Monza

 
 

 antiche unità di misura

 

 
Nel 1570 fu pubblicata a Venezia la «Historia universale» del Domenicano milanese Gaspare Bugatti (1521-1588). Nella sezione riguardante le innovazioni introdotte nelle unità di misura dai Longobardi l'Autore, a tale proposito, descrive la situazione della Milano del suo tempo. «Con lode nostra, e della Città adunque, queste misure lineari, e cavi si conservano in pietre dure in un canto della piazza de' mercanti, e non sol in Milano, ma altrove per lo Stato, come ancho ho veduto in Monza [...] quantunque le nostre misure, hormai meritarebbero d'esser riposte in più honesto luogo, e d'esser riformate, e rinovellate [...]». Ci sono poche speranze di rintracciare i campioni di quelle antiche misure milanesi perché Don Angelo Fumagalli (1728-1804) in «Le vicende di Milano durante la guerra con Federico I imperatore» nel 1778 scrive: «Una rozza e trascurata pietra, in cui sono cavate tre differenti misure, sta per terra avanti l'uffizio detto dei Panigaroli alla piazza dei Mercanti. Sarebbe questa la misura di pietra, della quale parlano le nostre consuetudini?». Antonio Ceruti (1830-1918) ci dice che nel 1868 quella pietra non esisteva più (Miscellanea di Storia Italiana, tomo VII, Torino, 1869).
 
Dunque per inseguire alcune delle unità di misura analoghe a quelle viste da Padre Bugatti dobbiamo ricorrere agli studi di alcuni storici monzesi. Dalle «Memorie storiche della città di Monza» del Prof. Giuseppe Ripamonti pubblicata a Monza nel 1841, opera basata sugli scritti del Canonico Antonio Francesco Frisi (1733-1817), apprendiamo che «In fronte alla facciata del palazzo della comunità (sotto i portici del quale si fa il mercato del grano, secondo lo statuto) vedesi un gran sasso entro cui trovansi varie cavità per la diversa legale misura dei grani suddetti; e presso il luogo pio detto Convenio si custodì lungo tempo una specie di stajo o misura di bronzo con due manubri [...]».
 
 
Oggi il palazzo della comunità o Arengario della città di Monza lo si trova facilmente in pieno centro storico. Mentre il luogo pio detto Convenio è la prima e più antica casa degli Umiliati del terzo ordine di Monza, già attiva all'inizio del XIII secolo. Il primo documento relativo agli umiliati è del 1235 in cui sono denominati "fratres de burgo Modoetie", denominazione che in seguito verrà modificata in "fratres humiliatorum de burgo Modoetie". Alle origini gli «Umiliati» erano cristiani che intendevano servire Dio in umiltà seguendo i dettami della Chiesa primitiva, con una vita da condurre in forme povere e semplici. Alla metà del secolo successivo il Convenio erige un ospedale intitolato a S. Bernardo. Nel 1576 l'ordine degli Umiliati viene soppresso, ma l'ospedale S. Bernardo (che assieme ad altri ospedali formerà il S. Gerardo) e il luogo pio detto Convenio, continuano la loro attività di beneficenza ospedaliera ed elemosiniera fino alla seconda metà del Settecento. É bello constatare che nell'attuale museo civico di Monza «Musei Civici Monza - Casa degli Umiliati» sono conservati entrambi i reperti riguardanti le unità di misura in questione. Al momento della soppressione dell'ordine le case degli Umiliati a Monza erano almeno una decina e l'attuale sede dei Musei, in Via Regina Teodolinda, è l'unica rimasta.
 
 
Per maggiori dettagli sulle unità di misura prendiamo in esame una pubblicazione specifica comparsa in «Archivio storico lombardo: giornale della Società storica lombarda» (1902:A. 29, mar., 31, fasc.33 serie 3, vol.17)  dal titolo «Lo Staio di Monza» dello storico monzese Don Achille Varisco (1840-1909).
Nella nota viene descritto anche un masso di serizzo (simile al granito) di circa cinque quintali nel quale sono stati ricavati tre incavi aventi rispettivamente le capacità di: uno staio, della mina (mezzo staio) e del quartaro. Su una faccia del masso possiamo notare le sagome scolpite di alcuni laterizi come il coppo (coperture) e il mattone.
 
 
Lo staio è un cilindro cavo con due maniglie laterali realizzato con una fusione in bronzo ed ha una capacità di quasi diciotto litri. Si trattava certamente di un'unità campione visto che il suo peso è di circa 17,350 chilogrammi e non è ragionevole pensare ad un suo uso continuativo per misurare delle granaglie o altro.
 
 
Sulla superficie esterna, in bella mostra, tre stemmi. Il primo in alto a sinistra è un'aquila imperiale ed è noto che il primo dei Visconti al quale fu concesso il titolo di vicario imperiale fu Matteo Visconti nel 1294. Il secondo stemma, in alto a destra è il biscione del ramo principale della famiglia Visconti. In basso a destra sotto lo stemma dei visconti uno scudo con uno disco circolare, forse appiattito e reso illeggibile a colpi di martello, che poteva essere lo stemma del Comune di Monza cioè «Luna crescente radiata con semicerchio al mento». Varisco parla di quattro stemmi di cui uno abraso che si trovava in basso a sinistra e, in effetti, se ne può intravedere parte del contorno. L'Autore descrive inoltre altri particolari di scritte ottenute con il getto iniziale, poi parzialmente abrase, che però si possono vedere solo con un esame diretto del manufatto.
 
Si ringraziano per la grande disponibilità e la cortesia dimostrate:  
La Biblioteca Civica di Monza ed in particolare il Direttore Dott. Giustino Pasciuti http://brianzabiblioteche.it/
Il personale dei Musei Civici della città di Monza http://www.museicivicimonza.it/