ROMA AL TIMAVO

APPUNTI DI RICERCA

Indice

 

UNA TERRA DI GROTTE

Giuseppe Fuso

"Se una grotta, erosa profondamente la roccia, tiene sospeso un monte, non costruita dalla mano dell'uomo ma da cause naturali incavata a tanta ampiezza, l'animo tuo è colto da un sentimento religioso." Seneca, Epist. 41,3.


Seneca, filosofo vissuto nel I secolo d.C., ci tramanda queste parole che ben fanno intuire il senso di meraviglia e soggezione che coglie, oggi come secoli fa, ogni uomo di fronte alla manifestazione della potenza della natura. Molteplice d'altra parte è l'utilizzo che l'uomo ne ha avuto: fin dagli albori della vita, il rifugio naturale ove potersi riparare è la caverna. A tale scopo è servita a tutti i popoli che ci hanno preceduto, compresi i Romani. Al semplice riparo, magari solo occasionale, si è affiancato il loro uso come abitazione, deposito o luogo di culto, ai quali si affianca l'uso meno comune di raccolta delle acque di stillicidio.
L'ingresso delle caverne carsiche è generalmente nascosto, stretto ed in discesa. Malgrado queste difficoltà sono molte le caverne che in epoca romana furono abitate, per lungo tempo o saltuariamente, utilizzate come ricoveri da pastori o per brevi soste da viandanti, oppure consacrate come luoghi di culto, valga per esse l'esempio eclatante della grotta del Mitreo e della grotta perduta di Mosci. In tal senso, il ritrovamento di cocci romani, frammenti di vasi, piccoli oggetti o qualche moneta, testimonia in molte caverne del nostro Comune, la loro frequentazione durante tutto il periodo romano.

Ingressi di una caverna a Visogliano



BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE

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Tempus Edax Rerum


"Il tempo che divora ogni cosa"

I RINVENIMENTI NELLA GROTTA ALESSANDRA (MONTE ERMADA): NOTA PRELIMINARE

Annalisa Giovannini

La caverna nota con il nome di "Alexanderhöhle", "grotta Alessandra", registrata nel catasto delle cavità del Friuli - Venezia Giulia come "grotta II presso la fermata ferroviaria Duino - Timavo", si apre sulle falde dei rilievi che culminano con la vetta del Monte Ermada, a circa 20 km in direzione Nord Ovest da Trieste, e a poca distanza dal fiume Timavo.

L'ingresso, costituito nella conformazione originaria da un pozzo della lunghezza di m 4, è situato ad una quota di m 152 s.l.m., mentre la cavità, formata da due gallerie che corrono parallele, si estende per uno sviluppo di m 192: tale era l'aspetto evidenziato nella prima esplorazione della struttura naturale, avvenuta nel 1900 sotto la direzione del Principe Alexander von Thürn und Taxis e con la partecipazione di Karl Moser, effettuata mediante un'apertura nella volta della caverna iniziale.
Nell'ambito della prima guerra mondiale la grotta ha subito rilevanti cambiamenti morfologici per i lavori condotti da truppe austro- ungariche, volti, secondo modalità codificate nella prassi militare, ad adattare le cavità del Carso triestino e goriziano con caratteristiche favorevoli a ricovero di soldati e munizioni. In particolare, venne aperta, come riscontrato nel corso di una esplorazione condotta nel 1986 ad opera dell'Associazione XXX ottobre CAI - Trieste, una galleria artificiale della lunghezza di m 10, che alterò gravemente l'ingresso naturale, mentre all'interno delle gallerie parallele vennero fatte brillare delle mine, che distrussero anche parte del pavimento originario, allo scopo di ampliare lo spazio a disposizione; furono anche scavati nuovi passaggi e fissate alle pareti delle prese, ancora in situ, per ancorare le scale usate negli spostamenti da una all'altra delle gallerie.
Come si è accennato, la prima esplorazione avvenne nel 1900: al 1901 risalgono le pubblicazioni di un resoconto di Karl Moser, concernente i risultati di uno scavo intrapreso alla base del pozzo d'ingresso, costituiti dal ritrovamento di una lucerna fittile e di numerosi frammenti di anfore di epoca romana, nei quali si riconosceva la pertinenza a tipi di forma allungata, con anse impostate verticalmente e fondi desinenti in puntali. Non vennero registrati materiali di epoche antecedenti.
Anche il riesame condotto sulla grotta nel 1986 ha portato al rinvenimento di materiale archeologico: tra il pietrisco di superficie venne notata la presenza di frammenti ceramici ed anforacei. La raccolta e le successive operazioni di restauro hanno condotto alla ricomposizione parziale di tre recipienti e al riconoscimento di suppellettile di mensa in terra sigillata chiara.
Nel corso di ulteriori rilevamenti si pervenne alla scoperta, su una superficie non intaccata da operazioni di guerra, di due concentrazioni di monete, poste a circa tre metri di distanza l'una dall'altra: il primo gruppo, formato da 39 pezzi, venne ritrovato sotto le pietre alla base del cono detritico del pozzo di accesso, il secondo, composto da 60 elementi, era sepolto a ridosso della parete.

