Gli Arabi in Sicilia       

 

 

 

 

La prima comparsa dei Musulmani in Sicilia risale al 652, giungevano dalla Siria ed erano comandati dal prode MU'ÀUIA IBN-HODEIG della tribù di Kinda, che dopo parecchi mesi di soggiorno nell'isola, se ne ritornò carico di bottino. Una seconda spedizione avvenne nel 669, questa volta venivano da Alessandria, su duecento navi, ed erano guidati da ABDALLAH IBN-KAIS.

Saccheggiata Siracusa e altri territori, un mese dopo riprendevano il mare portandosi dietro molte ricchezze.

 

Nel 703 è una flotta d'Arabi d'Egitto a fare una scorreria in Sicilia una spedizione guidata da ATTÁ IBN-RAFI; l'anno dopo ABDALLAH IBN-MUSA saccheggia Lilibeo.

Nel 705 AIÀSCI IBN-AKHIAL con un'armata d'Africa fa un'altra una scorreria su Siracusa; quindici anni dopo, nel 720, MOMAMMED IBN-AUS e nel 727 BISCIR IBN-SEFUÀN saccheggiarono le coste dell'isola e portarono in Africa oltre al bottino dei prigionieri. Da quel momento in poi, le incursioni furono più frequenti, finchè nel 740 venne fatta,  a scopo di conquista, la prima spedizione musulmana in Sicilia.

HABIB mandò il figlio ABD-ER-RAHMÀN che assediò Siracusa, ma una rivolta di Berberi lo costrinse a ritornare in Africa. Egli ricomparve in Sicilia nel 752 ma compì solamente alcune razzie.

Nell’arco di un secolo, si registrarono quindici spedizioni di Musulmani in Sicilia, la quale, oltre ad avere molte ricchezze, era il ponte di passaggio tra l'Africa e l'Italia, che gli Arabi avevano intenzione di sottomettere per estendere in Occidente il loro dominio e la loro fede. Ma i disordini che si erano avuti in Africa con l’affermarsi della dinastia degli Abassidi li distolsero da questo progetto(750). Per più di mezzo secolo non vi furono più  scorrerie, ed i bizantini ebbero modo di rafforzare l’isola.

I Musulmani erano così disuniti tra loro, che non avevano mai destato le preoccupazioni  dell'impero carolingio, infatti, per i contrasti che esistevano tra Omeîadi, Edrisiti e Aghlabiti, dovendo combattere contro le forze navali bizantine e contro con quelle italiane che Carlo Magno qualche volta mandava, spesso subirono molte sconfitte.

I fatti che diedero origine alla conquista musulmana della Sicilia videro protagonista EUFEMIO; un comandante a servizio di Costantinopoli. Le fonti non spiegano i motivi della sua ribellione ai bizantini.

Alcuni storici pensano che furono solamente cause personali: egli aveva rapito e sposato una monaca; i fratelli della donna chiesero giustizia all’imperatore di Bisanzio MICHELE, che ordinò di catturarlo e di mozzargli il naso; saputa la condanna mentre stava facendo una scorreria in Africa, Eufemio tornò in Sicilia, s'impadronì di Siracusa e si fece proclamare imperatore, ma abbandonato dai suoi seguaci, si rifugiò in Africa e pregò i Mussulmani di aiutarlo a tornare nell’isola.

Altri, invece, pensano che Eufemio fosse a capo di una rivolta delle truppe siciliane, per il malgoverno dei funzionari bizantini, mentre MICHELE era impegnato in battaglia contro i Musulmani per la riconquista di Creta.

All’emiro di Kairuàn l'aghlabita ZIADET-ALLAH, fratello di ABÚ 'l-ABBÁS, Eufemio propose di governare la Sicilia a suo nome e di pagargli un tributo annuo. Il principe volle prima  consultare i notabili del paese ed essendosi costoro pronunciati favorevoli alla guerra, decise la spedizione e l'affidò al qadi ASED IBN-FORÀT, un settantenne, oriundo di Nisapúr nel Khorassàn.

Il 13 giugno dell'827, Ased ed Eufemio partirono da Susa con diecimila fanti, settecento cavalli e una flotta di circa cento navi. Approdati a Mazara del Vallo, furono raggiunti dai seguaci del comandante bizantino. Ma Ased,  non fidandosi di lui, gli disse di stare lontano insieme ai suoi e di dare loro un contrassegno per distinguerli dai nemici.

