Sul far della
sera di un sabato, quando ormai nessuno più l'aspettava,
ecco che arriva lo zio Amedeo. Subito intorno al tavolo di cucina,
sotto la luce al neon, si riforma il gruppo familiare.
Quello
che mi colpisce di più dello zio sono i capelli grigi
riccioluti, riccioluti intorno ad una gran chiazza pelata lucida.
Ma anche gli occhi di un azzurro acquoso solcati da lampi gialli
sono particolari. Si muove e parla come se il tempo e lo spazio
non esistessero più. Tutti vorrebbero fargli miliardi
di domande: sono vent'anni che non si vedeva e non se ne avevano
notizie. Un primo di settembre dopo il crollo della fabbrichetta
e la separazione chiesta dalla moglie, era sparito. Molto tempo
dopo un giornale aveva riportato la notizia di un barbone italiano
che in Olanda scriveva un giornale per loro ed un vademecum per
la sopravvivenza sulla strada. Mio padre aveva riconosciuto nei
dati e nella fisionomia il fratello e aveva commentato : "Ma
guarda questo! Non si riusciva a fargli fare un passo che non
fosse dalla fabbrica alla casa! Ora è a giro per il mondo!"
Non mi riuscì
di capire se lo biasimava o lo invidiava; da allora io cominciai
a fantasticarci.
Ne aveva davvero di cose da raccontare e poi le diceva con tanta
suspense che dalla cucina ci muovemmo verso le camere che erano
già le quattro di notte. Nell'angolo rimase lo zaino dello
zio. Quanto avrei desiderato aprirlo! Il succo di tutti i discorsi
era sempre che non aveva scelto di fare quella vita, ma era la
vita che aveva scelto per lui, buttandolo giù da cavallo.
La sera della domenica, al momento di andare a cena, lo zio Amedeo
prese su lo zaino, lo issò sulle spalle, salutò
tutti. Dalla finestra lo seguii nella strada finché il
buio, il freddo ed una leggera foschia che stava montando, non
lo inghiottì. Provai una gran stretta al cuore.
Non ero più sicura di voler fare la barbona. Forse avrei
aspettato anch'io che la vita mi buttasse giù da cavallo.
La notte sognai: ero saldamente in groppa ad un destriero bianco,
lussuosamente vestita. |