PROPOSTA DI LEGGE d'iniziativa dei deputati TREMAGLIA, FINI, TATARELLA, MENIA
Concessione al "Comune di Zara in esilio" della medaglia d'oro al valor militare "alla memoria" dei suoi cittadini che in guerra ed in pace hanno servito la Patria
Presentata il 15 maggio 1996
Onorevoli
Colleghi! - Riteniamo doveroso presentare anche in questa legislatura
la seguente proposta di legge, in quanto l'attualità delle
norme che detta è stata confermata, proprio, dal trascorrere
del tempo, rendendo necessario un suo spassionato esame.
Napoleone, sconfitta
l'Austria nel 1805 ad Austerlitz, con la pace di Presburgo aggregava
la Dalmazia al Regno italico, ed a febbraio dell'anno dopo il
generale Mathieu Dumas, con un "proclama" ne dava l'annuncio:
"Dalmati! L'Imperatore Napoleone, Re d'Italia, Vostro Re, vi rende
alla Vostra Patria. Egli ha fissato i Vostri destini; il Trattato di
Presburg garantisce la riunione della Dalmazia al regno d'Italia...
Bravi Dalmati! Riempite i vostri destini, ripigliate il vostro Rango,
quello degli Avi vostri fra le nazioni, mostratevi fedeli alla Patria
comune, anelanti pel Servizio del Vostro Sovrano, sommessi alle Leggi
sotto le quali Egli ha riuniti li Popoli d'Italia, come membri d'una
sola Famiglia".
Nella
pragmaticità della logica e della storia, Napoleone aveva
ricostituito l'unità di quel bacino adriatico, già
retaggio di Venezia, che per oltre quattro secoli aveva visto la
simbiosi - storicamente consacrata dal motto: "Ti con Nu - Nu con Ti"
che tutto esprimeva - delle genti di Dalmazia con la Serenissima.
Caduto Napoleone,
l'Austria-Ungheria nei suoi cento anni di dominazione in Dalmazia
perseguitò la lingua, la cultura, la tradizione di quelle
popolazioni, favorendo - per gli interni equilibri dell'Impero - la
componente croata.
Ma i dalmati erano
italiani, e lo manifestavano partecipando ai fermenti, alle idee, ai
propositi che maturavano nella Penisola. A Zara, nel 1822,
l'Imperial-regio Governo sottoponeva all'Inquisizione di Stato
venticinque aderenti alla Carboneria, altri venticinque vennero
"adombrati" e sessantaquattro dichiarati "sospetti".
Nel 1848, i giovani
delle città dalmate, all'appello di San Marco, passavano
l'Adriatico e con Niccolò Tommaseo combattevano per la
Repubblica di Venezia. Costituirono la Legione dalmato-istriana.
Cinque caddero nella lotta.
Ma il 1848
significava anche Repubblica romana, e sei dalmati in armi furono
presenti. Fra gli altri Federico Seismit-Doda, poi deputato al
Parlamento italiano, Ministro delle finanze nel Governo di Benedetto
Cairoli (1878) ed in quello di Crispi (1889-1890).
A Curtatone, come
primo tenente del Battaglione "Bande Nere", combattè Marino
Giurovich. Sarà fucilato dagli austriaci a Livorno quale
promotore di moti mazziniani.
Ventuno furono i
dalmati che nelle campagne del 1859-1860 s'arruolarono nell'esercito
italiano o indossarono la Camicia rossa. Fra gli altri, Marco
Cossovich, già tenente della Guardia Nobile alla difesa di
Venezia, che combattè a Calatafimi ed a Palermo. Uno dei pochi
che Garibaldi ricorda nominativamente nel suo libro I Mille.
Nella terza guerra
d'indipendenza, Giorgio Caravà, da Tenìn (Zara),
comandò il 5^ Reggimento Granatieri. Promosso generale divenne
aiutante di campo di Re Umberto. Con lui, altri ventiquattro dalmati
combatterono in quella campagna. Giovanni Ivancich, da Spalato,
guardiamarina sul Re
d'Italia, moriva a Lissa.
* * *
Mentre
nella penisola si chiudeva il ciclo risorgimentale, Zara doveva
affrontare la lotta per la difesa della sua italianità.
