Da "LETTERA AI FIGLI"

    Le aringhe di Charlot

    pagg. 37-38 / 54-56

Che cosa dunque volete da noi? Che cosa possiamo darvi vostra madre e io? C'è in un film di Chaplin, definito il suo "canto del cigno", una sequenza indimenticabile come il famoso balletto dei panini e che potrebbe intitolarsi il balletto delle aringhe. Calvero, il vecchio clown dal viso infarinato e dal cuore tenero, si aggira con il suo buffo passo claudicante attorno al letto della giovane ballerina che per miracolo ha strappato alla morte per suicidio.Egli cerca di spiegarle il valore della vita e il segreto della felicità. E intanto tiene in mano per la coda due aringhe affumicate che dovrebbero servire per la povera cena.
Nella foga della sua perorazione, il vecchio clown sbatacchia le aringhe a destra e sinistra, come i capponi di Renzo. La felicità, dice il vecchio clown, sta qui, nella testa, il vero giocattolo è quello della fantasia, il giocattolo della mente. E così dicendo si sbatte le aringhe puzzolenti sotto il naso. Le aringhe di Charlot. Il giocattolo della fantasia. Ecco quello che possiamo darvi, vostra madre e io. Poco e moltissimo. Un inno alla vita, all'amore, alla speranza, con molta allegria e un pizzico d'ironia. Perché la vita è anche questo. Le aringhe di Charlot. Una tempesta di emozioni e di lacrime. Anche lacrime di gioia.


La coscienza del dolore è sconvolgente. E io temo che la prima fonte dell'ateismo contemporaneo (a cominciare dalla grande defezione dei poveri nel secolo scorso) non sia tanto di carattere teorico quanto piuttosto di carattere pratico, umano, sociale, esistenziale. L' uomo si rifiuta di credere in un Dio buono quando il mondo si presenta sotto i segni di un male insanabile.
Certo è all'uomo, non a Dio, che si deve imputare il male nella storia, all'uomo e alle sue più abiette passioni, che trasformano in odio la sua stessa capacità di amoreMa in questo gioco terribile delle responsabilità umane, l'immagine stessa di Dio sembra risultare compromessa. Così, anche a livello di massa, si è fatta strada l'idea che Dio sia morto, o comunque sia assente da una società dissacrata e abbandonata a se stessa. Naturalmente non mancano i credenti sinceri. Ma molti lo sono ormai per tradizione o pigrizia. Agiscono «come se» Dio esistesse, ma senza verificare la propria fede. Un equivoco che si fonda su una pericolosa menzogna, perché, una volta imboccata la strada dei «se», è forse più facile che l'uomo opti per l'altra alternativa, quella intravista da Dostoevskij: «Se Dio non esiste, tutto è permesso», tutto è possibile. Anche Raskolnikov, anche Kirillov e i suoi demoni.
Perché mai vi dico questo? Per sottolineare che la mia visione religiosa del mondo è strettamente legata alle sorti dell'uomo, è un «umanesimo religioso» e non è poi così pacifica come potrebbe sembrare, ma è anzi fortemente drammatica, perché si confronta di continuo con la storia, dove Cristo non cessa di essere ogni giorno in agonia. Nel povero, nell'umiliato e offeso, nel martoriato, nel disperato. C 'è un mistero del male e del dolore cui nessuna filosofia laica è riuscita a dare una risposta persuasiva e che la politica atea moderna ha soltanto reso più fitto e più grave. Così c'è anche una fede che scaturisce dalla disperazione della storia, perché è l'unica che ci possa salvare dalla disperazione totale.