" Mi ero stufata e
speravo che qui ci fosse una televisione. Prima ero entrata in
una chiesa, figurati!" Si mise a girellare e a guardare
sotto ai baldacchini
" Guarda, guarda! E' la vostra alcova! Davvero curioso.
Avevo visto roba simile nei film, ma solo per re e regine."
Si mise a contare.
" I letti sono sei e voi siete in cinque. L'ultimo serve
per l'uomo?"
" Non essere volgare. Fra l'altro non ti riesce nemmeno
bene. E ascolta.
Quel letto era di Suor Colomba. E' morta qualche mese fa. E'
lei che ha, diciamo, fondato questa casa di accoglienza.
Un giorno, lei stava in un convento lontano da qui, in campagna,
venne chiamata da un notaio. Arrivata nello studio, aprirono
il testamento della Signora Fabrizia Peltri. Suor Colomba lì
per lì non si ricordava di questa signora e non sapeva
che fosse morta."
Suor Marta interruppe il racconto e indicò un quadro che
stava molto in alto sopra la porta.
" Eccola lì. Giovane e bella, molto devota e debitrice
a Suor Colomba di averla aiutata a partorire e a salvare sé
stessa e il bambino. Purtroppo morirono anni dopo, insieme. Per
circostanze mai chiarite, come si usa dire. Ma la signora nel
testamento che aveva preparato da tempo, aveva lasciato questo
appartamento dove siamo a Suor Colomba perché ci facesse
cosa le pareva ma... opere buone!"
" Che bella storia!" disse lisciandosi i capelli setosi
Deiva .
" Aspetta. Ora viene il bello." Riprese a raccontare
con passione:
" Suor Colomba se ne andò via dallo studio notarile
con le carte in mano e due mazzi di chiavi: proprietaria di un
appartamento! Rimuginava dentro di sé cosa ne avrebbe
fatto. Non ne aveva la minima idea.
Fatti, sì e no, due isolati - si era in autunno inoltrato
con la classica pioggerellina che scendeva giù silente,
carica di fradicio e di freddo - quando da un portone esce una
giovane donna con in braccio un bambino sommariamente vestito.
Era sanguinante dalla fronte e dalle labbra; tremava come una
foglia e invocava aiuto.
Si sentiva la voce di un uomo che da dentro la casa urlava, imprecava
che tornasse su o l'avrebbe ammazzata insieme al bambino.
Suor Colomba, lo raccontava lei e le veniva una voce strana,
ebbe come una folgorazione, una visione. Afferrò madre
e figlia e li trascinò nel mezzo di strada, fermò
una macchina e ve li caricò sopra.
Ma la donna non voleva andare né all'ospedale né
dai carabinieri.
Ecco a cosa sarebbe servito quell'appartamento!
Disse alla signora che era alla guida dell'auto fermata, di portarle
al primo posto di taxi. Di lì se ne vennero qua. Suor
Colomba diceva di aver provata una forte emozione quando la chiave
girando aveva aperto la porta. E meraviglia delle meraviglie....
la casa era arredata! Questa Flavia fu la prima ospite insieme
al suo piccolo che si chiamava Alessio."
Suor Marta si fermò a guardare con compiacimento le facce
interessate delle due; girellò per mettere a posto qualcosa.
Si prese del tempo.
" Certo, talvolta la vita... mette insieme delle combinazioni.....
E poi" disse la zingara.
" Non sono combinazioni della vita, sono...."
La frase le morì in gola. Un fracasso di vetri infranti
che venivano dal giardino le distolse dal racconto.
Deiva riconobbe le bottiglie
di birra che aveva visto in mano ai ragazzi. Le avevano lanciate
oltre il muro dal cortile dei garage.
Si sentivano abbaiare i cani; furiosamente, aizzati da voci scomposte.
Non disse nulla e non avrebbe mai saputo spiegarsi il perché.
Chissà se avesse parlato le cose, forse, sarebbero andate
diversamente.
Rientrò Martina,
rientrò Suor Teresa con Fabio e il carrettino. Tutto riprese
a scorrere nella normalità.
Sarà stato per quel racconto o per altro, ma la zingara,
che stava sempre appartata, raggiunse in giardino Deiva che puliva
della verdura.
" Sei straniera, vero? Se non ti va non rispondere, non
mi offendo."
Fece un cenno di assenso Deiva e l'altra si mise a pulir verdura
con lei.
" Pensi di farti italiana sposando qualcuno?"
" Per ora non penso nulla."
Deiva non aveva molta voglia di parlare, ma intuì che
l'altra invece volesse sfogarsi così pensò di farle
delle domande. Ottenendo un duplice scopo di farla parlare e
di non doversi raccontare.
" E te, che mi dici?"
" Sono straniera anch'io.
Messicana. Mi chiamo Mercedes. No, sono italiana ma non voglio
esserlo. Conosci la storia di Malince?"