Passando ad una breve disamina, di carattere meramente esemplificativo, delle casistiche di fruizione in cui rientrano le cavità carsiche con reperti di età romana, detiene un alto indice di frequenza la grotta- rifugio, mentre la sua diretta promanazione, la grotta- abitazione, si registra quando le caratteristiche ambientali particolarmente favorevoli per sicurezza hanno consentito un'occupazione protratta nel tempo.
Caratteristico è in ambedue i casi il ritrovamento di recipienti anforacei e di vasellame di mensa, con l'indicazione di una risposta alla necessità primaria di ammassare scorte alimentari, come l'olio, che oltre a servire da bene edibile veniva indubbiamente usato, come indica la frequente scoperta di lucerne, per l'illuminazione, e il vino, il quale, pur tenendo conto che la temperatura interna delle grotte rimane costante, poteva servire da corroborante.
Categoria peculiare è quella della grotta sacra, che deriva la sua natura da un particolare intendimento del frequentatore, che, come nel caso della caverna di Mosci - anch'essa devastata da operazioni belliche del I conflitto mondiale- giunge a consacrarla al culto di una divinità non appartenente al pantheon romano, la quale nel paese di origine del dedicante godeva di un culto sotterraneo. Alla divinità della grotta di Mosci, rimasta sconosciuta per la mancanza della menzione nell'aretta votiva, va accostata quale forza divina da adorare in ambiente catactonio il dio Mithra, il cui culto è stato praticato nella stessa zona dell' Alexanderhöhle, in una caverna (VG 4204), sita a m 50 di quota sull'Ermada, al cui interno sono stati rinvenuti i resti dei banconi e del rilievo del dio tauroctono, elementi essenziali nella pratica religiosa.
La presenza di un mitreo in tale area è stata interpretata come testimonianza di vita spirituale in relazione alla presenza stabile di una guarnigione militare nel castellum Pucinum citato da Plinio (NH III, 127), identificato con l'insediamento romano localizzato presso il castello di Duino dagli scavi condotti nel 1982, con interessanti connotazioni specie riguardo il momento dell'impianto cultuale, individuato alla fine del I sec. d.C.
I segni di distruzione violenta della struttura sacra vengono posti nella prima metà del V secolo: alla definizione del dato cronologico concorrono la presenza di terra sigillata africana e le più tarde delle circa quattrocento monete messe in luce, che indicano Arcadio e Onorio quali autorità emittenti utili a circoscrivere il terminus post quem. L'evento racchiude l'intrinseco segno di un indebolimento della comunità mitraica operante nella zona. Data la matrice militare, la principale causa è stata individuata nella sconfitta subita dalle forze romane al Timavo per mano di Alarico agli scorci del 401, nel tentativo di fermare la marcia gota verso Milano e, allo stesso tempo, di distoglierla da Aquileia, considerata la natura di postazione detenuta dall'insediamento duinate, castellum di "difesa in profondità" nell'ambito dei Claustra Alpium Iuliarum.
Come si cercherà di enucleare, risulterebbe strettamente legata a tale temperie storica la grotta Alessandra, già con scarso credito interpretata come ultimo rifugio dei mitrasti: essa si sta rivelando un importante elemento per l'effettiva ricomposizione al Timavo dello scontro fra le armate antagoniste nell'ambito della discussione sulla cosiddetta "geografia poetica", nata dai versi di Claudiano (de bello gothico, 558, 563).
Il materiale recuperato nel 1900 e nel 1986 indicherebbe un'utilizzazione della cavità quale rifugio in una situazione di disagio e pericolo, secondo modalità ampiamente riscontrate in senso spaziale riguardo al periodo tardo antico, le quali trovano risposta anche nella formazione di abitati d'altura, con connotazioni sia civili che militari. In quest'ottica, la presenza di due concentrazioni di monete, ubicate in punti che potevano essere facilmente ricordati e ritrovati, è da interpretare come gruzzoli volontariamente nascosti e per ragioni contingenti non più recuperati. Infatti, anche se è largamente attestato il rinvenimento di monete in caverne ritenute sacre, da interpretare come offerta votiva - caricata verosimilmente di intenti propiziatori nei confronti dell'entità sovrannaturale, qualora si consideri l'accezione beneaugurante attribuita alla moneta viene nel mondo romano -, è da notare, in tale caso, che esse coprono un ampio spazio temporale, e che caratteristica peculiare risulta una presenza sparsa su tutta l'area, come suggeriscono esempi eclatanti, quale la stessa grotta del Mitreo, e, esulando dalla regione carsica, anche cavità delle Alpi francesi.
Un confronto immediato per la presenza di un ripostiglio monetale in una grotta è offerto dal rinvenimento di 48 monete nel ramo Nord delle grotte di Costozza nel vicentino, custodite entro un recipiente fittile, il cui occultamento è stato posto in relazione alla seconda calata di Alarico in Italia e collocato cronologicamente al 408. Altro caso, di notevole interesse, si ravvisa nella caverna che si apre sulla collina che domina Angera, sul Lago Maggiore, già nota come "Antro mitriaco", dove, nel 1916 si rinvenne un insieme di 265 monete che cronologicamente giunge agli inizi del V secolo. Alcuni interventi operati sulla cavità, all'epoca letti in chiave cultuale, vengono ora legati all'utilizzazione della stessa quale rifugio abitativo in epoca tardo romana, con l'installazione di attività artigianali legate al ferro, mentre i nominali, visti come tesoretto, sarebbero stati occultati in momenti di crisi legati alle incursioni gote.

