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Storia di un Tenente
Intervista rilasciata a Roma il 1 Aprile 2004.

Ho avuto modo di parlare con l'ingegner I.C. e sua moglie, un avvocato, sul periodo precedente alla guerra, e su quello che è accaduto durante, il tutto è purtroppo durato appena un'oretta.
A cominciato la Signora, a ruota libera:

"Io nel 1936 avevo 16 anni ed ero inquadrata come tutti nelle organizzazioni giovanili fasciste. Mio padre era un socialista vecchio stampo di prima della prima grande guerra, un socialista vero, non di quelli che sono venuti dopo, era prefetto ma dal regime non ha mai avuto fastidi, per quanto possa ricordare, nelle sue attività.
L'adesione al partito era spontanea e totale, anche la guerra che fu fatta per le colonie, ci sembrò giusta, tutte le nazioni europee avevano le colonie e ci sembrava naturale che anche noi dovessimo averne, i sacrifici imposti erano accettati in modo abbastanza sereno, quindi anche fra noi giovani ci sembrava corretto quello che il governo stava facendo. Faccio un esempio, quando ci fu la famosa raccolta del ferro e vennero rimossi cancelli ed inferriate un po' dappertutto, mi ricordo che mio padre smurò quasi con gioia le ringhiere del balcone di casa. Quello che mi lasciò perplessa fu la proclamazione dell'Impero, avevo la netta impressione che si stesse facendo il passo più lungo della gamba, l'entrata in guerra fu una sorpresa, nessuno credeva che ci saremmo fatti coinvolgere da quello che stava facendo Hitler, ebbi subito la certezza che sarebbe finita male, anche perché mio marito partì quasi subito volontario, mio suocero era orgoglioso di quel figlio che andava a combattere, mentre mio fratello che era già nell'esercito, lo sconsigliava, affermava che lui sapeva come stavano le cose, che avevano materiale e strutture ferme alla 1GM, e fare una guerra agli inglesi era una follia.
Ma era un soldato e la fece, facendo come tutti il meglio che poteva."

A questo punto si parte con un monologo del marito, era tenente nel 13 Rgt Granatieri di Sardegna.

"Mi suono arruolato volontario già nel 1936, e nel maggio del 1940 ero tenente e comandavo una batteria di antiaerea. Ero assegnato qui a Roma al Comando Supremo, e più esattamente ero addetto alla protezione antiaerea del treno speciale che Mussolini usava per recarsi ad incontrare Hitler. Avevo modo in quel periodo di vedere spesso Mussolini, devo dire che era umano nei contatti con noi giovani ufficiali, lui parlava poco il tedesco, ogni volta che andava su, diceva: "....stavolta non lo faccio parlare ed impongo il mio punto vista…." Finiva sempre che Hitler invece attaccava a parlare in tedesco e Mussolini non apriva quasi bocca. Da come andava lo si leggeva in faccia quando tornava sul treno.

Con lo scoppio della guerra la mia batteria fu mandata a Tobruk, e io fui destinato a rimanere a Roma, al Comando Supremo, lì mi impuntai e chiesi ed ottenni di poter seguire i miei soldati in Africa. Cominciai ad organizzarmi per trovare i camion ed imbarcare tutto il materiale, ma fui fermato e mi fu detto che dovevo andare solo con i miei soldati ed un minimo di equipaggiamento personale, avremmo trovato batterie, mezzi e materiali a Tobruk. Dovevo essere sul "Conte Rosso" ma all'ultimo momento fummo imbarcati sul convoglio celere successivo in partenza da Napoli, fui fortunato già quella volta. Durante il viaggio fummo attaccati da siluranti inglesi, che non fecero alcun danno, avemmo però morti e feriti a causa di un attacco portato da sommergibili inglesi, feriti che sbarcammo a Taranto, per proseguire poi verso Tobruk, i miei soldati erano fortunatamente illesi. Mi resi conto già durante il primo attacco che la scorta assegnata al convoglio dalla Marina era inadeguata.

Arrivati a Tobruk, nessuno ad organizzare lo sbarco dal trasporto, nessuno ad attenderci, del materiale promesso non c'era nulla, regnava il caos totale e cosa più sconcertante non avevo ordini, non sapevo neanche dove aqquartierare i miei soldati. Fortunatamente incontrai un ufficiale della Milizia che disponeva di un camion, e mi disse che se volevo potevo accamparmi con i suoi uomini in una località chiamata "Boschetto Mussolini", sempre a Tobruk, era qualcosa, un posto dove andare, e andammo. Prima che arrivasse la notte i miei soldati scavarono delle buche e piantarono le tende. Quella notte stessa subimmo uno spezzonamento incendiario inglese, noi illesi ma quel poco di materiale che avevamo fu completamente distrutto. Mandai un paio di sottufficiali in città a cercare notizie, nel pomeriggio si presentano finalmente due ufficiali di SM , un Colonnello ed un Maggiore, incrociano il mio attendente e chiedono di parlare con me:
"E' lei il tenente I.C.?"
"Signorsi'" rispondo io.
"Lei è agli arresti, ci segua al comando."
Cado dalle nuvole e chiedo perché: esce fuori che erano stati visti in città due miei sottufficiali con solo la maglia di lana, senza camicia e di aspetto dimesso. Non ci ho visto più, il mio attendente cercava di calmarmi ma io ero fuori di me, gli dissi tutto quello che poteva venirmi in mente,li avrei picchiati, giuro.
Forse sorpresi dalla mia reazione i due se ne vanno, passa ancora qualche giorno, io trovo una bicicletta e mi metto a girare per Tobruk a "caccia" di ordini, almeno sapere cosa dovevo fare! E finalmente escono fuori camion, mezzi e batterie, comincio la mia attività di scorta convogli, che fu anche il mio incarico per tutto il periodo in cui rimasi in Africa.

