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SANT'AGATA detta dal Repetti nel suo Dizionario della
Toscana, "al Cornocchio in Val di Sieve",
si trova nel
Mugello
occidentale, nel Comune di Scarperia,
a 35 Km. da Firenze [vedere piantina] in posizione aperta ai
piedi dell'Appennino, ha le caratteristiche di un piccolo nucleo
urbano accentrato, con il caseggiato disposto a schiera lungo
le due vie principali. Non si conosce l'origine del paese, ma
certamente è legata alla sua posizione topografica, allo
sbocco di un valico naturale dell'Appennino (passo
dell'Osteria Bruciata) sulla direttrice Firenze-Bologna.
Secondo JOHAN
PLESNER in "Una rivoluzione stradale del duegento"
del 1938, le Pievi di Santo Stefano 'de uno pane' a Rifredi,
sul torrente Terzolle (ad terzium lapidem), San Silvestro a Ruffignano
(Ruffinius), Sant'Andrea a
Cercina (Cersinius), come Starniano (Sitarnuis) nella valle
del Terzolle, e quelle di Vaglia, San Piero a Sieve e Sant'Agata,
insieme ai castelli di Cercina, Castiglione e Vaglia, potrebbero
delineare il tracciato di una antica strada romana. [Vedere
piantina]
A riprova si possono citare:
- i resti di
una Villa rustica romana con istallazioni agricole che nel 1952
vennero alla luce a San Silvestro a Ruffignano durante dei lavori
nel podere 'Valcenni di sotto',
- una stele
marmorea ed una lapide marmorea, un tempo conservate nella Pieve
di Cercina, con epigrafi sepolcrali latine, entrambe frammentate,
e certamente collocate lungo una strada romana.
Il Senatore Carlo Strozzi, nel XVII secolo ne dava notizia in
base ad un rilievo personale.
La prima di queste si trovava "drento la fonte del battesimo",
che, fino a non molto tempo addietro, era posto a sinistra dell'ingresso
principale della chiesa.
Frequentata
da sempre (selci paleolitiche si ritrovano a ovest del paese),
la zona di Sant'Agata presenta tracce di civiltà etrusca,
romana e longobarda. Intorno al sec. XI-XII Sant'Agata aveva
già l'aspetto di un villaggio rurale con il suo nucleo
urbano riunito intorno alla pieve ed alle due vie che conducevano
a Bologna. A presidio
di queste c'erano due castelli: a poche centinaia di metri a
nord del paese il castello di Ascianello, risalente al decimo
secolo e distrutto intorno al 1260 dai Ghibellini di Firenze
(identificabile tramite un poggio allungato, la cui forma rozzamente
circolare ricalca le fondamenta delle mura del castello. Una
recente campagna di scavi ne ha rimesso in luce il circuito murario
in regolare filaretto di pietra, con gli angoli rinforzati da
bozze squadrate più grandi); l'altro è il castello
di Montaccianico, due chilometri a nord del paese, una fortificazione
poderosa con doppia cinta muraria, voluta dal Cardinale
Ottaviano degli Ubaldini nel 1251.
Il castello fu per secoli la più potente roccaforte di
quella famiglia,
posta a controllo della via dalla quale transitavano il sale
e le merci provenienti dalla pianura padana e dirette a Firenze.
Per limitare il potere degli Ubaldini, la Repubblica Fiorentina
decise nel 1306 di distruggere
il castello, che nel frattempo
era divenuto riparo di tutti gli esuli politici; Dante vi
si sarebbe rifugiato nel 1302 dopo la battaglia di Pulicciano.
I ruderi di questa rocca sono visibili sulla cima di un poggetto
conico e boscoso, sulla destra della strada che costeggia il
torrente Cornocchio: restano avanzi delle cinte murarie, dei
sotterranei interrati, oggi celati dalla fitta vegetazione. Con la fondazione di Scarperia, avvenuta nel 1306
( il dì 8 del mese di settembre ) su progetto di Andrea
da Pontedera, in seguito alla distruzione di Montaccianico e
l'apertura della nuova transappenninica attraverso il Passo del
Giogo, Sant'Agata perse la sua importanza di luogo di transito
per la Romagna e vide bloccarsi il suo sviluppo urbano.
