Weekend in terra straniera


Noi qui venuti all'ombra di questa pergola
che dolcemente si sveglia al soffio dell'aprile
che s'inquieta di foglie, frastaglia
d'ombre la bianca tovaglia
(e già pendono i grappoli del glicine
fioriti e stenti, uccelli nel carniere)
non siamo qui venuti per scordare.
Questa non è la nostra vera casa,
è soltanto una fumida locanda.

La grande lanterna di ferro battuto
che sporge dall'architrave
e cigola mossa dal vento
ha i vetri rotti, le foglie
impolverate, brunite dal tempo.
Sparge un lume notturno e sulla porta
sta quasi pipistrello disseccato.

Qui, dicono, la notte non è bella
se la civetta grida non sai dove
o se il tuono improvviso
rompe dalla collina
e la grandine fitta
strepitando rimbalza sulle tegole.
Qui chi si ama si cerca in silenzio
e l'amore è paura, solitudine.

Neppure il giorno è bello qui se di cristallo
splendono gli alberi intorno
tutti bianchi di neve
(ombre di passi invisibili
segnano a tratti il cammino)
o se nel folto dei boschi
incenerisce l'aria la cicala
stridula, e in un barbaglio luminoso
brucian le stoppie verso la collina
e la spiga cornuta ondeggia al vento.
Qui un sole pigro cammina a ritroso
e tra gli alberi scricchiola il silenzio.

Ma non siamo di qui. La sosta è breve
e come sempre è sera di vigilia.
Silenziosa qui giunge una
folla esule, strana, di morti.
Parcheggiano le macchine tra i pioppi,
aggiustano i capelli sulla fronte
dei bambini, con gesti consueti,
siedono e guardano intorno smarriti.
Nessuno più attende il miracolo.
Siamo soltanto in fuga.
Il pane è come un teschio levigato
sulla tovaglia maculata, il vino
ha il sapore del sangue, si raggruma
sul fondo del bicchiere.

Ma dove siamo, dove siamo qui? La nebbia,
una insolita nebbia in questo aprile
d'incertezze, di fughe e desideri
avvolge d'improvviso la locanda,
il pergolato, il pipistrello che sbatte
le ali immobili contro l'architrave,
fascia i lumi che splendono
come globi lontani.
Un forestiero è fermo sulla panca
curvo, dimesso, le mani
tra le ginocchia.
E a un tratto ingigantisce
nella corona di spine che gli punge gli occhi
e fora mani e piedi in un viluppo
d'inestricabili nodi.
Poi scompare.

Ma dove siamo, dove siamo qui?
Nella nebbia si odono voci, grida, richiami,
ma la risposta è il silenzio,
la grande ombra che sempre cammina
sulla neve d'aprile, nella luce spettrale
che filtra da mondi lontani
e abbacina gli occhi, muove la mano
a frapporre uno schermo,
torce il cuore in un gemito

Forse un globo di fuoco, un altro mondo
ha mutato la rotta e l'urto è prossimo.
0 forse è il grande annuncio
il tuono ammonitore, l'onda nera
della marea di cenere che zampilla dal mare.
E già l'uomo vacilla, cerca scampo
nell'antica caverna
del suo grembo natale.

La nebbia già dirada, ombre si cercano
tra vaghe forme d'alberi che camminano
in questa terra straniera.

La locanda
è scomparsa, inghiottita dalle tenebre.
E non c'è fuoco, amico, non c'è fuoc
che avvampi nella notte.