SCUOLA

RITORNO AL FUTURO


1.Il limite dell'insegnamento

Nonostante i cambiamenti in atto, la scuola attuale (statale e privata) si basa ancora su un modello di tipo ottocentesco, centrata su ordinamenti ancora prevalentemente caratterizzati da cicli di studi articolati per classi, un conseguente insegnamento con percorsi d’istruzione uguale per tutti, obiettivi e quote nazionale dei curricoli e relativo monte ore obbligatori, orario obbligatorio annuale complessivo dei curricoli, rigidità del tempo e dell’organizzazione del lavoro scolastico, autoreferenzialità della scuola, prove ed esami che sanciscono il loro giudizio con l’emissione di titoli di studio con valore giuridico e fiscale.
In tutto ciò le persone, pena la ripetizione o l’esclusione dalla scuola stessa, non possono che adeguarsi a tale sistema.
Questo modello, nato dopo la rivoluzione industriale, doveva alfabetizzare e istruire la popolazione per rispondere alle esigenze ed ai problemi di una società industriale.
Oggi in una società post industriale le esigenze ed i problemi sono cambiati, dunque anche la scuola deve cambiare. Ma come?
E’ difficile dare un risposta adeguata, perché bisogna porsi prima una fondamentale domanda: quale relazione esiste tra l'insegnamento ed il comportamento umano?
A tale proposito citiamo un racconto di TOLSTOJ, I tre eremiti dai Ventitré racconti:
"Durante una traversata, un vescovo che voleva insegnare la parola di Cristo in terre lontane, avvistata un’isola, chiede di visitarla. Lì incontra tre eremiti.
VESCOVO: come servite Dio? Che cosa fate per salvarvi l’anima?
I TRE EREMITI: non lo sappiamo, come si serve Dio. La sola preghiera che conosciamo è: "Tre voi siete, tre noi siamo, abbi pietà di noi."
Il vescovo sorride ed impiega il resto del giorno ad insegnare ai tre il Padre Nostro.Il vescovo ritorna alla nave e riparte.
Quando è buio, il vescovo siede a poppa guardando il mare dove l’isola è scomparsa.Improvvisamente vede qualcosa sulla scia luminosa che la luna disegna sul mare. Sono i tre eremiti che corrono sfiorando appena l’acqua.
Quando gli eremiti raggiungono la nave, parlano tutti e tre all’unisono:"Non ricordiamo niente della preghiera che ci hai insegnato. Insegnacela di nuovo!
Il vescovo si fa il segno della croce e dice a loro: "La vostra preghiera giungerà al Signore, uomini di Dio. Non ho niente da insegnarvi. Pregate per noi peccatori!"
Commentiamo questo racconto con una massima di GOETHE:"In principio era l’atto".
Quindi non un sapere, ma azioni e reazioni primitive sono ciò che è vitale per la formazione dei concetti e il successivo sviluppo della conoscenza.
La riflessione e la concettualizzazione partono dai fatti e dal vissuto delle persone e ad essi continuamente ritornano.
D’altra parte come non c’è l’uomo “in generale”, così non c’è un sapere ”generale” dell’uomo; infatti, il comportamento umano è da leggere in funzione di troppe variabili psicologiche, biologiche, ambientali, sociali e tecnologiche per descriverlo come un processo lineare in funzione della conoscenza.
Una persona vive nel concreto la sua esperienza di vita quotidiana: non basta acquisire una certa conoscenza teorica per determinare un certo comportamento. Tra la conoscenza e il comportamento umano c’è di mezzo la vita di una persona.
E’ più semplice affermare che è la vita nella sua complessità a svolgere una funzione educatrice del comportamento umano.
Etimologicamente “insegnare” vuol dire “segnare dentro” cioè lasciare un segno nelle persone. E’ assurdo che nella scuola si pretenda ancora, secondo le forme e i modi programmati dall’insegnamento, di educare le persone partendo da una conoscenza teorica e prestabilita, senza considerare il vissuto delle persone.
Una nuova scuola deve essere consapevole di questo limite.