L'attuale centro storico, con qualche aggiunta
e con i rifacimenti seguiti ai numerosi terremoti, è sostanzialmente
quello formatosi nel medioevo.
Per questo Sant'Agata conserva ancora, con i vicoli, le piazzette
e le vie strette e tortuose che si snodano attorno alla Pieve,
il fascino e la suggestione di epoche lontane. Fin
dal primo Giubileo del 1330, il paese e la sua grandissima (in
relazione alla minuscola popolazione) Pieve davano ospitalità
ai pellegrini che calavano dal Nord Europa per la direttrice
Bologna-Firenze di allora che valicava l'Appennino al passo dell'Osteria
Bruciata e faceva tappa proprio a Sant'Agata, come ricordano
viaggiatori dell'epoca provenienti dalla Germania. Anche
la sorgente di "Fonte Romea" nei pressi del valico
ai piedi di Castel Guerrino, a nord di Sant'Agata, ci ricorda
il passaggio dei pellegrini diretti a Roma per ottenere l'indulgenza
plenaria.
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Per una documentazione
più approfondita di Sant'Agata vi segnaliamo la recentissima
guida "il
Mugello"
edita da "Parigi
& Oltre" (Piazza Dante, 4/6 in Borgo San Lorenzo) che
racconta il territorio ed i paesi del Mugello attraverso la voce
dei protagonisti incontrati nelle località descritte. Scoprirete: oltre 120 chiese, 86 tra ville e castelli
e tanti luoghi di rara bellezza.
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la storia dai ricordi |
Testimonianza dei fratelli Francesco,
nato nel 1929, e Mario Fredducci.
Racconta Francesco:
« Ai tempi dell'occupazione tedesca, alla Sora Rosa, c'era
un soldato che aveva in dotazione un mezzo da guerra, una trattrice;
era solo, un tipo bravo e educato, gli portavamo da mangiare.
Se non lo invitavamo ad entrare, rimaneva fuori. Era un uomo
alto,atletico, e ogni giorno faceva flessioni con la maschera
antigas, si arrampicava sulla casa mettendo le dita sulle fessure
della facciata, saliva come un ragno.
Un giorno arrivò in paese un tale con due uomini, erano
partigiani, volevano rimanere a dormire nel paglia, ma mio padre
fu contrario perché ogni giorno veniva a farci visita
il tedesco.
Uno dei tre tirò fuori una rivoltella, dicendo che a quello
ci avrebbe pensato lui ma mio padre esclamò:
"Siete pazzi, ho quattro figli, dopo ci ammazzano tutti!".
Vollero rimanere a tutti i costi. Mio padre era molto preoccupato
perché, mentre i tre dormivano in capanna, li si sentiva
russare di fuori. Per fortuna ci rimasero una sola notte.
Nel 1944 ci fu grande abbondanza di prodotti, grano, frutta,
vino, e si stette bene.
Nell'estate arrivarono i tedeschi alla villa di Cafaggio e piazzarono
due grandi cannoni vicino al fiume, per trainarli avevano due
trattrici semicingolate ciascuno. Erano tanto grossi che dopo
il primo sparo sprofondarono nel terreno e li dovettero spostare.
In seguito vennero da noi diversi ufficiali tra cui un maresciallo,
li accompagnava una giovane donna, si chiamava Rosina ed era
di giù, credo di Latina, gli faceva da interprete, era
molto buona.
Mentre questi ufficiali erano in casa, arrivarono due partigiani
e ci chiesero del pane, s'era appena sfollato. Li avvertimmo
che c'erano i tedeschi e loro risposero che dovevamo ammazzarli.
Nel frattempo arrivò la Rosina, li vide e corse via. Noi,
impauriti, credevamo che chiamasse i tedeschi che ci avrebbero
ammazzati subito, ma non successe niente.
La Rosina con una scusa aveva fatto allontanare i tedeschi, fummo
salvi noi e forse i partigiani.
Qualche giorno dopo, a sera, sentimmo battere alla porta con
i calci dei fucili, c'erano numerosi soldati tedeschi che cercavano
i partigiani.. In casa eravamo in tanti, c'erano anche i figli
di mio zio; ma arrivò la Rosina garantendo per noi.
