La
tanto attesa "era dell'Acquario" è cominciata,
ma la preannunciata "new age" dell'umanità
stenta a decollare. Il 25 marzo 1998 è arrivato e
passato senza che il "dio" proposto dal
"maestro Chen" sia apparso su una rete
televisiva texana per annunciare ufficialmente
"l'inizio della fine del mondo". Sono
sicuramente già trascorsi 2000 anni dalla nascita di
Gesù, e i Testimoni di Geova ancora sostengono,
pertinacemente, che "sopravvivere fino al volgere
del secolo è altamente improbabile". E' opinione
diffusa che gli "ultimi giorni" siano il
periodo di tempo che immediatamente precede la venuta di
Cristo per il giudizio; ma ci chiediamo: tale opinione ha
l'indispensabile sostegno della Sacra Scrittura?
Rivolgendo
la nostra attenzione agli scritti del Nuovo Testamento,
troviamo che Pietro Paolo, Giacomo e Giuda fanno
riferimento all'espressione "ultimi giorni".
Primo a parlarne è Pietro: nel giorno di Pentecoste,
dinanzi alla folla radunata in quel cinquantesimo giorno
dopo la morte e risurrezione di Gesù, l'Apostolo
evidenziò che il miracolo di cui erano testimoni (il
dono delle lingue concesso loro dallo Spirito) costituiva
l'adempimento della profezia di Gioele (cfr. Atti degli
Apostoli 2,17-21). Pietro dimostrava così che gli
"ultimi giorni" erano già operanti in quel
tempo; egli usava questa espressione nel contesto della
venuta del giorno del Signore e della salvezza che esso
reca con sé. Quindi, gli "ultimi giorni", di
cui parlava, non erano limitati ai pochi anni che
restavano fino alla distruzione di Gerusalemme nel 70
d.C., ma si protraevano fino al giorno del giudizio
finale. Nella Seconda Epistola a Timoteo, dopo aver dato
al fedele discepolo molti consigli sul modo di affrontare
le difficoltà che avrebbe incontrato nel servizio reso
ai conservi cristiani, Paolo lo ammonisce sui pericoli
degli "ultimi giorni" (3,1-5). Non pare
possibile che in questa circostanza Paolo intenda
proiettare gli "ultimi giorni" in un futuro
tanto lontano da giungere ai nostri giorni; tale
impossibilità ci è confermata dal confronto con
l'Epistola ai Romani in cui, descrivendo il modo in cui
gli uomini vivevano al suo tempo (Epistola ai Romani
1,29-32), l'Apostolo si esprime in termini quasi identici
a quelli usati nella Seconda a Timoteo3,1-5. La prova
stringente di questo confronto si aggiunge all'esplicito
monito a Timoteo: "e da questi allontànati"
(Seconda a Timoteo 3,5); dove è impossibile eludere la
contemporaneità del riferimento, in un passo in cui si
parla appunto dei pericoli degli "ultimi
giorni". E, proseguendo nella stessa Epistola a
Timoteo, Paolo fa ancora riferimento a "uomini
completamente corrotti di mente" il cui obiettivo
era rovinare la comunità cristiana (Seconda a Timoteo
3,6-9); in ciò lo sguardo dell'Apostolo è sicuramente
volto al presente. Non sembra, cioè, possibile dubitare
che gli "ultimi giorni" siano in stretta
relazione con il periodo in cui a Timoteo toccava di
esercitare il suo ministero. Ogni sforzo di interpretare
in altro modo il testo tradisce la volontà di
sovrapporvi soluzioni prefabbricate e di comodo. A tal
riguardo merita una citazione il periodico geovista
Svegliatevi! del 22/10/1993, il quale, a pag. 11, cita
proprio la Seconda Epistola a Timoteo 3,1-5 a sostegno
della ben nota tesi dei Testimoni di Geova, secondo la
quale vivremmo negli "ultimi giorni" dall'anno
1914. Orbene, la citata rivista, pur riportando il brano
di II Timoteo 3,1-5, fa terminare la citazione biblica
con la prima parte del v.5, omettendo, di proposito, il
monito finale del versetto ("e da questi
allontànati"); tale omissione tende appunto ad
impedire che un pur superficiale lettore dell'articolo
possa capire che le circostanze descritte da Paolo
avevano un diretto, esplicito riferimento a situazioni
contemporanee a Timoteo, destinatario della lettera. Sia
Pietro che Giuda mettono in guardia dagli
"schernitori" che "negli ultimi giorni
verranno" mettendo in dubbio la certezza del giorno
del giudizio divino (II Pietro 3,3-4; Giuda 18-19).
Entrambi gli scrittori riferiscono quanto dicono al loro
tempo; vale a dire che gli schernitori beffardi e gli
impostori erano persone contemporanee "che fanno
separazioni", come precisa Giuda, uomini "che
non hanno spiritualità". D'altronde, Pietro
dimostra, con estrema chiarezza, che l'incredulità degli
"schernitori" nasceva proprio dal fatto che il
modello di vita rimaneva essenzialmente lo stesso; non
c'era traccia di una eccezionalità di eventi e
situazioni di cui a loro sfuggiva la significatività
escatologica. Anzi, la loro incredulità era tale da
richiamare alla mente il modo di vivere inconsapevole
degli uomini del tempo del Diluvio, evento a cui Pietro
fa riferimento nella stessa lettera (II Pietro 2,5).
Questo atteggiamento di incredulità, da cui discende lo
scetticismo beffardo sulla concreta realizzabilità degli
"ultimi giorni", è sempre esistito nel corso
dei secoli; esso non è affatto caratteristico del nostro
tempo. Vi è dunque ragione di credere che gli Apostoli
ed i discepoli di Gesù applicassero l'espressione
"ultimi giorni" alla storia compresa tra la
vita, morte e risurrezione del Messia ed il giudizio
finale. Così l'Epistola agli Ebrei (1,1-2) comincia con
questa affermazione: "Nei tempi passati Dio parlò
molte volte e in molti modi ai nostri padri, per mezzo
dei profeti. Ora invece, in questi tempi che sono gli
ultimi, ha parlato a noi, per mezzo del Figlio". Il
lungo cammino della storia umana può essere paragonato a
un dramma in tre atti. Quando, dopo il primo ed il
secondo atto, il sipario si alza per il terzo atto, si sa
che il dramma è entrato nella fase conclusiva e, al
calar del sipario, terminerà. Una corretta
interpretazione delle fonti scritturali suggerisce che il
dramma della storia è giunto al suo terzo atto. Gli
inizi di questo risalgono a duemila anni fa, alla venuta
sulla terra del Messia e alla sua morte e risurrezione.
Achille Aveta
L'argomento trattato sopra è
ricavato da C.O.Jonsson-W.Herbst, Il segno
degli ultimi giorni, Roma 1992. Il capitolo
VIII di questo libro contiene accurati approfondimenti sul tema.