La prima battaglia avvenne il 15 luglio a sei miglia da Mazara. Ased recitò sottovoce, davanti alle sue schiere, il capitolo del Corano che si recita ai moribondi, poi, esortati i soldati, si gettò con coraggio fra i nemici, che furono sconfitti.

L’esercito bizantino fuggì a Castrogiovanni insieme al proprio comandante, che non sentendosi al sicuro,  fuggì in Calabria; dove fu raggiunto e ucciso.

ASED occupò parecchi castelli, poi dalla foce del Salso puntò attraverso i monti su Acri e, dopo una breve tregua concessa ai difensori, piombò su Siracusa, che assediò per terra e per mare. Non fu un’impresa facile, infatti, a corto di vettovaglie, gli Arabi furono costretti a cibarsi dei cavalli ed Ased dovette fare molti sforzi per costringere i suoi guerrieri, che volevano ritornare in Africa, a continuare l'assedio. Aspettavano che giungessero i rinforzi, ma giunsero invece agli assediati. Ased  inflisse all’esercito soccorritore una sanguinosa sconfitta e Siracusa stava per trattare la resa quando scoppiò una pestilenza, che colpì assediati ed assediatori: lo stesso Ased perse la vita.  

      Gli Arabi guidati da un nuovo capo, MOHAMMED IBN-EL-GENÀRI, che non aveva lo stesso carisma del suo predecessore, decisero di riprendere il mare, ma affrontati dalle armate bizantine e veneziane, tornarono indietro, bruciarono le navi e si ritirarono a Mineo, che diventò la loro base.  

Ripresero presto i loro attacchi: conquistarono Girgenti e giunsero sotto Castrogiovanni, l'antica Enna, dove  morì Eufemio.

Così scrive lo storico Michele AMARI: "...Ci fu un abboccamento con gli assediati; alcuni di loro nelle trattative s'incontrarono due volte con Eufemio, uscendo e rientrando due volte dalla città per riferire ai capi della resistenza le condizioni. Nel secondo incontro avvenuto a notte tarda, la conclusione fu che i cittadini erano disposti ad ogni suo e dei Musulmani volere: avrebbero ripudiato il nome dell'imperatore Michele e giurato fedeltà solo ad Eufemio.

L'incontro per definire i patti con i loro capi, doveva avvenire la mattina dopo alla tale ora e nel tale luogo, ad una distanza onesta, cioè a metà strada tra le mura e il campo.
Gli emissari rientrarono in città; ma durante la notte in previsione dell'incontro, nascosero le armi nei pressi del punto dell'incontro. Il mattino dopo nell'ora pattuita, vestiti in gran gala, un piccolo gruppetto di cittadini, lieti e dall'atteggiamento servile, avanzarono verso il ritrovo; dall'altra parte l'ignaro Eufemio con una piccola scorta avanzò pure lui verso il luogo da loro indicato. Giunti al suo cospetto, i cittadini si prostrarono dinanzi al posticcio imperatore, in atto d'adorazione, come si usava allora.

I capi che dovevano parlare erano due fratelli, che pare fossero stati amici d'Eufemio prima della guerra; smisero di fare le servili moine e con un fare più amichevole, invitarono Eufemio ad un abbraccio fraterno per dimenticare ogni passato contrasto. Non più abituato alle espansioni d'affetto, Eufemio si commosse molto, si chinò perfino a baciare uno dei fratelli, che con celata ipocrisia amorosamente gli prese il capo con entrambe le mani; ma a quel punto lo afferrò per i capelli, mentre l'altro fratello prontissimo vibrò un terribile colpo sulla nuca scoperta di Eufemio, tramortendolo.

A questo segnale s'impossessarono delle armi occultate, eliminarono la scorta, tagliarono poi la testa a Eufemio portandola come trofeo in città. Forse furono paragonati alla Giuditta, sicuramente chiamati liberatori della patria, perché poi nella cronaca di Costantino Porfirogenito i due fratelli furono proclamati "vendicatori dell'onore imperiale contro un usurpatore". Questa fine ebbe il prode condottiero siciliano, travolto dai vizi di un pessimo governo, e un paese diviso in due, che voleva ribellarsi per essere libero, uno a uno straniero - i bizantini - e l'altro pure, a un nuovo straniero - gli Arabi..."  (Michele Amari - Storia dei Musulmani in Sicilia)  

L'assedio di Castrogiovanni continuò senza alcun risultato e gli Arabi dovettero rifugiarsi di nuovo a Mineo; nel frattempo a Girgenti la guarnigione bizantina aveva raso al suolo le loro fortificazioni costringendoli a ritirarsi a Mazara.

