Antonio Carla Elena Francesco Filippo Franco Giancarlo Giovanni Grazia e
Giovanni Marcello Massimiliano Patrizia Sergio |
Marcello Fallaci
Gabriele, addio!
"Lasciali! Su andiamo!
metti in moto
voglio arrivare presto alla
partita."
Pensando alla sua Lazio
lui invita
a accendere il motore. poi.
il vuoto.
Alla nuca ahi! quale rovente
chiodo
un colpo penetra e tronca
la vita.
Non stringerà Gabriele
più le dita
intorno a un microfono ben
noto.
O Morte, cruda Morte chi
sei mai?
tu vieni a togliere il respiro
a chi
con la sua voce fa scordare
i guai
a mille e più giovani
in discoteca.
Vieni improvvisa a strappare
così
un'esistenza colpendo alla
cieca. |
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Chi è Marcello
[da Caratteri di
stampa umani]
Chi è Marcello Fallaci?
È il cugino suo malgrado di Oriana. Marcello avrebbe voluto
esserle cugino prossimo, prossimo come vicinanza fisica, ma la
sorte e il diverso impegno sociale e culturale li ha separati.
Un baratro profondo e assai largo teneva l'uno lontano dall'altra,
negli ultimi anni quel baratro è stato scavalcato in poche
tristi occasioni, al funerale di un comune parente.
In quelle occasioni Marcello e Oriana si scambiavano i saluti
e chiedevano reciprocamente: Come va?
La risposta di entrambi era quella che ci si scambia fra persone
civili: cortese ed evasiva.
Ogni Fallaci fa storia a sè e vive la sua vita.
Solo se un componente la Famiglia si sottopone all'altro, a quello
che ha avuto maggior fortuna in questa società, allora
due Fallaci possono vivere insieme.
Marcello non ha voluto sottomettersi a nessuno, neppure al fratello
e ha fatto la sua vita di artigiano del legno prima, del disoccupato
e dell' operaio poi. Ha potuto affrontare le traversie della
vita perché ha avuto la soddisfazione di sapersi poeta.
La prima poesia fu composta a sedici anni, nel 48. E' quella
che ha dato inizio a una traduzione umana e artistica sviluppatasi
in sette raccolte di poesie. |
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Quanto sei fallace,
Oriana!!
Quanto sei
falsa con te stessa! O forse ti si è atrofizzata la memoria?
Tuo padre, lo zio Edoardo,
fu dirigente del Partito d'Azione, mio padre Mario fu il basista
della G.A.P. (Gioventù Armata Partigiana) qui a Firenze.
Nella cantina della sua bottega artigiana in San Frediano erano
nascoste armi e materiale di propaganda per tutto il tempo della
Resistenza.
Mio padre come il tuo sono
stati antifascisti e si sono impegnati in prima persona per liberare
la nostra Firenze e l'Italia. E tu cosa fai oggi nel 2002? Paragoni
alle orde nazi-fasciste che hanno distrutto e vilipeso le strade
italiane, paragoni a quelle orde le centinaia di migliaia di
partecipanti al Social Forum. Ti sei bevuta il cervello, oppure.....
Tu non hai paura che venga
violentata la nostra città, tu hai paura di te stessa,
del tempo che trascorre e che ti sta deturpando il tuo bel volto
di gioventù.
Fa male guardarsi allo specchio
e sapere di appartenere a una famiglia longeva. Quale sarà
il nostro aspetto fra dieci anni? E fra venti? lo ne sto facendo
l'esperienza: ho solo due anni meno di te. Ma io, al contrario
di te, vivo nella realtà del presente, vivo e sono vissuto
in mezzo a quella moltitudine di giovani che vogliono costruirsi
un futuro migliore. lo fino a ieri mi sono mosso nelle manifestazioni,
negli scioperi, nei cortei di una umanità viva che non
invecchierà mai, che invece si rinnoverà di generazione
in generazione.
Di conseguenza la mia generazione
non è la tua. Io vivo nelle strade della nostra Firenze,
tu vivi isolata in una sfera di cristallo, in un grattacielo
di New York da dove spedisci le tue invettive contro i cittadini
del tuo Paese, della tua città con la pretesa di illuminarli
della tua saggezza.
Ti devo confessare che se
la tua saggezza è poca, il tuo nome è tanto, almeno
fra le persone di una certa età. Fra i giovani che io
frequento il tuo nome è meno conosciuto, talvolta ignorato.
Pochi giorni fa comunque mi è capitato un caso sorprendente.
