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La questione San Sigismondo pone un problema già sollevato da Italia Nostra: è opportuno il cantiere chiuso quando si mette mano a un bene storico?


Un'impresa delicata: il recupero abitativo del seicentesco palazzo Visconti che presenta vasti spazi con importanti presenze artistiche


Nell'ultima assemblea, Italia Nostra si è occupata del caso preoccupante di San Sigismondo, con il suo cantiere chiuso e la assoluta impossibilità, da parte di qualificati addetti ai lavori estranei alla committenza, di poterne verificarne l'andamento, allo scopo di evitare - se è il caso e con costruttivi consigli - che si verifichino danni che diventano assolutamente irreparabili se la visione è possibile solo quando l'impresa di ristrutturazione è ormai conclusa.

A Cremona c'è un altro importante lavoro di riadattamento in corso, quello del seicentesco palazzo Visconti, tra via Ruggero Manna e via Bissolati, affiancato dalla chiesa di San Carlo, da anni in condizioni di completo abbandono. Lo stabile è noto come quello della Canossiane.

Nel 2002 fu ceduto a una società costituita appositamente , la Visconti srl, pare per una cifra considerata davvero modesta, circa otto miliardi di vecchie lire.

Dietro la Visconti srl. c'è l'antica proprietà dell'area Feltrinelli, dove adesso si sta costruendo l'Ipercoop. Si tratta della Lameri che, acquisito dalle Canossiane lo stabile (peraltro soggetto a molte trasformazioni nel tempo), ha rapidamente ottenuto le concessioni necessarie per adattarlo ad abitazioni ed uffici.

L'attenzione è ovviamente sollecitata dalle persistenze artistiche di altissimo livello. Come troveranno compatibilità con le destinazioni abitative e ad uffici? La delicata operazione è condotta dallo studio di architettura Persico. Ecco, nella foto a destra, la seconda rampa del grande scalone monumentale. Descrive per i nostri lettori le caratteristiche del palazzo Lydia Azzolini che se ne è occupata esaurientemente in "Palazzi e case nobiliari: il seicento a Cremona", pubblicato nel 1998 dalla Banca popolare di Cremona.


Un perfetto esempio

di casa "da nobile"

di Lydia Azzolini


Il palazzo Visconti oggi in fase di profonda trasformazione edilizia, era in origine la dimora dei nobili Botta, i fratelli Eliseo e Ippolito, secondo l'Indicazione datane da Antonio Campi nella sua mappa di Cremona del 1382. Nei secoli successivi fu così rimaneggiato da cancellare, all'esterno come all'interno. le tracce dell'antica costruzione, ormai non riconoscibili, anche perché taluni moduli stilistici del Cinquecento vennero continuamente ripresi nei secoli posteriori. Nella stratificazione che prevale sulla distruzione negli interventi edilizi sino all'Ottocento, la struttura cinquecentesca è certo rimasta a costituire il nucleo fondamentale dell'edificio, mentre lo schema distributivo degli spazi, almeno negli appartamenti di rappresentanza conservati originali, sembra riferibile alla fine del Seicento. Pur se le decorazioni pittorica e plastica appaiono generalmente riconducibili a un momento più tardo, oscillando dal barocco corposo e pletorico al più leggero e svolazzante rococò. Sugli interventi di ampliamento e di abbellimento operati dai Visconti non troviamo notizie negli storici locali (spesso non attendibili) così come non ci soccorre un archivio del casato.
(...) Fu probabilmente, Giulio Cesare Visconti, morto nel 1725, che sappiamo munifico anche verso la chiesa di S. Omnobono, ad avviare la riforma del suo palazzo: già negli ultimi decenni del secolo XVII era andata affermandosi presso la nobiltà locale l'esigenza di un vivere fastoso sia all'interno delle loro dimore come nei modi dell'apparire esterno”: il vestire, il numero delle carrozze e dei cavalli da tiro, che rappresentano le consuetudini, i cerimoniali di questa oligarchia, ormai plagiata dai costumi spagnoli.



