Elegia di capodanno

 

a un artista del mio tempo

 

1

 

È sacra la natura e le sue forme

si sfanno e ricompongono

sulla spiaggia del mare

come negli iridati prismi delle spume.

Il tempo, ombra sensibile, mano

che trascorre nel vento e nella risacca

leviga aeree sculture

e Moore coi suoi volumi, i vuoti e i pieni

ove il sesso si bacia con la morte

è un dilettante di genio.

 

Troppo breve è la vita

per imitare il mondo e l'infinito

gioco del caso. La natura

informale ha il sigillo

dell'eterna creazione

che faticosa si esplica nel tempo

e in ogni sasso o radice

divelta si dirama

il sangue azzurro che nutre

le strutture segrete della vita.

 

E bella e sacra è la natura

da cui trae forma e musica e silenzio

anche la vaga, l'ossessiva notte

ove il pensiero si perde come in sogno,

sogno esso stesso

ai suoi cari fantasmi.

 

L'alto fusto dell'albero che penetra

nella corona viva delle foglie,

la corteccia rugosa, acquamarina,

il bosco che scatena le sue furie,

gli occhi rossi ed azzurri del fagiano,

il fango che nel sole si dissecca

e fiorisce di crepe come una rosa in amore

sono gli eventi, i simboli,

e più l'uomo li adora

più si ritrae sgomento,

rinuncia a pronunciare la parola.

 

 

2.

 

Ma se l'uomo non parla

tremendamente muta è la natura.

Se pur stormisce nel vento

il bosco sacro in tutte le sue foglie

il suo gelido soffio è di paura;

e morte è il vuoto

con cui si intreccia il canestro,

l'edera sempreverde

che si avviluppa al tronco,

l'intarsio che combacia,

il capriccioso gioco che seduce

le forme e le minaccia

instabile, terribile

col lampo del vulcano e le sue piene.

E sulle acque morte,

nei rilucenti gorghi

non più galleggia il fragile ricamo

della conchiglia fatta azzurra di spume

in cui si disvelò pudico Amore

ma trascinati vanno alla deriva

ombre d'uomini, il buio dei millenni.

 

La pietra levigata,

la mandorla lucente

che stupefatta s'apre alla tua mano

s'è mutata d'un tratto

in un ambiguo amuleto

dalle alterne maree sospinto a riva.

La materia che adori è astratta forma,

non natura né spirito,

ma il gioco astuto del caso,

l'arbitrio sigillato

in un simbolo sacro

cui presti consonanze misteriose.

 

Ma la natura è là, muta e selvaggia,

con la sua testa di pietra,

le sue corna di bufalo,

le sue trasmutazioni. E tutto è cenere.

E là dove tu scorgi

l'incorrotta bellezza,

guardando oltre il visibile

sento i segni del tempo e della morte.

 

 

3.

 

Forse per questo, mosso da inconscia paura

rivaleggiando col tempo

l'uomo alza dighe e case contro il vento,

modella spazi e si oppone

alla tremenda forza distruttrice.

 

Ma la paura, se diviene amore,

si fa più vulnerabile,

apre l'eterna ferita,

mentre l'intelligenza fredda che è dominio

gli dà il potere oscuro della morte.

 

Così le fonti sacre sono turbate,

rotto è l'idillio impossibile,

la falsa tregua infranta,

e la nuvola nera ci sovrasta.

Simile a un dio demente

l'uomo maldestro muta la natura,

scatena forze selvagge,

crea gli strumenti

del ricatto totale,

del più totale e vile asservimento.

 

Il fuoco sacro che vacilla

e si spegne nel buio delle case

(ognuno ebbe il suo nome e la sua anima),

la lenta riduzione

al robot che passeggia

dentro specchi e miraggi colorati,

questo è l'inferno vivo che ci attende

se non ci salva la virtù del cuore.

 

 

4.

 

0 tu scampato all'ultimo diluvio,

selvaggio che brandisci la tua clava,

guarda quel formicaio sotto i tuoi piedi

e stuzzica il minuscolo vulcano.

Le formicole fuggono impaurite

dall'imprevisto, reagiscono

secondo le leggi immutabili

di un clan razionale e perfetto

che non ammette arbitrio o deviazione.

Quel formicaio è forse ciò che resta

di una remota civiltà sepolta.

 

L'orrida metamorfosi è compiuta.

L'uomo libero e folle

ribelle che si è eletto creatore

si è finalmente mutato

in un insetto docile e perfetto.

 

Quei piccoli grumi di terra

sono i resti di enormi grattacieli,

quel formicaio non è

che un'antica metropoli

che ha ormai percorso

il lunghissimo ciclo del progresso.

E quella formica impazzita

che sull'orlo del piccolo cratere

lentamente muove le mandibole

forse sta pronunciando una parola

dimenticata per sempre.