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PAOLO RIZZI
E' un arguto ritorno al primitivo: una fiaba reinventata con gioiosa infantile freschezza sul filo di un amorevole stupore
VERA MENEGUZZO Una pittura di tensione quella diValter Pizzato, che sotto la vernice di colori ardenti, sfarzosi, allegri rivela l’incubo del destino, la dimensione misteriosa dell’esistere, l’angoscia della distanza, il vuoto della solitudine, forse l’attesa di un evento extraterrestre vede e giudica, e allude a soluzioni. Una violenza coloristica per un mondo che non c’è, ma più vero e stravolgente del reale. Pizzato procede in un impegno di ricerca su come mediare, attraverso una tecnica non tradizionale, quel mondo della psiche che da millenni si interroga sul suo significato. Lo sostiene il tempo dell’immaginazione per ritrarre una coscienza dellecose che và al di là del vissuto, emigra nelle stratificazioni della mente e del sogno per rirnandarne la pregnanza più inesplorata e oscura. Già la tattilità della sua pittura entra nel campo creativo non come la sostanza informe da formare, materia ottusa da sensizzare, ma come un progetto già in atto di forme e di emanazioni. Si dipanano vedute luminosissime, supportate da una consistenza materica che si risolve in bassorilievi. Campi di grano pervasi di una gioia solare dove svolazzano quaglie multicolori e si aprono corolle che trasudano luce. Ma quegli steli non si cullano al volgere del vento, restano immobili come barriere ad un orizzonte di speranza, gli uccelli si irrigidiscono in sagome da richiamo e i fiori aprono le fauci di un istinto carnivoro. Cosi non è gioia quella dei girasoli, pennellati a ventaglio, simili a elementi di un ingranaggio che stritola l’affanno del giorno, corone che paiono roteare verso un quinto punto cardinale, attratte da un incollocabile campo magnetico. Una pittura che più che rappresentare, crea situazioni. Con la visione di esterni in cui scherzo e paradosso si attraggono. Dove i bordi di una piscina, cosE apparentemente giocosi e lieti, si popolano di volti simili a figure disneyane o a palloncini gonfi di elio, e il tavolo per la bibita e la partita a carte ritaglia spazio all’assurdo. Figure di uccelli maledetti invece, ne “L’uomo e la droga”, custodi di un sogno che non può mettere ali. A volte, nella tela, irrompe un turbinio di cavalli, ma gropponi e garetti e lombi si intrigano in un di’spositivo meccanico, e quella vitalistica e spontanea irruenza soccombe alla tecnologia che legifera al mondo. Più sereno l’autore nei tagli paesaggistici che appaiono approntati per la contemplazione del bello. Regioni della Scozia pezza te di case tte candide dai tetti purpurei, oppure profili di fiordi dove si danno convegno le storie dei Trol. Ma forse è solo una pausa, perché subito ilpaesaggio muta, e al posto del verde squillan te, si apreuna radura di sabbia, si accampano montagne dal volto aguzzo, e un albero schele trito piange la perdita dei verdicapelli. Rovine di civiltà passate si consumano sempre più sotto gli occhi di lune indifferenti. Per questo, la natura si ribella e, dalla bocca di vulcano, erutta tutto il veleno delle sue viscere offese. Dove sono gli uomini della terra che si arrampicano sull’albero della cuccagna dell’amore e dell’odio? Non è facile puntare la scala verso il cielo, quando barricate di maschere lo offuscano. Appaiono, sintetizzate in profili inespressivi, sagome di cartone, sforzate in una in tesa atona. Pizzato crea sempre una separazione fra i due volti dai colori contrastanti,una sezione di terra di nessuno dove, a testa o croce, si può decidere l’incomunicabilità o il dialogo. Spesso si sorteggia la croce. Ma la pittura di Pizzato è piena di entrate e uscite. Non esiste grigiore Kafkiano, ma una salvifica condizione preferenziale di innocenza primigenia. Lo spazio di vita è anche oltre. E allora perché non esplorare in paesi ultra terreni? Al di là della bolla d’atmosfera, nella notte di soli e di stelle, vagano presenze con lampade d’occhi che vedono il tutto. Sono figure che il pittore appena tratteggia, ma emanano un fluido incomprensibilmente consolatorio. Fluttuano come legate al cordone ombelicale del nostro desiderio della loro esistenza. Non caratterizzate in forme e dimensioni, forse per dare la possibilità a chi le guarda di abbigliarle delle personali speranze. Investirle di un potere capace di individuare il virus del nostro male di vivere.
GUIDO CROCETTI:
Intenso appagamento regressivo e sottile inquietudine. Sono gli stati dell’umore che accompagnano i movimenti della mente mentre, seduto nel salotto grande della casa-laboratorio di Valter Pizzato, guardo assorto le tante finestre di luce: i suoi quadri. Luce bambina, quella che albeggia sul fare del giorno: pura, limpida, cristallina. Colorata di Autunno.
Ogni quadro è una metafora concreta, un furto di emozioni, pure emozioni, fissate dal genio creativo innocente che non sa e dunque osa. Tanti quadri appesi alle pareti. Tanti luoghi della creatività che narra evocando sensazioni, paure e promesse. Promesse di ordine, di pulizia, di efficenza, fatte da un bambino al padre rapi- to alla vita, al sogno, alla speranza da un destino di morte. Eppure non c’è paura del caos. La tecnica di Valter, plastica e solida, rassicura. Così l’artista non è mai pago e si assume il coraggio dell’illusione che sostiene il rischio insito nella esplorazione della realtà interna ed esterna. Procede allora tra i fiori gialli e bianchi, verdi e rossi, tra gli alberi coperti da un manto sempre inatteso per il variare nelle sfumature e nelle mescolanze dei colori tenui e morbidi: il giallo paglierino, il rosa antico, il verde acqua. I colori della nostalgia e della tenerezza; i colori delle favole che popolano i sogni infantili; i colori del mito e dell’avventura.
Valter propone la luce che penetra e sconfigge il buio. La luce dei colori contro il buio della morte, il buio dei fantasmi, il buio della paura e delle perdite. A volte questi temi emergono nei contenuti e nelle forme. Volti e paesaggi, fiori ed animali talmente essenziali da essere maschere di se stessi. Maschere mute, ferme, inquiete. Più spesso campeggia la poesia della spontaneità infantile. Un dono alla vita per chi si avvicina ad un quadro di Valter. Un dono di spontaneità in un mondo di mascheramenti. Essere razionali e ragionevoli è l’imperativo odierno a cui Valter contrappone un sorriso di piena luce colorata: i suoi qudri. E il sorriso del bambino che vuole riprendere in sé il padre, allontanato dai reciproci giochi creativi dalla severità imponderabile del destino. In fondo cercare le proprie radici è tendere alla conquista della terra, della sua linfa vitale e del cielo, della libertà infinita carica dei colori dell’arcobaleno di un’aurora autunnale.
Guido Crocetti Università “La Sapienza” Roma
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