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Recensione: Marcus Miller, Roma

Con la classe di un vero maestro e l'esperienza di un musicista navigato, Marcus Miller ha offerto due ore e mezza di grande spettacolo, nella piacevole cornice estiva del locale romano "La Palma". Il bassista americano è impegnato nella promozione del nuovo lavoro Silver Rain; nel corso della serata, molti brani sono stati estratti dal suddetto album, più alcuni classici immancabili del repertorio di Miller.

Appena arrivato con i miei amici nel luogo del concerto (già mezzo pieno... la serata si è poi rivelata un tutto esaurito), intravedo Marcus che sta cenando con gli altri musicisti della band, all'interno del ristorante. Mi viene la tentazione di andare li a chiedergli un autografo, poi il buon senso (stranamente!) mi ha fatto desistere. In fondo, perchè rompergli le scatole anche mentre mangia?

Mi sono limitato a salutarlo da fuori la porta, e lui ha fatto altrettanto. Un grande. Qualcuno si è addentrato nel ristorante per l'autografo tanto bramato, ma quando la cosa ha iniziato a degenerare, l'organizzatore ha praticamente sbattuto fuori a calci tutti quanti. Ahhh, quanto è invadente la gente!

Lo show è stato assolutamente sublime, se non consideriamo alcuni momenti in cui Marcus si è lasciato andare ad assoli troppo lunghi e alla lunga "stancanti" (per modo di dire), ma è un concerto Jazz e tutto ciò fa parte del gioco. La band era uno spettacolo visivo e sonoro. Tutti si muovevano energicamente (su tutti l'enorme batterista Poogie Bell) e tiravano fuori l'anima dai rispettivi strumenti. Il sassofonista Keith Anderson mi è piaciuto moltissimo. Lui e Marcus si spingevano letteralmente oltre ogni limite, erano uno stimolo reciproco. A volte il groove e l'intensità sprigionata sul palco era disumana. La gente applaudiva spesso - e Miller più volte ha ripetuto "Grazi" (non ho mai visto nessun artista straniero dire correttamente "Grazie"). Patches Stewart, trombettista, è stato come sempre elegante e preciso. Il tastierista Bobby Sparks era quantomeno appariscente. Un cespuglio vivente, con due orecchini larghi sette metri ciascuno e un Fender Rhodes leopardato. Sembrava una sorta di Lenny Kravitz ingrassato di 50 chili. Aspetto fisico a parte, Sparks è stato magnifico, soprattutto nei soli eseguiti con il Mini Moog. Ha dato al sound quel tocco organico, vintage, che non fa mai male, decisamente.

All'angolo del palco c'era il bassista/DJ di cui non ricordo il nome... il suo apporto è stato necessario, ma di certo ricopriva un ruolo secondario. Durante il bis, con il brano "Silver Rain", si è rivelato un buon bassista. Si è prodigato in un duello all'ultimo slap con Miller, davvero niente male. Inoltre, era divertente guardarlo ballare e scherzare con gli altri dello staff durante le canzoni. Che matto.

Una menzione speciale va al chitarrista Dean Brown: uno stile particolarissimo, suoni tenui e mai aggressivi... e una presenza scenica eccellente, quasi esilarante. Un sacco di gente dopo il concerto imitava il suo indimenticabile movimento di gambe.

In definitiva un grande show, con Marcus in grande spolvero soprattutto nel brano d'apertura "Bruce Lee", in "Frankenstein" (cover del classico di Edgar Winter, in cui Poogie Bell ha strabiliato tutti con dei break di batteria a dir poco emozionanti) e nella versione ri-arrangiata di "Panther", molto più Funk rispetto all'originale.

Beh... grazie di essere passato a Roma, Marcus... alla prossima!

Marco Machera

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