BOLLETTINO N°7

MAGGIO 1996


 

presentazione

Le necessarie attenzioni della stagione riproduttiva vanno sostituendo in questo periodo gli entusiasmi primaverili che hanno sostenuto l'incontro del 24 marzo, di cui ricordo la relazione del prof. Fracanzani, la presentazione delle sculture del maestro Stefano Baschierato introdotte dal prof. Paolo Tieto e un pranzo che ha coronato degnamente la mattinata. C'è stato anche un breve ma promettente incontro con gli allevatori ad inizio mattina che abbiamo interrotto per ristrettezza di tempi, ma di cui mi riprometto di raccogliere e ordinare gli interventi che erano stati fatti e riportarli nel prossimo Bollettino.

Anche la stampa ha accolto il valore dell'iniziativa del Progetto di conservazione: "Il Gazzettino" con un articolo la domenica successiva e "Quatro ciacoe" nel numero di maggio.

Sono occasioni che gratificano tutti coloro che aderiscono e motivano la perseveranza in un impegno che, specie nel periodo riproduttivo, dà poche certezze e parecchie preoccupazioni.

Penso all'andamento della deposizione in Istituto e a quella degli allevatori che incontro più frequentemente: l'attesa per un gruppo o l'altro che non depone, oppure la delusione di scoprire che le uova non risultano feconde, o il trovare al mattino alcuni pulcini morti senza conoscere il motivo.

In genere la natura continua però a sorprenderci con risorse inaspettate ricaricandoci di ottimismo, e confidando in essa ecco questo numero del Bollettino più ricco del solito per una serie di coincidenze.

Per "le notizie del Progetto" presento i primi risultati della stagione riproduttiva ottenuti raccogliendo i dati degli allevatori.

Continuano i contributi del prof. Fracanzani, questa volta con la prima parte di una breve storia dell'avicoltura in provincia di Padova in cui il lettore potrà scoprire i progetti di inizio secolo, i tecnici e le loro scelte, le razze che erano allevate ed ora in parte scomparse. Inizia con questo numero anche una rubrica dedicata ai lavori nell’allevamento.

Come ho anticipato nel numero precedente gli studenti della I^ A hanno trascritto il loro lavoro sull'avicoltura rurale e i relativi termini dialettali con la coordinazione del loro insegnante di Storia Aldo Scuderi, ancora un altro collega, Amadeo Bizzotto, contribuisce con un articolo sul compostaggio dei residui organici e il ruolo della pollina.

La "pagina dell'arte", a questo punto ce n'è bisogno, ospita un articolo del citato prof. Tieto che ripropone i contenuti del suo intervento del 24 marzo e una nota sulla figura del maestro Baschierato.


sgussete de ovo     - frammenti di avicoltura rurale -

 

1 Piombino Dese (Pd), Sig. Narciso Pelloso

Conserva la usanza di bagnare le zampe e il becco dei pulcini appena nati nel vino merlot perché crescano più robusti e vigorosi.

2 Bovolenta (Pd), Sig.ra Ferlin

Racconta che al galletto nano (checheto) si somministrava forzatamente per bocca una mistura di vino e tabacco da naso, dopodiché con il capo sotto l'ala lo si faceva ruotare a braccia tese in avanti, fatto ciò veniva sistemato sotto il corbello (criola). Al mattino si era adeguato ad una nuova occupazione: quella di fare da guida e da istruttore alla nidiata che scopriva dopo le nebbie dell'alcol sotto lo stesso corbello.


Gli allevatori del Progetto

e i loro primi risultati per la conservazione delle razze avicole

le notizie del Progetto

Mi sono chiesto più volte circa la convenienza di pubblicare i risultati ottenuti, in questo inizio di stagione riproduttiva, dai vari allevatori per le razze che seguono e oggetto del Progetto di conservazione.

Da un lato avevo il timore di toccare la suscettibilità dell’allevatore meno fortunato dall’altra consideravo invece che la conoscenza dei reciproci risultati costituisca tuttavia un incoraggiamento a proseguire perché è dimostrata la possibilità di migliorare, e poi ognuno ha a disposizione utili elementi di confronto con la propria attività.

Ho privilegiato quindi l’ultima considerazione ed ecco i risultati che d’altronde costituiscono argomenti di discussione sul come fare e cosa fare in un probabile futuro incontro .

 

allevatore

razza

Uova raccolte

Pulcini in allevamento

note

Bertin Padovana bianca

25

8

6bianchi, 1 argent., 1 nero
Bizzotto Padovana camosciata      
Brunello Padovana nera (8 f.)

Livorno dorata (2 f.)

circa 240

circa 90

12

4

Altri pulcini sono in allevamento dell’Istituto
Cavalletto Padovana bianca

30

nessuno

morto un gallo e una gallina
Dal Corso Padovana camosciata  

11

10 ceduti ad un vicino
De Marchi Tacchino Colli Euganei      
Fracanzani Padovana bianca

Padovana camosciata

Livorno dorata

     
Franceschetto Padovana bianca

TacchinoColli Euganei

     
Holzer Padovana camosciata      
Padovan Tacchino Colli Euganei      
Pasquinelli Padovana dorata

Padovana camosciata

Padovana bianca

stima di 20 uova al mese per gallina

60

ha compiuto una prima selezione sui pulcini nati allontanando i soggetti con colore e forme non buoni
Pasut Padovana camosciata      
Pescarolo Padovana nera

50

3

15 uova in cova
Romanato D. Padovana nera     35 uova in cova
Romanato G. Padovana nera

20

3

5 pulcini nati
Spada Padovana argentata      
Spinelli Padovana nera

nessuno

nessuno

 
Troyer        
Michelazzo Padovana dorata     1 m. e 2 f. acquisiti in aprile ‘96
Pastorello Padovana dorata     pollastrini del ‘96

Ringrazio gli allevatori per la cortese disponibilità.


rubrica a cura di Carlo Lodovico Fracanzani

Lavori stagionali nei piccoli allevamenti amatoriali

- mesi di giugno e luglio -

I pollastrelli sono già abbastanza cresciuti ed i galletti delle razze leggere Livorno, Ancona, Collo nudo italiana sono pronti da spiedo. L' allevatore attento ha cura di separare i maschi dalle femmine già a due mesi di età dei nati, per evitare che i galletti di primo canto disturbino le pollastrelle coetanee rincorrendole con insistenza e mettendole in difficoltà anche se libere nei campi.