Il mio primo incontro con i carri inglesi fu traumatico, erano tre o quattro non ricordo, li vedemmo da molto lontano ed ebbi il tempo di far mettere in posizione di fuoco le nostre mitragliere antiaeree da 20, e con sorpresa aperto il fuoco vediamo i nostri proiettili rimbalzare sulle corazze. La nostra fortuna fu di avere fra i miei uomini quattro splendidi ragazzi calabresi. Coraggiosi? Incoscienti? Non so cosa dire, si erano fabbricati per conto loro diverse bottiglie molotov, si infilarono fra i carri e li fermarono con quelle. Ebbi due morti e diversi feriti, ma da quel giorno assegnarono anche un pezzo anticarro come scorta convogli, ma noi mantevamo anche una scorta di bottiglie incendiarie, in certi casi piu' efficaci dei pezzi anticarro.

La sabbia era una cosa indescrivibile, era fine come talco, impalpabile, passava dappertutto, quando arrivava il ghibli, per salvare il salvabile ci toglievamo gli orologi, li avvolgevamo in un fazzoletto e dopo averlo chiuso a doppio strato con quattro cocche, lo mettevamo nel taschino sotto a maglia e giubba. Passato il ghibli, gli orologi erano lo stesso fermi, la sabbia passava fino a lì.

Avevamo due litri di acqua a testa al giorno, quando c'era, la situazione era: o bevi o ti lavi, quindi non si lavava nessuno, a Tobruk nella mensa ufficiali, era normale durante il pranzo scrollarsi dalla giacca i pidocchi. Le cose migliorano quando dopo aver perso Tobruk la riprendemmo, e migliorarono perché catturammo tanto di quel materiale inglese, che ci permise di rivestirci. Le nostre uniformi andavano a pezzi, quelle inglesi furono usate alla grande, altro che arresti perché ci mancava la camicia…….

L'alleato ci trattava come se fossimo pezzenti, straccioni o peggio, gli inglesi sotto un certo punto di vista erano più umani ad esempio quando avvelenavano i pozzi d'acqua lasciavano un cartello scritto in inglese "Warning, don't drink the water, danger, poison", i tedeschi non usavano le stesse "cortesie". Quando ebbi il mio mese di licenza ero nei pressi di Marsa Matruth, cercai invano un passaggio per Tobruk, sulla pista quando incrociavo qualche mezzo si alzava la mano e si chiedeva un passaggio, i tedeschi ci ignoravano o peggio ci schernivano, l'unica speranza era di trovare qualche italiano.

Una volta riuscimmo ad abbattere un ricognitore inglese, i due piloti scesero con il paracadute, e ci supplicarono di essere consegnati al comando Italiano e non a quello tedesco. Non eravamo assolutamente in grado di distinguere gli aerei che ci passavano sopra, sparavamo e basta, se erano bassi si poteva a volte vedere il disco sotto le ali, quando passavano gli aerei, ad esempio prima dell'Africa mi ritrovai brevemente sul fronte francese, li ci veniva ordinato di aprire il fuoco su un ordine telefonico del comando. Potevano passarc sopra nostri o francesi, tanto si sparava solo con un ordine……

