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Dopo un anno di lavori ecco svelati

i segreti dell'Altare di San Michele


Poi tornerà l'opera di Giulio Campi, ma si susseguono le proposte, alcune fantasiose, per poter mostrare contemporaneamente i capolavori svelati La più suggestiva è quella di un costoso prisma ottico che consentirebbe una loro visione senza spostare la tela


testo e foto di Sandro Rizzi


Un gioiello pittorico medioevale torna alla luce in Cattedrale. C’è voluto un anno di lavori per ricuperare tre fasce di affreschi che erano nascoste dietro i muri di sostegno della facciata dell’altare di San Michele (transetto nord, quello a sinistra guardando l’altar maggiore).

Ma ne è valsa la pena: il ciclo restaurato è una sintesi della storia figurativa locale e copre un periodo tra la fine del Trecento e la prima metà del Quattrocento. Tre fasce, opera di artisti di scuole diverse, che ora saranno motivo di studio, sotto i profili artistico, storico e religioso. A detta degli esperti, è il ritrovamento più importante in Lombardia degli ultimi trent’anni.

Per celebrare i 900 anni del Duomo, già molte sono le opere realizzate: la nuova illuminazione, i restauri delle cappelle del Santissimo e della Madonna del Popolo.


Poi si è passati a quella di San Michele, che racchiude una splendida tela di Giulio Campi: l’Arcangelo Michele che uccide il maligno (1565). Tolta la tela (che non aveva bisogno di restauro), si è passati alla struttura della facciata, ricoperta da un intonaco ottocentesco che nascondeva i materiali originari (stucchi chiari, oro steso a lamine, lacche rosse). Le murature di sostegno della facciata si appoggiavano proprio sul ciclo di affreschi trecentesco e ne impedivano la visione completa.
Seguiti da monsignor Achille Bonazzi, responsabile dei beni culturali della diocesi, e dall’architetto Marco Fasser, della Soprintendenza di Brescia, hanno guidato i lavori gli architetti Eugenio Bettinelli, Lorenzo Jurina e Franco Cristofoletti, con restauratori e personale specializzato. Messa in sicurezza la facciata con un ponteggio ancorato a due pilastri, si è cominciato a rimuovere i muretti di sostegno: impresa più ardua del previsto. Perché sembrava che i muri fossero due invece erano sei. Angusto, anche meno di un metro, lo spazio per muoversi. Infine, con pazienza da certosini, si è arrivati a liberare gli affreschi. E a restaurarli.
Quello che adesso si ammira è un eccezionale esempio della stratificazione che ha caratterizzato la costruzione progressiva, nei secoli, della principale chiesa della nostra città.
A far cadere il velo per scoprire il gioiello è stato Vito Zucchi, sponsor del restauro per celebrare i 60 anni della sua azienda come società per azioni (ma la famiglia aveva un oleificio già all’inizio dell’800). Gli artisti che si sono succeduti cominciarono a dipingere dal basso verso l’alto, mentre in genere si procedeva in senso contrario: agli studiosi il compito di capire il perché e di arrivare a datazioni precise.
Nella fascia più bassa, a grandezza più che naturale, si vedono, da sinistra, l’Arcangelo Michele con in mano una bilancia che schiaccia il maligno, la Vergine con il Bambino, Sant’Aquilina, Santa Caterina d’Alessandria, Sant’Agata. Nella fascia centrale, le virtù, a sinistra la Fede, a destra l’Umiltà, con gli stemmi della famiglia Ala, committente dell’opera. Al di sopra, elemento centrale, l’incoronazione della Vergine e di Cristo contornati da angeli, poi a sinistra Sant’Omobono con un povero ai suoi piedi, un nobile probabilmente degli Ala, un devoto, un altro nobile. In alto, due figure in quello che sembra un cielo azzurro stellato.
Una delle maggiori novità è la presenza di Sant’Omobono: quella ritrovata è la più antica rappresentazione del Santo in affresco esistente in cattedrale. Omobono Tucenghi, “padre dei poveri”, “uomo buono di nome e di fatto” morì il 13 novembre 1197 e, primo laico, fu iscritto nel catalogo dei Santi nemmeno due anni dopo. A lui e a Santa Maria Assunta fu dedicata, nel 1592, la cattedrale. Nel 1643 il Consiglio della città lo volle come patrono della città stessa. “Un Santo laico, eletto come patrono dai laici stessi”, scrisse Giovanni Paolo II al vescovo Nicolini nel 1997, per l’ottavo centenario della morte.
Gli affreschi (e il video) saranno visibili ancora per poco. Poi tornerà sull’altare la tela del Campi che “nasconderà”di nuovo gli affreschi. Come si potrà conciliare la visione di entrambi i tesori? Lo sponsor chiede l’esposizione degli affreschi almeno tre volte l’anno. Monsignor Bonazzi e gli architetti studieranno una soluzione, o tecnica o “a turni”. La soluzione più suggestiva studiata dall'architetto Bettinelli è di installare un prisma orientato in vetro ottico che consentirebbe di "esplorare" in ogni momento gli affreschi dietro alla tela. Una soluzione tecnica possibile, ma particolarmente costosa. Altra soluzione, sostrengono altri tecnici, non sappiamo con quale effettiva compatibilità con la tutela della importante tela di Giulio Campi, sarebbe quella di poter aprire, ovviamente con le dovute precauzioni, come se fosse una persiana, la tela stessa, il che imporrebbe però alcuni aggiustamenti nella architettura della cappella. Altra ipotesi sarebbe un sistema a binario retraibile, per poter portare in avanti la tela e consentire più facilmente la visione degli affreschi retrostanti.


Nella foto: E' stato realizzato a sostegno della scoperta degli affreschi che sono difficilmente visibili nell'assieme e disturbati da travature, una loro immagine virtuale, davvero eccezionale. Eccola, fa bella mostra di sè accanto all'altare di San Michele dove le opera si possono poi vedere dal vivo.




Nella fascia bassa, da sinistra la Vergine con in braccio il bambino, Sant'Aquilina, Santa Caterina d'Alessandria, Sant'Agata. Sopra, la virtù dell'Umilità. La parte più alta è affrescata direttamente sul laterizio senza intonaco: si notano due figure e sullo sfondo un cielo azzurro con stelle



Foto a sinistra, Nella fascia bassa, San Giorgio uccide il maligno. Nella fascia mediana, la presentazione delle Virtù: qui la Fede, accanto allo stemma della famiglia Ala che fu la committente dell'opera (nella stessa fascia, dall'altra parte, l'Umiltà. Il vano vuoto probabilmente ospitava un reliquario. Nella foto a destra, un particolare del ciclo pittorico ritrovato e restaurato dietro la Cappella di San Michele: ecco Sant'Omobono, con la borsa alla cintura e un povero ai suoi piedi. E' la più antica rappresentazione pittorica del Patrono di Cremona e della diocesi che esista in cattedrale.



La gente sfila ed ammira davanti agli affreschi dell'altare di San Michele.

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Il Vascello dedica anche un ampio servizio fotografico ai restauri del vicino altare di San Nicola. Leggi




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di Mer, 10 ott 2007