Ma giunsero, dall’Africa e dalla Spagna, eserciti di Arabi e di Berberi, mandati da Ziadet-Allah, audaci guerrieri capitanati da ASBAGH IBN-UEKIL soprannominato "Ferghalusc".

Quelli d'Africa mossero su Palermo, mentre quelli Spagnoli di Asbagh marciarono su Mineo e sotto le mura di questa città sconfissero le forze bizantine.  

 

Il 10 giugno dell'838 moriva l'emiro ZIADET-ALLAH e gli succedeva il fratello ABÚ-IKÀL, il quale mandava in Sicilia nuove forze con le quali i Musulmani poterono occupare nell'840 Platani, Caltabellotta, Corleone, Marineo e Geraci, distruggendo anche  nell'841 il territorio di Castrogiovanni ed espugnando la fortezza delle Grotte. 

Padroni della parte occidentale dell'isola, che si chiamerà poi Val di Mazzara (o Mazara del Vallo) si rivolsero verso Messina, sotto il comando FADHL IBN GIÀFAR, della tribù di Hamadán. Ma quando nel 843 la città  fu conquistata, i musulmani diressero la loro attenzione alla parte orientale dell’isola, quella che verrà in seguito chiamata Val di Noto.

 

 

A Palermo con lui ci fu “la tranquillità in casa, la vittoria fuori”.  La pace, la saggezza e l'equilibrio che vi regnavano portarono nella città sempre nuova gente;  Palermo per oltre due secoli fu molto diversa da tutte le altre città Europee; era il "fiore" (Aziz) del Mediterraneo, e lo dicevano soprattutto i viaggiatori arabi che avevano visto ogni parte del mondo conosciuto.

Nella storia della Sicilia musulmana IBRAHIM è degno di essere congiunto ad ASED IBN-FORÀT: due valorosi dei quali è stato scritto "il giurista con impeto e furore principiò il conquistato, e il guerriero con il suo senno lo consolidò”  

 

Incendiata Mineo, ASBAGH marciò su Ghallulia, città posta forse nel luogo  dove oggi sorge Caltanissetta, e ne fece una base per le sue successive operazioni, ma una inaspettata pestilenza lo uccise ed i Musulmani decisero di abbandonare la Sicilia per tornarsene in Spagna. 

L’esercito africano marciò su Palermo, che verso la fine dell'830 dopo un anno di strenua resistenza, con la popolazione decimata dalla fame, dalla guerra e dalla pestilenza, si arrese.

I cittadini ebbero confiscati i beni e furono ridotti alle condizione di dsimmi (vassalli).

Dalla caduta di Palermo si passò a quella di tutta l'isola, dove ZIADET-ALLAH nell'833 mandò un suo cugino, ABÎZ-FIHR col titolo di SÁHIB. I Bizantini avevano un campo d'osservazione a Castrogiovanni e Abn-Fihr li sconfisse in un'aspra battaglia, ma egli morì a causa di una rivolta militare. Al suo posto fu mandato FADHL IBN-JAKUB che, sconfisse i Bizantini, in una sanguinosa battaglia presso Castrogiovanni.   

 

Nell’851 moriva a Palermo ABU '1-AGHLAB IBRAHIM. Michele Amari scrive: "Senza uscire mai dalla capitale Ibrahim in tutto quel tempo da Palermo aveva condotto la guerra, attraverso i suoi luogotenenti; disegnato con perizia le imprese; dato riputazione alle forze navali; dove andare ad infestare le coste dell'Italia meridionale; fatto percorrere ai suoi uomini l'isola da  un capo all'altro; e se alcuni erano riusciti a difendersi in quelle città dove esistevano poderose fortezze, nelle altre, nessuna persona era sicura se non pagava la taglia ai Musulmani".

Era il "pizzu". Circa il dieci per cento su ogni cosa; solo così si poteva commerciare o  svolgere altre attività. Senza pagare altre tasse si era protetti da qualsiasi soverchieria  quelle stesse angherie che avevano fatto odiare gli avidi funzionari bizantini, che non avevano mai dato niente in cambio.