Ad un certo punto, sembrava che fossimo pronti per entrare ad Alessandria, si diceva che tutte le bandiere inglesi fossero sparite, che tutti avevano pronte le bandiere italiane e che la flotta fosse sul punto di squagliarsela verso Malta o Gibilterra, era subito prima di El Alamein. Quello che ci fermò fu la mancanza di benzina, semplicemente non c'era, non arrivava dall'Italia mai quello che ti serviva, mai! Serviva l'acqua, mandavano benzina, serviva benzina mandavano autocarri, servivano autocarri mandavano munizioni, sembra incredibile ma è la verità. Non feci El Alamein, io sono una persona molto fortunata sa? Sempre un'attimo prima che potesse succedere qualcosa di irreparabile, io e miei soldati venivamo ficcati da un'altra parte. Chissà per quale scherzo del destino fummo rimpatriati e mi ritrovai con le mie batterie a Rieti. Il Colonnello locale, mi chiamò e mi disse che considerata la mia esperienza, aveva intenzione di assegnare i miei soldati come scorta antiaerea sui mercantili. Sapevo benissimo che era una condanna a morte, non mi vergogno nel dire che ho usato qualche conoscenza che avevo al Comando Supremo per ottenere un altro incarico. Con gran gioia dei miei soldati fummo assegnati ai turni di guardia nelle sale di taglio a Prato, si trattava di sorvegliare le sarte che cucivano le uniformi! Durò qualche settimana, tornammo a Rieti le cose andavano male, gli Americani erano sbarcati in Sicilia, erano a d Anzio, Cassino era caduta. Ero a cena nel circolo ufficiali, la radio passò il famoso comunicato di Badoglio, con la frase finale "….la guerra continua." Era un fulmine a ciel sereno, eravamo costernati, nessuno sapeva nulla, così facemmo dei turni per telefonare al Comando Supermo chiedendo ordini. Finalmente gli ordini arrivarono per tutti.
Ricordo perfettamente gli ordini per tenetene I.C. del 13 Rgt Granatieri di Sardegna per l'8 Settembre 1943:
"Cercare l'attendente del Generale Bartiromo, raccogliere e prendere in custodia la sua cassetta personale, e consegnarla di persona presso la sua abitazione a Roma."
Questi erano i miei ordini per l'8 Settembre. (la frase è detta con amarezza).
Di nostra iniziativa studiammo il modo di impedire ai tedeschi di entrare a Rieti, io dove piazzare la mia batteria per chiudere una delle strade di accesso, ma fu inutile, i tedeschi arrivarono in un lampo. Il comandante disse che dovevamo consegnare uomini e mezzi ai tedeschi, io insieme ad altri ufficiali mi rifiutai, nascosi i pezzi in una specie di garage, lo chiusi con due lucchetti, misi la chiave in una busta con una lettera dove era spiegato per filo e per segno dove erano le armi, e mi diressi a Roma per consegnarla al comando del reggimento.
Lì mi trovai coinvolto nella battaglia, perché fu una battaglia signor Gobbi, non un combattimento, a Porta S.Paolo, ma eravamo pochi, disorganizzati e senza armi pesanti, la resistenza venne organizzata in maniera spontanea dal comandante del reggimento ed alcuni ufficiali, agimmo senza ordini di nessun tipo, di nostra iniziativa, eravamo dei leoni, ne andava del nostro onore di soldati, l'onore dell'Italia, e ci battemmo, assieme ai civili. (non si dilunga oltre sulla giornata, nonostante qualche garbata insistenza da parte mia.)
Riuscì a tornare a Rieti il giorno dopo per vedere di riportare a Roma il resto dei miei soldati, ma solo per scoprire che i tedeschi volevano la testa mia e di altri ufficiali, il colonnello al comando, per paura ci aveva in pratica additato ai tedeschi come gli unici responsabili della mancata consegna delle armi pesanti, l'unica cosa che potevo fare era scappare di nuovo a Roma, devo dire che li' l'esercito si sbandò completamente, senza ordini, senza armi, cosa voleva che si facesse, chi poteva distrusse l'uniforme, si procurò abiti civili e cercò di tornarsene a casa.
Tornai al mio vecchio posto al Comando Supremo, e poi, ma stavolta con ordini precisi ed un nuovo comandante di nuovo a Rieti, li mi adoperai per salvare dal lavoro coatto in Germania quanti più civili potei, iscrivendoli di mio arbitrio nelle liste di lavoro militare. Ovviamente li lasciavo liberi di fare quello che volevano, ma se i tedeschi li cercavano, li trovavano scritti nelle mie liste e se ne andavano. Ero comunque sempre guardato con sospetto dai tedeschi.
Finalmente arrivarono gli americani, io riamsi fedele al Re e non seguii gli altri che andavano Nord, lascia che passasse il fronte e presi contatto con gli americani, che poi erano tutti ragazzi siciliani, pugliesi, calabresi e abruzzesi, almeno di origine. Ne ho un buon ricordo, gioviali e quando potevano generosi, io essendo militare avevo diritto al rancio del soldato, e portavo pure qualcosa a casa, ma per i civili era peggio, lei non ha mai visto le code interminabili ai negozi per avere quel po' di cibo che ci spettava.

Finita la guerra restai nell'esercito fino al 1947, ricordo ancora quando facevo rispettare il coprifuoco, e le donne che si mettevano in coda la notte perché "forse arrivava del pesce", ed io, tenente che chiudevo un occhio nonostante non potessero essere fuori a quell'ora.

In quegli anni il Re, sciaboletta come lo chiamavano tutti, era assente, non la sentivo o avvertivo come figura, il capo era Mussolini e basta. Di Casa Reale ricordo con piacere l'umanità di Umberto, quando venne a visitarci al fronte fu molto alla mano, mai altezzoso, si adattò al nostro modo di vivere, e posso garantire che fece il possibile per miglioralo.