Conoscenza e ricerche sul territorio o altrove


PRIMA PAGINA CRONACACULTURASPORTLETTEREARRETRATISONDAGGI



Le Hawaii, morte di un popolo per immigrazione

Un dramma che è stimolo a riflettere sulla necessità di difendere la identità della propria nazione e cultura


di Luigi Leonini


Spesso, nei discorsi relativi all’immigrazione e alla società multirazziale,ci si sente dire che le correnti migratorie sono una cosa perfettamente naturale perchè sono sempre esistite e a meno che non siano causate da invasioni violente non comportano per il popolo ospite conseguenze negative. Ci assicurano che la cultura e lo stile di vita degli indigeni non subiranno mutamenti indesiderati perchè i nuovi venuti sono una risorsa economica fondamentale e si adegueranno alle costumanze e alle leggi in vigore. Nutro per questi discorsi una diffidenza istintiva. Una ostilità derivante dall’istinto che avverte un pericolo in questa mancanza di sana paura e di orgoglio. Diffidenza accresciuta leggendo il bel libro dello scrittore Michener intitolato Hawaii.

Si tratta della storia delle isole Hawai dalla prima colonizzazione ai giorni nostri. Una storia interessante perchè dimostra come un popolo possa perdere la propria terra senza subire in precedenza una conquista militare o una vera e propria invasione violenta.
Guardiamo le tappe con cui si è verificata questa sostituzione vera e propria di una popolo con altri. Le isole furono colonizzate da polinesiani provenienti da Tahiti all’incirca all’epoca di Carlo Magno. Per mille anni la loro stirpe prosperò e si diffuse con pochi contatti con il resto del mondo.
Nel 1778 furono scoperte dagli europei ad opera di capitan Cook che rilevò una popolazione di circa quattrocentomila persone retta da una monarchia ereditaria.


Era l’epoca, quella, della grande espansione dei missionari europei. Finanziati dalle loro chiese i missionari si recavano nei paesi esteri a convertire le popolazioni e prepararle ad una nuova mentalità. E a far prosperare gli affari.
Le Hawaii furono toccate dai missionari provenienti dalla Nuova Inghilterra , quella zona degli USA abitata soprattutto da protestanti,con una forte presenza dei calvinisti.
Infatti furono proprio i congregazionalisti, seguaci di Calvino, ad essere inviati alle isole il primo settembre 1821. Sbarcarono alle isole Maui e grazie alla preponderanza tecnologica degli americani , che gli indigeni vedevano arrivare su grosse navi, il prestigio dei missionari e della loro religione crebbe notevolmente. E nonostante il fatto che essi subito presero a disprezzare i riti e i sacrari degli hawaiani, la reazione non fu di rivolta ma di paura.

I membri della classe dirigente hawaiana, chiamati Alii , cercarono l’amicizia con gli estranei e un compromesso con la loro religione per accattivarsi il loro Dio, che essi erano disposti ad adorare, anche se assieme agli altri dei. Gli hawaiani erano gente semplice e primitiva, incapaci di dialettica contro la religione dei premi e delle punizioni. Erano superstiziosi e la loro pratica era quella di ingraziarsi tutti gli dei possibili. I missionari cominciarono ad aprire scuole e i figli dei nobili presero a frequentarle. I missionari tra le altre cose instillarono negli indigeni nuovi bisogni e nuove vergogne. Per esempio fecero credere che il nudismo era una colpa grave e che vestirsi era necessario, possibilmente secondo le mode del New England. Da qui il bisogno di tessuti e stoffe.
Uno dei congregazionalisti, un certo Abner Hale , progenitore di una famiglia destinata a grande successo nelle isole, organizzò un commercio di tapa (materiale usato per calafatare), olona, maiali, manzo selvatico. Materiali portati dagli indigeni prestati come manodopera servile dalla nobiltà locale al reverendo.E da lui venduti alle navi di passaggio lungo la rotta del Pacifico. In cambio ebbe quantità di stoffe per vestire tutti i nudisti.
Da qui la religione e i buoni affari si unirono in una combinazione fatale agli indigeni.
Ma una minaccia ben più diretta arrivò dalle malattie importate dagli europei.


