11-10-2000: Ciao Sasha!


Danilovic, il più grande

di Carlo Cavicchi

- Alle 21,30 di un apparente banalissimo mercoledì di ottobre su Basket City è calata la notte. Il più amato e il più odiato di una città cestisticamente divisa, ha detto basta. All'improvviso, come un coIpo al cuore che ti porta via una persona importante senza darti il tempo di capacitartene. Bologna, senza Daniiovic non sarà più la stessa cosa. La città delle due torri è adesso orfana di un bersaglio da colpire o di un'icona da adorare.

- Già mezz'ora dopo il suo addio, brusco come i suoi modi, veloce come i suoi assalti a canestro, sotto i portici si discuteva se fosse stato il più grande straniero mai paracadutato in città sottintendendo, ovviamente, il più grande arrivato in Italia. Lo è stato. Per le sue cifre, per il suo impatto sulle gare, per la sua leadership su compagni e avversari, per il suo modo feroce di affrontare le partite e spesso ucciderle.

- Non è mai stato uno da trentelli a catena. Segnava sempre una ventina di punti, ma attento a centellinare i suoi tiri. Spesso concentrando i canestri quando servivano a girare un incontro oppure a chiuderlo. il resto era cinema, e lui non ha mai badato al cinema. Ne segnò 47 una volta, a Roma, quando rispose a suo modo agli insulti volgari del tifoso Gianni lppoliti tristemente amplificati dalla diretta televisiva. Ne fece quattro, ma tutti insieme, per togliere l'ennesima illusione alla più forte Fortitudo di sempre, quella di Rivers e Wilkins. Era il contraltare tutto sostanza allo spumeggiante Myers dell'altra sponda. Le sue frasi col contagocce: "quando quello lì avrà vinto la metà della metà di quello che io ho già vinto almeno un paio di volte", oppure il celeberrimo "io può" sono scolpite nella memoria di un città che non lo potrà mai dimenticare come idolo o come insopportabile nemico.

- La Kinder di oggi è zeppa di campioni e forse sarà anche più facile da gestire per il suo pur navigatissimo allenatore. Ma quello sprovveduto che proverà a dire che sarà un vantaggio aver perso lo Zar perché lo spogliatoio, perché le rotazioni, perché, perché, è meglio che parli d'altro. lì furore agonistico del serbo, la sua lettura delle partite, la sua capacità di capire in un attimo il metro di fischiata degli arbitri, il suo tiro infallibile all'ultimo minuto, sulla sirena, nei tempi supplementari, appartengono a un linguaggio del basket che è più dono divino che grande applicazione.

- La sera dell'annuncio pubblico più di tutti piangeva Roberto Brunamonti, una fontana di quasi due metri che il basket lo aveva vissuto da campionissimo, simbolo assoluto dell’Italia più talentuosa e più riservata. Lui, che con i più grandi ha sempre giocato alla pari, capiva che cosa il movimento nel suo complesso si perdeva per sempre. Nel pomeriggio aveva fatto di tutto per fargli cambiare idea e non c'era riuscito. Brunamonti, il vincente per eccellenza, si sentiva il più sconfitto di tutti.

- Oggi tutti i giocatori sono un poco più poveri, soprattutto quelli più bravi che fino a ieri potevano cercare la sfida ed esaltarsi nel confronto. Quando giocheranno benissimo, quando saranno i dominatori del parquet, avranno sempre il loro fantasma sulla spalla: facile, adesso, senza Danilovic. E sarà un piccolo dramma.

- Avrà anche fatto bene a smettere di giocare, ma per il basket quello di Danilovic è stato un sgambetto vigliacco. A soli trent'anni, poi, e di mercoledì.


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