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É una stranezza? l'Iper licenzia, la Colombera costruisce

Affronta l'apparente anomalia questo approfondimento de "Il Vascello" sullo stato della distribuzione commerciale sotto il Torrazzo (e non solo).


Testo e foto di Antonio Leoni


La grande "I" di Gadesco è nella bufera e sconta sicuramente una situazione di crisi che non è nascosta dalla sua stessa dirigenza. Qui si lamenta un 25% di calo nelle vendite degli ultimi due anni e si chiede, invero troppo perentorimente, di spedire a casa o quanto meno di rettificare lo stato contrattuale di una quarantina di persone. Non è poco.
Siamo di fronte a una dirigenza fortemente contrastata non soltanto per aver esploso una bomba umana - un taglio drastico e doloroso che invocava perlomeno la generosità del dialogo - ma perché la conduzione non è esente da pecche, secondo quanto altrettanto esplicitamente dichiarano i sindacati: d'altronde, anche molti clienti si sono resi conti che sul fronte dei prezzi l'Iper si tiene a galla e combatte più o meno alla pari con i concorrenti, ma che nel contempo gli scaffali sono diventati inesorabilmente monotoni e per lo più orientati verso il basso.


Insomma oggi ansima molto, moltissimo quello che fu il primo gioiello della collana di Marco Brunelli il quale espresse in questa operazione, dopo aver inventato con Bernardo Carotti l'ipermercato italiano (Esselunga), abilità di scelte commerciali e intelligenza architettonica, tutti fattori che sono via via venuti meno negli anni, non solo a Gadesco, naturalmente.
Di sicuro, l'Iper Gadesco è irritata verso il Comune di Cremona che ha evitato di sostenere un minimo piano commerciale della città ed ha gestito l'insieme del problema esclusivamente sulla base delle utilità elettorali, guardando a quanti voti gli sarebbero arrivati o gli sarebbero stati tolti alla prima occasione. In contemporanea, per favorire il sistema delle proprie alleanze, non è mancata una vetera base ideologica da soviet, tutta a favore della scelta pubblica e contro quella privata. Cremona Po che ha tolto un bel bacino a Iper Gadesco è sicuramente l'espressione di una concezione ideologica che scandalizzerebbe persino Fidel Castro.
La distruzione dell'assetto commerciale del cento storico è l'altra faccia di una politica amministrativa che ha avuto inizio sotto Renzo Zaffanella ma che è proseguita in modo disastroso nelle Giunte, successive, inconsapevoli, culturalmente incapaci di comprendere la evoluzione (o la involuzione) del commercio sul territorio nazionale e tanto meno su quello europeo. Il tutto come espressione di una città che a destra armeggia non meno che a sinistra nei medesimi intrallazzi da casta.
Le politiche verso il commercio di Garini e di Bodini sono state sciagurate, contingenti, miopi. Non siamo noi a dirlo: sono stati i consigli di stato a decidere che il Comune di Cremona aveva torto marcio nella gestione delle licenze, fatto questo - e pochi lo hanno rilevato - che soltanto in controversie giudizie ai vari livelli di giudizio, ha svuotato le tasche dei cittadini cremonesi perché ovviamente Garini e tanto meno Bodini hanno pagato di tasca propria. Anzi, oggi Bodini è persino senatore.
Tutti sanno che Cremona Po non è frutto di una scelta aggiornata, ma è un omaggio - per tutte le ragioni di cui sopra - a quel mondo delle cooperative che Bernardo Caprotti identifica con una frase perentoria nel titolo del suo ultimo lavoro.
"Falce e carrello", si intitola, con la immediatezza geniale di chi deve farsi capire subito dalla clientela per affollare gli scaffali delle merendine.
Cremona Po soffre, non sappiamo quanto perchè le statistiche sono a un anno e se ci fermassimo ai primi dati sono da rabbri vidire. Ha patito e patisce ancora quanto e forse più dell'Iper Gadesco (anche se pare che i trend di vendita siano in crescendo: speriamo bene per evitare altri traumi alla occupazione).
Soffre la stessa Esselunga, se la prendiamo nel suo complesso senza guardare troppo al punto vendita di via Ghisleri che via via guadagna un notevole spazio, come Italmark o Simply, l'ultimo significativo fenomeno del panorama locale.
Ma qui non sono soltanto l'abilità di Caprotti o la duttilità di Auchan che contano: il commercio in Italia è di fronte a uno sciopero nazionale che mette in luce come alla lunga le scelte in materia che lamentiamo per Cremona abbiamo avuto gli stessi limiti sul piano nazionale e quindi come ci si trovi al cospetto di una svolta epocale del sistema che produrrà nella prossima fase, più pianto e stridor di denti che vantaggi (i quali andranno in gran parte a mani straniere, come capita a Cremona con la vendita ai tedeschi delle farmacie municipalizzate per 50 milioni che bodini ha utilizzato per ripianare i mutui, senza stornarne almeno una parte a favore di opere pubbliche insistentemente richieste dai cittadini)).


