EMIL M.CIORAN

Timido, sprovvisto di dinamismo, il bene è inadatto a diffondersi; il male, ben altrimenti intraprendente, vuole trasmettersi, e vi riesce perché possiede il duplice privilegio d'essere fascinatore e contagioso. Perciò, facilmente si vede estendersi, uscire da sé, un dio cattivo piuttosto che un dio buono.
Questa incapacità di rimanere in se stesso, della quale il creatore doveva fare una tanto incresciosa dimostrazione, noi tutti l'abbiamo ereditata: generare è continuare in modo diverso e su scala diversa l'impresa che porta il suo nome, è, per deplorevole imitazione scimmiesca, aggiungere qualcosa alla sua «creazione». Senza l'impulso dato da lui, la voglia di prolungare la catena degli esseri non esisterebbe, e nemmeno la necessità di consentire alle mene della carne. Ogni procreazione è sospetta: gli angeli, per buona sorte, non ne sono suscettibili, dato che il propagarsi della vita è riservato ai decaduti. La lebbra è avida e impaziente, le piace espandersi. È importante scoraggiare la generazione, infatti il timore di vedere estinguersi l'umanità non ha nessun fondamento: qualunque cosa accada, ci saranno dovunque degli scimuniti che chiederanno solo di perpetuarsi e se perfino loro finissero col sottrarvici, si troverà sempre qualche coppia nauseabonda che sì presta a farlo.
Non si tratta tanto di combattere l'appetito di vivere, quanto il gusto della «discendenza». I genitori sono dei provocatori, o dei pazzi. Che l'ultimo dei malnati abbia facoltà di dare vita, di «mettere al mondo» - può esserci qualcosa di più demoralizzante? Come considerare senza spavento, o repulsione, questo prodigio che del primo venuto fa, all'occasione, un demiurgo? Quello che dovrebbe essere un dono eccezionale come il genio è stato conferito a tutti, indistintamente: liberalità di pessima lega, che squalifica la natura per sempre.
È impossibile che la criminosa ingiunzione della Genesi: «Crescete e moltiplicatevi» sia uscita dalla bocca del dio buono. Siate scarsi, avrebbe se mai consigliato, se avesse avuto voce in capitolo. Ed egualmente impossibile è che abbia aggiunto le funeste parole: «E popolate la terra». Bisognerebbe cancellarle con la massima urgenza, per lavare la Bibbia dall'onta di averle accolte.
Come una cancrena, la carne si estende sempre più sulla superficie del globo,. Non sa imporsi dei limiti, continua a imperversare nonostante i disinganni, prende per conquiste le proprie disfatte, niente ha imparato, mai. Appartiene innanzitutto al regno del creatore, e proprio in essa questi ha proiettato i suoi istinti malevoli. Dovrebbe, in via normale, costernare non tanto chi la contempla quanto quelli stessi che la perpetuano assicurandone l'espansione. Ma così non è loro non sanno di quale aberrazione siano complici. Un giorno le donne incinte saranno lapidate, proscritto l'istinto materno, e acclamata la sterilità. A buon diritto, in quelle sette in cui la fecondità era fonte di diffidenza, i bogomili e i catari per esempio, veniva condannato il matrimonio, istituzione abominevole che tutte le società da sempre proteggono, per la disperazione di coloro che non cedono alla vertigine comune. Procreare significa amare il flagello, volerlo conservare e favorire. Avevano ragione quegli antichi filosofi che assimilavano il Fuoco al principio dell'universo, e del desiderio. Il desiderio, infatti brucia, divora, annienta: agente e distruttore degli esseri, è oscuro, è infernale per eccellenza.
Questo mondo non fu creato nella gioia. Eppure, si procrea nel piacere. Può darsi. Ma il piacere non è la gioia, ne è solo il simulacro: la sua funzione consiste nel dare il cambio, nel farci dimenticare che la creazione reca in sé, fino nei minimi particolari, il segno della tristezza iniziale da cui è scaturita. Per necessità ingannevole, è il piacere che ci permette di eseguire una certa prestazione che in teoria disapproviamo. Senza la sua collaborazione la continenza, guadagnando terreno, sedurrebbe perfino i topi. Ma proprio nella voluttà comprendiamo quanto illusorio sia il piacere. Per suo tramite il piacere raggiunge l'acme, il massimo di intensità; ed ecco che proprio nel momento del suo maggior successo, subitamente si apre alla irrealtà, e si accascia nel suo stesso niente. La voluttà è il disastro del piacere.
Non è possibile consentire a che un dio, e neanche un uomo, proceda da una ginnastica coronata da un grugnito. È strano che alla fine d'un periodo di tempo così lungo, l'«evoluzione» non sia riuscita a mettere a punto un'altra formula. Del resto, perché avrebbe dovuto darsi da fare, se quella in corso funziona pienamente e conviene a tutti? Intendiamoci: la vita di per sé non è in causa; è misteriosa e spossante quanto basta, mentre non lo è l'esercizio in questione, di una facilità inammissibile, considerate le sue conseguenze. Quando, si sa ciò che dispensi a ciascuno di noi il destino, si resta sconcertati di fronte alla sproporzione fra un momento d'oblio e la somma portentosa di disgrazie che ne risultano. Più si fruga in questo soggetto, più si scopre che i soli ad aver capito qualcosa sono coloro che hanno optato per l'orgia o per l'ascesi, i debosciati o i castrati.
Dato che il procreare suppone un traviamento senza fine, è certo che se diventassimo sensati, indifferenti cioè alle sorti della specie, ne conserveremmo soltanto alcuni esemplari, come si tutela qualche campione di una specie animale in via di estinzione. Sia sbarrata la strada alla carne, si tenti di paralizzare la sua temibile spinta. Stiamo assistendo a una vera e propria epidemia di vita, a un brulicare di visi. Dove e come potremo restare ancora faccia a faccia con Dio?
Nessuno è soggetto, in continuazione all'assillo dell'orrore; ci capita di allontanarcene, di scordarlo quasi, soprattutto quando ci troviamo a contemplare qualche paesaggio da cui siano assenti i nostri simili. Non appena vi compaiono, l'assillo torna a insinuarsi nell'animo. E se si avesse una certa tendenza ad assolvere il creatore, a considerare questo mondo come accettabile e anzi soddisfacente, bisognerebbe sempre fare le proprie riserve sull'uomo, il punto nero della creazione.

da il demiurgo cattivo