Mio padre e i miei fratelli in seguito furono rastrellati e fatti
lavorare a Panna per la TODT; in paese non ci furono mai problemi
con i tedeschi di stanza. Siccome la mia famiglia aveva deciso
di rimanere a Sant'Agata senza sfollare, avevamo fatto un rifugio
a Cafaggio.
Un giorno, mentre eravamo a scavare, si sentì un gran
ronzio, si uscì fuori e si rimase a bocca aperta: passavano
centinaia di bombardieri americani, alcuni bombardarono la Futa,
altri proseguirono: Il cielo era tutto coperto dagli aeroplani.
Ad agosto corse voce che stavano per arrivare gli americani,
e i primi di settembre si sentirono le cannonate. Una sera si
fermò da noi un tedesco, voleva un cavallo per scappare,
ma noi non lo si aveva. Diceva:
"Tra poco qui americani".
Ci minacciò con la pistola, poi se andò.
Il giorno dopo caddero bombe in paese e dintorni. Cessarono i
bombardamenti e cominciò un via vai di tedeschi da noi
verso Cafaggio: li c'erano già gli americani e fu un continuo
spararsi tra loro. Molti tedeschi erano anche dalla Sora Rosa
in cantina.»
E ora racconta Mario:
« A un certo momento i tedeschi sparirono, mia madre uscì
di casa tornando subito dopo con una manciata di cioccolate:
erano arrivati gli americani.
Increduli, corremmo alla villa di Cafaggio, lì c'erano
tanti americani, con jeep, camion, mentre passavano tanti carri
armati. C'erano già tanti prigionieri tedeschi, i carri
vedendoli giravano le torrette, poi proseguivano, erano momenti
di tensione.
Uno di questi carri fu colpito in paese, nella piazza; fu colpito
a un cingolo da un'arma anticarro e alcuni americani rimasero
uccisi.
Per continuare l'avanzata, a causa della strada stretta, buttarono
giù anche un tabernacolo; proseguirono verso Casali e
Monte Calvi. Dietro a loro arrivarono i soldati italiani con
i muli che portavano le munizioni.
Gli americani giunti dopo affrontarono una poderosa linea di
artiglieria. Tutto intorno al paese, a Costorzoli, nel Bagnolo,
a Lumena cominciarono a sparare ai tedeschi che nel frattempo
si erano spostati verso Firenzuola. A Costorzoli gli americani
avevano approntato le cucine, una cannonata tedesca le centrò
e ci furono alcuni morti.
A Cafaggio si scaricavano i bossoli vuoti dell'artiglieria, ce
ne erano a montagne, qualcuno fece razzia per venderli, l'ottone
era molto richiesto.»
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Testimonianza di Ida Martini,
nata nel 1909
Ascoltiamo
il lucido ricordo di un'anziana signora:
« Una mattina la nonna si affacciò
alla finestra ed esclamò:
"Oddio, siamo circondati dai tedeschi!"
I giovani erano nascosti, anche tra le balle, i tedeschi li presero
e li portarono alla Villa degli Aiazzi. Poi li caricarono su
un camion e li fecero scendere a Loiano, loro piangevano insieme
i familiari rimasti.
Quando, dopo il passaggio del fronte, ritornarono a casa trovarono
le stanze vuote: qualcuno del posto aveva preso tutto, solo qualcosa
fu ritrovata ammassata in una abitazione.
I tedeschi, nella piazza di Sant'Agata, avevano allestito una
cucina. Andai da loro, con Lino di Brighella, a cercare dello
zucchero, non ne avevo in casa, dovevo partorire e un tedesco
me lo procurò.
La sera vedevamo le fiammate delle cannonate sparate dagli americani,
forse da Firenze. Gino Biancalani e la sua nonna non avevano
accettato l'invito ad andar via e si rallegravano di essere rimasti
perché quelli partiti non si erano rivisti. Ma i tedeschi
arrivarono un giorno, e rimproverando loro di essere ancora sul
posto, chiesero di dar loro dei polli. Siccome pochi giorni prima
altri tedeschi avevano preso dei polli e subito dopo i rimanenti
erano stati nascosti in una stia sotto la loggia, Gino disse
loro di non averne quasi più e i tedeschi non insistettero
nelle loro richieste. Decisero di prendere due galline viste
per caso e di fare il brodo per tutti, e così mangiammo
insieme. Poi volevano le vacche di Adriano, ma le lasciarono
perché servivano a mio marito Mario per portare la roba
alla TODT, presero solo la maiala, che però gli morì
subito e non la potettero portar via.