Ibrahim fu un uomo di pace, leggeva molti testi d'autori arabi e antichi; aveva una ricca biblioteca e, per la sua notevole conoscenza dell’amministrazione del governo, si dimostrò saggio. 

A Ibrahim successe ABBÁS IBN-FADHL, che fu uno dei più feroci e valorosi condottieri. Non riposava mai: le zone circostanti le città di Castrogiovanni, Catania, Siracusa, Noto, Ragusa furono da lui più volte saccheggiate. Incuteva terrore ai bizantini:  tagliava piante, abbatteva mura delle terre conquistate e portava prigionieri a Palermo. A Gagliano dopo averla conquistata lasciò libere solo duecento persone, gli altri li condusse, come schiavi, nella capitale, dove radunò più di seimila persone per venderle.

 

La caduta di Castrogiovanni (oggi Enna) fu la sua impresa più famosa, che  MICHELE AMARI descrive così:

"... Era l'inverno dell'859; da una scorreria di Saraceni nel contado di Castrogiovanni era stato condotto, fra gli altri prigionieri, a Palermo un uomo di famiglia molto nota, ma ribelle. Abbás comandò che fosse messo a morte ma il prigioniero gli si avvicinò e con patrizia disinvoltura "Lasciami la vita - gli disse - e ti comunicherò una buona notizia che fa per te". "Quale?" gli chiese l'emiro dopo averlo preso da parte; " Io ti darò in mano Castrogiovanni. Quest'inverno - proseguì - fra queste nevi, il presidio non si aspetta assalti e fa male la guardia; quindi se vuoi tu mandare una parte dell'esercito, saprò io dove farlo entrare a Castrogiovanni".  Abbás acconsentì; scelti mille cavalli e settecento uomini dei più validi li spartì in drappelli di dieci uomini; mise un capo a ciascun drappello, preparò ogni cosa in gran segreto e guidando lui stesso la spedizione, usci nottetempo dalla capitale. Evitò la solita via di Caltavuturo, aspra e difficilissima in inverno, che si snoda da Palermo a Castrogiovanni a levante; e seguì l'altra strada più lunga e agevole che conduce a Caltanissetta, città a sedici miglia dall'insidiata rocca.

Si legge che Abbas sostasse in una zona di montagna con un lago, forse lago Pergusa, lontano cinque miglia a  sud da Costrogiovanni; e si deve supporre la successiva fermata a Caltanissetta ovvero a Pietraperzia, un paese vicino.

Vi rimase in agguato con il grosso delle truppe, mentre inviava, a compiere l'azione più ardua, Ribbáh con gli uomini più abili e forti, che si mossero senza far rumore durante notte, portandosi dietro in catene il traditore cristiano e facendolo camminare sempre sorvegliato a vista.

Costui arrivato ad un certo punto, dov'era un costone di rocce, disse che bisognava salire con alcuni uomini per quella difficile parete e che, proprio per questo, mai controllata dalle sentinelle, mentre il grosso degli uomini di Abbas dovevano portarsi sulla parte settentrionale del monte di Castrogiovanni, nascondersi e intervenire solo quando avrebbero visto aprire la porta della rocca.

 

Ribbàh, seguendo il traditore, cominciò ad arrampicarsi su per l'erta finché si trovò sotto la cittadella. Era giunta l'alba, quell'ora fatale quando passato il pericolo della notte, le sentinelle si rilassano o si danno al sonno. Il traditore condusse allora i Musulmani all'entrata di un acquedotto che si apriva sotto le mura; vi entrarono e rividero il cielo dentro la fortezza. Si avventarono sui Bizantini; uccisero tutti quelli che si facevano avanti poi aprirono le porte.Abbás in attesa, a quel punto spronò i suoi uomini all'invasione; entrò nella rocca allo spuntar del sole, l'ora della prece mattutina dei Musulmani, il quindici scewàl dell'anno 244 dell'era maomettana, il 24 gennaio 859 dell'era cristiana).