Un giovane che fa il secondo anno di lettere, dopo avermi conosciuto,
ha esclamato rimanendo a bocca aperta: " Davvero? Tu sei
il cugino di Oriana Fallaci? Cugino, cugino?? " A quel cugino,
cugino io mi sono sentito gonfiare il petto, alzarmi di spalle,
crescere... crescere... fino a battere la testa nel soffitto
della stanza. Ci pensi Oriana? lo esistevo, avevo la soddisfazione
di esistere, secondo quel giovane, solo perché ero tuo
cugino. Ci pensi, Oriana? lo, a questa quasi veneranda età,
stavo accanto a lui, chiuso in quella stanza, in mezzo a gente
comune, per discutere la situazione attuale della scuola. lo,
proprio io, il cugino di Oriana Fallaci. Cosa da non credere.
Scommetto che quel giovane studente, una volta arrivato a casa,
ha dato la lieta notizia ai familiari : "Ho conosciuto Il
cugino dl Oriana Fallaci!" ... "Davvero! Racconta...
racconta..."
Ma quel giovane non ha nulla
da raccontare della nostra conversazione, perché io ho
tagliato corto su di te. E su di me lui non conosce niente, fuorché
il nome e il cognome. Non sa che le mie dita hanno stretto una
penna per più di cinquanta anni ed hanno composto versi,
poesie, addirittura un.....
...
ma, perché ti parlo di me? A te cosa importa? ... Voglio
solo che tu sappia che tuo cugino, il figlio di tuo zio Mario,
è sempre rimasto dalla parte degli ultimi (come ha scritto
tua sorella Neera) si è messo in mezzo a loro. Per loro
ha scritto poesia su carta da pacchi che è stata attaccata
alle pareti delle Case del Popolo. Per loro, e specialmente per
gli immigrati senegalesi, ha letto poesia al megafono durante
lo sciopero della fame portato avanti per vari giorni in Piazza
del Duomo.
Neera, la compianta tua sorella, ha scritto:
Don Milani - Dalla parte degli ultimi. Spero che tu un giorno
non arrivi a scrivere:
Berlusconi - Dalla parte dei primi.
Fallaci Marcello
cugino suo malgrado
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sabato
9 novembre 2002 |
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lo schiaffo
La porta si
chiuse alle spalle dell'uomo:
« Mamma! ! Perché il babbo mi ha dato uno schiaffo?
... Cosa ho fatto di male? »
Il bambino si rifugia tra le braccia della mamma che gli accarezza
i capelli.
« Su! Su! Non piangere... non è nulla... Tu cosa
gli hai detto per farlo reagire in quel modo? »
« Io? Cosa gli ho detto? ... Gli ho chiesto se a Natale
mi comprava la bicicletta.... Tutti i miei amici ce l'hanno.
Io ho la pagella più bella della classe: me la merito.
»
« E invece ti sei meritato uno schiaffo. Eh! Così
va il mondo! Se fosse veramente Babbo Natale a portare i doni,
tu avresti la bicicletta più bella di tutta la scuola,
non solo della classe. »
La donna tace e si china a baciare il fanciullo che si stringe
alle ginocchia della madre. Allora questa si siede e prende in
collo il figlio:
« Perché? ... Perché mamma, non esiste veramente
Babbo Natale? ... Lui non mi avrebbe mai tirato uno schiaffo.
»
« Neppure tuo padre te lo avrebbe tirato se non attraversasse
un periodo buio, di piena crisi... »
Il ragazzo guarda la mamma con occhi di stupore, a lui scolaro
della quarta elementare nessuno ha spiegato cos'è una
crisi.
« Crisi... - La donna ha un profondo sospiro e scuote la
testa. - Crisi... è quando si rompe l'armonia sul luogo
di lavoro e vieni licenziato... Tuo padre è senza lavoro
e non sa come mantenere la famiglia. E' per questo motivo che
il babbo è nervoso e ti ha dato uno schiaffo. Gli hai
rammentato una spesa che lui non può sostenere e si è
sentito offeso, quindi si è sfogato su di te che non hai
alcuna colpa della sua situazione. »
Alberto salta giù dalle gambe della mamma e, illuminato
da un'idea più grande di lui, esclama:
« Mamma! Mamma! Perché non ci troviamo un lavoro
noi due? »
« Bambino mio tu vuoi scherzare! Tu devi andare a scuola:
finire le elementari e poi fare le medie. Io... io lo vorrei
tanto aiutare, ma... non ricordi che aspetto una sorellina per
te?
Volevi un fratellino per giocare insieme e invece avrai una sorellina.
»
« Una sorellina... Lo ricordo. »
Il bambino si interrompe pensieroso, infine continua:
« Se era un fratellino ci giocavo più volentieri
e poi, gli potevo dare i miei vestiti quando non mi stavano più.
