Ricordi, storie, ricerche, scoperte dal passato




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Piazza Marconi è un giacimento archeologico favoloso, ma si è voluto il parcheggio che poteva benissimo andare altrove senza, oltre tutto, portare altro inquinamento e PM 10 in centro storico

Una "Diana cacciatrice", la più bella mai venuta alla luce nel Nord Italia


Ecco, fotografata davanti e retro dal "Vascello", la incredibile bellezza del reperto alto quaranticinque centimetri in marmo bianco di Luni, databile tra fine avanti e inizio primo secolo dopo Cristo


In piazza Marconi continua la straordinaria avventura artistica ed archeologica. Nel materiale di abbandono fuori strato è venuta alla luce questa statuetta in marmo bianco di Luni, alta circa 45 centimetri, che raffigura Diana Cacciatrice, con il cane ai piedi e la faretra alle spalle . Si notino il movimento ed il brio del drappeggio e la vivacità della intera composizione, l'impeto dell'intera scultura che dà il senso preciso dello slancio nella caccia. Il tutto evidenzia una qualità davvero assoluta, tale da far subito dire a Lynn Passi Pictcher che ci troviamo dinanzi al più bel ritrovamento mai avvenuto nel Nord Italia, anche se il reperto non è stato ovviamente ancora sottoposto al giudizio degli esperti. Una prima datazione fa ascendere la statua tra fine Avanti e inizio del primo secolo Dopo Cristo. Lo stile è chiaramente ellenistico e la statuetta dovrebbe appartenere alla dotazione della Domus che, dunque, continua a regalare sorprese eccezionali. Tra queste, benchè oscurato dall'eccezionalità della Diana Cacciatrice, il ritrovamento di un porta lucerna in bronzo, sostenuto da elegantissime volute che riproducono i rami di un albero, poi marmi scolpiti a decorazione di colonne, di ingressi ed altro. La statua è un nuovo gioiello della ricca Cremona romana e speriamo non sia l'ultimo.

La fotografia della statua sul davanti e sul retro è di Antonio Leoni©.


Un mosaico simile a quello del Minotauro nella domus che potrebbe essere di Alfeno Varo


Una casa di oltre quattromila metri quadri, forse su tre piani, con una quarantina di vani - E si ritrova anche un pavimento di legno - Il nome del giurista romano viene proposto dal giornalista Fabrizio Loffi e viene giudicato "possibile"




Altre felici sorprese, altri tesori in Piazza Marconi. Viene alla luce un mosaico che per le sue qualità stilistiche si può paragonare a quello famoso ritrovato in via Cadolini, il cosiddetto mosaico del Minotauro conservato in Museo.



(Si veda nella foto sotto il titolo il raffronto tra i due mosaici - Le altre immagini mostrano dettagli decorativi del mosaico, durante la ripulitura e le successive indagini che ne accertano la dimensione residua. A destra inoltre le fognature sotto la strada romana. Il Vascello ©).

Un disegno elegantissimo ed emergono nella esplorazione non ancora conclusa dettagli deliziosi, fiori, uccellini, foglie.

Lynn Passi Pichter che sovrintende agli scavi è orgogliosa del ritrovamento che è stato danneggiato dalla caduta del tetto in seguito agli incendi e alle devastazioni del 69 d.C. che rasero al suolo Cremona dopo la sconfitta di Vitellio. Si ritrovano i segni dell'incendio che però non ha danneggiato un pavimento in legno, ritrovato a pochi passi e subito messo in conservazione. Il 20 dicembre sarà esaminato da un esperto. La casa aveva dunque quello che oggi chiameremmo parquet.

