Ottaviano Augusto:

programma politico e propaganda


Approfondimenti:

Letteratura: il Classicismo Augusteo

Amministrazione statale: il Principato

Storia: Il pricipato di Augusto



Nell'attuare il proprio programma Augusto riuscì ad evitare gli errori compiuti da Cesare nonostante i loro fini non fossero molto diversi.

L'opera politica di Ottaviano Augusto du meno appariscente di quella del padre adottivo ma ben più determinante ed incisiva per il futuro del mondo romano: fu proprio il carattere graduale delle riforme a sancirne il successo.

Il I secolo a.c. era stato sconvolto da gravissime guerre civili e Cesare fu il prodotto inevitabile di una Repubblica ormai deteriorata, una figura autoritaria e carismatica che spesso in situazioni di crisi riesce ad imporsi e prendere il potere. Sbagliò tuttavia nel concentrare neele sue mani troppi poteri in troppo poco tempo, sconvolgendo inoltre le tradizioni romane importando usanze orientali, come la sua stessa mania di divenire un sovrano divinizzato: la società non era affatto pronta per una svolta monarchica.

Il merito di Ottaviano fu proprio quello di intuire che il popolo romano desiderava fortemetne la pace ma non era ancora disposto a perdere la propria identità culturale repubblicana.

Oltre all'arguzia politica indiscutibilmente geniale, un altro fattore fondamentale per il successo di Augusto fu il periodo storico più avanzato: ormai erano pochi coloro che avevano vissuto -e che quindi avevano avuto modo di conoscere- il periodo repubblicano e i superstiti riguardo alla repubblica non ricordavano altro che le guerre civili.

"Era la fine di un secolo di anarchia, culminato in 20 anni di guerra intestina e dittatura militare; se il prezzo da pagare per porre finalmente fine a tutto questo era il dispotismo, non era un prezzo troppo elevato: per un romano amante della patria e di sentimenti repubblicani perfino la sottomissione ad un governo assoluto era minor male che la guerra fra concittadini. La libertà era perduta, ma a Roma soltanto una minoranza ne aveva goduto"3: così commenta in una visione forse troppo rivoluzionaria del programma augusteo lo storiografo R.Syme.

Il despota in questione può però essere distinto in due personalità, l'Ottaviano della fase in cui conquistò il potere con l'illegalità (del resto non c'erano altre vie) e la violenza e l'Augusto del periodo classico in cui il principato aveva ormai sostituito ciò che era rimasto della Repubblica; in realtà è possibile riconoscere anche una terza fase, corrispondente agli ultimi anni di Augusto, di forte intransigenza dello statista dovuta alla seria preoccupazione per la successione e alla morte di importanti figure che lo avevano aiutato come Agrippa e Mecenate.

Il cambiamento istituzionale non si presentò però ai contemporanei come una rivoluzione: l'abilità di Ottaviano rese tutto graduale ed "automatico". Innanzi tutto, una volta sconfitto l'ultimo possibile rivale ad Azio (M.Antonio, 31a.c.), si garamtì la sicurezza mantenendo il controllo personale e diretto delle forze armate: instaurando così un rapporto di stima e fedeltà con i soldati veniva scomngiurato il rischio di pericolose iniziative dei singoli generali.

Il passo successivo fu legalizzare il potere conquistato tramite l'assunzione graduale di magistrature legittime, riconosciute cioè tradizionalmente dall'assetto repubblicano che formalmente non era mai stato (e non sarà mai sotto Augusto) abolito; per le tappe dettagliate di tale operazione istituzionale si rinvia alla sezione dell'Amministrazione Statale.

L'ultimo importante impegno era la costruzione di una potente macchina propagandistica in grado di fare ottenere larghi consensi dalle masse e di celebrare la figura di Augusto; senza dubbio lo strumento più efficace fu in questo campo l'arte in ogni sua manifestazione: letteratura, architettura, scultura. L'arricchimento architettonico dell'Urbe e la rinascita di generi letterari ormai decaduti (l'epica, la satira) sono alcuni dei suoi meriti, fatta eccezione per il teatro, che riconosceva sarebbe stato uno degli strumenti più idonei per la sua propaganda, tuttavia il basso livello degli autori moderni -soprattutto se paragonati ai grandi del passato- determinarono il fallimento del risorgimento teatrale.

