungofiume è a senso unico verso la periferia. Quando oltrepassate la fabbrica Guinness, visibilissima sull'altra riva, prendete il primo ponte e tornate indietro.

Le attrattive culturali della città non sono moltissime, ma c'è di che riempire una sosta di un paio di giorni almeno. La memorabile biblioteca del Trinity College, le collezioni di ori del National Museum, le case georgiane intorno a StStephen's Green, la sala di lettura della Biblioteca Nazionale descritta nell'Ulysses, la Christ Church Cathedral, sono tappe da non perdere. Il tanto decantato shopping in Grafton Street non ha alcunché di memorabile; in compenso basta attendere il calar del sole per scoprire che epiteti come Northern Gomorrah o Ibiza In The Rain sono tutt'altro che usurpati.

Le strade irlandesi sono mediamente alquanto strette, ma non al punto da innervosire un camperista ben agguerrito. Il problema semmai è il fondo (non l'asfalto, proprio la preparazione del tracciato): neppure in Kurdistan ho avuto tanti problemi di beccheggio. La guida a sinistra, che sperimentavo per la prima volta, non è affatto un problema: con una vettura continentale si soffrirà magari la scarsa visibilità in fase di sorpasso, ma con il mio caro vecchio Carpento il sorpasso non è certo un parametro prioritario. Ho commesso qualche errore in situazioni di dettaglio, come l'entrata e l'uscita dalle stazioni di servizio collocate sul lato opposto a quello di percorrenza, in cui si finisce istintivamente col far manovra in modo opposto a quella che gli indigeni si aspettano.

La segnaletica, in compenso, è un vero spasso. Capire se le distanze sono in chilometri o miglia è roba da chiaroveggente. Ho una sola dritta da offrire: se una delle indicazioni è frazionaria, tipo 11 ½, tutta la batteria di cartelli è in miglia. Certe volte sembra di essere finiti in mezzo ad un happening del Living Theater. SLOW! (piano!) ammonisce una scritta sull'asfalto; pochi metri dopo a qualcuno è parso evidentemente opportuno rinforzare il concetto: SLOWER!! (più piano!!). I cartelli hanno momenti di rara grazia: la prima volta che ho incontrato lavori in corso ho pensato per un attimo che si trattasse dell'insegna di un club di golf, tanta è la classe con cui la silhouette impugna l'attrezzo; per invitare a fare attenzione ai bambini, viene scomodata una grafica più opulenta di qualunque déjeuner sur l'herbe. Frequenti avvisi rettangolari annunciano l'ingresso in una Community Alert Area. Le spiegazioni che ho raccolto in loco sull'oscura formula sono vaghe e, mi è parso, alquanto imbarazzate: si tratterebbe di una sorta di rete di privati cittadini incaricati di sorvegliare e di allertare la Garda, la polizia, in caso di necessità. C'è di peggio, comunque: le auto della Garda portano ben visibile l'indicazione di un numero verde definito, inequivocabilmente, Garda Confidential; informa il sito web che le delazioni sono raccolte da un registratore, così che nessuno potrà far domande. Tutte le polizie del mondo si sono sempre avvalse di informatori anonimi, ci mancherebbe, ma vantarsene così mi sembra di gusto opinabile. Ed il 117? Beh, siamo onesti, lo stile è diverso .

Non c'è nulla da ridere, invece, sui numerosi cartelli che invitano i turisti a tenersi alla larga dal bestiame e dai luoghi da questo frequentato per timore del cosiddetto foot and mouth , l'afta epizootica. Al nostro arrivo le ruote dei veicoli in entrata sono state disinfettate, ed ogni approdo, anche il più modesto, è provvisto di scorte di disnfettante e spazzole per le scarpe. Chi, al posto degli irlandesi, non cercherebbe di tenere i propri allevamenti al riparo dall'epidemia? Anzi: in bocca al lupo! (sta bene augurare in bocca al lupo ad una pecora? boh ...).

