EMIL M.CIORAN

CERTE MATTINE


Rimpianto di non essere Atlante, di non poter scuotere le spalle per assistere al crollo di questa ridicola materia... La rabbia segue il cammino inverso della cosmogonia. Per quali misteri certe mattine ci svegliamo con la smania di demolire ogni cosa, viva o inerte che sia? Quando il diavolo annega nelle nostre vene, quando le nostre idee sono convulse e i nostri desideri fendono la luce, gli elementi si incendiano e bruciano, mentre la loro cenere ci scorre fra le dita.

Quali incubi abbiamo alimentato durante la notte, per alzarci nemici del sole? Dobbiamo liquidarci da soli per farla finita con tutto? Quale complicità, quali legami protraggono la nostra intimità con il tempo? La vita sarebbe intollerabile senza le forze che la negano. Se disponessimo di una via di scampo, dell'idea di una fuga, ci sarebbe facile sopprimerci e, al colmo del delirio, espettorare questo universo.

... 0 altrimenti pregare e aspettare altre mattine.

 

(Lo scrivere sarebbe un atto insulso e superfluo se si potesse piangere a piacimento, e imitare i bambini e le donne in preda alla rabbia... Nella pasta di cui siamo fatti, nella sua più profonda impurità, è insito un principio di amarezza che soltanto le lacrime leniscono. Se ogni volta che i dispiaceri ci assalgono avessimo la possibilità di liberarcene con il pianto, le malattie vaghe e la poesia scomparirebbero. Ma una reticenza innata, aggravata dall'educazione, o un funzionamento difettoso delle ghiandole lacrimali ci condannano al martirio degli occhi asciutti. E poi, le urla, le tempeste di imprecazioni l'automacerazione e le unghie piantate nella carne: con la consolazione di uno spettacolo di sangue, non figurano più tra i nostri procedimenti terapeutici. Ne consegue che siamo tutti malati, che a ciascuno di noi occorrerebbe un Sahara per urlarvi a volontà, o le rive di un mare elegiaco e impetuoso per mescolare ai suoi lamenti sfrenati i nostri più sfrenati ancora. I parossismi esigono la cornice di un sublime caricaturale, di un infinito apoplettico, la visione di un'impiccagione in cui fosse il firmamento a fungere da patibolo per le nostre carcasse e per gli elementi).

da Sommario di decomposizione