Già a giugno inoltrato, per la ricorrenza di San Pietro (29 giugno) i galletti vengono castrati per ottenerne capponi, e subita la operazione chirurgica vengono lasciati liberi, ben considerando che ormai risultando inoffensivi possono restare in gruppo con le pollastrelle. La possibilità di pascolo concorre in maniera egregia ad ottenere soggetti robusti e pieni di vitalità, ed obbliga alla somministrazione di sole granaglie al novellame a partire dal terzo mese di vita dello stesso, fino al momento in cui si sarà trovato il primo uovo di qualche pollastra più precoce delle coetanee. Questa tecnica spinge i soggetti delle razze leggere a vagabondare in cerca di alimenti naturali capaci di bilanciare la razione.

L'alimentazione delle pollastrelle allevate al chiuso dovrà venire particolarmente curata , e per queste si rende necessario ricorrere alle miscele composte integrate offerte al commercio o quanto meno impiegare mangimi preparati in azienda aggiungendo al mais giallo macinato l'apposito nucleo proteico vitaminico- minerale nella giusta dose. Nella grande pratica si aggiunge a kg 60 di mais macinato kg 40 di nucleo, mescolando molto bene il tutto. Ad evitare sprechi è buona norma riempire le mangiatoie in ragione di due terzi della loro capacità.

Nei mesi di giugno e luglio le faraone sono in piena attività riproduttiva, a quelle tenute al chiuso la somministrazione di mangime bilanciato si rende necessaria, mentre i gruppi di riproduttori non necessitano di alcuna integrazione alimentare in aggiunta alla granella di mais propinata alla sera.

I faraoncini e i fagianini nati in aprile e già cresciuti non necessitano più di madre artificiale in maggio, è ù necessario preoccuparsi dello spazio più conveniente, generalmente si fanno carichi di due soggetti per metro quadrato di superficie per i fagianini considerando che vanno soggetti alla pica (si mangiano le penne) se tenuti troppo fitti.

Nell'allevamento al chiuso dei colombi si impiegano miscele di granaglie che nel periodo estivo possono prepararsi come segue: mais giallo kg 30, piselli kg 22, frumento kg 25, sorgo kg 23.

E' necessario aggiungere a parte una buona miscela di sali minerali, che si può preparare pure in azienda aggiungendo al 95% di gusci di ostrica il 5% di sale pastorizio.

Le ochette dopo il primo mese di vita si immettono nei prati dove divorano ogni specie di erba. L'oca da arrosto è pronta all'età di 10 - 12 settimane, quando ha raggiunto un completo impennamento. Il mais da foraggio, il trifoglio, le carote e le barbabietole affettate sono ottimi complementi alla razione alimentare quando non si ha la possibilità di pascolo per le giovani oche.

Gli anatrini dopo il primo mese di vita si avvantaggiano di una abbondante somministrazione di verdura trinciata, ma abbisognano inoltre di abbondanti somministrazioni di mangime tipo "ingrasso polli" fino al 60° giorno di vita.


Il pollaio provinciale di Padova e l'Osservatorio avicolo " Ugo Meloni"*

 breve storia dell’avicoltura in provincia di Padova

a cura di Carlo Lodovico Fracanzani

 

Percorso a puntate nella storia dell'avicoltura, non solo padovana, tra istituzioni,

tecnici, razze avicole, obiettivi e strategie da inizio secolo ad oggi.

*Direttore dell'Osservatorio avicolo per lunghi anni

Gli inizi

Per selezionare il pollame locale in Italia sorsero una quarantina di Pollai provinciali, impiantati e gestiti secondo le direttive tecniche e sotto il controllo della Regia Stazione di Pollicoltura di Rovigo.

La nuova istituzione cominciò il suo funzionamento a Padova il I° luglio 1928. Diversi enti locali riunitisi in consorzio si impegnarono ad elargire per un triennio in via di esperimento un contributo di lire 40.000 elargito dal Ministero della Economia Nazionale che ne aveva approvato lo statuto. L'ingegnere Giorgio Busetto, presidente della Cattedra Ambulante, in occasione della seduta straordinaria, tenutasi presso l'Amministrazione provinciale, elogiò l'iniziativa appoggiata dalla Federazione Sindacati agricoli di Padova e dagli enti locali, ed il promemoria sugli scopi e l'utilità del Pollaio provinciale presentata da Italo Mazzon, esperto avicolo.

Il neonato Pollaio provinciale di Padova venne ospitato dalla Regia Scuola di Agricoltura di Brusegana che mise a disposizione un fabbricato per l'abitazione del guardiano ed altri locali adibiti a magazzino, deposito attrezzi e caldaia per la preparazione dei mangimi. Due capannoni in legno servirono da ricovero per il pollame, precisamente uno fu adibito a covatoio e a pulcinaia, divisa in quattro reparti ciascuno di 250 pulcini, ed il secondo destinato a pollaio vero e proprio diviso in quattro scomparti capaci di 200 pollastre. Un recinto era provvisto di piccoli pollai per i gruppi di riproduttori.

Il materiale vivo da distribuire nei pollai rurali era rappresentato non solo da femmine ma pure da maschi miglioratori. La gestione non mirava a produrre utili, ma bensì a sperimentare e migliorare geneticamente le varie razze locali. Il bilancio annuale veniva pareggiato grazie ai contributi erogati dai vari enti, peraltro più volte messi in dubbio dalle precarie situazioni finanziarie.

Nel 1933 il Pollaio venne trasferito a Carrara s. Giorgio ed ospitato dal Vivaio Viticolo della Cattedra Ambulante di Agricoltura di Padova.

Quattro furono le razze locali allevate: la Megiarola, la Boffa, la Cucula e la Gigante padovana (pesante). Stranamente nel Pollaio provinciale non risultarono allevate la Padovana a gran ciuffo e la Polverara.