 

 

A nessuno dei soldati cristiani fu risparmiata la vita. Figliuoli di principi, aggiunge la cronica, furono fatti prigionieri; così le donzelle patrizie con i loro gioielli; un bottino che era così tanto che non si poteva quasi contare. Abbás immediatamente fece costruire una moschea; fece innalzare una ringhiera; e vi salì il successivo venerdì, il "dì dell'unione", come lo chiamano i Musulmani, perché i loro teologi affermano che si sono uniti insieme gli elementi del mondo. Il feroce condottiero, fra i corpi della strage, il pianto delle vittime, le grida e gli eccessi dei vincitori, arringava i suoi attribuendo ad Alláh la vittoria di Castrogiovanni. Questa vittoria la si ricordò fra le più famose vittorie del tempo; e tanta fu la gioia dei Musulmani quel giorno, che, dimenticando perfino le gelosie di Stato, l'emiro di Sicilia inviò alcune "belle ricchezze" materiali e umane, al principe aghlabita d'Africa; per scegliere le gemme più preziose e le donne e i fanciulli fatti prigionieri, e farne un regalo al Califfo di Bagdad…..”

 

La caduta di Castrogiovanni, considerata inespugnabile, preoccupò molto i Siciliani, che si rivolsero a Costantinopoli. Accolta la richiesta, molte navi cariche di soldati furono mandate dall’oriente, ma Abbás, sconfisse i Bizantini, li catturò e tolse loro le navi.

Molte città siciliane colsero l’occasione per ribellarsi ai musulmani, ma anche l'esercito isolano fu battuto. Ma di lì a poco Abbàs moriva, aveva suscitato tanto odio nell’animo dei siciliani, per la sua ferocia, che dissotterrarono il suo cadavere per darlo alle fiamme.

Successe a lui KHAFÀGIA IBN-SOFIAN, che conquistò, nell'864, la città di Noto e di Scicli, più tardi sarà la volta di Troina e Ragusa.

Khafágia il 15 giugno dell'869, tornando da Siracusa fu ucciso a tradimento con un colpo di lancia da un berbero; la stessa sorte del padre ebbe suo figlio Mohammed, ucciso dai suoi servi a Palermo il 27 maggio dell'871.

Dalla fine dell'871 all'873 si susseguirono molti sultani finchè GIÀFAR IBN-MOHAMMED, iniziò la guerra che portò alla conquista di Siracusa.

Scosse le mura della città , giorno e notte, con arieti giganteschi, pali e picconi; con grandi mangani, fece scaraventare enormi macigni. Una costante pioggia di sassi cadeva dentro la città; scavarono vie sotterranee per sorprendere gli abitanti, che, sempre vigili, cercavano di respingere gli attacchi.

Per ben otto mesi la città fu tormentata, oltre che dai  Musulmani, dalla fame, descritta anche dal monaco Teodosio e tradotta dall’Amari: 

"... Gli animali domestici erano ormai tutti consumati; conveniva mangiar come si poteva di grasso o di magro; erano finiti i ceci, gli ortaggi, l'olio; la pesca era cessata fin dal giorno che il nemico si era impadronito dei porti. Ormai un moggio di grano, se lo trovavi, si comperava centocinquanta bizantini d'oro; uno di farina duecento, due once di pane un bizantino; una testa di cavallo o d'asino, da quindici a venti; un intera giumenta, trecento.

Nella Cattedrale si erano rifugiati anche molti cittadini, i quali credendo che fosse giunto l'ultimo giorno della loro vita, chiedevano perdono delle offese arrecate; i nemici non fecero loro alcun male, portarono in prigione soltanto i sacerdoti, dopo aver preso gli arredi sacri.

Le violenze durano tutto il giorno, vennero uccisi tutti i soldati ed uno di essi che era stato causa di morte di molti nemici fu scorticato vivo e gli fu strappato il cuore.

I saraceni impiegarono due mesi per abbattere le fortificazioni della città; alla fine incendiarono le case dopo averle spogliate, lasciando un mucchio di macerie dove era sorta la ricca città di Siracusa, prima di far ritorno a Palermo con numerosi schiavi.

I poveri, poiché mancava a loro tutto perfino le solite verdure, andavano raccogliere le erbe amare su per le muraglie; masticavano le pelli fresche; raccoglievano le ossa spolpate, e pestate e stemprate con un po' d'acqua le trangugiavano; rosicavano il cuoio: poi, sopraffatti dalla fame rabbiosa da ogni ribrezzo da ogni sentimento di religione e di natura, dettero di piglio ai bambini che erano morti di fame; mangiavano i cadaveri dei morti in battaglia, ed era quest'ultimo l'unico alimento di cui non ci fosse penuria. 