»
La donna si alza dalla sedia e va in cucina con la scusa di preparare
la cena, ma la vera ragione è che non vuole farsi vedere
piangere dal figlio. Si è commossa quando si è
accorta che il figlio cominciava ad afferrare il concetto di
crisi e quindi di miseria.
Alberto si preoccupava di non poter lasciare ì suoi abiti
al fratellino. Infatti nascendo una bambina sorgeva il problema
di doverle comprare tutto il corredo, dal primo vestitino alle
scarpine, non dimenticandosi di un cappottino.
Gisella si asciuga gli occhi col fazzoletto e con lo stesso poi
si soffia il naso. Deve assumere un contegno che non turbi il
piccolo Alberto. Per fortuna questi non l'ha seguita in cucina
ed è rimasto nel soggiorno, vicino al tavolo dove stava
facendo la lezione di scuola, prima di ricevere lo schiaffo dal
padre.
Quanto sarebbe stato meglio che si fosse interessato allo studio
e alla scuola, piuttosto che alla bicicletta e alla richiesta
di questa al genitore!
La donna si soffia di nuovo il naso rimanendo con il fazzoletto
alla bocca, dalla quale esce un secco colpo di tosse che le permette
di avere un atteggiamento sereno e aperto nel dire:
« Alberto, le hai finite le lezioni per domani? »
« Le ho finite mamma, per ultimo ho fatto il tema. Adesso
sto preparando la cartella per domani. »
« Bravo. Qual era il titolo del tema? »
« Descrivete la vostra casa. »
Gisella ha un sussulto e si mette in allarme:
« Come!? Descrivete la vostra casa? ... Cioè descrivete
le stanze, l'arredamento, come è situata la casa? Oppure
descrivete chi ci abita dentro? »
« Vuoi dire: descrivete i genitori? quel tema lo abbiamo
già fatto in classe qualche settimana fa. »
La donna ha un sospiro di sollievo. Alberto ha appreso della
disoccupazione del padre soltanto oggi, dopo avere ricevuto quello
schiaffo. Un sorriso amaro viene a imprimersi sulle labbra di
Gisella: eh! Un bambino deve pure vergognarsi di avere il padre
disoccupato.
Alberto raggiunge in cucina la mamma che sta mettendo la pentola
sul fuoco.
« Mamma, nel tema sui genitori ho scritto che stai aspettando
una bambina e che io sono tanto felice di avere una sorellina.
»
« Veramente! - chiede sospettosa la donna - non hai scritto
che avresti preferito un fratellino? »
« No! No! Mamma, te lo giuro. »
« Va bene. Ci credo... Dimmi una cosa: se tu dovessi scrivere
di tuo padre in un prossimo tema, dirai che ti ha tirato uno
schiaffo perché gli hai chiesto in regalo una bicicletta
quando lui era disoccupato? »
Il bambino spalanca la bocca dubbioso:
« Che dici mamma, posso scriverlo? »
« lo penso di no. Se proprio vuoi dire la verità,
devi scrivere che hai chiesto la bicicletta e che papà
in questo momento non può comprartela. Non parlare né
che è disoccupato, né che ti ha dato uno schiaffo...
Sarà una verità non abbastanza vera, ma è
sempre una verità. »
Mamma e figlio stanno già cenando, quando entra in casa
Sergio, il padre di Alberto.
Poco dopo è in cucina cupo come una notte di tempesta.
Mormorato un "buon appetito" a denti stretti, si siede
a tavola e affonda il cucchiaio nella minestra.
Rimane lì il cucchiaio sommerso da quel liquido di verdura,
si è fatto improvvisamente pesante.
Inspiegabile quel peso... no! niente affatto: è lo stesso
peso che lo fa rimanere immobile davanti alla scodella.
Infine l'uomo alza lo sguardo verso il figlio e:
« Scusami per lo schiaffo che ti ho dato. »
Non dice altro, e si rivolge al piatto di minestra da dove solleva
con facilità il cucchiaio che va ad impedirgli di profferire
verbo alcuno.
Un largo sorriso si disegna sul volto del bambino e gli occhi
si illuminano di gioia mentre cercano lo sguardo della mamma.
Gisella sorride al figlio e scotendo la testa gli fa capire di
non alzarsi da tavola e di non disturbare il babbo.
La cena è consumata nel massimo silenzio.
Quando Sergio si alza da tavola, un tuffo al cuore viene a emozionare
il piccolo Alberto che si aspetta che il padre si avvicini per
dirgli una parola carina, calda di tenerezza, ma il padre esce
di cucina con una certa fretta.
Madre e figlio si guardano interrogativi. La donna si stringe
nelle spalle e solleva lo sguardo in alto come per trovare una
risposta allo strano comportamento del marito.