Le razze allevate

La Megiarola

La Megiarola, prototipo di razza leggera, così denominata con riferimento al termine dialettale "megio" seme minuto come quello del miglio, arrivava da adulta al peso di 1,5 kg; ovaiola per eccellenza covava raramente ed abbisognava di grandi spazi per la sua vitalità. Rustica, precoce, grande pascolatrice, all'età di quattro mesi raggiungeva appena il mezzo chilogrammo di peso vivo, se pure di carne eccellente, anche le uova toccavano appena il peso standard di 57 grammi il pezzo, per cui più tardi si parlò di Megiarola migliorata.

La Boffa

La Boffa, gallina barbuta senza ciuffo, con cresta semplice eretta, ben dentellata anche nel gallo, con bargigli piccoli nascosti nella gorgiera , che copre pure gli orecchioni bianchi, proviene dall'incrocio di galline Padovane a gran ciuffo con polli comuni. Più grossa della gallina comune la Boffa è ottima fetatrice e produttrice di uova grosse , seppure con leggera tendenza alla cova, ha zampe e pelle gialla. Un gruppo di questi poli venne esposto nel 1932 a Londra dal Pollaio provinciale di Padova ed ebbe grande successo.

Il peso vivo medio dei soggetti di questa razza si aggirava sui 3 kg nei galli e 2,5 kg nelle galline.

La Cucula

La Cucula, chiamata dalle massaie cucca, capparola, vara, presentava il mantello cuculo, che ricorda il piumaggio dell'omonimo uccello selvatico. Cresta semplice, orecchioni bianchi. E' razza mediopesante rustica, produttrice di ottima carne e di buona quantità di uova. Le galline pesavano 2,5 kg, i pollastri 0,8 kg a tre mesi di età ed i capponi superavano i 3 kg.

La Pesante padovana

La Pesante padovana toccava e superava i 3 kg di peso vivo nelle galline e 4 kg nei galli, capace di produrre in media 170 uova all'anno del peso medio di 70 grammi, era stata ottenuta dal dottor Mazzon veterinario di Villafranca Padovana, padre del Cav. Italo direttore del Pollaio provinciale, incrociando un gallo Cocincina con galline comuni e Polverara, ancora nel 1850 e fu razza che dopo trent'anni di selezione venne esposta a varie mostre e più volte premiata.

 Dai Pollai Provinciali agli Osservatori avicoli

Con un provvedimento di legge del 1937 i Pollai provinciali furono trasformati in Osservatori avicoli; nacque così l'Osservatorio di Padova, presso l'Ispettorato provinciale dell'Agricoltura, con le strutture nell'attuale Istituto Agrario "San Benedetto da Norcia", al fine di servire di esempio per il razionale allevamento del pollame, produrre e distribuire a condizioni di favore riproduttori e uova fecondate, provvedere al miglioramento genetico delle razze locali. La direzione tecnica degli Osservatori veniva affidata al capo della istituzione presso la quale gli stessi erano istituiti e l'opera di direzione doveva essere prestata a titolo gratuito.

Il Dr. Giuseppe Squadroni reggente zootecnico dell'Ispettorato provinciale dell'Agricoltura di Padova, ebbe in consegna il materiale vivo, già del Pollaio provinciale delle diverse razze dianzi ricordate, per la verità poco diffuse nelle aziende rurali dell'epoca e non sempre ben accette nel territorio. E fu allora che il nuovo rsponsabile decise di popolare l'Osservatorio con soggetti di razza Livornese dorata, avendo notato che in Val d'Adige ed in Val di Non, dove si recava per acquistare torelli selezionati di razza bigia, per le stazioni di monta taurina del padovano, le massaie di quelle zone allevavano da anni con successo polli Livornesi dorati sia per la produzione delle uova che della carne.

La drastica decisione fu veramente indovinata per allora, e mise ordine alla confusione che si era venuta a creare col mantenimento dei vecchi ceppi delle razze autoctone Megiarola, Boffa, Cucula e Padovana pesante, ormai degenerati e rappresentati da soggetti ad alto livello di consanguineità il cui allevamento, in special modo nelle aziende rurali, si era dimostrato problematico.

Il Dr. Squadroni e la "Padovana dorata"

Il lavoro selettivo impostato dal valoroso zootecnico venne realizzato controllando al nido-trappola le 200 galline della nuova razza, in carico all'Osservatorio, per tutti i 12 mesi dell'anno onde accertare in maniera precisa la deposizione dei soggetti che furono ribattezzati con la denominazione di razza Padovana dorata.

In effetti la Livorno dorata è prototipo di razza italiana leggera , rustica, grande pascolatrice, capace di elevate produzioni di uova. Le galline raggiungono il peso vivo di 2 kg ed i galli di 3 kg. I galletti ad impennamento precoce sono pronti da spiedo all'età di 100 giorni ed i capponi oltrepassano i 3 kg di peso vivo e spuntano sul mercato i prezzi più alti, data la squisitezza delle carni che li contraddistingue e per l'ottima presentazione del piumaggio dorato, che ricorda per la lucentezza il fagiano. Le uova fecondate prodotte dalle migliori ovaiole furono distribuite ogni anno per ottenere materiale vivo da rimonta, dei 105 pollai di moltiplicazione, un per ogni comune della provincia, affidati a valenti massaie.

In occasione della Fiera Campionaria di Padova nel mese di giugno nella ricorrenza della festa del Santo, i migliori soggetti venivano esposti e giudicati da apposita giuria, per mettere in gara i vari produttori . La intensa attività che venne svolta dall'Osservatorio avicolo di Padova, piazzò la produzione avicola provinciale al primo posto in Italia, con 100.000 quintali di carni e 100.000 quintali di uova l'anno prodotti dagli allevamenti avicoli rurali.

Contemporaneamnete l'Osservatorio provvide alla moltiplicazione e diffusione nelle aziende rurali delle razze cunicole Fulva di Borgogna e Bleu di Vienna.

