di Gianfranco Civolani - da "I Cavalieri della Vu Nera. I 125 anni della SEF Virtus attraverso i suoi campioni" - Ed. Tempi Stretti, 1996
Sala Borsa, i primi anni Cinquanta. Noi
ragazzi veniamo a sapere che il Cus Milano gioca un'amichevole
con la Virtus e che nella squadra milanese c e un gigantone che
misura ben due metri e che si chiama Calebotta. Andiamo a vedere
e poi sospiriamo tutti insieme: oh, lo potesse catturare la
Virtus, lo potesse mai un giorno. Da notare che la Virtus dei
quattro scudetti consecutivi è un po' in panne e che in
classifica viene anche superata dai parvenus del Gira. E allora
la Virtus, ma sì, riesce a catturare quel gigantone e sulle
prime patisce ancora un bel po' di pene, ma poi comincia a
vincere e sembra non dover smettere più.
Bologna, i dolci colli di via Petrarca. Io lì ci gioco a calcio
ogni giorno e lì nei pressi ci abita la dolce e diafana Laura
Mandes, sorella di un nostro amico. E un bel pomeriggio chi ti
vedo inerpicarsi sui dolci colli e passeggiare poi sotto braccio
con la Laura? Ti vedo quell'anima lunga, il pistolaccio che ci
lascia bancaliti, perché come si permette quell'anima lunga di
venire a seminare nei nostri orti?
Ma attenzione al pistolaccio. Ma chi è cal Camel dicono
in centro quando lo vedono toccare il cielo. Camèl che
non vuol dire cammello, ma invece Camillo, un omone che non
finisce più. Lui Antonio Nino Calebotta non è affatto un
pistolonaccio come tutti crediamo. E zaratino e discende da
una famiglia di albanesi (Colbòt ovvero gran capo, Colbot che è
una contrazione del cognome Calebotta) e il suo papà è un
funzionario del Ministero degli esteri e così Antonio Nino
viaggia in Egitto, a Odessa, a Parigi e dintorni vari. E si fa
una cultura sui libri e una cultura di vita. Siccome non ha
nemmeno un caratterino tanto soave, guarda sempre di traverso
quegli immancabili burloni che vorrebbero prenderlo in mezzo. E
in campo Nino non si fa mica tanto picchiare. Ha l'uncino
mortifero e con la sua statura, la sua tecnica (notevolissima per
un due metri e rotti) e il suo uncino comincia a determinare
parecchio. Con l'avvento in panca del focoso Moro di Messina (alias
Vittorio Tracuzzi) e con il contributo di altri giocatori di
grande qualità (cito per tutti Canna e Alesini) la Virtus di
Calebotta prende il volo e a metà degli anni Cinquanta vince due
scudetti uno dopo l'altro e laurea Antonio Nino Calebotta come
uomo e giocatore di grande rispetto. Dimenticavo: la dolce e
diafana Laura, Nino se la sposa e la dolce e diafana poi al Nino
gli dà tre figlie una più affascinante dell'altra, e siccome il
suocero di Nino conduce un'azienda farmaceutica molto avviata,
ecco che Nino capisce al volo che non si può vivere di solo
basket. A Nino piacciono assai i soldoni (le "palanche",
come dice lui) e così succede un giorno che la Virtus reputa
Nino un po' invecchiatone e Nino coglie la palla al balzo andando
a giocare prima a Venezia e poi anche in Abruzzo per chiudere a
quarant'anni suonati da quel dì. Nino fa l'avanti-indietro in
treno o in auto perché sa che un bel giorno la bella favola
finirà e lui vuole sempre mantenersi giovine e integro e infatti
invito tutti a fare magari una visita a Nino in azienda, nei
pressi di Calderara. Nino oggi ha sessantacinque anni, ma ha
conservato quel suo fisico asciutto e per certi versi tanto
funzionale. Al palasport non ci va quasi mai, ma vede basket, si
diletta di pesca e di nautica, ha una bella barca, fa parte di
associazioni importanti e non manca mai di ostentare in ogni
circostanza la sua naturale brillantezza e quei mattoni di
cultura libresca e pragmatica che ne hanno sempre contrappuntato
l'esistenza.
Com'era il pivot Calebotta? Anche un po' stralunato e lunatico,
perché non ricordarlo. Ma appunto determinante come poteva
essere un'anima lunga di metri due e zeroquattro in un'epoca
nella quale i gigantoni non c'erano proprio e pazienza se venivi
segnato a dito perché nel basket potevi veramente fare punti e
ancora punti e dunque sfracelli.
E andate oggi a leggervi le cifre: troverete al top dei marcatori
italiani Virtus di sempre le più belle teste coronate, dico
Renatone Villalta, Roberto Brunamonti, Dado Lombardi, Gigione
Serafini e poi Gianni Bortolotti, Marco Bonamico e fra i primi
sei o sette di sempre anche lui, 3.235 punti solo per la V nera,
dico e non aggiungo altro. E più di duemila rimbalzi e raramente
una nuvola d'ira che attraversasse mai quel gigantone, perché
Nino era sempre molto sveglio, ma fisiologicamente contrario alla
violenza e alla volgarità.
Negli ultimi anni sono andato qualche volta a trovarlo in azienda.
Sempre così accattivante e disponibile, sempre così pronto a
raccontarmi lultima barzelletta ancora intonsa, sempre
così orgoglioso della bella famiglia che mise insieme e che
resiste alla grande allusura del tempo e dei sentimenti.
Pistolonaccio lui? Mica vero e mica tanto, pistolonacci tutti noi
che lo battezzammo in un certo modo e che faticammo a capire che
Antonio Nino Calebotta ci avrebbe dato importanti lezioni di
sport, dunque di vita.