Da "LETTERA AI
FIGLI"
Le aringhe di Charlot
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- Che cosa dunque volete da noi? Che cosa possiamo
darvi vostra madre e io?
- C'è in un film di Chaplin, definito il suo
"canto del cigno", una sequenza indimenticabile come il famoso
balletto dei panini e che potrebbe intitolarsi il balletto delle
aringhe. Calvero, il vecchio clown dal viso infarinato e dal cuore
tenero, si aggira con il suo buffo passo claudicante attorno al
letto della giovane ballerina che per miracolo ha strappato alla
morte per suicidio.
Egli cerca di spiegarle il
valore della vita e il segreto della felicità. E intanto
tiene in mano per la coda due aringhe affumicate che dovrebbero
servire per la povera cena. Nella foga della sua perorazione, il
vecchio clown sbatacchia le aringhe a destra e sinistra, come i
capponi di Renzo. La felicità, dice il vecchio clown, sta
qui, nella testa, il vero giocattolo è quello della
fantasia, il giocattolo della mente. E così dicendo si
sbatte le aringhe puzzolenti sotto il naso. Le aringhe di Charlot.
Il giocattolo della fantasia. Ecco quello che possiamo darvi,
vostra madre e io. Poco e moltissimo. Un inno alla vita,
all'amore, alla speranza, con molta allegria e un pizzico
d'ironia. Perché la vita è anche questo. Le aringhe
di Charlot. Una tempesta di emozioni e di lacrime. Anche lacrime
di gioia.
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- La coscienza del dolore è sconvolgente. E
io temo che la prima fonte dell'ateismo contemporaneo (a
cominciare dalla grande defezione dei poveri nel secolo scorso)
non sia tanto di carattere teorico quanto piuttosto di carattere
pratico, umano, sociale, esistenziale. L' uomo si rifiuta di
credere in un Dio buono quando il mondo si presenta sotto i segni
di un male insanabile. Un tempo bastava che l'uomo si mettesse in
pace con la propria coscienza per sentirsi in pace con Dio. Il suo
orizzonte era limitato alla sua casa e alla sua borgata. Oggi i
mezzi di comunicazione hanno allargato tale orizzonte a dimensioni
planetarie e dobbiamo fare uno sforzo egoistico per chiudere gli
occhi davanti al male del mondo. Non possiamo tagliare impunemente
la nostra bistecca mentre la televisione ci mette sotto gli occhi
gli orrori di stragi, guerre, rivolte, della matta
bestialità umana. Certo è all'uomo, non a Dio, che
si deve imputare il male nella storia, all'uomo e alle sue
più abiette passioni, che trasformano in odio la sua stessa
capacità di amore. Ma in questo gioco terribile delle
responsabilità umane, l'immagine stessa di Dio sembra
risultare compromessa. Così, anche a livello di massa, si
è fatta strada l'idea che Dio sia morto, o comunque sia
assente da una società dissacrata e abbandonata a se
stessa. Naturalmente non mancano i credenti sinceri. Ma molti lo
sono ormai per tradizione o pigrizia. Agiscono
«come se» Dio esistesse, ma senza
verificare la propria fede. Un equivoco che si fonda su una
pericolosa menzogna, perché, una volta imboccata la strada
dei «se», è forse più
facile che l'uomo opti per l'altra alternativa, quella intravista
da Dostoevskij: «Se Dio non esiste, tutto
è permesso», tutto è possibile. Anche
Raskolnikov, anche Kirillov e i suoi demoni. Perché mai vi
dico questo? Per sottolineare che la mia visione religiosa del
mondo è strettamente legata alle sorti dell'uomo, è
un «umanesimo religioso» e non
è poi così pacifica come potrebbe sembrare, ma
è anzi fortemente drammatica, perché si confronta di
continuo con la storia, dove Cristo non cessa di essere ogni
giorno in agonia. Nel povero, nell'umiliato e offeso, nel
martoriato, nel disperato. C 'è un mistero del male e del
dolore cui nessuna filosofia laica è riuscita a dare una
risposta persuasiva e che la politica atea moderna ha soltanto
reso più fitto e più grave. Così c'è
anche una fede che scaturisce dalla disperazione della storia,
perché è l'unica che ci possa salvare dalla
disperazione totale.