Il materiale anforaceo scoperto nell'Alessandra durante le indagini del 1986 riporta, per la conformazione dei frammenti atti all'identificazione della tipologia, e soprattutto in base alla ricostruzione parziale di due esemplari, al tipo Keay XXV, i cosiddetti "contenitori cilindrici di medie dimensioni tardo imperiali", di produzione africana, forse da localizzare nella Bizacena e Zeugitana, databile in un periodo compreso tra la fine del III e il V secolo, ampiamente attestati negli scavi aquileiesi. In particolare, il riconoscimento di particolari conformazioni dell'orlo "a corolla" riconduce alla variante G, il cui inquadramento è stato circoscritto tra la fine del IV e la prima metà del secolo successivo.
Seppure in assenza di riscontri precisi, sembrerebbero riferirsi allo stesso tipo di anfore anche le descrizioni fornite da K. Moser sui frammenti rinvenuti durante la prima esplorazione della cavità.
Dalla ricomposizione operata sul materiale archeologico dell'Alexanderhöhle è stato possibile appurare anche la presenza di un'anforetta micacea Agorà MR 3, pertinente a traffici commerciali con l'area orientale, la cui produzione andrebbe posta in varie zone della Turchia, quali Sardis e forse Efeso. In base alle associazioni, che riportano tutte ad un orizzonte tardo, l'inquadramento dell'esemplare -possibile in un arco temporale compreso tra I e fine IV secolo- va ristretto alle ultime fasi, anche considerando la struttura non ovoidale, ma fusiforme del ventre, ritenuta elemento discriminante.
Tali contenitori, di capacità limitata, oscillante da uno a due litri circa, erano adibiti, anche in base a resti di iscrizioni tracciate su di essi, al commercio di vino pregiato, variamente aromatizzato, talvolta ottenuto anche da mele o cotogne. La presenza di questo contenitore nella grotta potrebbe essere ipoteticamente collegata al desiderio oppure alla necessità di poter usufruire di liquidi dalle particolari proprietà, tonificanti o medicamentose o forse taumaturgiche, come lascerebbe intendere anche la sua consistente utilizzazione in contesti tombali quale veicolo del refrigerium, secondo un costume che in base al tracciato dei ritrovamenti appare generalizzato.
La presenza di merci importate dal bacino del Mediterraneo si inquadra nel panorama commerciale imperniato sulla via Gemina, che da Aquileia portava a Tarsatica con una diramazione verso Tergeste, un punto della quale, reso nevralgico dalla protezione del mare alle spalle, era costituito proprio dalla postazione localizzata a Duino: a tale proposito è da notare la preferenza accordata all'occupazione di cavità che si aprivano sui costoni carsici a ridosso del percorso viario, in risposta forse, oltre alla primaria necessità di verificare e controllare situazioni contingenti imperniate sulla direttrice, all'effettivo bisogno di procurarsi rifornimenti.
Passando ai due ripostigli monetali, si privilegerà in questa sede, data la natura preliminare del contributo, un discorso di carattere generale, atto a fornire una visione globale.
Ambedue mostrerebbero di essere stati deposti in semplici buche, considerata l'assenza anche di resti mineralizzati di cuoio o stoffa sui tondelli; le monete si presentano in stato di conservazione mediocre, con segni di degrado dovuti, specie sui nominali appartenenti alle ultime emissioni deposte, alla cattiva qualità della lega, come ampiamente testimoniato.
Qualora si adotti come referente la griglia cronologica della periodizzazione operata negli studi diretti da Giovanni Gorini sulla circolazione monetale nella Venetia durante il IV secolo, si ottengono le seguenti corrispondenze:

- dal 348 al 364 (Costantinidi): due fel temp reparatio FH3 (352- 361), zecca di Aquileia e zecca non identificabile; due spes reipublice (355- 361), zecche non identificabili;

- dal 364 al 378 (Valentiniani): un securitas reipublicae (364- 378), zecca di Arles (?);

- dal 383 al 388 (rivolta di Magno Massimo): nessun esemplare;

- dal 388 al 402 (ascesa di Teodosio, primo episodio di Alarico): tre victoria auggg (383- 387), due dalla zecca di Roma, una da zecca non identificabile; trentotto salus reipvblicae.2 (388 -400/402), tredici dalla zecca di Aquileia, tre dalla zecca di Roma, due da Costantinopoli, venti da zecca non identificabile.

Su 109 monete, quindi, è stato possibile, dopo le operazioni di pulitura e restauro, procedere alla lettura degli elementi costitutivi solo per 46 nominali: rimane da precisare, però, che i restanti pezzi apparirebbero attribuibili, per modulo e peso, ad emissioni avvenute negli anni finali del IV secolo.
In base ai dati ottenuti, la composizione dei due gruzzoli testimonia un accumulo incentrato su monete databili fra il 388 e il 400/402: 37 pezzi, in particolare, appartengono al tipo salus reipublicae.2 della classificazione LRBC, le cui emissioni - a differenza delle altre zecche interessate alla battitura, nelle quali essa si ferma al 395-, sarebbero continuate ad Aquileia e a Roma sino ai primi anni del V secolo, rispettivamente 402 per Aquileia e 408 per Roma. Di recente, però, è stata indicata un'unica data, individuata nell'anno 400 circa, per la cessazione del tipo in ambedue le zecche, elemento che si inserisce nella composizione dei gruzzoli in esame. In essi, infatti, la peculiarità è data proprio dall'assenza di un salto cronologico e quantitativo fra quello che può essere definito il "corpo centrale" e le emissioni che chiudono l'insieme: al contrario, corpo centrale ed emissioni di chiusura coincidono ed i nominali anteriori sembrano essere stati assemblati piuttosto quali residui di circolazione.
Nessuna moneta risulterebbe, neppure considerando elementi residui sui tondelli non leggibili, posteriore alle emissioni salus reipublicae.2: particolarmente significativa ai fini della scansione cronologica dell'interramento appare l'assenza di coniazioni del tipo urbs roma felix, che, in base, agli studi, seguono in successione quelle salus reipublicae. 2, collocandosi nel periodo compreso tra 404 e 408.
Tali caratteristiche accomunano i gruzzoli dell'Alessandra ai ripostigli localizzati nell'attuale Slovenia, quale Jereka I e Jereka II e, scendendo in direzione Sud- Ovest, Ljublijana- insula XXXI, Ljublijana- insula XXXIII e Most na Soci I e Most na Soci II, a ridosso quindi dell'Isonzo. Seguendo la direttrice occidentale, si trovano i gruzzoli di S. Basilio e Trecenta (Rovigo), Costabissara e Alte Ceccato nel vicentino, e, sia pure con prudenza, Milano- via Santa Maria Fulcorina.
In tal modo viene a delinearsi una successione geograficamente consequenziale che ricalca il percorso seguito da Alarico nel corso del 401, quando, in concomitanza con le operazioni di Stilicone in Norico e Rezia contro gruppi di Vandali, i Goti abbandonarono le sedi in Macedonia per muovere verso l'Italia, dove, stando alle indicazione dei Fasti Vindobonenses Priores, comparvero il 18 novembre del 401, percorrendo la pianura padana fino a Milano. Se già agli inizi del marzo dell'anno successivo Stilicone, aprendosi il passaggio sull'Adda, impedì l'assedio della capitale, l'accento va posto, come si è già fatto cenno, sulla menzione da parte di Claudiano del "vulnus" al Timavo.
Tale episodio, a prescindere dalle indicazioni fornite dalla grotta Alessandra, sembrerebbe esulare dalla cosiddetta "geografia poetica" già sulla scorta di alcune considerazioni di carattere strategico, inerenti specie alla presenza archeologicamente accertata nell'area delle bocche del Timavo di due postazioni fortificate, in significativo collegamento visivo, poste l'una sul sito dell'attuale castello duinate, come si è detto, e l'altra sul colle di Castellazzo, sul ciglio occidentale del Vallone. Ciò conduce ad individuare nell'avvicinarsi di Alarico lungo gli assi stradali che nella zona trovavano un punto focale di controllo e nell'approssimarsi qui, per le predette ragioni, di uno scontro, la causa primaria di pericolo per cui genti del territorio scelsero di trovare rifugio in una cavità naturale e di procedere ad una tesaurizzazione di emergenza.
Le dimensioni ridotte dei due ripostigli non permettono ampie discussioni di carattere economico -monetario: tuttavia, vanno tenute in conto le osservazioni sull'irrorazione capillare di numerario éneo notata in Italia settentrionale nel IV secolo, affluito dalla zecca a ciò particolarmente deputata, vale a dire Aquileia, ma anche dall'Italia peninsulare, cioè da Roma, aspetto rispecchiato anche dalla composizione dei gruzzoli dell'Alessandra.
Qualora si consideri che la principale fra le motivazioni del fenomeno - che implica un effettivo dinamismo economico dell'area, in vista di transazioni per cui necessitavano piccoli tagli - è stata individuata nella concentrazione di apparati burocratici e di elementi militari nella Valle Padana, le presenze al Timavo di postazioni e di gruzzoli monetali composti da monete con tali caratteristiche si compenetrano in un insieme dalle peculiari sfumature di significato.