La fortuna sorrise ancora una volta al princeps concedendogli la sincera amicizia di Agrippa e Mecenate, importanti collaboratori a cui fu in sostanza affidato il programma di celebrazione.

La propaganda doveva mettere in risalto principalemte due aspetti, che Augusto era dispensatore di pace (Pax Augusta) e che il suo piano era di restaurare la Repubblica (Restitutio Rei Publicae).

Se il merito della Pax Augusta era pienamente legittimo, di certo ben lontano dalle vere intenzioni del princeps era la restauratio, la quale aveva la funzione di nascondere l'immenso programma politico della creazione di un principato.

Restaurare la Repubblica significava riproporre gli antichi sistemi di valori e i costumi delgi avi (mores maiorum); fu così che Augusto attuò numerosi provvedimenti legislativi di natura censoria, come le leggi contro il lusso o contro l'adulterio. Il rinnovamento (ma sarebbe più appropriato il termine "risorgimento") etico fu condotto nell'ambito della religione, della famiglia e dei rapporti con lo Stato.

Furono quindi reintegrati antichi culti al fine di sucitare negli individui quel valore di pietas che spinge al rispetto e all'amore (sia in ambito familiare che in quello pubblico) e farli così tornare a sentirsi cittadini , aventi cioè valore come esseri inseriti in un tessuto istituzionale e non isolati; questo a sua volta avrebbe portato alla riscoperta del sentimento di patria, identificandola però ora solamente con la figura di Augusto.

La celebrazione dei "Ludi Saeculares" costituiscono un esempio di tale programma di restaurazione religiosa: la festa in onore del nuovo secolo era tradizionalmente repubblicana e per l'occasione fu commissionato ad Orazio il Carmen Saeculare, chiara opera propagandistica.

La politica demagogica del princeps proseguì con la smilitarizzazione delle province, ma ancora una volta egli riuscì abilmente ad ingannare le masse e a non scontentare le istituzioni: concesse infatti al Senato le province smilitarizzate ed ormai pacificate, tenendo invece persè quelle in cui erano rimasti stanziati gli eserciti; di fatto così facendo deteneva il potere militare dello Stato.

Lo stesso titolo di "Princeps" fu una trovata propagandistica: guardandosi bene dal ripetere gli errori di G.Cesare rifiutò categoricamente ogni forma di divinizzazione della propria figura ed evitò termini come "rex" o "dominus", tradizionalemtne ripudiati dal popolo Romano dopo la cacciata di Tarquinio il Superbo (simbolicamente l'abolitzione definitiva della monarchia). "Princeps" era invece non un termine ufficiale ma un semplice titolo conferito in passato a personalità eminenti della Repubblica.

In definitiva pochi all'epoca potevano essere sfiorati dal dubbio di venire oscurati da un nuovo padrone, poichè c'era una leggera traccia di autocrazia ma nessuna di dittatura o tirannia: nelle sue "Res Gestae" Augusto scrisse che ciò che lo differenziava dalgi altri dirigenti statali era l'AUCTORITAS, non la potestas. Per auctoritas intendeva prestigio, autorità morale, fama, che nulla (o quasi) aveva a che fare con la potestas, concreti poteri politici; in realtà egli riusci sapientementea concentrare nelle sue mani tali poteri, evitando però di ricorrere a forme drasticamente autoritarie come l'imperium.

Augusto fu positivo ritorno alla pace agli occhi dei contemporanei e rivoluzione nella storia romana a quelli dei posteri.

Nei giorni precedenti la morte di Augusto Tacito descrisse in questo modo la situazione di Roma: "All'interno tutto era tranquillo; i i nomi delle magistrature erano rimasti i medesimi; i giovani erano nati dopo la battaglia di Azio, ed anche gli anziani, per la maggior parte, nel periodo delle guerre civili. Quanti sopravvivevano, ormai, di quelli che avevano visto la repubblica?" (Annales).