Forse avrà avuto un'urgenza, sarà andato nel bagno.
E' quanto vuole spiegare al figlio, ma questi è sparito
pure lui.
La cucina è vuota.
Gisella e il piccolo Alberto si trovano insieme davanti alla
porta a vetri del gabinetto, dal cui interno sembra provenire
un pianto sommesso. Tende l'orecchio la donna ed afferra di tanto
in tanto un singhiozzo male soffocato.
Alberto si sente afferrato per un braccio dalla mamma e allontanato
dalla porta.
« Vieni. Andiamo in camera a prepararsi per la notte. Quando
il babbo esce dal bagno tu entri a lavarti i denti e a fare la
pipì, poi a letto... Stasera niente televisione. »
« Perché niente televisione? »
« Amore bello, scusami se ti mando in camera tua, ma ho
il sospetto che la tua presenza ricordi al babbo lo schiaffo
che di ha dato e questo lo fa stare male. »
« Va bene, farò così. »
Gisella si trova sola in cucina a lavare le stoviglie. Il bambino
forse si è già addormentato, mentre il marito si
è messo davanti alla televisione del soggiorno, dopo avere
detto alla moglie di non aver voglio di parlare.
« Domani, quando Alberto sarà a scuola, ne riparleremo...
Non mi manca certo il tempo - e
tristemente - Non manca mai il tempo a un disoccupato. »
I bicchieri, i piatti sono sistemati a sgocciolare. Cucchiai
e forchette pure. In cucina tutto è a posto. Chi non è
a posto e non sa neppure dove sia il suo posto, è la donna
che si sente stordita, spaesata, anche se la cucina (secondo
la maggior parte degli uomini) dovrebbe essere il luogo più
adatto a una moglie.
" Eh! Ne riparleremo domani... ha detto... Questa frase
mi ha ricordato mio padre quando a tavola non voleva sentir parlare
di problemi familiari, perché diceva di essere stanco,
di lavorare tutto il giorno lui. "
La donna si siede al tavolo della cucina e sospirando torna ai
suoi ricordi:
" Eh si! Babbo! Babbo! ... tu dicevi sempre: "Dopo
mangiato se ne parla" ma dopo mangiato ti alzavi e uscivi
di casa per essere di nuovo a lavorare, se era di giorno. Oppure
uscivi per andare al bar. Questo dopo cena, ma non sempre, devo
ammetterlo. Quante volte hai pensato alla mamma? ! "
Un breve silenzio, interrotto appena da un sospiro, come se la
donna fosse in attesa di una risposta.
Gisella era molto attaccata a sua madre, più di sua sorella
Nadia e dei suoi fratelli. Almeno questo era sempre stato il
suo parere.
" Povera mamma! Doveva solo lavorare e stare zitta. Riusciva
a dire le sue ragione quando un loro battibecco finiva in un
litigio. ... Povera mamma, quattro figli ha dovuto tirare su.
"
La donna si accarezza la pancia fissandola con sguardo interrogativo.
" lo sono già al secondo bambino: speriamo bene
di fermarci. "
Adesso Gisella è in camera sua, ha lasciato il marito
addormentato davanti al televisore acceso. Lei è davanti
allo specchio per vedere quanto la gravidanza la stia trasformando.
" Sono al terzo mese, non si vede molto. "
Si decide di entrare a letto. L'ultimo suo pensiero è
per il marito:
" Speriamo che quando si sveglia e si alza dalla poltrona,
non venga a letto per svegliare me....
Stasera non è proprio il caso! " |
ottobre 2002 |
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giorno luminoso
Lampo di luce intensa ecco un biancore scendere tra noi, è
l'abito nuziale che avvolge una fanciulla radiosa e trepida verso l'altare. Una
atmosfera sacra eleva i cuori degli invitati tutti ad un comune battito d'amore per Alessandra
e il suo Massimiliano.
Chicchi di riso volano a salutar l'uscita degli sposi, in
terra restano dimenticati mentre nel mondo si
soffre la fame.
Lieve e fugace ombra di un giorno luminoso che si allunga
lassù nei bei giardini di Villa Viviani, dove antipasti e salatini aspettano solo
di esser mangiati. Conversazione ovunque, sorrisi sulle labbra.
Conversazione che seguita
ai tavoli circolari all'interno, nella
villa ove i commensali siedono per la cena nuziale.
Va uno strascico bianco
di sposa a guidare Alessandra da
un tavolo all'altro, perché disegni linea
unitaria simile a una cinghia di
trazione che faccia roteare e tavoli e parole, perché la sala sia un ingranaggio avente
una funzione unica per gli sposi: che
l'orologio della loro vita abbia un tic tac armonico, senza accelerazioni né ritardi.