Balene e cactus in California: ma siamo in Messico, nella Baja
Baja California, un nome che in italiano potrebbe risultare fuorviante. Non si tratta infatti di una baia marina, e la California statunitense c’entra quasi nulla, trovandosi in territorio messicano. La Bassa California è invece una penisola lunga ben 1.200 chilometri, quindi più dell’Italia, ma larga solo tra 45 e 168, che separa la costa occidentale del Messico dall’oceano Pacifico mediante lo stretto Mare di Cortès o golfo di California. Questa lunga e stretta striscia di terra offre un paesaggio assai vario: una spina dorsale montuosa – le Sierre – che al nord supera i 3.000 m, profondi canyon, antichi vulcani, un enorme deserto sabbioso e roccioso che ospita la maggiore e più spettacolare concentrazione di cactus e piante grasse del pianeta, ma anche oasi con palme da dattero, agrumeti e coltivi, e poi 3.000 km di coste con rocce e spiagge stupende, acque color verde smeraldo nel golfo e blu scuro nel Pacifico, lagune e una miriade di isole su uno dei mari più pescosi del mondo, ricco di 800 specie diverse, paradiso di surfisti e pescatori, dove si incontrano tartarughe, leoni marini, delfini, foche elefanti, otarie, balenottere azzurre, megattere, orche, pellicani, starne, gabbiani e la maggior varietà di cetacei degli oceani e, fino al 1940, anche i più ricchi banchi di ostriche perlifere, tra cui le preziosissime perle rosa e nere. Scoperta nel 1535 dai conquistadores di Cortès, fino al 1700 si credeva trattarsi di un’isola e dei pochi indios originari che vi fecero sorgere diverse missioni di gesuiti oggi restano solo stupende pitture rupestri in diverse grotte e chiese dalla tipica architettura coloniale. Resistono invece esponenti della fauna autoctona, che annovera diversi endemismi, come cervi, volpi, coyotes, puma, linci, procioni, crotali e serpenti a sonagli. I cactus offrono un vero spettacolo: dalle agavi, da cui si estrae la tequila, ai cardoni a forma di candelabro alti fino a 18 metri, ai cirio con in cima fiori rossi e gialli. Fino al 1973, alla costruzione della strada che l’attraversa da nord a sud per 1.700 chilometri, costituiva uno degli ambienti naturali più incontaminati del continente nordamericano. Gli ospiti più famosi sono tuttavia le balene grigie, che tra gennaio e marzo migrano dall’Alaska con un viaggio di 8 mila chilometri per venire a svernare, riprodursi, partorire e svezzare i loro piccoli nelle acque basse e calde delle lagune sul Pacifico, ricche di plancton e molluschi. Ogni anno il fenomeno riguarda 15 mila esemplari, che scambiano queste lagune per parchi giochi. In questo periodo sono infatti talmente mansuete da avvicinarsi alle imbarcazioni dei turisti tanto da farsi accarezzare: prima mettono fuori la testa per osservare la situazione, poi cominciano a fare salti, danze e acrobazie, fino a schizzare fuori dall’acqua con tutto il corpo, per ricadere sulla schiena con grande esplosione di spruzzi. Solo di recente si è scoperto che questi animali, lunghi fino a 14 metri e del peso di 30-40 tonnellate, dispongono di un’intelligenza complessa, possiedono un linguaggio articolato basato su suoni a bassa frequenza udibili anche a ragguardevole distanza e un complesso comportamento sociale; tra questi ultimi rientra anche la fecondazione, che avviene dopo poderosi balzi fuori dall’acqua, coinvolgendo fino ad una ventina di esemplari che si accoppiano per ore, scambiandosi allegramente i partner.
----
L’operatore milanese “I Viaggi di Maurizio Levi” (tel. 02 34 93 45 28) nel proprio catalogo “Deserti” propone un originale itinerario di 10 giorni in fuoristrada alla scoperta dei più peculiari aspetti naturalistici e ambientali della Baja California meridionale. Il percorso parte dal capoluogo La Paz e tocca una serie di minuscoli villaggi sorti attorno alle antiche missioni. Dopo la visita delle maggiori saline del mondo a Guerrero Negro e al museo delle pitture rupestri di San Ignacio, il primo contatto con le balene avviene nella laguna Ojo de Liebre, dove se concentrano fino a 2.000 esemplari, con due uscite in barca che si avvicinano talmente da poterle quasi toccare con mano, constatando quanto siano mansuete a dispetto della loro possente mole, e poi nella laguna di San Ignacio, riserva naturale e base biologica di studio. Altro incontro con questi enormi mammiferi marini avverrà nella spettacolare Bahìa Magdalena, dove in barca tra le isole si potranno osservare anche leoni marini, delfini, cormorani, pellicani e falchi pescatori, oltre ad immense distese di conchiglie da fare la gioia di ogni collezionista. Nelle acque turchesi di Isla Espiritu Santo si potrà infine nuotare assieme ai leoni marini. Uniche partenze per piccoli gruppi con voli di linea da Milano via Los Angeles il 28 dicembre, 8 febbraio, 14 marzo, 3 e 17 agosto 2008, pernottamenti in hotel di buon livello con mezza pensione e alcune cene, guida italiana, quota da 2.550 euro.

