La betulla
di Gianfranco Civolani - da "I Cavalieri della Vu Nera. I 125 anni della SEF Virtus attraverso i suoi campioni" - Ed. Tempi Stretti, 1996
Rubo l'immagine a un collega, una betulla malata. Il mormone ha già trent'anni, gioca da una vita e adesso è anche vescovo mormone da quando officiava i suoi riti in campo, là sul gran lago Salato. Kresimir Cosic detto Creso. Arriva a Bologna tutto curvo e ramingo, arriva per pilotare la V nera laddove l'anno prima non c'erano riusciti nè Terry Driscoll e nemmeno quel bizzarro puledro che era John Roche. Ma il vescovo non ha voglia di allenarsi e di soffrire, inventa sempre una scusa di troppo per disertare la palestra e le sue prime esibizioni sono roba un po' troppo virtuale, quel che potrebbe essere e purtroppo non è. Però che fosforo, che classe purissima, che universalità, ecco. Pivot? Ma no, di tutto un gran bel po'. Orchestra, detta il verbo, ispira e finalizza. In panca c'è un debuttante di lusso, quel Terry Driscoll . E l'altro straniero è un buon cristianone - tale Owen Wells - funzionale al cosiddetto disegno di squadra. Driscoll si muove sulla stessa lunghezza d'onda di Creso, la lunghezza d'onda dell'intelligenza vivida e viva. Creso è sempre così acciaccato e indolente, in apparenza accusa gravemente il peso degli anni e duemila malanni alla schiena. Sotto il gomitone, sussurrano i compagnucci che vorrebbero venerare il venerando e che però si scocciano a vedere che fra loro ce n'è uno solo che durante la settimana fa delle flanelle giganti. Ma occhio al prodotto. La betulla malata ti porta due scudetti in serie, la zonona (3-2) montata da Driscoll paga puntualmente e così Driscoll e Creso fanno tombola entrambi, due su due e mai più una roba così. Fuori dal campo non sai dire se Creso sia più godibile e accattivante ancora. Un genio, ma sì. Ti basta stargli un attimo accanto e capisci di basket più di quanto ne sapessi un po' prima. E hanno un bel da prenderlo in mezzo i compagnucci simpaticamente malevoli, lo prendono in mezzo perchè si narra che ai mormoni quella cosa lì non piaccia per niente e così gli dicono in coro: Cioso, ma tu non ciosi mai? E lui, serafico: "Ce l'avete sorella o fidanzata? Portate a me, portate". Se ne va onusto di allori e trofei e lascia in tutti noi il rimpianto di non poter più godere la sua arte inimitabile. Ma Creso è proprio una betulla che non si rizza più, la schiena è a pezzi, la voglia di soffrire zero e la voglia di giocare idem. E allora leggiamo ogni tanto che Creso fa l'allenatore qua e là e che svezza i giovani talenti come pochi e un giorno Porellone ha la pensata di far tornare proprio qui il vescovo per officiare ancora un qualche rito, ma questa volta posando i magri glutei sulla panca. Chiaramente noi della stampa lo accostiamo in modo più diverso e variegato rispetto a quando evoluiva sul parquet. La Virtus da lui diretta va e non va e qualche robustissima paga nel derby accorcia qui la sua vita da coach. Io un giorno lo invito a una trasmissione radiofonica e resto colpito dal suo sapere. E a tutto porto con grande semplicità di accenti e poi finiamo a parlare dell'esistenza e di certi valori inestimabili e su quel piano non mi convince solamente perchè lui crede e io no, ma l'uomo è sicuramente molto affascinante e il coach è anche tanto sfigato perchè la Virtus che gli affidano non è di primissima qualità e i risultati sono - come dire - conformi. Oggi il ricordo di quel che ci diede Creso resta indelebile. Chi il miglior straniero Virtus di sempre? Ce lo domandiamo, me lo domandano. Cosic o Mc Millian o Danilovic, continuo a rispondere, e penso a quella betulla che puntava sempre verso il cielo e anche verso la nuda terra. Due anni fa andai a Charlotte, in North Carolina. Creso era diventato vice-ambasciatore di Croazia a Washington. Si era messo in politica, gli piaceva tanto far qualcosa per il suo popolo. Lo vidi un giorno a l supermercato, girava portandosi tutta la sua figliolanza. Una ragazza gli chiese di mettersi in posa per una foto, una ragazza bolognese che tifava e tifa Virtus. Grazie a te che mi fai quest'onore disse Creso spianando anche a me vecchio amico il suo sorriso solare. Mi sembrò un uomo molto felice e ci restai di gesso qualche tempo dopo quanto mi raccontarono che quell'anima lunga era stata assalita da un terribile male che non dava speranze. Ma io lotto duramente, confidò Creso da là e dal suo letto di dolore. Poi l'inevitabile fine, la betulla che aveva toccato il cielo si era inabissata così. E chi oggi è stato al cimitero di Zagabria mi dice che là è sepolto il grandissimo Drazen Petrovic e che nei paraggi c'è anche la tomba - che ha sempre fiori freschi - dell'incommensurabile Creso. O natura o natura, perchè non rendi poi quel che prometti allor? cantava il poeta.
Creso, il più grande
di Maurizio Roveri - dal "Corriere dello Sport Stadio" del 26/05/1995
"Il più grande giocatore che
io abbia avuto. Un talento straordinario. E soprattutto un grande
uomo. Un personaggio fuori dal normale, nel senso buono".
Così l'avvocato Gianluigi Porelli ricorda Kresimir Cosic, morto
ieri a 46 anni in una clinica americana, stroncato da un male
incurabile.