 

(continua)


 I polli Padovani dello scultore Stefano Baschierato

arte e animali domestici

di Paolo Tieto

Gallina e gallo figurano spesso nella letteratura e nella iconografia anche più lontane ; basterà ricordare il gallo cui fa riferimento Cristo a proposito del tradimento di Pietro o le galline intente a razzolare nella "Natività" del Tintoretto alla Scuola grande di San Rocco in Venezia. Con specifico riferimento - Polverara - e maggior ricchezza di dettagli ne parla, in epoca tardo-rinascimentale, anche il Tassoni (La secchia rapita) e nel XX secolo Carlo Levi dedica a questo domestico pennuto, nel suo "Cristo si è fermato a Eboli", righe di alta e commovente suggestione.

Non manca poi la presenza di questo animale nei proverbi, soprattutto in quelli veneti, ove viene ribadito che : "Galina vecia fa bon brodo" e che " Xe mejo on ovo inquò che na galina doman".

Effettivamente la gallina è strettamente legata alla vita e alla cultura della gente della campagna, e poiché il basso Veneto è costituito prevalentemente da terre coltivate, la gallina da sempre fa parte del vivere quotidiano di tantissime persone di detto territorio. Fino a pochi anni fa non vi era famiglia che non avesse il suo pollaio, magari piccoli - quattro o cinque galline - ma sufficiente comunque per garantire le uova da mangiare a sera per cena o da barattare con un po’ di formaggio o un "sardeon" dal "casoin" (pizzicagnolo): Poco, si potrà dire, ma sempre più di niente, e soprattutto quanto almeno poteva bastare per sopravvivere. Qualche volta, specialmente a Pasqua, allorché le galline diventavano più produttive, ci si poteva permettere anche il lusso di fare con le uova una certa quantità di tagliatelle e magari la soffice, gustosissima torta Margherita. Rappresentava una risorsa così grande per la famiglia questo animale che chi, per estrema povertà, non ne aveva nemmeno un capo, non esitava talora a fare man bassa nel pollaio di altri. Si coniò così in quegli anni di estrema miseria, la tipica espressione, diventata più tardi proverbiale, di "Ladri de galine".

Di recente gallo e gallina hanno avuto un nuovo straordinario cantore nello scultore Stefano Baschierato, il quale ha realizzato nel bronzo una coppia di tali animali nell’esemplare tipico padovano. Una interpretazione non solo da autentico artista, ma anche da uomo dei campi, da persona che in tutta la sua vita ha conosciuto e ha avuto sempre dimestichezza con i pennuti da cortile. Il maestro santangiolese ha davvero saputo cogliere in questo suo lavoro le peculiarità della gallina e ciò pur senza rinunciare a quella sua genialità, a quel suo singolare modo di idealizzare, di trasformare, di far diventare meraviglia d’arte anche la cosa più modesta, l’essere più semplice di questa terra.

E capolavoro è pertanto anche questa sua gallina padovana, questa bestiola cui egli ha inteso guardare, a livello personale e come interprete di tanti, tanti suoi conterranei, con occhio di particolare simpatia, con una certa amorevolezza e tanta gratitudine.

Per chi vuole aggiungere uno spazio artistico ad una gita domenicale o ritagliarsi qualche momento con le opere di Baschierato trova a Sant'Angelo di Piove di Sacco la "Porta della chiesa arcipretale", a Vigonovo la statua al "Donatore di sangue" e nella frazione di Celeso la statua alla "Scuola" con una bambina in grembiule, nella Cappella dell'Ospedale di Piove di Sacco un bassorilievo, a Limena il recente monumento al Vescovo comboniano Mason. (g.b.)


 scuola e cultura rurale

a cura della classe I^ A

La ricerca scolastica applicata all’avicoltura rurale

e al suo lessico dialettale

Nel nuovo ordinamento scolastico del nostro Istituto, introdotto con la riforma delle scuole Professionali, c’è un tempo di quattro ore settimanali in cui gli studenti affrontano argomenti teorici e pratici che meritano di essere meglio conosciuti o che possono fornire ulteriore motivazione allo studio e quindi alla loro vita scolastica.

In queste ore di libertà dai programmi ministeriali è nato il lavoro che gli studenti di I^ A hanno condensato nelle pagine seguenti con l’aiuto del loro insegnante di Italiano e Storia.

Benvenuti quindi tra le pagine del Bollettino per una lunga collaborazione e ricca come in questo esordio.

(G.B.)

Introduzione (Aldo Scuderi, insegnante di Italiano e Storia)

Col presente lavoro mi sono prefissato alcuni obiettivi a lungo termine , altri a breve termine.

I primi potrebbero essere così definiti: favorire l’integrazione tra materie diverse e la collaborazione tra insegnanti di diverse discipline; potenziare la capacità di interazione tra mondo della scuola e mondo esterno (in questo caso realtà socio-familiare); fornire elementi per un rapporto critico tra l’ieri e l’oggi.

Questi gli obiettivi più specifici: far acquisire la capacità di realizzare un’intervista; far acquisire la capacità di stendere un articolo; avviare alla consultazione di dizionari etimologici e dialettali; esercitare alla raccolta e alla selezione ordinata delle informazioni.

Questo lavoro si inquadra in una esigenza che, come insegnante di Italiano e Storia in un Istituto Agrario, mi sono posto da diverso tempo: sviluppare , in allievi decisamente portati più alla concretezza e alla attività pratica che alla speculazione teorica, la consapevolezza che le materie da me insegnate non sono lontane dal tipo di scuola da loro scelto ma servono e sono vicine alle esigenze stesse della loro futura occupazione.

 L’intervista

Tutti gli allievi della classe I^A hanno elaborato la seguente intervista, da sottoporre a conoscenti e familiari, possibilmente anziani, con lo scopo di raccolgliere notizie su quanto rimane di tradizione sull’allevamento del pollo nella memoria della nostra gente.

Gli articoli

Si riportano gli articoli dei due allievi che hanno rielaborato i dati raccolti dall’intervista.