L'Austria, nel 1866, perduto il Veneto, vedendo sorgere un'Italia
dove l'ansito unitario coinvolgeva ed aggregava le popolazioni, e
paventando ulteriori fermenti disgregatori nella compagine
dell'Impero, iniziò la metodica snazionalizzazione di quanto
d'italiano esisteva in Dalmazia.
Per Vienna fu una
scelta politica di salvaguardia, ma nella quale si inserì la
componente croata dell'Impero asburgico che intendeva aggregarsi la
Dalmazia e, per la forza del numero, diventare la terza componente di
quell'Impero che si era articolato nella duplice monarchia d'Austria
e di Ungheria.
In quegli anni,
inoltre, i croati, dopo secoli di acquiescente sottomissione
all'Austria, cominciavano a ricercare una propria identità
storica, e sotto la spinta dei nascenti nazionalismi europei, si
richiamavano a lontani precedenti dell'alto medio-evo per legittimare
le loro aspirazioni sulla Dalmazia.
Aspirazioni che
Vienna sfruttò sospingendo i croati a slavizzare la Dalmazia.
Accontentandoli nel loro nazionalismo, sostanzialmente se ne serviva
per coartare l'elemento italiano ritenuto - non a torto - preminente
pericolo per l'Impero. Ma non consentì mai l'aggregazione
della Dalmazia alla Croazia.
Primo obiettivo della
pressione croata fu la conquista degli ottantasei comuni che intorno
al 1870 erano retti da amministrazioni italiane, tradizionale
espressione di comunità che, sin dai tempi di Venezia, erano
state costantemente guidate da italiani.
Abbattere le
amministrazioni comunali significava demolire le roccaforti
dell'italianità consentendo ad austriaci e croati - ciascuno
per i propri fini - di incidere sempre più sulla
nazionalità delle comunità stesse.
Fu una lotta
giornaliera, sottile, difficile, fra "annessionisti" croati ed
"autonomisti" italiani, protrattasi sino alla prima guerra
mondiale.
Per poter vincere le
tenaci resistenze l'Austria modificò anche le circoscrizioni
elettorali, aggregando alle città campagne e circondari. Ed i
comuni, nell'arco d'una cinquantina di anni, nonostante ogni
abnegazione, sarebbero caduti tutti, meno il comune di Zara.
Era indispensabile
organizzarsi capillarmente per contrastare questa pressione. E gli
zaratini strinsero le fila, costituendo società politiche,
sportive, di mutuo soccorso, di cultura. Ciascuna divenne centro di
resistenza, di irradiamento, ed anche di provocazione. Due anni dopo
la presa di Roma, la "Società del tiro a segno di Zara"
adottò la divisa del bersagliere italiano. E l'iniziativa
entusiasticamente dilagò a Sebenico, a Spalato, nei più
piccoli centri. Era una affermazione ed una sfida.
La lotta ebbe il suo
arengo nella stampa locale dove - è bene ricordarlo - sino al
1880 circa, i giornali croati venivano pubblicati in italiano.
Sintomaticamente l'Avvenire
di Ragusa, a chi gli
rinfacciava di difendere le idee croate scrivendo in italiano,
rispondeva che: "la università di quelli che leggono giornali
nella Dalmazia ha bisogno di apprendere dall'italiano le
verità slave", poiché non conoscevano altra lingua.
Nel 1866 a Zara vide
la luce il Dalmata,
organo del partito italiano che, fra sequestri e censure,
continuerà la sua battaglia sino agli anni della prima guerra
mondiale. Ed i croati gli opposero il Nazionale,
stampato in italiano, con uno scarno supplemento in slavo. Si
dovrà giungere alla fine del 1878 per leggere la nota
redazionale: "Impiegheremo tutte le nostre forze affinché
nelle nostre colonne a poco a poco sia esclusa anche una sola linea
che non sia tutta nella lingua nazionale", cioè in
serbo-croato.
Negli anni a cavallo
del secolo venne combattuta l'altra battaglia, la più
determinante: quella per la difesa della lingua. Nel 1890 Vienna
aveva deliberato l'istituzione di scuole croate a Zara. E la
popolazione, che immediatamente insorse in una memorabile adunata di
protesta, si organizzò. Con l'aiuto della "Lega Nazionale",
personalmente ciascun zaratino - anno dopo anno - contribuì
all'apertura di nuove scuole, direttamente gestite, temendo che prima
o poi negli imperial-regi istituti venisse meno l'insegnamento sino a
quel momento impartito in italiano.