La sera stavamo tra la concimaia e la cantina, impauriti dalle
cannonate. Arrivò la zia Concetta che ci raccontò
come a Castagneto ci fosse un urlio, da sembrare il giorno del
castigo, mentre al nostro orto c'era Giulio, scappato, che cercava
un tizio.
Ai tedeschi avevamo chiesto, io e la nonna, di rimanere a casa,
perché ero incinta e non potevo camminare. Un tenente
ci disse di non rimanere per fare la spia, di ripararsi in una
buca e stare zitte, che avrebbero fatto saltare le strade.
Tutti quelli che erano da noi scapparono al rifugio, al Bagnolo.
Allora io e la nonna andammo a Castagneto, dove avevano preso
la Gina, che lì avevano fatto delle buche per ripararsi.
Quando mi videro furono stupiti, e dissero che se mi succedeva
qualcosa non erano in grado di aiutarmi. Allora io e la nonna
andammo a casa della padrona a chiedere ospitalità, c'era
il Modi, e andammo in cantina.
Arrivarono alcuni tedeschi, uno venne a chiedere uova, la padrona
disse di non averle e lui, non convinto, girò per tutta
la cantina, riempiendo l'elmetto perché ne aveva trovate
tre dozzine. Ritornò dalla padrona e le disse:
"Tu donna cattiva!"
perché aveva mentito e le ordinò di cuocerle tutte,
anche se era di più di quanto occorrevano. Le fecero cuocere
alla Maria. Poi videro un pane e vollero anche quello.
Ci misero in una stanza tutti a sedere, e mentre mangiavano ogni
tanto si alzavano per controllarci e, a turno, sparavano fuori..
Gli americani erano al Fredducio a cento metri da noi. Poi arrivarono
le cannonate, dalla parte di Castagneto.
In seguito venne Valeria, una fiorentina, a dirci che erano in
arrivo gli americani che masticavano le gomme, e che poi si fermarono
anche da noi; andammo a dirlo a quelli del Bagnolo.
Ai pioppi del Bandini c'era scritto "mine", ma non
era vero niente.
Gli americani salivano per Monte Calvi, li vedevamo dalle finestre;
la Beppina ci dava di imprudenti, le schegge cascarono nel campo
di Adamo e una di queste, dalla porta, andò a rifinire
in cantina. Mi nascosi sotto il letto, una bomba fece una buca
nell'orto davanti alla casa.
Un soldato tedesco disse al Giuliani e ad Aldo di fare una buca,
e quando credevano aver finito ingiunse loro di proseguire. Anche
a Giulio, che portava una camicina bianca, chiesero di prendere
la pala in mano e aiutarli, ma lui disse di essere malato. La
buca sarebbe servita al tedesco per ripararsi.
Quando arrivarono gli americani, fu fatto loro festa, la chiesa
fu abbellita di veccie; avevano tanta roba, anche la
nonna ne prese. Quando gli americani andarono a Lumena, lasciarono
ogni ben di Dio, pantaloni, maglie, lenzuoli, calzini, ci rivestimmo
tutti.
Una volta andammo al Mandrocco, verso Cignano, c'erano accampati
gli americani, avevo già partorito, e un americano mi
offrì dello zucchero se andavo a prenderlo; si offrì
di andare la nonna, ma lei non la vollero, perché era
vecchia, l'americano, un donnaiolo voleva me. La sera gli americani
venivano nelle nostre cantine, e facevano la corte alla Margherita,
allora presi la fede mia e la misi al suo dito, perché
la credessero sposata. E poi il fratello fece una '"scarattata"
a un americano più audace.
Un indiano mi portò molte pezze per il mio bambino e anche
per la Concetta.» |
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I ricordi riportati
sono tratti da "TESTIMONIANZE" di Lanfranco Villani e gli "amici
di Fagna" edizioni Tip. Toccafondi
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