Un tempo il pollo giocava un ruolo importantissimo nell’economia della famiglia; esso forniva uova e carne che potevano essere utilizzate per la vendita, come merce di scambio in generi di prima necessità oppure nell’alimentazione famigliare.

L’alimentazione del pollo era molto semplice e naturale, da piccolo veniva nutrito con crusca di frumento bagnata (la semola), per facilitarne la digestione, in seguito non appena terminato lo svezzamento, si passava a crusca di grano e orzo, e ad altri rifiuti di cucina, come ad esempio il guscio delle uova.

Dall’intervista è inoltre emerso un fatto piuttosto curioso: nei mesi in cui vi era abbondanza di maggiolini la dieta del pollo veniva sostituita con questi ultimi e sembra che, grazie ad essi, le uova prodotte in quel periodo erano di miglior qualità e più abbondanti. I polli, erano colti da malattie. Ad esempio la peste del pollo (verosimilmente la peste aviaria o la Pseudopeste) era in grado di infettare l’intero pollaio in breve tempo ; i contadini non conoscendo alcuna cura, cercavano di ridurne gli effetti interrando a grande profondità i polli già deceduti.

Meno nocivo era il raffreddore del pollo, che colpiva quest’ultimo nei mesi autunnali e invernali. Esso era denominato in dialetto "SNARO" (la corizza). Un’altra malattia di cui conosciamo solo il nome dialettale, è la "PIVIA" (in italiano la pipita) che si manifestava nel pollo con sfoghi di pus nella parte terminale della lingua; per essa non vi era nessuna cura.

Tra i parassiti nocivi vi erano le pulci, facilmente eliminate con bagni di cenere.

I polli erano esposti nelle fiere paesane che avevano una funzione più economica che folcloristica, in quanto rappresentavano un’occasione per dimostrare la qualità degli esemplari. Esse erano riportate sui calendari oppure se ne veniva a conoscenza mediante la tradizione orale ; si svolgevano generalmente il sabato, la domenica e il lunedì e le razze esposte erano diverse, di esse non c’è né una precisa memoria del loro nome , di più invece sul colore del loro piumaggio.

La gallina padovana era frequentemente nominata; tra i piumaggi sono ricordati il rosso e il fulvo , il barrato (bianco e nero alternati in stile trasversali) che corrispondeva alle galline chiamate "cucche" o "capparole" o "cucule", il bianco candido e uniforme , l’ermellinato dal caratteristico collare di penne a punta nera alla base del collo così come nella coda ; l’argentato così detto per aver le penne del corpo colorate di nero e bianco non più in strisce trasversali ma seguendo il margine della penna ; simile c’era poi quello che oggi è chiamato perniciato

In passato la gallina aveva un peso rilevante nell’economia e nell’alimentazione di una famiglia.

Essa rappresentava una merce di scambio necessaria alle donne che non possedevano del denaro, si recavano nelle piccole botteghe e pagavano gli alimenti con le uova .

La gallina era soggetta facilmente alle malattie come : "SNARO" che bloccava le vie respiratorie, la "PIVIA" che impediva a queste di nutrirsi per la formazione di una pallina di pus. I pidocchi pollini venivano combattuti cospargendo nel corpo pennuto delle (sfortunate) bestie della cenere, e la PESTE malattia fatale.

L’alimentazione si basava su: farina di frumento (semola) bagnata nell’acqua (per una più completa digestione) e in età adulta crusca di granoturco e orzo.

Gli esemplari più belli venivano presentati alle fiere paesane che allora aveva funzione di mercati, mentre ora hanno acquistato un significato prevalentemente folcloristico.

Le razze nostrane a larga diffusione erano la gallina padovana, la livornese bianca, (la cocincina rara), la new hempshore di provenienza americana, la barnyard ( olandese), rode island rara e la plymountam rock ed altre ancora.

La civiltà contadina ci ha tramandato dei proverbi, modi di dire, fiabe e canzoni che si rifanno ai polli: ciò dimostra quanto fosse importane nel passato questo tipo di allevamento.

Tra i proverbi che riguardano il pollo c’è: co el ga’o canta in cortivo se el tempo se bon, se fa cativo, col ga’o canta fora de ora el tempo va in ma’ora;

quando i galeti se beca, el tempo se cambia quando che el galo se lava le rece, da l’indoman piova a sece.

Ancora oggi molte espressioni e modi di dire sono arrivati fino a noi.

Non è raro sentire l’esclamazione dispregiativa: "Hai il cervello di una gallina " a volte una persona a cui gli va male un affare perché è stata imbrogliata si dice: " è caduta nell’inganno come un pollo". Pollo e gallina sono presi anche a simbolo di un parlare inutile e vuoto: quando una persona chiacchiera, chiacchiera col solo obiettivo di sentire la sua voce, si dice che parla come una gallina.

La gallina per il fatto che raspa la terra con le unghie "disegnando" stranissimi segni è portata a simbolo di chi ha una pessima calligrafia. Zampe di gallina sono anche le rughe che compaiono ai lati degli occhi di certe persone anziane "e che provocano grande tristezza perché sono segno di un incipiente vecchiaia ".

Spesso troviamo in questi animali (tozzi e sgraziati) certi attributi che possono essere riferiti anche all’uomo; per cui sentiamo dire: gallina ingorda crepa il gozzo; ragazzi o e polli non sono mai satolli; nei pollai non c’è pace se la gallina canta e il gallo tace.


Parole e polli: termini dialettali legati alla vita del pollaio e relativi epiteti

Sono riportati in ordine alfabetico i termini dialettali relativi all’argomento raccolti dagli allievi. Per la ricerca del significato e dell’etimologia è stato consultato il "Dizionario etimologico veneto-italiano" di G. Durante e G.F. Turato.

Ara = aia, dal latino "area" = superficie

Baraca = baracca forse dal basso latino "barra" dal germanico "bar" = ramo dell’albero.

Barbisi = basette, fedine, baffi, bargigli, dal latino " barbitum" = barba.