21 settembre 2002 |
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preghiera
Lasciami sul video, Signore, è in mano tua il telecomando. Non cambiare canale, non spengere
lo schermo: devo finire di recitare la
trama della mia commedia.
Io... tu
lo sai bene... non sono il protagonista, ma
ho comunque una parte importante come attore.
Ho la parte dell'uomo
vivo che si muove innamorato dell'amore che
famiglia e amicizie gli donano dall'alba
al tramonto di ogni giorno vissuto.
Non spengere lo schermo Signore. |
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Ossa e pelle
... Brrr!! Fa
freddo restare nudi, con le sole membra del
plebeo tutte ossa e pelle.
Era bello quando
mostravo al sole muscoli proletari. Era
bello indossare una tuta da operaio metalmeccanico. |
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In qualche luogo ci
deve essere una prospettiva socialista! rivoluzionaria!
... Brrr!! E'
brutto essere plebei nudi. |
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Figli dei cavoli
Forse... Sono nato veramente sotto un cavolo, altrimenti perché
starmene sempre da una parte piegato
su me stesso, scontroso.
Penso che sia la natura di noi plebei starsene appartati
e timorosi. Un tempo si stava col
berretto in mano davanti al padrone.
Loro invece... i Signori della parola e del quattrino possono muoversi liberi con
lo sguardo altero sicuri di sé. |
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Loro sono stati
portati dalla cicogna e hanno potuto
spaziare nel cielo, ammirare questo mondo ancora prima di nascere.
Loro... e
noi? noi siamo i figli dei cavoli, nascosti vergognosi sotto l'ultima foglia. Al
massimo ci è consentito di scuoterci, tirarci su di spalle e indossare il logoro abito da proletario. |
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Ponzio Pilato
Chilometri
Alle mie spalle,
ma vedo ancora molta strada
davanti a me.
Nuovi compagni si affiancano
e mi sorreggono
parlandomi
di un sole che brucerà
le cervella
a coloro che ogni giorno
si lavano le mani
col sudore
di milioni di uomini.
Da secoli Ponzio Pilato
Si lava le mani, dopo averci inchiodato
Sulla croce di una esistenza
Che noi proletari,
disoccupati ed emarginati
non abbiamo eretto,
ma che i signori della legge
ci hanno imposto. |
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E noi subiamo.
Sono riuscito a schiodarmi
dalla croce
e cammino barcollante.
Giovani mani
non ancora afferrate
dalla burocrazia e trafitte
mi danno forza a proseguire,
a lasciare sempre più
chilometri alle mie spalle.
La strada si accorcia
Davanti a me,
un sole di un caldo rosso
già mi illumina
il volto. |
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Capo! Vuoi comprare?
Sorte non
volle che ti conoscessi Nanni che
fossimo compagni. Lotte non abbiamo
fatto insieme, ma oggi mi preme fare
mie le tue parole che leggo.
... Veramente avevo
capito una cosa. Che col lavoro uno
può soltanto vivere. Ma
vivere male da operaio, da sfruttato.
Gli viene portato via il tempo libero della sua giornata, tutta la sua energia...
E la mia di
energia non recupero disteso su questa spiaggia, dove mi lascio bruciare dal
sole come ogni altro borghese. |
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Non io, i
proletari sono chi per la spiaggia cammina vestito a vendere bracciali e abiti
per signore. Sono i proletari di
pelle nera, i figli di proletari nutriti
di miseria e sfruttamento là in Africa.
Qui in Europa vengono
a servire l'uomo bianco che si pasce di
ricchezza e benessere. Come devo sembrare io ai loro occhi e chiedono: "Capo!
Vuoi comprare? Tutto bello, tutto poco caro".
No, grazie! Non mi occorre... mentre avrei voluto stringere quella
mano, nera mano dal palmo bianco
latte e tirarlo sotto l'ombrellone e
sapere della sua vita di proletario nero, parlargli della mia vita operaia momentaneamente ferma su una spiaggia
in Versilia. |
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15-09-1989: Francesca
Splendida orchidea nera sei germogliata Francesca dalla
carne turgida di una giovane donna calda di sofferto amore.
La mia piccola Ilaria madre!
Francesca e Ilaria stessa
carne in due donne che crescerà nel tempo gonfiandosi d'amore, amore che si spanderà intorno e irradierà
di gioia me e Carolina che si è trovata nonna una seconda
volta. |
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(dopo Irene Francesca)
In questo giardino di donne e di fiori ci sarà una panchina dove un vecchio poeta potrà
sedersi a leggere novelle e poesie alle
nipotine per terra a giocare.