Casa grandissima, di ricchezza e dimensioni tali che viene presa in considerazione dagli esperti e non smentita dalla stessa Lyn Passi Pitcher una ipotesi formulata dal giornalista cremonese Fabrizio Loffi e cioè che la domus potesse essere quella del giurista Alfeno Varo. Nei fatti le date coincidono e chi aveva accesso alla corte imperiale se non il famoso giurista cremonese? Chi aveva le ricchezze, benemerito alla corte augustea e tenuto in gran stima dall'imperatore, per realizzare una domus che probabilmente si estendeva su tre piani (con un peristilio anomalo rispetto per posizione rispetto a quelli pompeiani, ma il clima a Cremona è ben diverso da quello del sud) con una superfice attorno ai quattormila metri quadri e una quarantina di vani?

La casa si affacciava proprio dal lato dove è stato ritrovato il mosaico sulla strada. Ma non sono mancati altri ritrovamenti e curiosità. Mostriamo ad esempio le fognature , imponenti al disotto della strada, si notano ancora i resti delle copertura e i segni, nelle pareti, degli scoli delle residenze soprastanti. Si ritrovano anche residui dei tubi di scarico, in piombo. Emerge a brani, insomma, un grande quadro della Cremona romana, la più lussuosa e di altissimo pregio artistico, negli alloggi, nei decori e nelle... comodità.


Dalla Domus Aurea fino a Cremona...

Frammenti del tesoro di Nerone?
Ne sono convinti gli archeologi: le loro tesi




SABA ITALIA S.p.A., realizza (1° lotto) le paratie di contenimento degli scavi archeologici nell’ambito dei lavori per la realizzazione del parcheggio sotterraneo. Gli scavi hanno portato ad una importante supposizione sulla base di alcuni reperti ritrovati.
Potrebbe essere accaduto che, tra battaglie e devastazioni, sia giunta in città una piccola parte del tesoro della domus aurea di Nerone . E potrebbe essere emersa la lussuosa ‘domus degli uccelli’, dimora di un facoltoso senatore romano. Sono stati infatti rinvenuti alcuni frammenti di un servizio di piatti e vasi in porfido egizio ritrovati nell’area della ‘domus degli uccelli’. Qui sono stati trovati frammenti di porfido rarissimi che, secondo Lynn Passi Pitcher della Sovrintendenza milanese, potevano far parte parte del tesoro neroniano a Roma. Questa tesi ha raccolto l’importante consensenso dello specialista archeologo dell’Università di Milano Fabrizio Slavazzi.
Come è potuto accadere? Otone, prima di intraprendere il suo viaggio verso le terre del nord della penisola e prima dello scontro con Vitelio, avrebbe prelevato dalla domus aurea dell’ormai defunto Nerone oggetti del famoso tesoro per portarne poi una parte con sé. Il tesoro («tutto o in parte», come precisa Pitcher) sarebbe poi passato nelle mani di Vitelio che — dopo aver vinto le truppe otoninane a Brescello — si stabilì a Cremona proprio nella domus rinvenuta in piazza Marconi. «A ospitarlo fu qualcuno di ricco e influente, un uomo di stato... io credo un senatore», azzarda la Pitcher.
La Domus Aurea sorse sulle ceneri del terribile incendio del 64 d.C., che distrusse gran parte della città di Roma (dieci delle quattordici regioni augustee) e che Nerone vide intonando la caduta di Troia dalla Torre di Mecenate sull'Esquilino. La fastosa residenza del principe, affidata alle cure degli architetti Severo e Celere, venne ad occupare quasi tutto il centro di Roma, cancellando case e edifici pubblici, in un'area di circa ottanta ettari, compresa tra il Palatino, l'Esquilino, l'Oppio e il Celio, includendo in essa un lago vasto “quasi come un mare” (lo stagnum Neronis) e “edifici grandi come città”, sì da meritare l'appellativo di Aurea.