Da tutto questo si generavano epidemie che ognuna era diversa; della quale chi moriva subito in orribili convulsioni; chi gonfio come un otre; chi aveva tutto il corpo sforacchiato da piaghe; e altri che restavano paralitici..."  

 GIÀFAR sicuro della caduta della città se ne tornò a Palermo; e lasciò che dirigesse  l'assedio ABÙ-ISA.

 

Crollò un lato della torre del porto grande, battuto dagli arieti che provocarono una grande breccia, e un pezzo della cinta difensiva. Per venti giorni e venti notti gli abitanti resistettero agli attacchi, anche le donne parteciparono ai combattimenti.

Ad un certo punto sembrò che i Musulmani volessero concedere un po' di riposo o che avessero rinunziato all'impresa. Ma all’alba del 21 maggio dell'878 ripresero improvvisamente a gettare  sassi sulle case e sulle vie, mentre alcuni  Saraceni, penetrati dalla breccia, travolsero i pochi soldati che difendevano la città. I Siracusani tentarono di fermare i nemici davanti la chiesa del Salvatore, dove la gente si era raccolta per pregare: donne, bambini spauriti, vecchi inermi, frati e preti, cominciarono a gridare appena la porta venne abbattuta.

 

 

L' ULTIMO VENTENNIO DEL SECOLO IX°

 

 

GIAFAR venne ucciso dai suoi stessi familiari e tornò al potere HOSEIN IBN-RIBBÀH che  pensò di conquistare Taormina.  

I Bizantini però, volendo vendicarsi di aver perduto Siracusa e delle incursioni dei musulmani nelle isole di Cefalonia, Zante, Malta, ed altre località della Grecia, incoraggiati dai siciliani e dai frati, radunarono una flotta e affrontarono gli arabi vicino la Grecia, ottenendo una vittoria. Il comandante Nasar sostenuto dagli esiti positivi della battaglia fece distruggere le città siciliane che si erano arrese ai Musulmani, ma non osò attaccare Palermo.

Ma quando il comando fu affidato a MOHAMMED IBN-FADHL, non solo Nasar  venne sconfitto ma vennero distrutti i dintorni di Catania e di Taormina e furono uccisi i soldati dell’esercito, che tentava di osteggiare le scorrerie: circa tremila uomini furono decapitati e le loro teste inviate a Palermo.  

Altre incursioni furono fatte da MOHAMMED e del suo successore HOSEIN IBN-AHMED. Con  SEUÀDA IBN MOHAMMED, vi fu una tregua tra musulmani e Bizantini perché fra i musulmani erano nate nel frattempo delle discordie tra Arabi (coloro che erano appena arrivati) e Berberi (già da qualche tempo sull'isola), costoro si scontrarono infatti in una guerra civile sanguinosa.

l popolo di Palermo insorse contro SEUÀDA e, mandatolo in Africa, elesse come successore ABU-ABBÁS-IBN-ALÌ, il quale sedata la rivolta, riconsegnò il governo a SEUÀDA.

All’odio tra Arabi e Berberi si aggiunse quello per il principe d’Africa il feroce IBRAHIM IBN-AHMED, di cui tutti volevano liberarsi. 

Per circa dieci anni si susseguirono le discordie tra Arabi e Berberi e le lotte tra questi e il principe aghlabita, finché gli Arabi siciliani si armarono contro quelli di Africa.

Il 4 maggio dell'892 un emiro, MOHAMMED IBN-FADHL, mandato dal principe, entrò a Palermo, ma i rivoltosi, avuta la meglio, ottennero l' indipendenza dalla madre patria, ma essa durò solo cinque anni.

IBRAHIM mandò in Sicilia un poderoso esercito comandato dal figlio ABÚ-ABBAS-ABDALLAH, che sbarcò a  Mazara e si diresse verso Trapani.

I due eserciti si scontrarono in un sanguinosa battaglia e gli Arabi palermitani, avuta la peggio, si ritirarono verso la capitale cercando di contrastare l’avanzata del nemico ma decimati e sfiniti, cedettero e si ritirarono nella città vecchia (Cassero), lasciando agli Arabi Africani i ricchi sobborghi della città, che furono ben presto saccheggiati.

Resistettero nel Cassaro per altri dieci giorni, poi raggiunsero un accordo secondo il quale i capi dovevano essere allontanati dalla città con le loro donne ed i loro figli. ABÚ-ABBÁS entrava trionfalmente a Palermo.