Per adesso il poeta si riempie gli occhi di luce, e il
cuore di Francesca, mentre osserva trepido una splendida orchidea nera sbocciare. |
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Tutto fu polvere
In principio fu il crollo del muro.
Pietre rotolarono una sull'altra come stelle nella galassia.
Cozzarono... si
frantumarono. Quanta polvere!!
Infine tutto fu polvere.
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Una mano lieve di artista prese a plasmare quella polvere da cui ebbero vita forme umane sempre
più definitive, civili, occidentali.
E... fu il
verbo.
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Voltando le spalle
Fammi posto, Ivan,
voglio sedermi
anch'io sul marciapiede
voltando
le spalle alla gente bene,
vestita di pelliccia e giaccone
di cuoio.
Fammi posto,
fra queste due auto in sosta
posso sedermi senza
rischiare di essere travolto.
Eccomi seduto, Ivan.
Non ci vogliono
Così conciati
E noi non vogliamo loro.
Neppure
La loro elemosina vogliamo,
la loro civiltà ipocrita
che elargiscono agli angoli
in monete da cento.
Noi due randagi
vestiti di miseria
voltiamo loro le spalle
e non ci possono vedere. |
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Se ci vedessero all'angolo
seduti con la schiena al muro
metterebbero nel nostro
palmo
un po' della loro civiltà
in formato elemosina,
un po' del loro benessere
in formato democrazia.
In mezzo a queste due auto
seduti restiamo
a guardare verso il traffico,
a pensare ai fatti nostri.
Basta uno sguardo
per intenderci:
non c'è bisogno di parlare.
Il frastuono della civiltà
meccanica,
la frenesia del benessere
alle nostre spalle
non ci scuote,
rimaniamo
isolati fra queste
due auto in sosta. |
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Blocco di granito
Fra le due auto in sosta
sempre seduto.
Solo:
Ivan non è più con me.
In queste settimane
o mesi?
Auto e auto
Si sono date il cambio
Lungo il marciapiede.
Io e Ivan seduti
Zitti, ma loquaci.
Quando
una moto d'alta cilindrata
sul cavalletto lì ferma
è apparsa.
Ivan ha aperto gli occhi
ed è balzato su.
Ora è via nel vento
a respirare futuro,
emozioni proibite.
Io rimango seduto.
Tutto uno con il marciapiede
Pietra io stesso,
privato delle mie sembianze,
blocco di granito. |
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Sono rimosso
dalle gru dei vigili urbani
per lasciare posto
al parcheggio delle auto,
al transito dei pedoni
sul marciapiede.
Sopra altri macigni
rimango.
Senza anima,
senza la speranza domani
che uno scalpello
tragga da questa pietra
sembianze umane,
proletarie.
Nessun monumento
alla miseria,
al proletario,
(questo animale bipede
in via di estinzione)
può essere eretto
in una società del benessere
ora che
il muro è crollato. |
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Triangolo di ragnatela
Guardare
il mondo da sotto l'ascella,
così
su una linea verticale
la spiaggia e il mare
chiusi nel triangolo
del mio braccio
mentre
bocconi giaccio.
Indicato dal naso
vedo
un muro di sabbia
su cui ombrelloni
stanno conficcati verdi,
su cui
rari corpi umani
simili a mosche
vedo
agitarsi nel triangolo
quasi una ragnatela.
Il mio occhio di ragno
è in agguato
pronto ad afferrare
ogni immagine,
ogni mosca umana
che capiti nel triangolo
della mia ascella.
Vedo non visto
mentre
mi riposo non stanco.
Recito la commedia
del villeggiante disteso
a prendere la tintarella.
Mi muovo a guardare
da sotto l'altra ascella
e dentro la ragnatela
di sabbia e ombrelloni
vedo impigliarsi
una vecchia scalza
dalla veste lunga ciondoloni.
Cocco! Cocco fresco!
Va gridando con voce fiacca,
trascinando
i piedi nella sabbia infuocata.
Metto a tacere la coscienza
chiudendo gli occhi
e appisolandomi.
Ma nelle orecchia ancora:
Cocco! Cocco fresco! |
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Tien An Men
I miei piedi
vorrebbero calcare le tue
impronte,
i miei piedi
vorrebbero calzare le tue
scarpe
e camminare i tuoi
stessi passi.
Per le vie di Firenze
io ti seguo
compagno cinese
mentre vai in corteo
a protestare per le morti
dei tuoi fratelli in Cina.
Altri fratelli
come te emigrati verso un lavoro
lontano dalla Patria
gridano slogans
che noi
di Prospettiva Socialista
non capiamo,
ma
con voi solidali
e cantiamo
stringendo il pugno con rabbia.