2.Il problema della scelta

L’uomo è chiamato all’esercizio della possibilità e della scelta; ad essere autore consapevole del progetto del proprio esistere.
La libertà di esistere per l’uomo è affidata al rischio continuo della scelta; da un lato la fatalità, dall’altro la libertà di decidere di fronte ad essa. "L’artista è l’uomo che danza incatenato", citiamo NIETZSCHE, per affermare che vi è in tutto ciò un’arte della vita per un atteggiamento agonistico di fronte a questo gioco esistenziale fatto di regole ferree e di spazi per impostare l’azione.
Ma la scelta implica la conoscenza. L’uomo possiede un impulso, desiderio naturale verso la conoscenza (etimo greco di studio); egli è predisposto ad apprendere conoscenze nell’esperienza pratica o teorica.
Quindi il processo di apprendimento dovrebbe utilizzare lo studio per la crescita personale, facilitando la percezione delle proprie attitudini, motivazioni ed interessi, in modo da sviluppare l’orientamento sulle opportunità che l’ambiente può offrire per la propria realizzazione.
In realtà nella scuola accade l’incontrario, il processo di insegnamento prevale su quello di apprendimento, diventa un fine invece di essere un mezzo per studiare.
C’è un racconto che illustra in modo efficace gli effetti paradossali di una scuola che privilegia la "funzione strumentale delle discipline" e non le finalizza all’autoformazione delle persone, in modo da sviluppare capacità decisionale di scelta.  "Gli animali un giorno decisero di aprire una scuola; si riunirono per definire le materie, i programmi, i tempi e i metodi d'insegnamento.
Gli uccelli proposero il volo come materia di studio, i pesci il nuoto, gli animali di terra la corsa e così ogni animale perorava la causa delle materie in cui riusciva meglio e pretendeva che fossero incluse nel programma. Alla fine per non far torto a nessuno si decise di accettare tutte le proposte e di mettere nel programma tutte le discipline.
La cosa assurda, però, la fecero quando decisero di imporre a tutti gli animali di studiare tutte le materie.
La lepre riusciva benissimo nella corsa, era bravissima in questa materia, ma il Consiglio di classe sostenne che lei si dedicava troppo intensamente alla corsa e trascurava il nuoto, il volo ed altre importantissime materie di studio.
Il Consiglio così decise che la lepre, nel suo interesse e per il suo bene, dovesse imparare a volare. La misero sul ramo e quando la lepre si convinse a saltare giù, si ruppe una gamba così che non poté più correre spedita come prima.
Il Consiglio di classe alla fine dell’anno la valutò con un "buonino" nella corsa; in compenso le diede "sufficiente" nel volo, in considerazione della buona volontà dimostrata.
Una situazione analoga sperimentò l’usignolo; sapeva volare e cantare benissimo ma l’insegnante pretese che imparasse a scavare tane e così poverino provò e si ruppe le ali ed il becco e non poté più cantare e volare così bene come prima. Finì per prendere "discreto" nel volo e nel canto e la "sufficienza" nello scavare tane, data la buona volontà. Gli animali che riuscirono meglio in quella scuola sembra che fossero quelli che non avevano qualità spiccate in nessuna materia perciò riuscivano a cavarsela e a raggiungere la sufficienza in tutte le materie"
Quello che serve veramente nel processo educativo, come ci suggerisce il racconto, non è quantificare gli apprendimenti ottenuti, ma quello che una persona sarebbe in grado di imparare nel caso in cui l'occasione di apprendimento gli venisse offerta realmente in base al suo potenziale (capacità, valori, interessi, stile personale).
Educare etimologicamente deriva da "educere, composto da ex "fuori" e ducere "condurre, guidare, tirare"; letteralmente significa "fare venire fuori".
Per cui, non si può insegnare l’educazione a qualcuno, si può solo aiutarlo a scoprirla dentro di sé, cioè farla venire fuori.
Il vero educatore non è l’insegnante che impone un dato comportamento all’allievo, ma colui che l’aiuta a valorizzare il modo personale di sentire, immaginare, pensare.
L’unica educazione possibile è quella di guidare il soggetto nella direzione di un'autoformazione, necessaria per sapere gestire liberamente, con autonomia e responsabilità, le proprie scelte di vita.

