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Ricordo ancora oggi, più di cinquant'anni
dopo, i particolari di quelle vicende che crearono non pochi
problemi nella scuola "Pacinotti" a Roma, dove quell'anno
frequentavo la classe 3-C.
Tutto cominciò durante l'ora di francese. Dopo il ritorno
del Professore, che era stato chiamato dal Preside, ci fu comunicato
e fatto scrivere sul diario, tutti poi firmati dal Professore,
che per cinque giorni la scuola doveva chiudere per lavori urgenti,
non specificandone la natura. Questo significava, dato che era
lunedì, una bella settimana di vacanze, senza compiti
da fare, sembrava una favola, invece era vero. Ma
.
I primi problemi arrivarono non appena portammo a casa la notizia.
I miei genitori, come tutti gli altri, credo, cominciarono a
fare il terzo grado, pensando ognuno per il proprio figlio, chissà
che cosa avesse commesso per sospenderlo cinque giorni da scuola.
Se chiudo gli occhi rivedo ancora il volto di mia madre, con
l'espressione dolce, che mi pregava di dire la verità,
che voleva solo capire, per potermi aiutare, non punire.
Non so per gli altri, per me era molto penoso vedere il dolore
che mia madre provava in quel momento, pensando solo ad aiutarmi.
Il risultato fu che martedì mattina verso le otto, di
fronte alla scuola ci fu uno spettacolo sicuramente unico: presenti
e accompagnati, chi dal padre, chi dalla madre, studenti delle
prime classi, come delle seconde e terze, sia quelle del turno
di mattina, che quelle del pomeriggio. Quello che impedì
che il tutto fosse visto come una comica, fu la presenza della
polizia, che circondava tutta la scuola, e vietava l'ingresso
a chiunque.
Non voglio dilungarmi su tutte le situazioni che vivemmo, prima
che ci fossero spiegati i fatti, che sono questi: "Da diversi
giorni il Preside riceveva lettere, con la minaccia di far saltare
in aria la scuola, durante le lezioni, se non avesse pagato una
grossa cifra. Il Preside sulle prime non gli diede importanza,
pensando ad uno studente burlone. Nelle ultime due lettere, rendendosi
conto del tono diverso e molto minaccioso, ebbe paura e denunciò
il fatto in questura. Fu in quel momento che scattò il
meccanismo che portò a far chiudere la scuola.
La drastica decisione fu presa perché, analizzando le
lettere spedite al Preside, riscontrarono che la firma "ORLAC&"
e la loro struttura, si potevano certamente collegare ad un fatto
analogo, avvenuto a Firenze, dove purtroppo le minacce terminarono
con l'esplosione di una bomba nella palestra di una scuola, che
provocò la morte del Professore di ginnastica e di due
studenti, e il ferimento di altri sette, di cui uno perse la
gamba, e la scuola rimase chiusa per tutto un trimestre, per
renderla di nuovo agibile.
Erano ormai trascorsi tre anni, e del fantomatico "ORLAC&"
non si era saputo più nulla, fino ad oggi, con queste
nuove minacce. Questo spiega la rapidità della decisione,
presa dalla Questura, di chiudere la scuola.
Nei giorni successivi, malgrado tutte le ispezioni effettuate
nella scuola, da specialisti, non si trovò nulla che potesse
dare l'idea di una bomba. Malgrado questo, la scuola rimase chiusa
e non ci comunicavano quando l'avrebbero riaperta. Nel
frattempo si era verificato una cosa strana, Carlo Rulli, un
compagno di classe, da tutta la scuola soprannominato "L'Investigatore
Solitario", per la mania di fare le sue indagini personali,
sui fatti di cronaca letti o visti in televisione, facendo poi
partecipe dei risultati raggiunti, la sua unica amica Anna, la
quale si preoccupava di informare anche noi. Dunque Carlo, sempre
tramite l'amica Anna, fece sapere alla Polizia di aver trovato
sopra la cassetta della posta di casa sua, che si trova proprio
di fronte alla scuola, una scatola di cartone che conteneva una
decina di pupazzi, tutti rotti, e un foglio di carta su cui era
scritto in rosso: "La mia pazienza ha un limite", seguito
dalla solita firma "ORLAC&". |
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Fu subito prelevato da casa sua con la
scatola trovata e, per due giorni, venne continuamente interrogato.
