Il Romanzo, una chiave di lettura del XX secolo.
"Sotto forme quasi infinite" scrive Roland Barthes "il racconto è presente in tutti i tempi, in tutti i luoghi, in tutte le società: il racconto comincia con la storia stessa dell’umanità". In effetti, il piacere di narrare, quell’attitudine che il tedesco indica con l’espressione Lust Zu Fabulieren, sembra essere un tratto caratteristico e distintivo dell’umanità in quanto tale, come dimostra il fatto che narrazioni, orali e scritte, in versi o in prosa, sono attestate presso le più antiche civiltà, nel mondo assiro-babilonese come in quello egizio e arabo.
Mi propongo, in questa trattazione, di individuare come il Romanzo del Novecento non sia solo mimesi del mondo moderno, bensì strumento conoscitivo privilegiato. Scrittori quali Joyce, Proust, Svevo, Pirandello e altri hanno chiesto alla narrativa quella conoscenza del mondo che proprio l’enorme sviluppo delle scienze non permetteva di affidare a queste ultime, perché esse, con la loro estrema specializzazione, avevano frantumato ogni senso dell’unità del mondo stesso.
Solo un romanzo che assumesse su di se quelle problematiche scientifiche, mostrando come gli uomini vivano quel mondo disgregato, poteva e può cogliere il senso della realtà e della sua dissoluzione, mimata ma anche colta a fondo e dominata nelle stesse forme sperimentali del narrare, nella disgregazione e ricreazione delle strutture narrative.