La politica della casta ha curato i suoi interessi, non quelli dei commercianti e tanto meno quelli dei consumatori italiani. La grande distribuzione, ovvero la chiave strategica della politica dei prezzi alimentari è in mani francesi o tedesche (principalmente).
Come si profila il futuro? La distribuzione di alto livello copia da Wal Mart, un impero che capitalistico che fonda il suo futuro sullo sfruttamento dei dipendenti e e sulla logica del prezzo basso. Poco importa che distrugga il sistema delle relazioni sociali. Personalmente, nei miei viaggi in questo settore, ho raccolto da dipendenti Wal Mart lamentele e denunce di fronte alle quali le proteste dei dipendenti Iper sono stuzzicadenti in bella vista sopra la torta, insomma quasi candeline. Il fatto è che i sistemi plutocratici come quelli che il neo capitalismo occidentale insegna al mondo (il quale impara benissimo, si pensi a Cina e India) hanno un costo sociale altissimo: nella sanità, che infatti degrada con le medesime motivazioni, nel sistema di assistenza ai deboli, nel taglio dei trasporti urbani e interurbani come sta già avvenendo anche a Cremona e in Italia, disordinatamente è ovvio, siamo nel Bel Paese, dove può accadere idirettamente o indirettamente che i disastri superino di gran lunga i vantaggi nelle stesse imprese che operano secondo il modello del basso costo.


E le cooperative?, si chiederà qualcuno, ricordando che allo sciopero (nella foto) dell' Iper i dipendenti invitavano i clienti a virare verso la Cremona Po, con una protesta apparentemente suicida, la stessa che in questi giorni i commercianti di Cremona Due lamentano e metteranno sul tavolo della direzione Iper.
Ha gioco facile la dirigenza Iper: "Licenziamo perché calano le vendite e chi ci contesta invita a praticare la concorrenza...".
Sembra una logica stringente. Nei fatti il problema è ben più ampio. Le cooperative, e non solo quelle della distribuzione alimentare, sopravvivono grazie al massiccio appoggio ed alle agevolazioni statali lamentate da Caprotti nel suo "falce e carrello".
Il sistema delle sovvenzioni regge fin che può e sta facendo acqua da tutte le parti, perché troppi ne approfittano, persino quanti le contestano. Dunque lo stesso degrado che incombe come esito del capitalismo selvaggio, viene scatenato dal sistema incontrollato delle sovvenzioni cosiddette meritevoli, come quelle che giustificano l'appoggio alle Coop. Tutti ne approfittano. Quanti sono i giornali di destra, a cominciare da quello della confindustria "Sole 24 ore" che godono di miliardi di finanziamento statale in conto carta o come agevolazione sulle tariffe postali? "24 Ore", appunto, lamenta i privilegi altrui, ma incassa 15 milioni in compensazione dallo Stato.
Dunque non siamo più di fronte a un corretto e razionale confronto tra due sistemi, ciascuno con proprie ragioni e torti. E' un sistema contraffatto dove soltanto quanti hanno le chiavi del potere godono della politica della casta, la quale offre vantaggi esclusivamente a chi glieli dà. Ne approfittano allo stesso modo cooperative e plutocrati, propositori di autostrade inutili, giornali di finte cooperative, imprese che incassano e piantano i lavori a metà o neppure li iniziano, eccetera eccetera, come lamenta ogni sera "Striscia la notizia", prodotto a sua volta di Mediaset, altra espressione di un inguardabile duopolio con la RAI, a tutto danno delle imprese minori e sostanzialmente del cittadino. Si ricordi l'affaire del governo Berlusconi che usò milioni di euro dello Stato per indurre i cittadini ad acquistare a prezzo largamente sotto costo i decoder del digitale terrestre. Sul quale, adesso, con le schede a pagamento, Mediaset ci fa affari d'oro.