Barbole = (TV- VR) barbigli del gallo ( vedi barbisi)

Bevarolo = recipiente dove le galline vanno a bere

Bigato = verme; dal latino "babicatus" con aferesi di "bam" dal greco "bambix" = baco

Caponara = stia, da "capon" =cappone

Cioca = chioccia, termine imitativo del verso dell’ animale (vedi anche ciuca)

Creola-Criola = specie di stia per pulcini - caponara da "creare" da cui anche l ‘ italiano "cria" ultimo degli uccelli del nido.

Formenton = granoturco, dal latino "frumentun" = grano, derivato da "frù" = godere di = godere del proprio raccolto.

Fortaja = frittata, dal latino popolare "frictalia" = stesso significato da "frictus" = fritto.

Incoatare = accovacciarsi, nascondersi, da "coato" = covo, dal latino "calcare".

Inpunarà = che è nel pollaio, da ponaro, dal latino "pullus" = galletto, pulcino.

Inpiocà = detto di pollo ammalato. Voce onomatopeica dal "pio-pio" sommesso delle galline ammalate.

Paston = farina di granoturco assieme ad acqua.

Peoci = pidocchio, cozza, dal latino "pedicolus" diminutivo di "pedis" nome di insetto di origine sconosciuta. Peocio puin (o puldin) = pidocchio della gallina.

Penoto = abbozzo di penna.

Pivia = pipita (malattia delle galline che colpisce la lingua e la indurisce a tal punto che non possono più mangiare, dal latino "pituita" = muco, catarro, mitosi con "pipare" = pigolare.

Ruspare = razzolare, ruspare, scavare, dal latino popolare "ruspare" = cercare.

Sarajo = recinto per bestie-steccato. Dal provenzale "serralh" = senatura, dal tardo latino

"serraculum" = chiusura.

Sbarosare = ridotto malamente- sfiancare, da "barosso" = "biroccio" , dal latino "birotus = carro a due ruote

Sbecotare = beccare con insistenza, pilucare (vedi beco), dal basso latino "beccus" dal celtico "bac" = uncino o dal germanico "bicke" = punta

Scagoto = diarrea dal latino "cacare"

Schiti = caccherello di pollo di origine onomatopeica.

Sguaraton = uovo marcio, da sguarattare ( per sentire se un uovo è andato a male, solitamente si scuote).

Sigare = gridare, corrispondente all’italiano "zigare" = lo stridere del coniglio (voce di origine onomatopeica)

Slosso = uovo marcio. Dal latino " lutum" = sozzura.

Snaro = intasatura del naso dal raffreddore, dal latino" nares " = nari.

Spapajare = sparpagliare, latino regolare "disperpelliare" = dal latino "dispere" pollare = disperdere.

Spenotare = levare le piccole e tenaci penne da qualche volatile ( v.penoto) = piccola penna dal latino "penna".

Spunararse = detto di gallina le quali arruffano le penne, si scuotono per pulirsi e liberarsi da pidocchini (v.despunararse).

Spuinarse = spulciarsi (delle galline) levarsi i pidocchi pollini. Da "puini".

Steo’e = stoppia, paglia che rimane nel campo dopo la mietitura, da latino "stipula" = stoppia.

Studiar ( la gallina) = levare le interiora della gallina (VR).

Volta = giro, volta "darghe la volta ai polastri" = aggirare i polli per farli tornare indietro.

Vovaressa = gallina che fa molte uova da "vovo" (v.ovo).

Nicola Spigolon e Matteo Rossato


 avicoltura e dintorni di Amadeo Bizzotto*

Il compostaggio

la produzione di terriccio con i rifiuti organici e la pollina

* Docente di materie professionali all’Istituto "San Benedetto da Norcia"

La concimazione chimica si basa sulla teoria della restituzione quantitativa degli elementi nutritivi (azoto (N), fosforo (P), potassio (K)) sottratti al terreno dalle colture. Tale teoria, che considera il terreno un semplice supporto inerte della pianta, risulta valida fin tanto che è presente l’humus, che nei nostri terreni è stato accumulato in decenni di letamazioni e di rotazioni colturali ed ha costituito quella fertilità chiamata "forza vecchia" del terreno. Con il passare degli anni, però, senza più apporti organici, l’humus si è consumato e spesso il suo contenuto è sceso al di sotto dell’1%. Quando ci si è accorti che nonostante i maggiori impieghi di prodotti chimici non aumentava il tasso di fertilità del suolo, anzi diminuiva, allora si è dovuto ammettere che la concimazione di sintesi senza il tramite della sostanza organica umificata non può costituire il solo unico fattore di incremento della fertilità.

Cos’è l’humus

L’humus è una sostanza organica complessa derivata dalla decomposizione dei residui organici vegetali ed animali ad opera dell’attività di sintesi di molti e diversi microrganismi.

Le sostanze organiche di partenza, siano esse vegetali - come lignina e cellulosa - o animali - quali le deiezioni, sono soggette dapprima ad una rapida decomposizione microbica con la formazione di sostanze organiche più semplici. In questa prima fase i composti prodotti sono però molto instabili e soggetti ad ulteriore decomposizione e mineralizzazione. Quindi, in condizioni di umidità, temperatura ed ossigenazione adeguate, altri microorganismi utilizzano tali sostanze organiche intermedie per arrivare alla produzione di humus stabile che rappresenta il prodotto finale delle trasformazioni biochimiche della sostanza organica.

Attraverso la riproduzione artificiale dei processi naturali che portano all’humus, cioè con il compostaggio, è possibile ottenere un prodotto per la concimazione completa e bilanciata delle piante coltivate e questo si traduce in produzioni più uniformi e stabili negli anni.

Uno dei fattori più importanti da considerare per il corretto decorso di un processo di compostaggio è il cosiddetto rapporto C/N (dove C = contenuto in carbonio del substrato organico e N = contenuto in azoto). Infatti, per uno sviluppo armonico dei microrganismi promotori della decomposizione e successiva sintesi dell’humus, questi due elementi devono essere presenti in proporzione tra loro bilanciata. Possiamo comunque preparare compost validissimi dal punto di vista del potere fertilizzante utilizzando materiali di scarto spesso a basso costo. Per fare un esempio supponiamo di disporre di determinate quantità di materiali con rapporto C/N inaccettabilmente alto, cioè ricchi di cellulose e lignine, quali potature di piante ornamentali o vite, fogliame, vinaccioli, trucioli di legno oppure semplicemente paglia, che non sono certamente il substrato migliore per lo sviluppo dei microrganismi preposti alla sintesi dell’humus; per riequilibrare il rapporto C/N dovremo allora procurarci materiale fortemente azotato e in particolar modo la pollina.