(...) Nessuna nota di rilievo nella facciata, rifatta più volte e innalzata nel 1938 e nel 1940, ma già architettonicamente anonima (...). I cortili risultano parimenti sfigurati dai molti rimaneggiamenti e dalle costruzioni moderne inserite, ricavate dall'abbattimento di altri edifici acquistati in questo secolo per ampliare le scuole dalle Madri Canossiane. In uno dei cortili (foto sopra) sfonda la navata della chiesa di S. Carlo, con fronte sulla via Bissolati, da anni chiusa e in totale rovina.
L'unica zona salvatasi dalle trasformazioni utilitaristiche è rappresentata dagli appartamenti di rappresentanza dei Visconti, perfettamente conservati senza nessuna aggiunta o modifica, pur se adattati ad aule scolastiche o a cappella privata delle monache.
Dall'atrio d'ingresso si passa nel breve portico a colonne tuscaniche che conduce al vestibolo dello scalone, decorato nel soffitto da un medaglione illustrante 'la Giustizia” che richiama alla bottega di Giovan Angelo Borroni (forse del figlio Vincenzo).
Il monumentale scalone a due rampe introduce, sul piano d'arrivo, sia alla galleria che agli appartamenti privati. La balaustra si presenta diversa nelle due rampe: la parte iniziale è interamente scolpita in pietra, a pilastrini vasiformi, di accento barocco mentre la seconda parte, è svolta a volute di pietra, alternate ad ampi sforati di arabeschi in ferro battuto.


Il carro dell'Aurora, sotto, nel testo, la chiesa di S.Carlo e il cantiere verso via Bissolati


La decorazione a stucco del soffitto esibisce un'esuberante trama di fregi, modulati in invenzioni curvilinee chiassosamente colorate (ridipinte nell'Ottocento) che accolgono all'interno dei medaglioncini le raffigurazioni delle Virtù Cardinali: Prudenza, Fortezza e Temperanza, che sembrerebbero di mano diversa dalla Giustizia e accostabili, piuttosto, all'autore dell'affresco del ripiano col Salvataggio di Mosé.


I nostri storici danno la paternità dell'affresco a Giovan Angelo Borroni mentre il dipinto sembrerebbe appartenere all'ambito emiliano: estremamente raffinato, anche nelle intonazioni cromatiche delicatamente pastellate, maliosamente si formula di un rococò appena un po' veneteggiante. Le figure femminili appartengono ad una sofisticata galleria di creature di altissima elezione formale. Sbocciata in chiave di serena fantasia arcadica, la composizione approda a risultati di bellezza ideale, quasi al limite della perfettibilità.


Nei ritmi briosi della narrazione appare dominante il momento della ricerca formale, pur nella concreta maturità e profondità di pittorici sensi, non priva di accenti veneteggianti entro scelte di tradizione bolognese.
Conclude questo ciclo di autore ignoto (e pare difficilmente riconoscibile) un altro affresco posto sulla parete alla sommità dello scalone, illustrante un paesaggio d'invenzione: un brano paesaggistico assaporato nelle bellezza di un particolarismo minuzioso. Le grevi incorniciature a stucco degli affreschi e dei medaglioncini, nonché la trama degli arabeschi che invade il soffitto, risultano ancorati al gusto ridondante del barocco e ancora lontani dai ritmi sinuosamente leggeri e garrulamente pittorici del rococò.
II fitto ordito degli arabeschi si fa qui elemento fine a se stesso.
Nell'adiacente galleria è illustrato sul vòlto "Il carro di Aurora", trainato dai destrieri alati, svolto nei toni preziosi di rosa perlati e di cangianti azzurrini, tonalità a cui si ricollega la sensibilità di Giovan Angelo Borroni: l'affresco potrebbe essere anteriore al momento in cui il pittore operava per i Visconti in S. Omobono.
La cornice in stucco, già ammiccante al rococò, s'incurva nei brevi palpiti di un ricciolo, acquista lievità nel traforo di una conchiglia. Sulle pareti sono incorniciate in ovale cinque vedute paesaggistiche di buona fattura, forse da riferirsi alla bottega del Borroni: attraverso queste immagini naturalistiche di monti e di valli che fingono una vita agreste ci si immerge, con effetti suggestivamente coinvolgenti, nel gusto elegiaco-sentimentale di un Arcadia idilliaca, che troverà la massima fioritura negli anni tardi del Settecento.
La rappresentazione pittorica di questi interni, voluta dalla committenza, mirava a introdurre il visitatore in un ipotetico paradiso di delizie, nel piacere di una vita a contatto della natura proprio di quel momento.
Dalla galleria si passa nel grande salone da ballo, mutilato nel senso della lunghezza nell'Ottocento per ricavarne un salottino, secondo i modelli allora più avanzati di organizzazione della casa per un maggior comfort.