Tornando alla distribuzione, ma tutto questo andava detto per capire, è chiaro che si deve comunque cercare una via d'uscita.
Il tutto spiega perché nel disastro che mette bene in evidenza il tramonto dell'Iper Gadesco, capita un fatto contradditorio. Si costruisce un centro vendita anche alla Colombera (foto a destra) dopo quindici anni di controversie sfociate nella sentenza del consiglio di Stato che ha dato ragione alla Bonetti di Trescore Cremasco.
Non è una rivincita per ostinazione: il centrovendita sembra adeguarsi alle nuovi visioni delle distribuzione: dimensioni medie, gestione al minimo costo con automazioni in tutti i settori dove è possibile evitare il personale, contratti capestro, una apertura all'utilizzo artigianale (qualche concessionaria di auto non manca mai), probabilmente ai piani superiori una utilizzazione abitativa, e infine - a due passi dalla Fiera - pare, la realizzazione un albergo. Starebbero lavorandoci attorno uno studio cremasco, sotto la supervisione, sembra, dello studio di architettura Spadolini di Firenze. La descrizione è costellata purtroppo da tutti questi "sembra" e "forse" perché la Bonetti, della quale abbiamo appoggiato le ragioni, nonostante le nostre sollecitazioni non si è degnata neppure di darci una telefonata di cortesia per precisarei che non voleva o non poteva parlare. La gratitudine è un male non ancora inguaribile.
Quanto alla Cardaminopsis che dovrebbe direttamente o indirettamente installarsi subito dopo la concessionaria Marra sulla Paullese, sono stati decisamente più aperti, attraverso il loro rappresentante che a Cremona è lo studio di architettura Zanesi di via Manzoni. Qui il problema è diverso: il progetto è ancora in sospeso perché è stata avviata
una ovvia azione di ricerca della clientela interessata a un sistema che potrebbe aprire una superficie di vendita maggiore di diecimila metri quadri (quasi all'ombra del Cremona Po!) e altri tre spazi medi di circa 2500 metri quadri ciascuno. Ma il contorno del centro potrebbe nettamente cambiare in una serie di negozi di medie dimensioni. Insomma, il centro vendita è ancora tutto da inventare.
Ma l'interesse non manca.


Il tutto avviene con un Comune sconfitto giudizialmente su tutta la linea ed al quale restano solo da contrattare i pesanti oneri di urbanizzazione, ma che ha perso ogni altra capacità di essere protagonista nel proprio territorio con le disgrazie giudiziarie alle quali è andato ostinatamente, pervicacemente e con arroganza a sbattersi.
Cari cremonesi, così siamo ridotti. E rimane soltanto la speranza che tutti riflettano.