Cantiamo l'Internazionale
e vi seguiamo
nel vostro funerale
alle speranze degli studenti
là in Cina.
Quelli morti:
i vivi sapranno vincere.
Ecco che i miei piedi
sono riusciti
a calpestare le tue impronte
ed io
sento nuova linfa vitale
nel mio corpo
e cresco
cresco.
Enorme e largo
è il mio torace,
pronto a respingere
i carri armati assassini
che avanzano
nella piazza di Tien An Men.
Svelto il mio piede
ha calzato le tue scarpe
e corro
corro
in aiuto dei miei fratelli gialli
dal cuore rosso.
Corriamo compagni,
corriamo,
è molta la strada davanti a noi. |
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Poesia murale
La mia
poesia
scritta per decenni
sopra un muro.
Versi murali
percorsi dalla furia del vento,
screpolati dal tempo.
Disperazione e speranze
in quei versi
dispersi
graffiati contro il muro,
il muro
dell'indifferenza sociale.
Tale
il muro eretto a Berlino
da un sistema egoista e ottuso,
il cittadino
ne rimaneva soffocato.
L'uomo anelava alla vita
ansimando in fuga
verso il mondo dei consumi
il muro ha scavalcato
senza accorgersi
che versi erano scritti sopra.
Versi proletari
per una società comunista,
ma "comunismo"
è
un termine blasfemo,
oggi
nessuno vuol più bestemmiare
per non perdere
il Paradiso del benessere.
Adesso il muro è
crollato.
Vedo larghe bocche bavose
sputare su quelle pietre
sotto cui giacciono
le mie poesie.
Larghe bocche
che masticano le parole
"democrazia" e "libertà"
a sazietà,
bevendoci dietro,
sudore di operai sfruttati. |
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Su una tomba abbandonata
in montagna
Giaci. Chi
fosti l'ombra dei morti non sanno; pallide vengon la notte timorose al ligneo scheletro
della croce, ad interrogare i sassi che
sull'orlo ti copron di zolle.
Nuda vaga
sui venti freddi, tremolando l'anima, ai
confini del cielo nell'attesa trepida del giudizio, temendo cosa il fato le riserbi or
che piangi la vita.
Vetro terso
e opaco per colore ignoto sgretola la
sua sostanza per estrarne vivo l'atomo del peccato, fulgente fra i beati se purezza fermò
il tuo istinto.
Tutto nella
sua stasi freme alle parole fievoli che
dalla tomba sorgono a ferire l'aere e quel silenzio che ti oscurò di fama quando
ai monti chiudevi il tuo passo.
Lento ti
trascinavi dietro alle lanose pecore, preoccupato
cercando più verde pascolo ove col cane dividere un boccone mentre il gregge
contendesi l'erba. |
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Muto miravi
indifferente la natura tremula alla
carezza del vento che soffia favole di paesi dove l'uomo è felice e trionfa
la vita sul tempo.
Penso. Ma di te solo il legno senza scritta, fradicio di nevi sa, nessuno ti conobbe. Fragile
pei suoi anni e il dolore sofferto senza
lacrime piange una madre.
Essa la tua
grama esistenza e nulla vide spengersi. Gialla
candela di sego, sul torvo baratro della morte, resta a illuminarti per confondersi
dopo nel buio.
Chiedo alle
corrotte tue carni se mai furono necessari
i natali per chi deve misero sostenersi col
bastone intarlato per le strade fra polvere d'auto.
Sorde alla
risposta son le mie orecchie: tacciono ai mortali i defunti,
cui la fredda tenebra dell'Eterno interdice
il ritorno a salvare chi nacque alla vita. |
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Nebbia di alcool
Ancora un bicchiere di vino e poi la vita sarebbe colorata di
rosa.
Fra le mani mi
giro il bicchiere vuoto fissandolo non persuaso che oggi domenica mi attardi a godere i piaceri della tavola.
Non diversamente da
ogni buon cittadino educato al quieto vivere, posso dimenticare le preoccupazioni nascondendomi dentro a questa nebbia
d'alcool soddisfatto.
Potrei alzare il bicchiere colmo per un brindisi a cercare il bicchiere di un qualche borghese se
questi fosse seduto al mio tavolo.
No! Il rosso
del mio bicchiere dovrei gettarglielo
addosso e poi il vetro con forza.
Quando un operaio siede
a pranzo in armonia col padrone o
con uno dei suoi pari dimentica la
lotta di classe. |
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Fisso il bicchiere accarezzandolo come una sfera di cristallo. Cerco
di avere una risposta per il domani mio
e di tutto il proletariato.
Portare avanti la
lotta di classe e non sedersi ad un gran banchetto, dove padroni operai e preti tutti
avvinazzati brinderanno al benessere
comune.