Porelli ha avuto diverse felici intuizioni nel ventennio di uomo-guida
della Virtus Pallacanestro: è lui che portò in Italia Dan
Peterson nel settembre del '73, è lui che regalò per una
stagione al popolo virtussino il talento giovane di Tom McMillen
studente a Oxford destinato alle glorie della Nba, è lui che
riportò da noi Terry Driscoll, e poi ci fece conoscere la
scienza di Jim McMillian il "duca nero". E fra queste
intuizioni geniali trova un posto speciale la scelta di
ingaggiare Kresimir Cosic, gigante slavo di 2,11, già veterano
quando arrivò a Bologna nel '78 con un fisico che pareva cadente
e che certo non eccitava la folla del palasport di Piazza
Azzarita I settemila accolsero Kresimir con freddezza, quasi con
diffidenza. Ma lui sorrideva, con quell'aria pacifica. Nei suoi
grandi occhi da gigante buono c'era la luce, la luce di un
messaggio.
Il messaggio della sua fede: canestri e Bibbia, Bibbia e canestri.
Una spiritualità più forte di ogni malizia, di ogni intrigo di
questo mondo. Il messaggio della sua pallacanestro: così limpida,
così geniale, così raffinata. Un playmaker di 2,10. Un pivot
con il fosforo di un regista. Sì, pivot e playmaker al tempo
stesso. L'arte della creazione del gioco. Luce e voce di una
Virtus vincente. La Virtus di Cosic e Wells e della famosa zona 3-2
ideata da Driscoll al suo primo anno da coach in collaborazione
con Ettore Zuccheri. Ma soprattutto la Virtus di Cosic e di
Jimmone McMillian nella stagione successiva: al loro fianco
Caglieris, Villalta e Bertolotti. Un quintetto da favola, a
nostro avviso il più bel quintetto virtussino di tutti i tempi.
Vi proponiamo un'immagine storica. Finale-scudetto del '79, la
Virtus che trionfa al Palalido contro il Billy di Dan Peterson,
la cosiddetta "banda bassotti". Cosic all'altezza della
lunetta col suo lungo e magro braccio destro in alto, a tenere
lassù il pallone: ad altezze dove gli avversari non potevano
arrivare e guardavano impotenti. E intanto, dentro l'area, i vari
Generali, Vmalta, Bertolotti "tagliavano" sottocanestro
per ricevere l'assist di Cresimiro. E quei passaggi erano
deliziosi, pennellate d'autore, piccoli capolavori. Non abbiamo
mai più visto qualcosa di simile.
"Prima di quella finale - è un aneddoto che ci racconta
Porelli - dico a Cosic: fai attenzione, Kresimir, che quelli del
Billy picchiano, giocano duro. Sono preoccupato. Lui mi guarda e
con un'aria serafica mi fa vedere il muscolo del braccio destro,
dove... il muscolo non c'era. Vedi, avvocato, che forza? E allora
tu devi stare tranquillo". Porelli sul momento rimase
perplesso. Ma capì tutto ad inizio partita. La forza era nella
testa dei giocatori della Virtus, nella loro mentalità, la forza
era la serenità di Cosic. La sua grande luce.
Talvolta scherzavamo con Kreso sulla scelta della sua religione.
E sul fatto che nessuno lo vedeva andare con delle donne. E i
compagni di squadra di quella Sinudyne lo stuzzicavano: Kreso, si
dice in giro che i mormoni possono avere tante donne, è vero?
Cosic sorrideva divertito. "Non è più così oggi. Una
volta avevamo la poligamia. Adesso possiamo sposare una sola
donna. Anche i nostri preti sono sposati".
- Ma l'avventura è peccato, si o no?
"Certo, è peccato, come nella religione cristiana".
- Ma non dirmi che tu non hai delle avventure...
"Mica siamo tutti perfetti...".
Ecco, Kresimir Cosic vogliamo ricordano così, con una battuta,
lui che la vita l'ha sempre vissuta con il sorriso sulle labbra.
Addio Creso, genio del basket
di Walter Fuochi - da "La Repubblica" del 26/05/1995
Creso ha abbassato il pallone. Lo
teneva lassù, in cima a un braccio sottil~ come una liana:
nessuno degli avversari poteva arrivarci, lui intanto guardava,
quasi irridente, dove potesse lanciarlo. Era alto 2.10, giocava
pivot. Il ruolo è un limite: in realtà era una testa pensante,
su un fisico fragile, su ogni punto del campo.
Kresimir Cosic ha perso ieri la sua partita col cancro. E morto
all'ospedale John's Hopkins di Baltimora: era stato, aggredito da
tempo alle ghiandole linfatiche, il male e le cure l'avevano
fiaccato. Ad amici che lo chiamavano da Bologna aveva risposot,
pochi giorni fa, con toni mesti. Alla Virtus aveva vinto in 2
anni, da giocatore: 79 e 80, con Villalta e Caglieris,
Bertolotti e Generali, Wells e McMillian. Era tornato da tecnico:
l'avvocato Porelli credeva al suo genio un po strampalato,
unico. Ma il torneo '87-88 andò male e non ci fu conferma. Cosic,
che aveva allenato anche la nazionale jugoslava, lanciando
ragazzi come Kukoc e Radia, Divac e Paspalj, quando parevano
bambini troppo imberbi, finì per poco in Grecia, poi riprese la
strada dell'America, dove aveva studiato, all'università mormone.
Il suo paese s'era spaccato, a Washington la Croazia apriva l'ambasciata
e Cosic ci entrò. In America ha scoperto e lottato col suo male,
un paio d'anni, senza fortuna. Resta un ricordo per la Bologna
che l'amò. Lui e il suo basket unico e geniale.