3.L'autoorientamento

Un sistema scolastico centrato sull’insegnamento, classe, curricoli disciplinari e titolo di studio, perde il suo ruolo essenziale che è quello di essere un servizio per le persone e diventa un obbligo o una costrizione per chi vuole apprendere.
Prima della rivoluzione industriale l’apprendimento si sviluppava con i maestri nelle botteghe d’arte e mestieri e, per chi se lo poteva permettere, con un precettore in casa.
In entrambi i casi si seguiva un progetto formativo personalizzato e sia il maestro sia il precettore avevano più la figura del tutore che dell’insegnante.
Non venivano dispensati titoli di studio, ma i "docenti" valorizzavano le motivazioni e le attitudini dei loro allievi, svolgendo essenzialmente un ruolo di guida o esperto da consultare.
Nella società attuale, sempre più complessa e frammentaria, dove gli individui, smarrito il senso dell’appartenenza, cercano di sviluppare la propria personalità, è senza dubbio ingombrante una scuola che pretende di formare i cittadini secondo illusorie finalità generalizzate per tutti.
E’ arrivato il momento che ognuno possa responsabilmente "prendersi la vita nelle sue mani" e che l’educazione diventi essenzialmente educare le persone all'autorientamento.
Si deve allora ritornare al passato? No, è meglio "ritornare al futuro".
Bisogna come prima cosa, organizzare una scuola, intesa con il significato che aveva nell’antica Grecia, scholé, come "luogo tranquillo dove si può studiare", con la finalità principale di aiutare un individuo ad educare se stesso, attraverso un itinerario personale di studio, dove il docente non è più colui che trasferisce il sapere ma colui che sa essere funzionale al processo di autoapprendimento di una persona.  Oggi, in una scuola per tutti, ciò è possibile anche grazie alle nuove tecnologie ipermediali, interattive, telematiche.
Dunque, una scuola con funzione prioritariamente orientativa, non articolata per classi ma centrata sulla persona e sul suo processo d'apprendimento autonomo, con un titolo di studio delegalizzato, in modo che siano considerate le competenze di una persona su specifici percorsi formativi invece che su interi organigrammi disciplinari.
Questo modello di scuola, ovviamente si scontra con l’attuale concezione del lavoro.
Nella nostra società, si è affermata una modalità di organizzazione dell’esistenza circoscritta alla produzione e al consumo di beni strumentali.
Siamo una società di "funzionari" perché ai singoli individui non si chiede di scegliere e interpretare il proprio lavoro, ma farsi funzione del produrre.
La conseguenza è che il lavoro non è più qualsiasi attività produttiva che un uomo può svolgere, ma è considerato tale solo quando è istituito per fini puramente economici.
C’è bisogno, allora, nel rapporto tra persona e lavoro, di una nuova teoria della professione intesa come "luogo tranquillo dove si può lavorare" alla luce di un personale "progetto di vita" che si vuole realizzare.
Ecco perché istruzione e formazione devono potersi integrare nello stesso percorso.
Ma, affinché una persona possa volgersi verso un progetto di vita compiuto secondo un'interpretazione integrale del proprio essere e dunque anche del proprio divenire, la scuola dovrebbe essere organizzata con i seguenti criteri:

- Riorientamento - processo continuo di autoorientamento

- Integrazione - coniugare insieme formazione ed istruzione

- Personalizzazione - valorizzare il potenziale (capacità e attitudini personali)

- Autonomia - educare all’autoformazione