Se il mondo romano aveva già acquisito, negli anni delle guerre di conquista, la moda ellenistica dei grandi peristili colonnati, dei regali saloni di rappresentanza e dei lussureggianti giardini esotici, introdotta a partire dalla fine del II secolo a.C. nelle ricche case di città come nelle lussuose ville di campagna, pure del tutto innovativa risultò la concezione d'insieme della Domus Aurea, nelle proporzioni e nel lusso degli ornamenti, per questo accostabile solo alle regge dinastiche orientali e ai palazzi di corte di Alessandria d'Egitto.
Da questi modelli, e dalle ideologie che li avevano ispirati, Nerone derivò la visione assolutistica del potere imperiale, che lo spinse a raffigurare se stesso nelle sembianze del dio Sole nella famosa statua del Colosso bronzeo, alta più di trentacinque metri, posta ad ornamento del vestibolo della nuova casa, sul luogo dove più tardi sorgerà ad opera di Adriano il Tempio di Venere e Roma.



Da Nerone a Traiano


Alla morte del principe, i suoi successori, desiderosi di liberarsi di un'eredità cosi scomoda ed impopolare, restituirono all'uso pubblico l'area occupata dalla gigantesca e irriverente reggia: distrutte le costruzioni del Palatino (inglobate nel nuovo Palazzo Imperiale dei Flavi) e della valle compresa tra l'Oppio e il Celio, iniziarono la costruzione del monumentale anfiteatro di pietra, il Colosseo, nello spazio in precedenza occupato dallo stagnum Neronis, che nel nome conserva il ricordo del Colosso dell'ultimo imperatore della famiglia Giulia.
Solo il padiglione del colle Oppio sopravvisse al rinnovamento urbanistico dei Flavi: fino al 104 d.C. e all'inizio dei lavori per la realizzazione del soprastante complesso termale di Traiano, progettato dall'architetto Apollodoro di Damasco. L'ingegnosa idea di colmare di terra l'edificio neroniano, già spogliato dei marmi e delle opere d'arte, sfruttandolo come costruzione artificiale delle nuove terme, se da un lato ha cancellato la memoria dell'edificio neroniano, dall'altro ha consentito la conservazione fino ai giorni nostri del nucleo residenziale del colle Oppio. Sulle rovine delle Terme di Traiano, cadute in abbandono dopo il taglio degli acquedotti da parte di Vitige, re degli Ostrogoti, nel 539 d.C., sorsero nel medioevo orti e vigne, a caratterizzare il nuovo paesaggio del colle che aveva ospitato la Reggia d'oro di Nerone.


La riscoperta alla fine del quattrocento


La riscoperta della Domus Aurea avvenne casualmente alla fine del Quattrocento per opera di curiosi e di appassionati di antichità che, calandosi dall'alto nelle grotte ancora interrate, iniziarono a copiare i motivi decorativi delle volte, promuovendo nel secolo successivo la fama e la fortuna dell'arte delle “grottesche”. Artisti famosissimi, come Raffaello, Pinturicchio, Ghirlandaio, Giovanni da Udine e altri, le cui firme graffite o tracciate a nerofumo sulle pareti della domus testimoniano ancora oggi il ricordo della visita, trassero ispirazione dalle pitture e dagli stucchi neroniani per decorare le logge e le stufette di cardinali e aristocratici romani, nei Palazzi Vaticani, a Castel Sant’Angelo, a Villa Madama: agli inizi del Rinascimento, la riscoperta della Domus Aurea segnò la scoperta della pittura antica, con un clamore paragonabile a quello suscitato duecentocinquanta anni più tardi dai rinvenimenti degli affreschi di Ercolano e Pompei. Nel 1506, nello scavare in una vigna del colle Oppio, venne disseppellito il gruppo del Laocoonte, una delle opere scultoree più famose dell’antichità, che divide con il Toro Farnese il privilegio di essere citato nella Storia naturale di Plinio il Vecchio, secondo il quale la scultura, raffigurante l’estremo sacrificio del sacerdote troiano e dei suoi figli, condannati dal fato ad una fine terribile per essersi opposti all’ingresso nella natia Troia del cavallo dell’inganno acheo, era posta ad ornamento della domus di Tito. La presenza del celebre gruppo nell’area della Domus Aurea non sorprende se si considera che le fonti antiche più volte sottolineano le manie collezionistiche di Nerone, che aveva compiuto razzie in tutta la Grecia per adornare i saloni della sua reggia, vero e proprio museo di capolavori classici ed ellenistici, tra i quali probabilmente le statue bronzee dei Galati vinti, più tardi trasferite, insieme al resto, nel Tempio della Pace di Vespasiano per essere restituite al pubblico godimento.