Come il salottino ricavatone, anche la grande sala, ormai mutilata, veline controsoffittata e decorata da motivi neoclassici tipici dell'inizio Ottocento ma durante l'ultima guerra questa sovrastruttura cadde, almeno nella zona del salone, scoprendo al di sotto l'antico soffitto a travetti dipinto a 'passasotto' nella maniera veneta, con il disegno, cioè, che si estende in continuità sotto i travetti, senza interruzione. Dipinto a trama architettonica, illusiva di sfondati a cupola di diversa grandezza e forma, uno più grande al centro e due più piccoli ai lati, a seguito della sua mutilazione il soffitto è rimasto privo di una di queste false strutture, forse ancora conservata sotto il vòlto neoclassico del salottino adiacente.
La decorazione fra i travetti si complica di fantasiosi arabeschi, condotti su toni di tenui rosati e grigi-verdini, intercalati dalle note più calde dei bruni. Al disotto un'alta fascia dipinta incornicia le pareti ed entro le cornici accartocciate a voluta dei piccoli medaglioni sono illustrate le Quattro stagioni; fra queste raffigurazioni, di raffinata qualità settecentesca, si scopre una Primavera di mano ottocentesca, dipinta, appunto, sulla parete divisoria al salottino, aggiunta, quindi, nel momento in cui si mutilava il salone. La sua decorazione settecentesca venne, ancora per un certo periodo, conservata, ma poi, superata dal gusto neoclassico, venne coperta dalla controsoffittatura.
A questa stanza da ballo fa seguito un altro salone, pare di notevoli dimensioni e di similare concezione nella decorazione ancora a passasotto” ma di differente disegno nel gioco dei motivi curvilinei. arricchiti dalle vivaci note cromatiche dei fiori sparsi qua e là. Nel fregio sottostante, entro sequenze di mensoloni e di motivi vegetali che ritmano in parete lo svolgersi della decorazione, sono inseriti dei tableaux illustranti le varie età dell’uomo anche questi di buona fattura e ascrivibili alla stessa mano che dipinse quelli della stanza precedente.

L’intera ornamentazione delle due sale appartiene, nella sua complessità, al momento di transizione dal barocco al rococò, un Settecento ancora conservatore delle antiche strutture che cerca di adattarle alle nuove preferenze dell’incalzante barocchetto.(...).

Negli appartamenti di rappresentanza delle case `da nobile’ non poteva mancare la stanza da letto con relativa alcova per gli ospiti illustri di passaggio in città. Fu adattata a cappella privata delle suore Canossiane, rifatta nell’Ottocento e allineata all'imperante gusto tardo - neoclassico con l’inserimento di colonne ioniche di marmo a separare l’alcova dalla zona letto.
Al piano terra altre stanze con volte lunettate cinquecentesche vennero nel Settecento decorate da medaglioni allegorici. Durante la realizzazione delle modifiche richieste dal conte Carlo nel 1835, riguardante la gronda in legno, il balcone, entrambe da sopprimere e altri errori da correggere, oltre allo smantellamento delle parti sopraindicate vennero radicalmente mutate le incorniciature delle finestre del piano terra e del secondo piano. Anche il portale venne mutato con la sostituzione di un bugnato piatto in luogo della precedente cornice, abolita la zoccolatura delle due ali e modificata la fascia marcapiano.
i Visconti rimasero proprietari dell’immobile sino al 1891 allorché il conte Carlo, ormai residente a Milano con la famiglia, lo vendette alle suore Canossiane. Lo stesso anno esse ristrutturarono un locale al pianterreno per farne la chiesa, ma negli anni seguenti numerosi furono gli ampliamenti apportati, tramite acquisti di case contigue, demolite, e le sopra elevazioni dei piani di facciata. Nel 1928 si costruì la grande chiesa sopraelevata che consentì di aprire al piano terra la sala teatro.




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di Sab, 16 giu 2007