Nel 1899 a Zara fu
fondata la "Società degli studenti italiani della Dalmazia",
che divenne il braccio operativo del partito italiano. Così,
di fronte alle autorità austriache, si potè
giustificare la costituzione di biblioteche popolari, si potè
- nel nome della cultura - invitare a Zara i più prestigiosi
esponenti della Penisola come Innocenzo Cappa, Alberto Lombroso,
Virginio Gayda, Giulio Caprin, Guido Mazzoni ed altri che, sotto lo
schermo di un titolo letterario, nelle loro lezioni o nelle loro
conferenze portavano alla città la voce della Patria.
Zara manifestava in
tutti i modi la sua partecipazione alle vicende della Madrepatria, e
sentì come un dovere di essere presente a Roma con una propria
rappresentanza alle onoranze funebri per la morte di Re Umberto.
Dirà, un rapporto della polizia austriaca, che: "Anche in
questa città (Zara) le manifestazioni di lutto furono nei
giorni 8 e 9 corrente (agosto) importanti. Mentre nei primi giorni
dopo il tragico avvenimento soltanto il Console italiano issò
la bandiera con crespo di lutto a mezz'asta ed i sudditi italiani
(cioè cittadini del Regno che abitavano a Zara) coprirono le
loro abitazioni e locali d'affari con segni di lutto, una gran parte
dei cittadini (cioè italiani cittadini austriaci) seguirono
tale esempio nei giorni 8 e 9 e specialmente i negozianti delle
principali strade, Calle Larga e Calle S. Maria, dove quasi tutte le
vetrine dei negozi erano coperte da segni di lutto; mentre durante la
Messa funebre nella Chiesa del Duomo al 9 corrente e durante tutto il
giorno i locali erano chiusi". Espressioni di lutto, ma soprattutto
manifestazione d'italianità.
Nel 1909 Vienna
imponeva l'uso della lingua croata negli atti ufficiali. Oltre
cinquecento tra dirigenti ed impiegati di Zara firmarono con il
proprio nome e cognome un "Memoriale" di protesta - Sulla nazionalità italiana della
Dalmazia - diretto al Ministro
austriaco dell'interno.
E la sezione della
"Lega Nazionale", in quell'anno, grazie al comune impegno degli
zaratini poteva vantare, in difesa della lingua italiana, la gestione
diretta di un collegio maschile, di uno femminile, di tre giardini
d'infanzia, d'una scuola elementare mista maschile e femminile, e di
una scuola preparatoria alle medie. Gli insegnanti venivano dalla
penisola. Tessuto connettivo di queste realizzazioni, le sezioni
"segrete" della "Dante Alighieri".
Con la lingua, per i
dalmati era indispensabile salvare anche la tradizione di quella
cultura per secoli appresa nell'università di Padova dove,
annesso il Veneto all'Italia, era sempre più difficile
accedere.
Così, tra gli
studenti delle province italiane dell'Austria sorse prepotente la
richiesta di una facoltà con insegnamento italiano nell'ambito
dell'Impero. Vienna si oppose, e nel novembre del 1904 si ebbero i
fatti di Innsbruck: sui centotrentasei studenti arrestati, sedici
erano zaratini. Poi, i fatti di Graz e di Vienna con altri feriti ed
arrestati.
Nel secondo decennio
del secolo, con le guerre balcaniche, si sentì che qualcosa di
nuovo, anche se ancora indefinito, stava maturando nell'Impero
asburgico. L'impresa italiana di Libia ed il forzamento dei
Dardanelli, sollevarono l'entusiasmo di Zara.
Quanto più
l'Austria comprimeva l'italianità tanto più Zara, in
una orgogliosa battaglia, anche se oramai di retroguardia, cercava di
non perdere ulteriore terreno. E seguiva con sempre più
morbosa sensibilità le vicende internazionali attendendo la
denuncia della Triplice Alleanza da parte di Roma.
A Sarajevo, Gavrilo
Princip esplodeva i suoi colpi fatali ponendo l'Europa di fronte a se
stessa. Zara, in quel 1914, era l'unico comune ancora italiano della
Dalmazia, e visse nell'ansia e nel timore i mesi della
neutralità dell'Italia. Ma venne il 24 maggio.