Il processo biologico della compostazione

Una volta preparata la miscela di partenza per il compost, i numerosissimi microrganismi naturalmente presenti trovando abbondante materiale per la propria nutrizione, iniziano immediatamente la propria opera di smantellamento delle molecole organiche. Da questa attività si sviluppa calore e pertanto il miglior indice della vivacità dei processi di decomposizione si ha constatando l’innalzamento di temperatura della massa. Questo è facilmente riscontrabile tramite un termometro la cui scala però deve arrivare almeno ad 8O°C. La temperatura infatti, quando il processo di compostazione avviene correttamente, deve salire velocemente fino a 65-68°C. Nel caso in cui si utilizzino materiali molto energetici ed asciutti, lo sviluppo di calore può arrivare fino all’autocombustione. In ogni caso la temperatura del compost non dovrebbe oltrepassare i 75°C che però nei piccoli impianti di compostaggio molto difficilmente si riescono a raggiungere, anzi in questi il problema principale è proprio quello di far salire la temperatura fino ad almeno 60-65°C per una decina di giorni, dopo di che, rallentando l’attività di decomposizione, la temperatura incomincia ad abbassarsi. Quando questa raggiunge i 25-30°C sarebbe opportuno rimescolare e rivoltare tutta la massa di prodotto lasciandola poi riposare per un tempo sufficientemente lungo da permettere la maturazione finale del compost.

Siccome il calore si sviluppa grazie all’energia prodotta dai processi biochimici interni, quando umidità e aereazione sono correttamente dosate, il compost risente relativamente delle basse temperature invernali. In casi particolari è sufficiente coprire il cumulo con un panno o con altro materiale isolante e traspirante.

Con l’impiego di materiali molto energetici c’è il rischio, per la verità poco frequente, che la temperatura si innalzi troppo con conseguente sterilizzazione della massa e blocco totale della sintesi dell’humus.

Al contrario, con l’uso di materiali ‘freddi’, quali lignine e cellulose, c’è sempre il rischio che la temperatura non riesca mai ad elevarsi sufficientemente e che lo sviluppo dei microrganismi sia di conseguenza troppo scarso. Ciò accade spesso con i cumuli fatti di potature trinciate, di erba tagliata, di scarti di orto e di cucina e così via. In azienda per attivare questi compost freddi possiamo utilizzare diversi materiali azotati tra i quali colaticci, liquami e pollina. Nel caso si disponga di un piccolo pollaio, invece di compostare a parte la pollina, essa può essere efficacemente usata quale starter naturale in piccole quantità su tutti gli altri compost. Con questo sistema si ottiene un più rapido avvio delle fermentazioni con una netta riduzione dei tempi di compostaggio.

Una regola molto semplice per capire quando un compost ha raggiunto il giusto livello di maturazione è quella di valutare visivamente ed olfattivamente il suo stato fisico. Quando al suo interno non sono più riconoscibili i materiali di partenza e la massa ha assunto un aspetto omogeneo, grumoso e un colore scuro, e inoltre quando non presenta più il caratteristico odore dei materiali in decomposizione ma acquisisce l’odore tipico del terriccio di bosco, possiamo sicuramente dire che siamo arrivati alla fine dell’intero processo.

Dal punto di vista igienico-sanitario, c’è da dire che, quando il materiale usato, per sua intrinseca natura, può essere veicolo di patogeni di vario tipo, come nel caso di liquami zootecnici, è ovvio che le le precauzioni igienico-sanitarie non saranno mai troppe. Però una volta raggiunta e mantenuta una temperatura di 55-65°C, la maggior parte di essi viene inattivata ed è per questo che è sempre indispensabile che la temperatura venga mantenuta costantemente alta per un tempo sufficiente al completamento dell’intero processo di compostazione. Il grado di igienizzazione è infatti proporzionale alla temperatura raggiunta mediamente su tutta la massa.

Forma e dimensioni del cumulo.

I due concetti fondamentali da tener sempre presenti quando si voglia compostare in modo ottimale della sostanza organica sono:

- Il compostaggio è un processo aerobico ed abbisogna quindi di ossigeno per essere effettuato;

- la temperatura deve innalzarsi almeno fino a 65°C.

Date queste premesse si può capire come cumuli troppo grandi impediscano all’aria di penetrare al loro interno in modo da effettuare una corretta ossigenazione e, per contro, cumuli troppo piccoli non permettano di raggiungere nella maggior parte della massa quelle temperature indispensabili per un corretto processo di compostazione a causa di una eccessiva dispersione del calore.

Le misure del cumulo sono naturalmente variabili a seconda del materiale usato. Indicativamente non si dovrebbe superare il metro di altezza al momento della preparazione che poi si abbasserà a causa del proprio peso e delle fermentazioni di circa il 50%. La variabilità è causata soprattutto dalla compattezza della massa e dalla sua resistenza alla pressione. Il peso della massa comprime le parti sottostanti facendo fuoriuscire l’aria e causando così uno stato asfittico che provoca la morte dei batteri aerobici e lo sviluppo di organismi indesiderati. Quandi ci si accorge che il materiale in fase di compostazione tende ad inacidire e ammuffire, la cosa migliore è quella di arieggiarlo rimuovendolo o addirittura rigirandolo del tutto.

Per quanto riguarda la forma del cumulo si è visto che, quando ci sono notevoli masse da compostare, la più idonea è quella triangolare e si formeranno allora cumuli lunghi anche decine di metri.