In Irlanda la precipitazione media è di un metro all'anno, e se contate di scapolarne la vostra onesta porzione il meno che si possa dire è che il calcolo delle probabilità è contro di voi. Se la pioggia mette a dura prova i vostri nervi, ricordate un detto indigeno: it doesn't rain at the pub! Quale che ne sia la ragione, il pub è un momento centrale della cultura popolare irlandese, e non ricordo film o libro ambientato nell'isola che non gli renda il dovuto omaggio: tra gli esempi più recenti, ricordo con piacere il film di Anjelica Huston Agnes Browne. Ed in effetti le soste nei pubs sono state l'esperienza più divertente del nostro viaggio in Irlanda. Nel pub si trova spesso buon cibo, sempre birre meravigliose, ed alla sera i migliori hanno musica dal vivo talora ottima; ogni guida riporta i celebri indirizzi dublinesi, cui vorrei aggiungere il Mac Diarmada di Doolin ed il Matt Molloy di Westport, dove Realworld (la casa discografica di Peter Gabriel) ha registrato un CD dal vivo che si trova facilmente anche da noi (Music at Matt Malloy's). L'intrattenimento musicale da pub coinvolge irlandesi di tutte le generazioni: è molto simpatico vedere, alla sera, un pubblico dai 18 agli 80 anni seguire con passione la stessa musica, con l'aria di divertirsi un mondo. Se la vostra connessione Internet non è troppo lenta, ho qui per voi un classico in mp3: Whiskey In The Jar . Se ne ricorda anche un'esplosiva edizione dei Metallica.

La ristorazione irlandese è stata un'ottima sorpresa. Nei migliori ristoranti si trova una cucina piuttosto innovativa, che anziché scimmiottare i piatti della tradizione francese ed italiana ne trae ispirazione per riproporre in chiave diversa i prodotti della terra e del mare d'Irlanda. Così un pesce locale, anziché stracotto e strafritto in grassi d'origine incerta, potrà apparire al forno con appena un accenno di aceto balsamico. Non mancano naturalmente i locali pronti a propinarvi spaghetti alla carbonara, ma nei ristoranti di maggior qualità l'omaggio alla scuola italiana è più profondo ed interiorizzato: cotture più lievi, presentazioni più fragranti, aromi mediterranei hanno rimpiazzato le colate di grasso. Qualche nome: il Man Friday di Kinsale, il Kirwan's Lane Creative Cuisine di Galway, il Chapter One di Dublino. Al Chapter One ci è stata servita inoltre una selezione di quattro formaggi irlandesi davvero sublime, di maturazione perfetta: erano Ardrahan, Cashel, Cooleeney e Mine Gabhar. Di quest'ultimo gli irlandesi dicono che si tratta del miglior caprino d'Europa, e non esibite un sorriso ironico: ve ne pentireste dopo l'assaggio. Il Chapter One è uno dei ristoranti più eleganti e cari di Dublino, ma lo strabuzzamento d'occhi del maitre che ci vide salire sul mio vecchio rugginoso camper dopo averci accompagnato tutto scodinzolante all'ingresso (don't you really want a taxi, sir? no thanks, we have our own car) valeva da solo il conto. Un altro indirizzo niente male a Dublino è il Roly's Bistro, nell'elegante quartiere di Ballsbridge, un paio di chilometri a sudest del centro: basta prendere la strada che conduce all'imbarco del ferry per Holyhead e lo trovate sulla vostra destra. 

Le tradizioni, però, sono tradizioni e vanno rispettate, quindi se passate da Clonakilty, tra Cork e l'estremità sudoccidentale dell'isola, non ci sono scuse: il Clonakilty pudding, una sorta di sanguinaccio, è lì che vi aspetta. Nelle bettole del luogo saranno felici di prepararvi un misto della due varianti, quella nera e quella bianca.

In generale in Irlanda è possibile trarre qualche soddisfazione persino dalle carte dei vini: le bottiglie francesi sono care, quelle italiane hanno un rapporto qualità-prezzo a dir poco deprimente, ma le proposte cilene, australiane e neozelandesi sono spesso molto interessanti.

Facendo la spesa nel primo negozio che si trova, come capita di solito al camperista, si fanno alcune scoperte interessanti, specie tra le
carni ed i formaggi. Se poi ci si imbatte casualmente in una ditta che affumica i salmoni appena pescati nel fiume a fianco ... OK, OK, scucio un indirizzo: KRD Fisheries (krdfish@eircom.net) a Killorglin (contea di Kerry), proprio sul torrente vicino alla statua della capra (che ci fa la statua di una capra a Killorglin? Discorso troppo lungo, lo troverete sulla vostra guida oppure
cliccate qui ).

Mentre ci incamminiamo verso Rosslare per il traghetto che ci riporterà in Francia, la strada del ritorno ci serba un ultimo regalo: i panorami brulli ed affascinanti delle Wicklow Mountains.