D'Annunzio, che
sempre aveva inteso il travaglio di Zara, ora separata dalla Patria
anche da un Adriatico divenuto ostile, volle portarle il saluto
dell'Italia. Pianificò un volo sul cielo di quella
città, da lui battezzata "La Santa", per lanciarle un
messaggio. Ma l'impresa non potè aver luogo. Alcuni giorni
prima della partenza il pilota prescelto per portare il Comandante su
Zara perdette la vita in un incidente di volo.
In quel "Messaggio"
il Poeta scolpiva l'animo della città. "Chi più di te
fu coraggiosa e costante, fedele e disperata, nella lotta d'ogni
giorno? Noi lo sappiamo. Noi ce ne ricordiamo. Il popolo di Zara solo
contro tutti, negato dalla Madre e senza lamento contro la Madre, ha
salvato il Comune italiano, ha preservato la figura della nostra
più antica dignità. Nella Dalmazia latina, da schiatte
barbariche iniquamente invasa e usurpata col favore imperiale, il
popolo di Zara ha salvato e confermato il glorioso Comune italico. Ha
mantenuto nel suo pugno il fermento della nostra più antica
libertà... Queste parole che ti gettiamo dovrebbero essere un
canto, perché solo il canto è degno di avvicinarsi alla
tua virtù ed al tuo martirio".
Si può dire
che la città, anche se allora non conobbe il "Messaggio", ne
interpretò lo spirito con i suoi centoquarantun giovani che,
attraversato l'Adriatico, volontari nell'esercito italiano, vestirono
il grigio-verde. Altri trentanove, costretti nell'esercito asburgico,
attesero di essere sulla linea del fronte e, sul Carso, passarono i
reticolati. Meno uno, freddato dal fuoco austriaco nella terra di
nessuno. Disertori dall'Austria combatterono con i fanti di tutti i
comuni d'Italia. Caddero diciannove dalmati, e dodici erano zaratini.
Una medaglia d'oro al valor militare, quella di Francesco Rismondo -
l'"Assunto di Dalmazia" - nove medaglie d'argento, otto di bronzo,
premiarono il loro valore.
Il 4 novembre 1918,
Zara redenta - unica fra tutte le città della Dalmazia -
divenne italiana. Non le altre città, perdute nel naufragio
della diplomazia italiana durante la Conferenza della pace. A
Versailles, Roma non seppe farsi riconoscere dai suoi stessi alleati
i diritti che le derivavano dalla cambiale sottoscritta nel 1915 con
il Patto di Londra e che aveva onorato con 680.000 morti. La
diplomazia italiana naufragò ancora nei negoziati diretti con
i rappresentanti del nuovo Stato dei serbi-croati-sloveni, e venne
firmato il Trattato di Rapallo.
Zara, che per secoli
era stata la capitale della Dalmazia, ora redenta, veniva avulsa dal
suo naturale circondario, ristretta in un territorio che superava
appena la cinta delle mura. Rimase fedele alla propria storica
tradizione e, fra le due guerre mondiali, proseguì nella
missione di guida e di riferimento per gli italiani di Dalmazia
rimasti al di là della sua breve frontiera.
Provincia d'Italia,
partecipò fattivamente alla vita della nazione. Sentì,
come impegno morale verso quei 680.000 fratelli che vent'anni prima
avevano sacrificato la loro giovinezza per redimerla, di dover
rispondere all'appello quando la Patria fu nuovamente in armi. Sei
furono i suoi caduti nella campagna d'Etiopia; tre le medaglie
d'argento e cinque di bronzo le ricompense conquistate. Altri sei
zaratini caddero sui campi di Spagna, nella crociata per la difesa
della civiltà europea. Cinque le medaglie d'argento, due di
bronzo.
* * *
Venne
l'ultima guerra, e la tragedia esaltò la storia di Zara.
Cittadina di 22 mila
abitanti, unica fra tutte le città d'Italia assediata per
più giorni durante la campagna contro la Jugoslavia,
resistette. Nel contrattacco passò il confine.
Nel corso della
conflagrazione, attraverso le classi di leva, i richiami, i
volontari, con i suoi 3.500 combattenti dette un tributo di 324
caduti; più del 9,25 per cento della forza alle armi.
E l'Italia
ricompensò questi combattenti con otto medaglie d'oro al valor
militare, con quarantuno medaglie d'argento, con cinquantadue
medaglie di bronzo, con centoquindici croci di guerra al valor
militare.