Quando c’è la necessità di compostare piccole quantità di sostanza organica, caso comune nei piccoli appezzamenti di terra e nei piccoli allevamenti amatoriali, si sono rivelate estremamente pratiche delle strutture in legno o mattoni pressoché cubiche, aperte nella parte superiore e con una parete laterale mobile, che permettono un buon isolamento termico della massa. Per l’aereazione della stessa si possono escogitare vari sistemi il più semplice dei quali è l’apertura di alcuni fori nella parte bassa di queste strutture.

Il controllo dell’umidità

Un importantissimo fattore di variabilità dei processi di compostaggio è l’acqua. Un contenuto troppo elevato o troppo esiguo di umidità possono, per ragioni opposte, bloccare la maturazione del compost, perchè aria ed acqua devono necessariamente essere in rapporto bilanciato tra loro, senza escludersi a vicenda. Il contenuto medio di umidità che dovrebbero avere dei residui vegetali è di circa il 50%; tale valore può salire fino al 70% se nella massa ci sono trucioli (o residui di potatura macinati) o paglia. Bisogna tener presente che al di sotto del 40-45% di umidità la biodegradazione dei composti organici rallenta fino a che con il 15% essa si blocca del tutto.

Una prova molto semplice per controllare il grado di umidità di un compost, senza usare alcuna apparecchiatura specifica, consiste nel pressare in una mano una manciata di materiale prelevato all’interno del cumulo. Se ne fuoriesce del liquido vuol dire che il compost è troppo bagnato; se, riaprendo la mano, il materiale conserva la forma del pugno in modo plastico, allora vuol dire che il grado di umidità è essenzialmente corretto; se invece esso si sbriciola spontaneamente vuol dire che la massa è troppo asciutta.

E’ da tener presente che, indipendentemente dall’andamento atmosferico c’è sempre una certa evaporazione d’acqua dovuta all’innalzamento di temperatura causato dalla fermentazione; è quindi buona norma, soprattutto nei primi periodi, controllare e nel caso reintegrare l’umidità del prodotto.

Un caso particolare di eccessiva secchezza del compost viene provocato da materiali che sviluppano molta energia, come nel caso della pollina, quando la massa è troppo compatta e povera di cellulosa. In questo caso bisognerà procurare che vi sia almeno un 70% di paglia o sostanze equivalenti e che vi sia sufficiente minerale con funzione idratante come bentonite o semplice terra.

Vari tipi di compost

Il compost di cucina. Il materiale usato per questo tipo di compost è generalmente troppo umido e a volte anche molto compatto. Bisognerà sminuzzare bene questo materiale e mescolarlo per bene con con della torba e della terra non argillosa. Il cumulo possibilmente sarà tenuto ad una altezza leggermente inferiore a quella normale.

Il compost di orto. Questo tipo di compost che utilizza gli scarti e gli stocchi delle colture orticole risulta sempre di facile esecuzione e riuscita. Possiede un’ottima struttura per una buona aereazione e se si provvede a frantumare preventivamente i fusti più duri quali quelli di cavolo o di pomodoro, la decomposizione è rapida e completa. Su questi compost è utile aggiungere un 10% relativo alla massa organica, di terra argillosa.

Il compost di fogliame. Il compost che si ottiene dalla decomposizione guidata del fogliame è particolarmente fine e versatile e può essere usato come terriccio per vasi e per serre e nei trapianti. Il cumulo in compostaggio può raggiungere notevoli dimensioni poiché possiede sempre una ottima struttura e aereazione. Nel caso in cui le foglie fossero troppo asciutte, cosa che in autunno può succedere, basterà inumidire la massa mano a mano che si alza il cumulo. Sarà la terra argillosa a trattenere all’interno il giusto grado di umidità, poiché le foglie in sé, per loro natura, non hanno alcun potere assorbente. Per quanto riguarda i tempi di maturazione essi oscillano attorno all’anno. Questo compost può inoltre essere utilizzato in primavera, a metà del processo di decomposizione, per eseguire la pacciamatura degli ortaggi e delle piante da fiore. Contribuisce così a amntenere libero il terreno dalle infestanti e a mantenere costante l’umidità del terreno.

Il compost di potature. Le potature prima di entrare in un compost devono essere trinciate ovvero ridotte in pezzettini più facilmente attaccabili dai microrganismi. Oltre alle potature è possibile compostare segatre e trucioli di legno prestando attenzione che non provengano da legname trattato con insetticidi.

La decomposizione delle lignine è molto lenta (fino a tre anni) pertanto è meglio accelerarla mediante l’integrazione di pollina, che tra l’altro abbassa il rapporto C/N a favore dell’azoto.

Le potature che vengono trinciate allo stato fresco non hanno bisogno di essere inumidite, mentre segatura e trucioli devono essere preventivamente bagnati.

Il compost di erba. Il materiale di partenza di questo compost è di norma molto umido, molto strutturato ma facilmente compattabile e tendente ad una reazione acida. E’ utile correggere il pH con aggiunta di carbonato di calcio o di calce idrata (3-5 kg/m3). Il cumulo non dovrà essere molto alto e se l’erba fosse troppo bagnata sarà bene farla asciugare all’aria prima di compostarla. E’ utile anche in questo caso aggiungere all’erba materiale azotato (la solita pollina) per aumentare il potere fertilizzante e per accelerare la decomposizione. La massa sarà completamente matura in 4-5 mesi.

Conclusioni

I compost vegetali sono dei potenti miglioratori della struttura dei terreni argillosi e migliorano sensibilmente la capacità idrica di quelli sabbiosi.

Sono inoltre assolutamente igienici e possono essere preparati anche dove vi è costante presenza umana, come nei parchi giochi o nei giardini. Il prodotto che si ricava può essere impiegato come terriccio. L’unica attenzione da prestare è quella di non mettere nei vasi compost non completamente maturo, poiché molte piante non tollerano sostanza organica indecomposta.

Le cose da rammentare per una corretta resa del compostaggio sono:

- sminuzzamento del materiale di partenza ed eventuale miscelazione con prodotti miglioratori del prodotto come paglia, pollina, trucioli, calce spenta, ecc;

- controllo dell’umidità del prodotto;

- controllo dell’aereazione della massa;

- controllo della temperatura;

- maturazione finale.


 


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