Nel 1828 un altro missionario, il dottor Whipple, rilevò che quando il capitan Cook scoperse quelle isole cinquant'anni prima gli abitanti erano quattrocentomila e adesso si erano ridotti a centotrentamila. Morbillo , sifilide e altri malanni decimarono gli indigeni.

Nel 1832 il morbillo eliminò un terzo della popolazione. Nonostante ciò la popolazione non riuscì neppure a concepire un piano di riscossa contri i nuovi arrivati. La loro tradizionale ospitalità impediva tutto ciò.
Il loro modello familiare non prevedeva neppure una distinzione netta tra i propri figli e quelli degli altri, tra la propria moglie e le altrui. Uomini senza gelosia e avidità, generosi e amichevoli, sembravano l’incarnazione perfetta del buon selvaggio. Ma tale liberalità li stava uccidendo. Secondo la mentalità umanitaria hawaiana i figli erano di tutti, non derivando tanto da legami di sangue ma di affetto e tenerezza.La causa della decadenza di quel popolo fu appunto la scarsa possibilità di stabilire un confine tra amico e nemico, tra tuo e mio. Intanto i furbi missionari sposarono le donne nobili del posto divenendo comproprietari di estese porzioni di terreno.
La loro reazione di fronte allo spopolamento indigeno fu di …..importare manodopera dall’estero.
Nonostante l’estrema ospitalità ricevuta, gli yankees disprezzavano le usanze hawaiane, puntando sopratutto sui punti che ad un occidentale sarebbero sembrati osceni tra cui il matrimonio tra fratello e sorella dei nobili e l’eutanasia dei neonati deformi. La coscienza era a posto e la morale tranquilla.
Nel 1830 nacque la prima ditta di navigazione, la Janders & Whipple. I regnanti locali lasciarono fare.
Pensarono che in fondo gli americani non facevano niente di male con le loro ditte. Anzi creavano ricchezza , senza toglierla agli indigeni tradizionalmente dediti alla pesca.
Nel 1865 la compagnia di navigazione Hoxworth & Hale cominciò ad organizzare la grande migrazione cinese. Ingaggiati dapprima come lavoratori nelle piantagioni divennero grazie alle capacità lavorative e commerciali indispensabili all’economia locale. Ben presto il dottor Whipple sul Mail di Honolulu affermò che quella era un’immigrazione di stanziamento vista la grande propensione al lavoro dei cinesi. E quindi al profitto dei proprietari. Inoltre i cinesi, sposandosi con hawaiane disponibili cominciarono a possedere terre e proprietà immobiliari. E di fatto a far parte della comunità americana delle isole laddove gli indigeni ne erano sempre rimasti ai margini. Ciò perchè per l’economia erano più importanti.E , caso strano, quegli stessi missionari che avevano combattuto gli dei pagani hawaiani ora accettavano tranquillamente confucianesimo e buddismo. Ma si sa che anche Dio ama i buoni affari.
Nel 1878 gli indigeni rimasero in 44mila. Ormai erano minoranza. Ma si cullarono pensando che comunque a comandare erano loro perchè la nobiltà era sempre formata dagli alii e il re un puro hawaiano. Che poteva importare a loro se nelle città ormai erano esclusi ? E se nelle terre coltivabili lavoravano cinesi. A cui nel 1880 si aggiunsero giapponesi e più tardi filippini.
I giapponesi soprattutto si rivelarono micidiali per gli indigeni poichè la loro propensione al lavoro e la fedeltà alle autorità era tale da rendere il loro ingaggio richiestissimo.
La situazione era matura per l’atto finale.
Che prese l’avvio da una decisione del governo USA del 1892. Bisogna sapere che nel 1876 un accordo conchiuso con gli Stati Uniti prevedeva l’esportazione di merci hawaiane senza dazio in cambio dell’utilizzo della base navale di Pearl Harbour da parte di navi da guerra americane. Ma nel 1892 i latifondisti della Luisiana e del Colorado fecero revocare l’accordo del libero scambio per fermare la concorrenza relativa al commercio dello zucchero, che le Hawaii esportavano in abbondanza.
I notabili delle grandi famiglie calviniste si accorsero allora che sarebbe stato opportuno fare a meno della monarchia “corrotta” per stabilire una democrazia il cui primo atto avrebbe dovuto essere l’unione con gli USA. Uno degli Hewlett , il più forte proprietario di piantagioni propose: ”dobbiamo cercare di tirare in ballo il concetto di democrazia,dobbiamo far credere che i liberi americani di queste isole sono stufi di vivere in una monarchia corrotta”.

