Click sull'immagine per ingrandirla

WEEKEN IN TERRA STRANIERA

« Questo volumetto dimostra non solo la notevole statura poetica di Cristini ma, cosa ancora più rara, la sua notevole statura di poeta religioso. Sempre religiosa, infatti, è la spinta di Cristini ad esprimersi; religiosa l'ansia, l'angoscia che lo porta a constatare la disarmonia che è subentrata all'armonia della Creazione: una disarmonia di cui l'uomo è insieme responsabile e vittima e che lo fa sentire sempre più spaesato in un mondo di cui si approssima la fine... Fattore di unità e coerenza è anche lo stile di Cristini, uno stile sicuro per un linguaggio sempre intensamente poetico, sia nella ricchezza e naturalezza delle immagini... ma anche per l'efficacia del discorso diretto e della meditazione elegiaca o gnomica. »

Margherita Guidacci (Osservatore Romano » 13.12.86)

 

« Cristini è, in Italia, tra i pochissimi figli - ma quanto diversi! - di Clemente Rebora: un poeta per cui l'esperienza religiosa è fondamentale. Urti al petto forti come i suoi, in campo lirico, li ho avuti solo in questi anni italiani, da poesie di D.M. Turoldo (ma non tra le più recenti) o nell'Ordinotte di Enzo Fabiani. Eppure, tra Rebora, Turoldo, Fabiani, Cristini, si spalancano abissi. Cristini, anche se ha in proprio un fortissimo senso dell'esilio, del Dio che tace e si nasconde, fino a vertici d' desolazione quasi disperata, si distingue però per una dolcezza che direi leopardiana, castissima, nel toccare anche questo tasto, come tutti gli altri. E il suo Getsemani non ha ghigni barocchi né chiaroscuri alla Rembrandt né grida da camera di tortura. È signorilmente straziato, stoicamente, anzi cristianamente patiens; e non si chiude mai a un'instancabile sollecitazione alla speranza, a un'irresistibile seduzione della gioia. Più che di Getsemani, per lui, parlerei di una francescana Verna.»

 

Italo Alighiero Chiusano (Il nostro tempo », 17.5.87)

 

« Queste liriche si possono collocare nel grande filone della poesia moderna che da due secoli denuncia l'estraneità e l'inadattabilità dell'uomo "umanistico" al mondo da lui stesso costruito con lo sviluppo di una scienza sentita come onnipotenza alienante. È in buona grande compagnia dunque... Ciò che Cristini porta di proprio è l'estrema delicatezza dei toni, l'acuta sensibilità con cui sa cogliere terrori profondi dell' uomo d'oggi nella frequentazione del quotidiano e del frammentario. E la stessa sensibilità che sa cogliere all'interno delle piccole cose, delle apparentemente limitate esperienze, un'ultima parola non ancora, forse, compromessa con la distruzione. Le "cartoline" del paesaggio, i cari e noti intrecci affettivi si rivelano di insondabile profondità, la quale sola è veicolo di risposte non formulate, ma possibili per la ricerca dell'uomo. Consolante poesia, quindi, questa, perché ama la vita, senza essere consolatoria perché ne legge l'insopprimibile lutto, schiva e insieme aperta, inerme eppure frutto di attenta elaborazione formale. »

Renata Lollo ( Il Ragguaglio Librario » nov. 1986)

 

« In confronto a tanta poesia contemporanea, che è puro gioco (quando lo è), finzione fondata sul nulla, pura mimesi di un vuoto senza fondo, la raccolta di Cristini propone versi che riecheggiano un'accorata sofferenza, una "innocente" aspirazione ad una condizione umana non degradata.

La linearità del linguaggio, immune da cadute, riveste una consapevolezza esistenziale che non teme di affrontare con sicurezza la realtà... La speranza si fonda, per Cristini, su una istanza profondamente etica, quella stessa oggi così trascurata, così temuta si direbbe, ma l'unica vera. »

Mario Miccinesi (« Uomini e libri » nov./dic. 1986)