Concerto Grosso

Dopo gli applausi, l'inchino, le luci spente
la pausa del silenzio,
scricchiolano le scarpette nere sul podio
e la bacchetta traccia il segno nell'aria.
Allora l'aria chiusa scuote il suono,
l'ira e l'amore dei fragili strumenti
grave si allarga e avvolge come un fiume
i palchetti dorati i profumi le ciprie le pellicce.

Ombre d'uomini vanno
lungo i fiumi ghiacciati,
volgono muti il capo con terrore.
La casa é sulle spalle
nel fagotto di un bimbo assiderato,
e dietro si strascina a stento, stramazza
l'animale trafitto che fu amore.
(I vecchi ormai sono una striscia scura,
fuori pista, nel loro fango immobili,
con la faccia bocconi contro l'argine.)


Nella nebbia, invisibile, con gelidi soffi,
tra fuochi subito spenti e lacerati sibili
incalza la mistica bestia,
passa sui piedi inutili, sui cadaveri lunghi,
lascia nell'arie il nero dei suoi stendardi.


Il cembalo, tenta una fuga,
crea un furtivo ricamo,
ma i violini rintracciano straziati
quei gomitoli sordi che sdipanano
un groviglio di neri fili nell'aria.

E tu, vecchietta soffia nella stufa
solleva una colonna acre di fumo
attorno ai tuoi capelli nella stanza.
Poi apri la finestra al vento gelido
e mentecatta ridi tra le rughe.
Il tuo figlio non torna
e la tavola è Pronta, il Pane secco.


Anche il cembalo smorza
l'ultima nota. Stridula
l'aria di vetro mette i brividi
e i violini concordi
striano il silenzio, muovono vertigini
e nevicano nel vuoto bianchi fiocchi di neve.
Abbassate le palpebre, la neve
splende nel buio, compone dune sui morti,
volteggia bianca nelle, protette pupille.
Abbassate le palpebre, nasce il turbine.

Ike vattene, il carbone sporca i muri.
Ike vattene, il carbone sporca i muri.
Ike vattene, il carbone sporca i muri.

Sporca i muri il carbone, ma tu resta.
Sul Danubio che scorre tra lacere bandiere
come una fogna rossa di sangue e amore;
sul Danubio che scorre tra lunghi fili spinati
dove grappoli umani pendono, raggi spenti
appesi al loro grido di furore,
sul Danubio che scorre tra il fumo e le macerie
sotto i ponti protetti da lunghe bocche di fuoco -
e la città è una trappola in rovina
dove i corpi si torcono vivi nella fiamma;
sul Danubio che scorre fra rive dì neve sporca
lento scorre fra rive senza verde
dove anche l'erba non vuole più fiorire;
abbiamo visto tutti gli stendardi d'amore
stridere capovolti nel fango, ad uno ad uno.

E tutti abbiamo visto sul lento nero fiume
dileguare le nebbie mattutine
splendere ancora guglie, ruderi, fuochi
per le aurore spettrali,
e nel silenzio tutti i teschi fioriti
cantare sull'acqua tra le perdute rive
per coprire con nenie di furore
il superstite, grido tra le sbarre,
lo sparo secco, il tonfo. E la lunga colonna
la lugubre colonna volta all'est,
dove il sole da tempo
non varca più la sua tomba notturna.


Sporca i muri il carbone ma tu resta
fin che indifeso il girasole volge
alla sua morte l'occhio cieco e non vede
che il Danubio si porta sotto i ponti
coi cadaveri lunghi turbini bianchi di fiori
e rame con le dita dei bambini
strappati al sacro
albero fulminato. E tra le rive, nel sonno
strangolato si spegne anche l'estremo grido
l'ultima libertà di vivere o morire
non come l'erba maligna, la mosca grassa, il verme
o come l'acqua che lava
la pietra bianca, le mani, il teschio calcinato,
ma come muore l'uomo,
l'occhio fermo alla rosa del suo sangue.


Gli strumenti delirano discordi
come farfalle nella fredda luce
da cui tremando prende forma, esita
il flauto nel suo triste, caldo fiato d'amore.

Nel Campo Profughi c'è ttn morettino bello
un bimbo di colore senza pane,
un riccioluto morettino bello.
Gli tremano negli occhi le foreste
i corsi d'acqita aperti sttll'aurora
la fuga dell'antilope, lo strido
del pappagallo sui rami colorati.
E nell'ombra, sul muro, si prolunga
dai suoi capelli u groviglio d'acri fiori,
dove improvviso rompe un delicato profilo.
Forse il piccolo Nemecsek? Delira
ancora in sonno,
raccolto nella sua triste bandiera.


E tu flauto suona basso,
insisti sulla voce più straziata,
rallenta flauto quella voce nera
fin che la copra il rullo del tamburi.

Pendono dalle forche gli impiccati,
sbattono al vento che sibila
fra cartelli ove è scritta
la sordida impostura.
I cartelli si mutano, scribani
soddisfatti e testardi inventano nuove parole
con bizantina astuzia.
Non muta il tempo dei lupi,
non i flagelli e la corona di spine.


Ma se, Pilato scriveva con paziente ironia
la causa della condanna e si lavava le mani,
per l'animale perfetto, ieri e oggi,
è tutto tempo sprecato, un lusso inutile.
Le torture e la morte erano scritte ,
nel nostro sangue infetto,
dentro il nostro pensiero.
E per questo ridendo ci schiacciava
le sigarette accese dentro gli occhi,
ci incolonnava iinpotenti verso le camere a gas.


Ora quell'acre fumo
non s'è dissolto, piega verso oriente,
avvolge altre fanfare, tronchi nudi,
cartelli scritti in serie col carbone.
E steriminata si perde
la colonna nel bianco della neve.
Quell'acre fumo piega ad occidente
lento avvolge anche l'ultima bandiera
che stride sul pennone al nero vento.


Per una fronte pura
non c'è più stella o nuvola;
per l'occhio dritto, come una lama
non c'è più vento che beva lo sguardo;
per le mani affilate dalla pietà,
non c'è Più olio, né pane, né vino.
L'erba cresce sui morti, ma l'astro solitario
della notte che viene
l'incenerisce col suo cupo fulgore.


Allegro, vivace, allegro con moto,
la musica riprende il suo colore.
Che musica divina! Oh,
cara, il rumore copre i nostri baci.
Qui è come se mangiassimo, fumassimo
in pace, negli alberghi, con le amiche
maliziose e pettegole, acute lingue....
(Ma che fa
quel pittorello nell'angolo
dal volto spirituale e disperato,
quel seccatore dal cappotto sbíadito
che muove la matita con disprezzo e con ira.
Scaccialo, cameriere,
scaccia quel vagabondo. E tu
direttore d'orchestra, metti più brio!)

Scricchiolano le scarpette lucide, con ira.
La bacchetta si muove negli specchi,
moltiplica gli specchi e la magia,
evoca dentro fiamme bianche e spettrali.
Il tuo sogno lo rubano i predoni
e i lamenti del sangue sulle rive.
Ma non chiudere il cerchio con la mano,
lascia sospesa nell'aria
questa piaga di fuoco, questa aperta frontiere.
Continua il concerto grosso, non ha tregua
e non lo puoi fermare.
Scorre nelle tue mani e per le strade
crudele fiume d'uomini e strumenti,
disperata figura huius mundi.

(1951-1956)