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Tempus Edax Rerum


"Il tempo che divora ogni cosa"

I REPERTI IN BRONZO
DEL POZZO DEI ROMANI

Michel Feugère


Nel 1973 veniva scoperto al Villaggio del Pescatore un inghiottitoio il cui sgombero, effettuato a cura di alcuni soci del Gruppo Speleologico Flondar, portò al rinvenimento di alcuni oggetti di bronzo, qui di seguito descritti, in associazione con resti ossei attribuibili a due individui di età adulta.


La scoperta dei 18 dischetti di bronzo, in associazione con un asse repubblicano della fine del II sec. a.C., pone principalmente un problema d'identificazione. L'insieme contiene dieci dischi di c.ca 42/43 mm di diametro ed otto di c.ca 18/23 mm.
Uno dei dischi "grandi" è fornito del bottone tipico per il fissaggio su cuoio; sei presentano soltanto tracce di stagno di forma circolare o pseudo-quadrangolare, che possono indicare un tipo di fissaggio oggi sparito, del quale va tuttavia sottolineata la fragilità. Tre, infine, conservano un chiodo ripiegato, originalmente fissato su un sostegno organico, il cui spessore può essere ricondotto anche ad un indumento di cuoio.
Sembra lecito supporre che tutti questi oggetti fossero in origine fissati su un supporto unico, di cuoio o di tessuti misti (cuoio / stoffa), sulla cui natura ci si può interrogare: cintura? corazza? Malauguratamente, dei due indumenti in oggetto, l'ultima non è realmente documentata, dopo la messa a punto del Russel Robinson; e del cingulum tardo-repubblicano, non si conosce, oggi, quasi nulla.
Le rappresentazioni più antiche, relative all'altare di Domizio Enobarbo ed alla stele del centurio Minucius a Padova, datate rispettivamente alla fine del II sec. a.C. ed agli anni 44-43 a.C., non riportano ornamenti od applicazioni di qualsiasi forma o natura.
Davvero, la diversità di fissaggio riscontrata sui dischetti del Pozzo dei Romani non suggerisce la loro assegnazione ad un oggetto lineare come un cingulum..: allo stato attuale, sembra più prudente aspettare dei confronti che possano forse, un giorno, illuminaci sulla natura di questa scoperta.

Borchie rinvenute nel "Pozzo dei Romani"


BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE

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H. RUSSEL ROBINSON 1975, The Armour of Imperial Rome, London, pp.169 e ss.

Tempus Edax Rerum


"Il tempo che divora ogni cosa"

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