 

Impadronitosi della capitale, il condottiero si diresse verso Taormina; devastò la città assediò Catania, che  resistette, e ritornò a Palermo, per preparare il prossimo attacco. Arrivò a Messina, oltrepassò lo stretto e affrontò senza ostacoli i bizantini, che fuggirono. Ma un’altra flotta bizantina arrivava in Sicilia da  Costantinopoli, Abu-Abbás ripassò lo stretto e, sconfitta anche questa, ritornò a Palermo, da dove, chiamato dal padre, partiva per l'Africa.

 IBRAHIM abdicava, costretto dal califfo abassida Mothadhed Billah, nauseato dalla ferocia del suo governatore di Kairuan, dal malcontento dei sudditi, dalla rivolta della tribù berbera di Kótama e dalle minacce degli egiziani. Ma IBRAHIM, affidato il potere al figlio, pensò di  sterminare egli stesso i Bizantini di Sicilia e di conquistare l’Italia.

Si recò a Susa per  predicare la guerra santa e  raccogliere volontari; comprò armi e cavalli e partì per Trapani, dove radunate altre truppe, si diresse verso Palermo.

 

LA CADUTA DI TAORMINA

 

IBRAHIM marciò verso Taormina, che era diventata la capitale bizantina.

Gli abitanti andarono contro il nemico, lo scontro avvenne presso Giardini, egli stesso, entrato in battaglia, si scagliò contro i Bizantini che fuggirono impauriti come scrive l’Amari:

"….Senza la guida di un valido condottiero, si misero a fuggire in modo disordinato, e i Musulmani ad inseguirli su per le vette dei monti, e raggiunti pure lì furono sbaragliati agguantati e spinti in fondo ai burroni Altri che avevano scelto una diversa via di scampo, verso il mare, si rifugiarono sulle navi; e tra questi in fuga forse i due capitani bizantini; altri ancora, ma sempre nella confusione, ripararono in città, ma i vincitori ormai entrati, iniziarono a inseguirli fino alla cittadella e a Castel di Mola; i primi a dirigersi da una sentiero molto scosceso verso il monte che sovrasta l'erta di Taormina, gli altri dietro a incalzarli ma poi a fermarsi alla base della rocca quasi inaccessibile...”

 

"... Ibrahim desiderava uccidere coloro che si erano messi in salvo sulla rocca, dopo aver trovato un luogo da dove potersi arrampicare con mani e piedi, promettendo premi a un gruppo di negri al suo comando li convinse ad inseguirli; i rifugiati sentirono alle spalle il grido "Akbar Allah"; il grido di guerra dei nemici, capirono  di essere stati presi. IBRAHIM, sentito il grido di guerra, salì sulla rocca e comandò uno spietato eccidio..."

Era la Domenica del 1° Agosto dell'Anno 902, cadeva l'ultima roccaforte bizantina in Sicilia.

 

Impadronitosi di Taormina, IBRAHIM si mostrò spietato trucidò tutti, anche le donne ed i bambini, poi incendiò la città; fra le vittime ricordiamo il vescovo PROCOPIO, il quale affrontò la morte confortando gli altri prigionieri.

Altre città capitolarono per paura di fare la stessa fine di Taormina. Poi IBRAHIM marciò per conquistare tutta l'Italia e per raggiungere poi Costantinopoli.

La notizia che avanzava il feroce musulmano si era diffusa velocemente, in tutte le città del mezzogiorno d'Italia, e causava  terrore tra le popolazioni che cercavano di mettere in salvo i loro averi, di rafforzare le mura, di fare provviste in caso di assedio.

Intanto IBRAHIM colpito da una grave dissenteria si era indebolito a tal punto da cercare rifugio in una chiesa, dove moriva a cinquantatre anni.

Il comando dell'esercito, già sbandato durante la sua malattia, fu affidato al nipote  ZIADET-ALLAH, il quale decise la ritirata, portandosi dietro la salma del nonno.

 

Ma se i bizantini erano stati del tutto sconfitti, un altro pericolo incombeva sulle sorti della Sicilia, nuovi popoli avrebbero oltrepassato lo stretto per conquistarla. ..

 

ESCI

Scuola Media Statale "G.Verga"  Barrafranca (Enna) - Progetto Comenius - Anno Scolastico 2002 /2003