Un soprassalto di orgoglio venne allora dal governo hawaiano .
A dire la verità la monarchia non era mai stata forte. Congiure e deposizioni di re erano un fatto abbastanza comune e i consiglieri delle famiglie ricche di origine missionaria detenevano di fatto le redini. Nel 29 gennaio 1891 andò al potere la regina Liliuokalani, donna forte e autoritaria, ammiratrice della regina Vittoria. Ma giunse al potere quando le esportazioni di zucchero divennero le vere fornitrici della ricchezza dell’isola. Cercò di guerreggiare contro di esse, contro i missionari e contro le idee repubblicane, ormai dilaganti nell’isola a causa delle lotte tra i nobili locali. Ormai era troppo tardi. Per troppi decenni ormai avevano lasciato che il potere economico finisse in mano a genti straniere. Il 15 gennaio 1893 le truppe americane sbarcarono dalle navi da guerra e occuparono Honolulu per “proteggere” i cittadini americani . Dopo un po di tergiversazioni da parte del Presidente americano, dovute più che a scrupoli alle pressioni dei concorrenti economici degli esportatori hawaiani, le isole divennero possedimento il 12 agosto 1898. Una nuova legislazione diede il potere ai ricchi anche ufficialmente in quanto il diritto di voto era stabilito per censo.
Quando il 12 marzo 1959 le isole divennero il cinquantesimo Stato dell’unione oramai gli indigeni erano dei poveri emarginati, ridotti a piccola minoranza costretta a vivere di espedienti. Buffoni per turisti, i più fortunati. E all’ultima regina non rimase che viaggiare per gli USA in una specie di esilio .
Non fu ne imprigionata ne eliminata. Non ce ne fu bisogno. Oramai era solo il simbolo di un popolo morto lentamente. Di indolenza. E ospitalità.

Certo,al termine di questo breve excursus sulla storia hawaiana direte che tra europei e isolani c’è una bella differenza. Ma pensateci bene. E’ vero o che le ideologie maturate da tanti secoli a questa parte, chiedono la fine dell’istintiva nozione di CONFINE, tra un popolo e l’altro ?
In fondo è da San Paolo che la morale insiste su questo. Sul concetto di uguaglianza e di fraternità obbligatoria. Con l’implicita condizione che per essere fratelli bisogna adeguarsi alle idee del padrone.
Padrone che cerca di renderci sempre più mansueti, più “hawaiani” , per quel che concerne la difesa della nostra identità etnica e culturale. In fondo il nemico peggiore non è tanto quello che si presenta come tale ma quello che i padroni dell’economia ci mettono accanto perchè lavori assieme a noi per il suo guadagno. Non è vero che poi si finisca per essere tutti uguali. La storia soprascritta lo dimostra. Si finisce per perdere tutto ciò che non è materiale. Ci si riduce a numeri , a unità di produzione e consumo della grande macchina e se ci si ribella ci si scopre in pochi.
Deboli di numero e sfiduciati.
Pensate che a Torino o Milano o Genova sia possibile, anche solo per ipotesi, una ribellione degli indigeni alla colonizzazione meridionale ? Ma quanti hanno almeno uno dei nonni indigeno ?
Tra qualche decennio ormai gli europei nelle città saranno minoranza. E tanto idioti, come i poveri hawaiani, da consolarsi dicendo che “comandiamo ancora noi”!
Finchè si risveglieranno un brutto giorno e scopriranno che non contano più nulla.
Datemi retta ,non cedete alle lusinghe ! IL VERO NEMICO E’QUELLO CHE TI SCONFIGGE COMINCIANDO A TOGLIERTI IL CONTROLLO SULL’ECONOMIA.
La divisione in classi è sempre stata all’origine della rovina dei popoli. Nessuna difesa dell’identità è anche solo concepibile senza includere una guerra a quel sistema economico che sancisce il primato del profitto e dell’individuo contro l’interesse nazionale. E che ci rimbambisce dicendoci che il mescolamento è bello e ci fortifica . Siate cattivi contro chi ci impone la bontà obbligatoria




La pagina è aggiornata alle ore 8:15:44
di Gio, 6 dic 2007