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Nelle foto di avvio: il cantiere della Clombera sulla circonvallazione nord di Cremona e le autorizzazioni concesse dalla Giunta Garini nel 1994 , poi clamorosamente smentite dalla Giunta Bodini. Sono alla base di una lunga vertenza giudiziaria nella quale il consiglio di stato ha dato agione all'impresa di Trescore Cremasco.


Una lettera sulla questione supermercati: una variante anche nel comportamento della gente

Caro direttore,
ho molto apprezzato il suo editoriale di oggi sull'Iper e sulla grande distribuzione.
Mi ha fatto un po' lo stesso effetto che mi fanno le puntate di Report: un senso di nausea, e di rancore... non per il giornalista, ovviamente, ma per chi dovrebbe programmare la nostra vita ed invece guarda ad interessi miopi e conniventi.
Si guardi all'illuminatissima scelta di costruire due multisala a Cremona, uno a fianco del CR2 e uno al CremonaPo: uno ha già chiuso! Ed il suo relitto rimane in piedi, sperano che serva da monito per il futuro...
La politica dei mille centri commerciali è scellerata e non può portare che ad un impoverimento generale, sia economico che psico-sociale...
Per il primo aspetto, nulla da aggiungere a quanto da lei detto; per il secondo... beh, ne cito ora solo uno, per stupido che sia. Tralasciando chi effettivamente deve fare la spesa, sa quanta gente va al centro commerciale il sabato pomeriggio o la domenica per ammazzare il tempo? A fare il giretto, guardare questo o quel negozietto, mangiare il gelato, a prendere il fresco d'estate, e ripararsi dalla pioggia d'inverno? Non so a lei, ma a me ha sempre fatto più o meno inorridire... Invece che passeggiare per le belle vie del centro, o sulle rive del bistrattato fiume, o per le nostre campagne che, ancorché piatte, riservano tratti di vera poesia...
Non so, mi sembra un impoverimento psicologico non da poco.

La saluto, un po' amareggiato...
Lorenzo Madini


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Nei fatti la lettera pone almeno due ordini di problemi, e tutti molto seri. Il primo è di carattere generale. La globalizzazione intesa esclusivamente come fenomeno commerciale e speculativo da quella che anche Ezra Pound combatteva, la plutocrazia di origine Usa, ha enormemente modificato i valori e le attenzioni della gente, che non riesce più decriptare i messaggi multimediali e subliminali tutti volti alla affermazione del prodotto. Dunque nelle scelte è via via sempre più influente e decisivo non solo il prodotto ma anche il luogo che lo propone. Decadono i valori che dovrebbero indurre l'uomo ad "essere" (Fromm: essere o avere), e vengono imposti convincimenti che qualificano il consumo come fondamento vitale. Esiste poi un problema del tutto locale. L' indegna amministrazione politica dell'isola pedonale ha spezzato il sistema di relazioni in città, il rapporto tra periferia e centro storico: è stata tagliata la convergenza verso il centro che ancora così bene si legge se si sale sul Torrazzo. Dunque in centro al massimo si ritrovano i clan, ma non c'è più la città che è un sistema complesso di giovani ed anziani, di uomini e donne, di strati sociali diversi e così via. Tutti volti della cittadinanza che è più facile rivedere (non dimentichiamo che anche osservare è motivo di attrazione) in un centro commerciale piuttosto che nei luoghi deputati (salvo rare occasioni alimentate artificialmente e che infatti riempiono, ma solo occasionalmente il centro storico: cadute le opportunità artificiali, il centro storico torna alla sua crisi). A questi fenomeni generali e locali, si aggiungono scelte sciagurate come il disinteresse per tessuto commerciale e umano del centro storico: nelle più recenti decisioni dell'assessore Soregaroli è persino è ritornata l'ambizione di farne una Wall Street .

Il discorso potrebbe continuare ed allargarsi molto. E' l'impegno de "Il Vascello" in ogni occasione utile.





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di Mer, 7 nov 2007