CIDI
Centro di Iniziativa Democratica degli Insegnanti
La scuola e leducazione
alla Pace
Alla scuola è affidato il compito di formare
le giovani generazioni ad una cittadinanza consapevole e attiva che guarda a una società
plurietnica e globale; di educare i giovani al
pensiero critico e all'autonomia di giudizio; di dare strumenti di conoscenza e di
interpretazione. La scuola ha il compito di
educare alla cultura della pace, della
solidarietà, del rispetto dei popoli. La scuola, attraverso lo studio della storia, guida
i giovani a rintracciare e a riconoscere le ragioni e i perché degli eventi, le cause e
gli effetti di quanto accaduto e accade, gli interessi e gli scopi delle tante guerre che
hanno afflitto i popoli, dall'antichità fino ai giorni nostri.
Noi insegnanti
oggi abbiamo la responsabilità di rispondere alle tante domande di bambini e ragazzi sul
probabile, prossimo conflitto allIraq. Abbiamo la responsabilità di farci carico
delle loro emozioni e paure, del loro grande disagio, del loro bisogno di sapere. Sappiamo
che la scuola non può diventare il luogo dove
si impara che il mondo è diviso in due: da un lato i buoni, dall'altro i cattivi. Noi
insegnanti infatti abbiamo il compito di educare i giovani a
rifiutare le certezze affrettate e il pensiero semplificato, a guardare il
mondo nella sua complessità. Certo, quando la
minaccia di una guerra incombe si produce una
sorta di accecamento, un regresso della ragione che non è ancora frutto degli orrori
della guerra (questi arrivano nel corso del suo svolgimento), ma della condizione
collettiva in cui, nel mondo della comunicazione, assumono corpo e forma la volontà
aggressiva degli uni, la volontà di pace degli altri.
È in momenti come questi, allora, che la
scuola ha il compito di dare forza alla ragione.
Noi insegnanti sappiamo che la scuola è
scuola quando insegna che le cose hanno un nome, e che i nomi, evocando idee,
possono avere un grande ruolo nel condizionare le scelte e l'agire umani. Sappiamo che a
scuola si insegna a connettere e a distinguere, a ricercare, a conoscere e a
riflettere. Allora di fronte a una
situazione di guerra annunciata non è sufficiente fermarsi all'evento scatenante, per
quanto serio e drammatico sia, ma è necessario risalire al contesto politico, economico,
culturale, di breve e medio periodo, in cui sono maturati gli eventi. Si tratta, cioè, di
connettere un evento a una situazione complessa: gli eventi fanno precipitare una
situazione, e giocano senza dubbio un ruolo importante, ma sono inesplicabili se non
vengono contestualizzati (nella comprensione storica si parla anche di distinguere tra
occasioni e cause). Comprendere significa anche distinguere e qui le distinzioni da fare sono molte; tra queste
bisogna dire che le scelte religiose dei singoli e dei popoli non vanno identificate con
le cause di irriducibili antagonismi: questa identificazione metterebbe in ombra cause
materiali e concrete - come il possesso di un territorio o il controllo di una risorsa
strategica - che sembrano avere più peso nei conflitti e nel sistema internazionale delle
alleanze. Entrare nel mondo della conoscenza
significa mettere a fuoco questioni che fanno
parte del contesto in cui viviamo - per esempio l'accentuarsi del divario tra ricchi e
poveri nel mondo, i legami tra apparati militari, apparati politici e sistema economico...
-, indipendentemente dal fatto che qualcuno possa vederle come cause scatenanti o dirette
del terrorismo. Dare spazio alla ricerca
significa tentare di conoscere quali siano le forme di cui l'umanità dispone per evitare
la guerra come unica soluzione ai problemi del mondo. Riprendere a ragionare contro la
minaccia della guerra significa dare alla scuola il suo senso più autentico: essendo il
luogo privilegiato della conoscenza, il luogo dove si impara che i contrasti e i conflitti
si generano ovunque, lontano da noi e nei contesti vicini a noi. Si tratterà allora di
mettere in atto, nella scuola, nelle singole classi - contesti circoscritti entro cui
singoli individui possono imparare che cos'è un agire responsabile - quell'esercizio
della ragione che preferisce alla domanda "come posso distruggere il mio
nemico?" l'altra: "come posso risolvere il problema che ci ha fatto diventare
nemici?".
Roma, 12 febbraio 2003