I motivi della crisi del marxismo

Oggi l’opinione prevalente è che la storia abbia dimostrato i notevoli limiti teorici del marxismo. Questa idea nasce dall’osservazione nasce dall’osservazione delle fallimentari esperienze dei paesi che hanno voluto ispirare alla teoria marxista il proprio ordinamento, presentandosi come dittature del proletariato ma finendo col divenire dittature personali o di una ristretta classe dirigente, come è accaduto, ad esempio, nell’URSS con Stalin.

Ma si può davvero considerare Stalin la necessaria conseguenza dell’applicazione del pensiero di Marx?
La storia dell’Unione Sovietica, così come quella degli altri paesi comunisti, ha ben poco a che vedere con le cosiddette ‘profezie’ di Marx.

In Russia o in Cina non c’erano il proletariato e la borghesia, come poteva esserci una rivoluzione proletaria contro il potere borghese? Infatti i regimi comunisti si sono tutti instaurati ad opera di un’élite intellettuale e politica, non per mano popolare.

Inoltre, semplici considerazioni di carattere economico bastano per capire che uno stato comunista non può esistere in un mondo capitalista, perché necessariamente viene isolato (si pensi a Cuba) e finisce in miseria non potendo i suoi prodotti competere con quelli della produzione borghese. Per questo la rivoluzione comunista deve per forza essere mondiale.

Un’altra posizione è quella del giornalista Giorgio Bocca, che, in un recente articolo, scrive:
"L’errore del comunismo e del suo ideologo Marx fu di non tenere conto –cosa incredibile per un genio come lui- ‘della inesauribile fantasia della storia’ cioè della sua casualità e imprevedibilità e di dare per certo, per indiscutibile che la eguaglianza degli uomini sarebbe stata automaticamente assicurata dall’autoregolazione dei produttori."
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Lo stesso Bocca rimprovera, poi, un errore simile al capitalismo, che crede che il benessere sarà nel futuro assicurato a tutti "dal mercato e dalle sue ineffabili scelte".

Di diverso avviso è Rossana Rossanda, che, in un’intervista, risponde così alla domanda se sia giusto parlare ancora di proletariato:
"Ma certo: non solo esiste tuttora, ma è andato crescendo su scala planetaria. Il problema, oggi, è che appare diviso, sminuzzato, attraversato da violente competizioni. E la comunicazione che doveva funzionare da grande veicolo di unificazione, non ne ricompatta affatto le grandi membra diffuse.
Ma c’è un aspetto ancora più grave: oggi appare frantumata l’idea stessa che di sé ha il proletariato. È qui che non ha funzionato la profezia di Marx. […] Egli non poteva tollerare che l’uomo accettasse di essere trattato come una merce. E invece questo è accaduto:

l’uomo s’è fatto merce."14

In che senso si può parlare di crisi del marxismo?

Possiamo considerare l’opera di Marx sotto tre aspetti, intimamente connessi fra loro: uno filosofico, uno economico, uno politico.

La parte più puramente filosofica è perlopiù una critica metodologica rivolta ai pensatori precedenti e contemporanei.

Quella economica è un’analisi dei meccanismi che regolano il funzionamento della società capitalista; ed è un’analisi ancora adesso riconosciuta come valida dagli economisti.

La crisi del marxismo, in ultima analisi, riguarda quasi esclusivamente l’aspetto politico e sarebbe perciò più opportuno parlare di crisi dei movimenti e dei partiti marxisti.

Ma ancora una volta va fatta una precisazione: i partiti marxisti hanno ricevuto sempre un consenso abbastanza largo; il PCI, anche nei momenti di maggiore difficoltà, non è mai sceso al di sotto del 16% di voti.

La crisi di questi partiti non è dunque causata, in linea di massima, da una mancanza di approvazione nella base popolare: è una crisi ideologica che porta a un rinnovamento, a una rivisitazione critica del proprio ruolo e a una revisione del proprio pensiero.

Il PCI entra per vie ufficiali nella società borghese, sostenendo di voler contribuire allo sviluppo della società capitalista, in quanto solo una sua completa maturazione rende possibile la rivoluzione proletaria. Tuttavia, raggiunti i vertici del potere nella società borghese, non può più permettersi di criticarla alle fondamenta e finisce per accettarla abbandonando definitivamente le posizioni, estreme e quindi scomode, del marxismo.

 

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