" Malince? No. Raccontala, se ti va" Intanto accumulavano
verdura dentro un catino verde.
" Insomma Malince era l'amante di Cortes. Lui lo conoscerai.
E' stato lo spagnolo che ha conquistato il Messico tanti, tanti
anni fa. Lei era di lì, del Messico voglio dire, una indigena.
E che fa? Prima lo porta in giro per la patria facendole da interprete
e poi ci fa un figlio insieme: il primo meticcio! Capisci? Meticcio.
Né carne né pesce!
Io te l'ho fatta breve, ma la storia è ben più
lunga. Mi segui?"
Questa Mercedes aveva uno strano modo di raccontare: cambiava
toni di voce in continuazione come se suonasse uno strumento.
Deiva non sapeva nulla del Messico ma che gliene importava? Del
resto sapeva poco anche della storia della sua terra. Questo
Messico doveva essere disgraziato come dalle parti sue.
Portarono il catino verde in cucina e gettarono gli scarti nel
sacco. Si fermarono lì a lavar la verdura e a metter su
la pentola con l'acqua per cuocerla. Non c'era nessuno.
Riprese il racconto con un tono stridulo. Non era proprio il
racconto; era la parte che voleva tirar fuori e riguardava lei.
" Questa Malince in Messico non piace. Perchè è
passata dalla parte dei conquistatori e perché ha dato
origini ai figli di sangue misto. I meticci.
Io sono una meticcia. E mia madre una Malince. Una specie. E
mio padre un conquistatore. Una specie. E a me non stanno bene.
E voglio andarmene in Messico.
Lui, mio padre, dai dintorni di Napoli, dopo aver fatto dei lavori
sulle navi, se ne andò a stare in un paesino del Messico
a far gelati. Ci conobbe mia madre, che stava proprio maluccio
come condizioni di vita, voglio dire e si misero insieme e nacqui
io. Girarono il Messico con questa storia dei gelati e fecero
fortuna: quando avevo dieci anni siamo venuti in Italia. Mica
mi hanno domandato se mi stava bene?"
Anche questa storia come
quella di Suor Colomba non arrivò al termine.
Si stavano letteralmente accapigliando Martina e la ragazza arcobaleno. Erano nella
camera di Deiva.
Per la nuova arrivata era stato tirato giù il letto.
Pare che Fabio piangesse e che la ragazza avesse chiesto in malo
modo a Martina di far zittire quel moccioso bastardo. Martina
si era risentita e vai con la zuffa.
Deiva si precipitò per prendere Fabio e sentì il
terzo racconto di quella convulsa giornata.
Era la ragazza che parlava o meglio urlava e sembrava un'altra
volta in preda ad una crisi .
" Bastardo, sì, bastardo. Non mi hai riconosciuta
ma io sì. Ero anch'io in quella clinica molto privata,
molto particolare, per la stessa cosa, quella mattina di otto
mesi fa. Io sola. La Signoria Vostra invece è arrivata
scendendo da una BMW con un distinto signore
sulla cinquantina: begli abiti, bella borsa e borsone per le
occorrenze ospedaliere. Ti ha accompagnata fino quasi all'accettazione.
Poi ti ha mollata , come fanno del resto tutti, non credere.
E come tutte non te l'aspettavi. Sei rimasta come impietrita,
una statua di sale come quella tale Lot, mi pare. A te toccava
prima di me. Quando ti hanno chiamato, hai cominciato a piangere
come una vite tagliata e io ti ho consolata e dato un fazzoletto.
Poi ti sei alzata di scatto hai detto all'infermiera che non
volevi saperne e che se tornava quel figlio di puttana di quel
signore che aveva fissato tutto gli dicessero che sì tutto
era avvenuto secondo il suo porco comodo.
Prima pensai a quanto eri coraggiosa e poi quanto eri opportunista.
Perché sicuramente quando il bambino sarebbe stato scodellato
avresti iniziato a ricattare quel ricco padre. Lo fanno in molte.
Per me invece non c'era scampo. Ed entrai; riversando su di te
tutto l'odio che mi portavo dentro.
E poi tutto ricominciò come prima in mezzo al mio gruppo."
Il finale fu detto quasi in un sussurro; quasi dimessamente.
Ma Martina non aveva digerito quel titolo di opportunista e non
si fece incantare dal tono pentito e cominciò a strattonare
la ragazza arcobaleno ad urlarle che erano c... suoi... Che lasciasse
in pace lei e sopratutto il bambino.
Allora ricominciò la zuffa.
Si provvide, il più velocemente possibile, ad un cambio
di camera.
Se ne andarono Martina e Fabio con grande strazio per Deiva ed
arrivò Mercedes, imbronciata.
Come Dio volle la notte
passò.
Ma la ragazza arcobaleno, che scoprirono si chiamava Serena (ironia
della sorte!), aveva davvero una riserva inesauribile di rabbia
per tutte.