Della Domus Aurea oggi resta soprattutto il nucleo edilizio del colle Oppio, formato da circa 150 ambienti, articolati attorno alla sala a pianta ottagonale, vero e proprio fulcro di tutto il complesso, esteso sulla fronte per una lunghezza di circa 400 metri. Gli ambienti, costruiti in opera laterizia, sono per la maggior parte coperti da volte a botte di altezza variabile tra i 10 e gli 11 metri. Eccezionale la dimensione del complesso antico, formato da 150 stanze per la maggior parte coperte da volte a botte alte tra i 10 e gli 11 metri, che apparve straordinaria agli occhi dei contemporanei di Nerone e che appare straordinaria ancora oggi a noi.


... Ed anche il ritrovamento di rari reperti in legno

Lo scavo di Piazza Marconi continua a fornire dati importantissimi per la ricostruzione della città, ed in genere per il mondo romano in Italia settentrionale. Particolarmente interessante è una serie di strutture in legno rinvenute a m 35 s.l.m. (--8 metri dall'attuale piano stradale) sotto la grande /domus/ patrizia che inizia la sua vita con la prima età augustea.
I reperti associati agli strati di frequentazione, in particolare i frammenti ceramici, permettono di datare i fabbricati alla prima metà del I sec. a.C. Si tratta di un fabbricato (m 10 x 7) probabilmente ad uso artigianale, con un sottofondo di anfore in terracotta che serviva da drenaggio; le pareti in travi o pali di legno facevano anche da contenimento per i vespai di anfore. Tutti i reperti lignei recuperati sono stati inviati per lo studio e l'identificazione delle specie al laboratorio di paleobotanica del Museo Civico di Como.
L'importanza di questi ritrovamenti non è data soltanto dalla grande antichità delle scoperte - si ricorda che fino ad ora a Cremona non erano stati indagati edifici più antichi della seconda metà del I sec. a.C., in realtà meglio ascrivibili all'ultimo quarto del secolo - ma anche dal tipo di materiale, il legno, che è altamente deperibile. Si sa che in età romana, oltre all'uso diffuso di suppellettili in ceramica, erano utilizzati molto frequentemente mobili, stoviglie e utensili in legno. In qualche raro caso ne erano state recuperate tracce minime, quando il legno era rimasto in contatto con oggetti di metallo, causando una specie di mineralizzazione che conserva tracce di fibre. In pochissimi altri casi, come in relitti di navi o in presenza di un ambiente paludoso o acquitrinoso, resti lignei si conservano, ed è questo il fortunato caso di Cremona.



In conclusione siamo di fronte ad una ricerca stratigrafica che ha aperto un grande buco sul quale si interrogano i cittadini ignari i quali si chiedono, non vedendo emergere costruzioni reali, perché mai ci si affanni tanto e se ne valga la pena.
Sta emergendo di ora in ora (si direbbe) quella che qualcuno ha chiamato la “Pompei padana”, riferendosi con la messa a ferro e fuoco della importantissima città di Cremona,in seguito alla sconfitta delle truppe di Vitellio.
Sono circa cinquecentomila gli oggetti di enorme interesse che sono stati finora accuratamente ritrovati e catalogati La catalogazione e la ricostruzione avviene grazie anche a un programma che ha chiamato le più diverse specializzazioni, comprese quelle informatiche. Si chiama “Tacito”, titolo giustamente emblematico, e costituirà un riferimento sicuro, un software esemplare per altre operazioni di questo tipo (non manca quindi neppure questo aspetto tecnico di grande rilievo). Ma soprattutto, via via on line sarà aperto a diversi gradi di specializzazione fino al cittadino curioso digiuno di archeologia, diventerà la grande testimonianza nel mondo intero della grandezza di Cremona romana.




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di Sab, 5 gen 2008