Profili: SASHA DANILOVIC


Lo Zar

di Gianfranco Civolani - da "I Cavalieri della Vu Nera. I 125 anni della SEF Virtus attraverso i suoi campioni" - Ed. Tempi Stretti, 1996

 

Quella sensazione di fisiologica sgradevolezza, subito a pelle. Lo vedo per la prima volta incrociare i ferri con la Virtus in una doppia sfida di Coppeuropa. Sicuramente gli esteti sono più conquistati dalla raffinata eleganza dell'altro Sasha (Djordjevic) e invece io sono come rapito da quel satanasso che usa la scimitarra e che serra i pugni con tutti e contro tutti. Per esempio baruffa con Coldebella (che diventerà poi suo amicone) e mi pare insomma che vada contropelo con il mondo intero. Ma al momento del dunque lui risolve la faccenda, la Virtus resta al palo e chiaramente mi viene da pensare che un fringuello così in Virtus sarebbe quasi il massimo. Non passa poi tanto ed ecco il fringuellone con la V nera sul petto. Ho il sospetto - lo ripeto - che non sia tanto amabile e accostabile, la sua perenne mutria (e dico questo perché viene ad abitare nel palazzo attiguo a casa mia) è tutta un programma. E infatti. Organizziamo al giornale un incontro con Sasha e con la sua procuratrice Mira Polio. Parte una mia domanda che definirei abbastanza innocua e sicuramente non provocatoria. Caro Sasha, ti pesa l'eredità di Sugar Richardson? Mira si infuoca. Se lei fa altre domande del genere, noi ci alziamo e ce ne andiamo. E meno male che invece lui non mette lingua e per il resto del colloquio si presta, mai regalando un mezzo sorriso, ma rispondendo con garbo e professionalità. Bene, chi se ne frega se non è un allegrone. Purché poi sul campo faccia gli sfracelli che dovrebbe. E in effetti sul campo non ce n'è per nessuno. Com'è con i compagni? Abbastanza potabile, mi dicono. Com'è con i tifosi? Talvolta regala anche quel mezzo sorriso, evviva. Com'è con la stampa? Lui chiarissimamente i giornalisti non li ama e anzi. Però non fa le boccacce e insomma si comporta come può anche comportarsi un tipo ispido e burbero e comunque molto introverso e solitario. Fosse angelico com'è Brunamonti, mi sussurra qualcuno. Ma poi perché Caino dovrebbe farsi Abele? Ma attenzione: dico Caino per comodità di immagine e invece dovrei anch'io fare un po' di pubblica abiura, perché per esempio lo incrocio un giorno sì e un giorno no e lui mi fa anche un mezzo saluto e ringraziare. Io non ho occasione dì intervistarlo, ma ho occasione di ammirarlo massimamente e di imparare a memoria la sua storia, la storia di un ragazzino che comincia a giocare a basket piuttosto tardi, che con la perseveranza impara i primi rudimenti e che a Belgrado subito si fa valere alla grandissima. Serbo dì Bosnia, si definisce lui, e io fingo di capire e non capisco l'accostamento. Ma sono solidale con lui quando in Croazia lo riempiono di sanguinosi insulti perché la cattivissima Serbia è in guerra contro la soave Croazia e magari non è affatto vero che i cattivi stiano da una sola parte, ma in genere i commentatori politici ci raccontano questo e quello e non abbiamo tanti elementi per separare il grano dal loglio. Com'è Sasha in campo? Il suo primo passo è incontenibile, il suo tiro è una bellezza. Ma soprattutto la grinta, la rabbia, la cattiveria, l'odio sportivo contro l'avversario dì turno, un odio che peraltro non sconfina mai nella ribalderia o nella scorrettezza spicciola. Tre anni dì Vìrtus, un negozio messo su insieme all'ex nemico (ma per un attimo solo) Coldebella e poi la partenza per gli Usa perché l'Nba chiama e può un fringuellone di venticinque anni dare un calcio ai supermiliardi e alla supergloria? Il fringuellone a Bologna viveva senza mai trasmodare. Mi dicono che da ragazzo non avesse che pochi dinari da spendere. A Bologna veste in modo sobrio, gira con un paio di belle auto, vive con la sua donna, non dà confidenza a nessuno e quando peraltro se ne va alla volta dei cieli chiari della Florida (a Miami, per giocare con gli Heat) tutta Bologna lo omaggia e lo saluta. Una giovane fan gli dedica pure un libro e quella sera che da Morandotti c'è festa, Sasha se la ride beato, incredibile ma vero. Qualcuno ogni tanto mi chiede di ricordare i più grandi stranieri Vìrtus del passato remoto e prossimo. E io per forza di cose elenco sempre gli stessi, Cosic e Mc Millian e Richardson e Driscoll e Swagerty e via cantando. E mai potrò dimenticare il serbo di Bosnia che venne, vide e vinse e stravinse. Una Coppa dei Campioni e quattro scudetti Virtus - tre consecutivi - portano la firma a caratteri d'oro di quel fringuellone che non ama propriamente il prossimo e che farebbe a pezzi i giornalisti e che ha sulla pelle cuciti certi tormenti adolescenzialì e che comunque qui in Virtus fu tanto grande. No, dì più, tantissimo e grandissimo.

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