Poesia di Antonio Deci

Poesia di Antonio Deci  dal manoscritto di Don Lando Leoncini      Orte (1548-1634)

Da un manoscritto fatto fare dal Conte Mariano Alberti

  

Ottave del Sig. ANTONIO DECIO sopra Orte sua Patria

Fia mai quel di che al tuo superbo seno

Torni scarco di noia, o Patrio nido

Tu che nel tempo gia vie piu sereno

Fosti a me da fanciullo albergo fido

Che dove il Tebro allarga all’onde il freno

Bagnando intorno il tuo famoso lido

Con questi umili, e bassi accenti miei

Gli honor sublimi tuo cantando andrai

  Vedriasi come il nobile, e divino

Sito, e l’eccelse inespugnabili mura

Pria che i sette gran Colli di Quirino

S’alzarono al ciel con sacra humana cura

E che dell’armi il Dio per gran destino

Fondolle con sue man, non gia natura

Poiche come di lor la fama suona

Sembran rocche di Marte, e di Bellona

Sallo (il tuo sen quanto sia forte, e ardito)

Il Tedesco furor, sallo l’hibero

Quando tutto d’Italia il vago sito

Predando aggiunse al gran Romano Impero

E fu da figli tuoi vinto, e schernito

Or con l’astutie, et hor col petto altero

Che appena visto il tuo bel seno intorno

Vergognoso fuggì con rabbia, e scorno

 

Poesia di Antonio Deci  dal manoscritto di Don Lando Leoncini      Orte (1548-1634)

Da un manoscritto fatto fare dal Conte Mariano Alberti

 Poesia di Antonio Deci  dal manoscritto di Don Lando Leoncini      Orte (1548-1634)

 

 

 

 

 Dove la Dea che la gran quercia honora

D’aprirne il grembo alle sue gratie degna

Quanti popoli, e genti ad hora ad hora

Coll’alma inver di te d’invidia pregna

Tremar fur viste poi ch’allaria fuora

Spiegasti tu la vincitrice insegna

E con le fasce di dolor dipinte

Dietro venirti, e soggiogate, e vinte.

Cantando disse il gran Cantor di manto

Che le tue schiere in quell’età felici

Ai gran Duci latini aggiunse accanto

Turno pria coi gran Duci suoi nemici

Piu non lagnarti, o cara patria tanto

Se poco avesti i scrittor saggi amici

Poscia che l’honor tuo che il ciel ti dona

Nella gran Tuba di Virgilio suona

Direi che in te sua ben matura spica

Scopre Cerere, e Bacco il suo liquore

 E come allor che nostra Madre antica

Riveste il Manto di novel colore

Le ninfe tue su per la sponda aprica

Stan nel Tebro cantando ognor d’amore

E in mezzo l’onde per ischerso, e gioco

Van tutte ardendo d’amoroso fuoco

Ne tacerei del tuo famoso lago

Onde il buon Veronese empì le carte

E direi come il tuo bel colle vago

Fra due valli gentil s’erge in disparte

E come il gran Pastor fatto presago

Che d’ogni gratia il ciel bramava ornarte

 

 

 

Da un manoscritto fatto fare dal Conte Mariano Alberti

 Udito ch’ebbe di tua fama il suono

Le chiavi and’apre il ciel ti die per dono

Tutti fiumi direi fontane, et acque

Ch’entro rinchiude al fortunato seno

E come che t’ornasse al cielo piacque

L’un lato il Tebro, e l’altro un rivo ameno

E come in te fior sempre, e frutto naccque

Suave, e tuo temprato aere sereno

Che se mai Citerea ne udisse il grido

Lascerai Papho, et Amatunta, e Gnido

 Poche fiate è gran rivolto il sole

Ch’io pur rividi i dolci tuoi sentieri

Ahi lasso, e la tua saggia, e dotta prole

Scema, e mancar i merti tuoi primieri

Vidi, e le strade abbandonate, e sole

Senza i giovani tuoi leggiadri, e altieri

A quai gia diede ahi morte acerba, e dura

Il Gallico terren la sepoltura

Alza o nobil città l’invitta fronte

E mira si suono, i tuoi gia tanti honori

Fu chiaro invito che tue glorie conte

Mancherian tosto, e i vecchi tuoi splendori

Quando non so perche l’altero fronte

In mezzo di notturni, e foschi orrori

D’alto cadendo con orribil grido

Fece tutto tremar del Thebro il lido

Hor di Romolo il Colle hera d’Augusto

Un lustro omai tra legal opre accanto

Mi tiene ognor d’alta fatica onusto

Lungi da Phebo, e dal suo Coro Santo

Ond’è pur tempo, e fia lo dovere el giusto

Ch’io vi rivegga, o Muse, e tu frattanto

Che a te ritorni, o natio colle aprico

Siati il fato, e fortuna, e il ciel amico