Benessere comune per
il quale io devo offrire braccia e sudore, il padrone ricevere denaro e comodità, il prete funerali da benedire.
Mi decido. Il
bicchiere si riempie di rosso, si vuota rapido
fra due labbra prima che sentano disgusto
per tanta viltà.
Il rossore che mi avvampa il viso non è soltanto ebbrezza, ma vergogna. |
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Signore del giardino
"Signore
del giardino!" mi si chiama
voce fanciulla viene dall'esterno:
di salutarmi Silvia spesso ama,
nuova alla vita dal sorriso eterno.
Ora esco di cucina dall'interno,
aperta la vetrata a chi mi brama
rendo il saluto, la mia gioia esterno.
Mirando lei in volto provo calma.
Stessa serenità qualora
osservi,
Marcello, una nipote oppure un figlio:
si allarga il cuore, si allentano i nervi.
Viva luce circonda la persona,
dallo sguardo sparisce ogni cipiglio,
beatitudine amore ti dona. |
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Si dilata lo spazio
Si dilata lo
spazio tra di noi,
donna mia, questa casa è troppo ampia.
Era nostro destino, non si scampa:
i figli sono via pei fatti suoi.
La vita nostra
fu tutta una rampa,
sempre in salita
aspettando il poi.
Troppi gli sforzi, i sacrifici tuoi,
sul volto tuo la fatica si stampa.
Diversa occupazione
ci distrae,
al pomeriggio per me giunge il sonno.
Passione alcuna ormai più ci attrae.
Viene la sera.
Parlarti vorrei,
dire di noi, ricordare il giorno.
c'è la televisione: parla lei. |
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La mia stagione
Gialle, aggrinzite
le foglie del fico
pendolano dai rami, infine vanno
a coprire il giardino loro amico.
Le ammucchia il vento all'angolo, ove stanno.
Scendo a spazzare.
"Coraggio" mi dico.
In quel grigiore vedo me quest'anno:
morte biologica
destino antico
la mia stagione vivrò senza affanno.
Finiscono le
foglie dentro al sacco
che viene a gonfiarsi sempre più,
io sono rattrappito, ma non stacco.
Continuo a lavorare
di ramazza,
spazzo anche il sudicio che viene giù
dal condominio, da ignota terrazza. |
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Lanose macchie
Lanose macchie bianche
si muovono per il verde
lungo i tralci di vite
spogli.
Agreste quadro
a cui fa da cornice
la finestra del gabinetto
al primo piano della fabbrica.
L'operaio vorrebbe
togliere il vetro al quadro
e farsi personaggio
in quella tavolozza di colori,
ma
la mente
lo riporta al colore nero
della tuta da lavoro,
allo sciacquone
da tirare.
Nel mentre l'uomo
scende le scale
lo scroscio dell' acqua
è risucchiato
insieme all'attimo
goduto
nei cinque minuti
allentati dal ritmo produttivo . |
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Disoccupato
Sopra di me
i giorni si allungano
come pennellate di un imbianchino.
Mi sento spiaccicato
quale vernice
contro le mura della società.
Sono appena un colore
sbiadito,
mentre
vorrei essere pietra
nella costruzione dell' edificio.
Altra vernice
nel tempo mi coprirà.
Altri disoccupati... |
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Bruciato con l'estate
Oggi finisce di bruciare
l'estate,
domani
il mese d'autunno
riporterà gli operai
nelle fabbriche.
Tute blu
e colletti bianchi
si affronteranno negli scioperi
per ideali diversi.
Inutilmente vado
nella memoria cercando
volti di operai,
compagni di lotta politica
e sindacale.
Rimango artigiano,
solo
e vuoto.
Mi sono bruciato con l'estate
il respiro dell'uomo libero
capace
di decidere la propria esistenza.
Vedo l'autunno
cupo di tempesta.
In famiglia
ancora un disoccupato. |
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Operai a tre mesi
Come tre zolle di terra
s'infrangono
sassi scagliati
contro la facciata gelida
dell'Università.
Uno dopo l'altro
inutilmente.
La rabbia è esplosa
nella pretesa
di un lavoro a tempo indeterminato,
che desse fisionomia sociale
a tre nullità umane:
Stefano... Salvatore ...
Marcello ...
Una dopo l'altra s'infrangono.
Hanno appena scalfito
l'imbiancatura di fresco
per l'anno accademico.
Su quelle zolle
non bagnerà pioggia,
in quelle zolle vento non seminerà
humus vitale.
Radici non germineranno,
ma
le zolle infrante,
ormai terra sporca inutile,
saranno spazzate via
da una scopa di saggina
non a tre mesi. |
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