Per la polizia c'era qualcosa di strano, il comportamento era
diverso, non era più in linea con le conoscenze che loro
avevano di "ORLAC&".
Non finì ancora con le sorprese. Come smisero di interrogare
Carlo Rulli, il quale non modificò di una virgola, quello
che aveva raccontato all'amica Anna, un certo Aldo della 3-E,
trova legata al sellino della sua bicicletta, una busta contenente
una lettera, le cui prime due righe lo invitavano a consegnarla
con la massima sollecitudine alla Polizia.
Nella lettera, si avvertiva la polizia che ormai potevano far
riaprire la scuola, perché lui dopo aver individuato "ORLAC&",
e aver sostenuto uno scontro violento su un barcone, che lui
da qualche tempo usava come rifugio, lo aveva eliminato e gettato
insieme alla bomba disinnescata, nel fiume. Nessun accenno sul
luogo dove si trovava il barcone.
Il tutto scritto con inchiostro rosso, seguito da una colomba
disegnata a mano, all'interno della quale, era stata messa la
firma: "ANCAR6".
Per Aldo, come con Carlo, l'interrogatorio della
polizia durò due giorni, non gli tirarono fuori nulla
di più di quello che aveva già raccontato, ma poco
prima di rimandarlo via, il maresciallo che l'interrogava tirò
fuori dalla scatola di cartone, che si trovava sulla sua scrivania,
due di quei pupazzetti rotti che aveva trovato Carlo Rulli, sulla
cassetta della posta di casa sua, rigirandoli nelle mani. A quel
punto Aldo chiese come mai avevano sequestrato quei pupazzetti,
ai quali Carlo è tanto affezionato. Senza guardarlo il
maresciallo rispose che non appartenevano a Carlo, lui li aveva
trovati e portati in questura. All'insistenza di Aldo, che continuava
a dire che Carlo ci teneva così tanto, che un giorno litigarono
perché lui si era fatto cadere proprio quello che il maresciallo
teneva in mano. Ebbe un vero sobbalzo e disse: "Vorresti
dire che tu conosci questi pupazzi rotti e che essi appartengono
a Carlo Rulli?". Certo rispose Aldo, fu a causa loro che
Carlo ed io, da circa due anni non ci parliamo. A quel punto
il maresciallo disse al padre di Aldo, che era presente, mentre
gli venivano fatte le domande, di non parlare con nessuno della
cosa, e di portare suo figlio a casa.
Da quel momento gli avvenimenti si susseguirono con un ritmo
infernale.
Messo alle strette, Carlo Rulli confessò di aver letto
su una vecchia rivista, tutta la triste vicenda della scuola
di Firenze, rimanendo scioccato dal fatto che dopo aver fatto
esplodere la bomba, "ORLAC&" fosse ancora libero,
e di lui, non si sapesse più niente. Questo gli aveva
fatto scaturire l'idea di fare, anche se in maniera simbolica,
giustizia di quel criminale.
La scuola finalmente riaprì, e dopo un lungo periodo in
cui si parlò solo del mistero di "ORLAC&"
e "ANCAR6", tutto ritornò a funzionare come
prima.
Dopo che Carlo Rulli fu sottoposto ad una serie
di visite specialistiche, dalle quali venne riscontrato che il
soggetto aveva bisogno di cure, fu mandato in un istituto specializzato,
per il trattamento di cui aveva bisogno.
Seppi molti anni dopo, da Anna, la sua unica amica, la sola rimasta
in contatto con lui, che tre anni dopo Carlo era ritornato a
casa completamente guarito.
Spero di essere riuscito a farvi partecipi dello stato di paura,
e di tensione con cui ho vissuto quei momenti, è certo
che nel rievocarli, mi sembra di riviverli, come allora, con
le stesse, intense, emozioni.
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