Così la mattina toccò a Deiva essere investita
con un:
" Buongiorno, puttana! E' inutile che fai gli occhioni;
lo sanno tutti che venite dall'estero per sollazzare i nostri
uomini"
" Piantala!" intervenne dura Mercedes .
" Lasciala dire. In fondo ha ragione"
" Come vuoi. Io vado a far la doccia."
" Allora cosa vuoi sapere? O vuoi dire di te."
" Di me non c'è da dir molto. Spero mi tirino fuori
da questo buco prima mi infilino chissà dove; di te ...
chi se ne frega. In fondo le puttane le facciamo tutte, non trovi?"
" No. Non trovo. E poi per me penso di cambiare."
" Non mi dire che ti fai suora? Che quelle teste fasciate,
come le chiamava la mia nonna, ti hanno fatto il lavaggio del
cervello?" Cominciò a ridere sguaiatamente che faceva
pena e si arruffava i già arruffati capelli di molti colori.
" Non ho capito cosa hai detto." Disse Deiva andandole
vicina. Fu allora che vide il telefonino nascosto fra la biancheria
personale. Evidentemente le suore non se ne erano accorte, perché
lì non si poteva tenere ed usare. Per motivi di sicurezza,
avevano spiegato.
Questo particolare, insieme ai capelli colorati e ai tatuaggi,
le sarebbe venuto in mente molto più tardi quando il gran
macello era già avvenuto. In quel momento pensò
solo che quella ragazza era proprio un cattivo soggetto. Non
sapeva se starne alla larga o cercare di far qualcosa per lei.
Ma cosa?
Fu il turno di Deiva ad usare il bagno; Serena non pareva molto
incline ad usarlo! La sua pulizia era veramente sommaria. Si
era rifiutata la sera di usare il pigiama e si era distesa sul
letto tutta vestita... comprese le scarpe o meglio gli scarponi...
Aveva buttalo là un laconico... Non si sa mai....
Le sentiva parlottare, la zingara o meglio la messicana e Serena,
non ne capiva le parole; ma le sembravano quiete, come due vecchie
amiche; come lei e Martina. Ebbe nostalgia di non essere ancora
in camera con lei. E pensò con gran sospiri a Salvo. Le
tornò alla mente anche il suo progetto.
Appena possibile sgattaiolò nella camera accanto. Ma non
c'era nessuno.
Fino al tardo pomeriggio
non le riuscì mai di stare un attimo con Martina ed il
bambino: si era accorta che anche Martina la cercava e il cuore
le si era fatto grande. Le suore le avevano tenute impegnate
nello stanzone a metter via la roba dell'inverno ed approntare
il vestiario per l'estate... per quelle che sarebbero venute
dopo di loro. Perché purtroppo, come diceva tristemente
Suor Maria Ida, ne sarebbero arrivate, eccome se ne sarebbero
arrivate....
La donna incinta fu lasciata di sopra e con lei Fabio. Serena
non volle scendere. E la lasciarono fare.
Si era messa a leggere dei gialli che aveva trovato nella scaffalatura
dove troneggiava la nave con marinaio sotto vetro. Seduta scompostamente,
ma calma... se Dio vuole... pensarono tutte.
Martina disse:
" Con una bella ripulitura e sciacquata di capelli e ...
di bocca, sarebbe proprio una bella ragazza!"
L'occasione fu la solita
pulitura della verdura che toccò a Deiva con Martina.
Il bambino se ne stava a trastullarsi su un seggiolino a dondolo
con dei pupazzetti che se si stringevano suonavano: ognuno un
suono diverso.
" Vorrei spiegarti come è andata. Non voglio che
tu pensi ... non sono un'opportunista."
" Cos'è un'opportunista?" chiese Deiva contenta
per le confidenze di Martina.
Quella cercò di spiegare e quando le sembrò che
avesse capito riprese:
" E' vero. Quando il bambino aveva due mesi, trovandomi
in difficoltà, sono andata a ricercare il padre. Ma non
per ricattarlo!!! Mi era venuto anche lo scrupolo... per il bambino...
era giusto che avesse ... o per lo meno sapesse, chi era suo
padre... sai tutte quelle cose lì.
Chiedevo consigli: e chi mi diceva una cosa, chi un'altra...
mai nella stessa maniera. Ero confusa e certe volte terrorizzata
di portare avanti il bambino da sola, voglio dire...."
Si fermò. Parlava a fatica, smozzicando le parole. Deiva
ascoltava in perfetto silenzio. Ogni tanto le balenava per la
testa il pensiero che venendo in Italia non pensava proprio di
trovare tante storie così... come dire tragiche?
La donna incinta arrivò insieme a suor Marta.
Martina le sussurrò all'orecchio che se dopocena faceva
una capatina in camera sua le avrebbe raccontato il seguito. |