A questo sacrificio,
a questo eroismo, purtroppo sterile, si aggiunse l'olocausto della
popolazione civile.
Quando le vicende
della guerra si appalesarono chiaramente favorevoli alle potenze
alleate, Tito chiese che Zara divenisse obiettivo dei bombardieri
anglo-americani. E convinse gli alleati che quel piccolo centro con
un porto ben limitato fosse determinante centro logistico per le
divisioni tedesche nei Balcani.
Gli Alleati gli
credettero: dal 2 novembre 1943 al 31 ottobre 1944, sarebbero apparsi
54 volte nel cielo di Zara. La città, indifesa, venne
letteralmente distrutta nell'82 per cento delle sue abitazioni;
quanto restava era gravemente danneggiato. Tito, con l'inganno, aveva
perfezionato la secolare aspirazione croata. Era stato annientato
anche l'ultimo baluardo della italianità sulla costa orientale
dell'Adriatico.
Sotto quei
bombardamenti non fu possibile annoverare i morti. Probabilmente
duemila persone perdettero la vita. Ma il silenzio di un'Italia
prostrata dalla guerra perduta coprì tanto sacrificio. Venne
anche dimenticato che a Zara un prefetto, Vezio Orazi, ed un capo
della provincia, Vincenzo Serrentino, erano stati uccisi dai
partigiani titini.
A Parigi, alla
Conferenza della pace, nessuno ricordò tanta tragedia. Neppure
a Norimberga.
Quando, nel 1947, il
diktat sanzionò definitivamente la sorte della
città, i pochi zaratini ancora abbarbicati alle macerie,
abbandonarono le rovine delle loro case scegliendo la via
dell'esilio. Troncarono le loro stesse radici, e coscientemente lo
fecero, perché essendo italiani e liberi tali vollero
rimanere.
Esuli in Patria,
donarono ancora all'Italia la vita del giovane Pierino Addobbati,
colpito a morte dalla polizia alleata a Trieste, quando la
città giuliana era contesa.
Perseverarono nella
dedizione, e l'Italia concesse a due zaratini, ufficiali dell'Arma
dei carabinieri, le massime ricompense: al capitano Enrico Barisone,
ferito nella lotta contro il banditismo sardo, la medaglia d'oro al
valor militare; al tenente colonnello Antonio Varisco, abbattuto a
Roma dal terrorismo rosso, la medaglia d'oro al valor civile.
* * *
Superato
il primo travaglio dell'esodo, negli zaratini sorse naturale
l'istinto di ritrovarsi, ed i superstiti nella solidarietà del
dolore cementarono la nuova comunità.
Il 20 settembre 1953,
per la prima volta dopo la diaspora, sull'onda di una
emotività non contenuta, convennero a Venezia, nella loro
città-madre. Fecero il contrappello dei sopravvissuti e
l'appello dei morti.
Da allora, ogni anno,
quegli esuli dispersi nei tanti comuni della Penisola ed all'estero
si riuniscono in un raduno nazionale. Ma subito avvertirono che al
loro ritrovarsi mancava uno scopo. Sentirono che la comunità
non poteva essere la semplice somma di tante presenze e di soli
ricordi. Sentirono di aver in sè una forza viva, vitale per
dimostrare ancora la propria identità. Idee, propositi, che si
plasmarono nella ricostituzione del loro comune.
Era il 1958, e nel
raduno di Napoli, nella sala dei Baroni al Maschio Angioino, gli
zaratini, dopo aver solennemente dichiarato che il comune "si afferma
e si incardina soprattutto nella libera volontà unanimemente
espressa dai cittadini", e di voler, "forti del diritto millenario
della stirpe.... mantenere intatta la tradizione municipale",
plebiscitariamente deliberarono la costituzione dell'Associazione
"Libero comune di Zara in esilio".
Perfezionata
formalmente la deliberazione, per ricomporre "la unità
municipale di un libero comune italico" per "mantenere fra i
cittadini associati gli antichi vincoli di concordia civica,
continuando in Patria il culto delle tradizioni cittadine" per
"rivendicare in nome della storia e della cultura italiana della
Dalmazia, il diritto ad un libero plebiscito per il ritorno alla
Patria dei padri", il 29 settembre 1963, nelle sale del Palazzo
ducale di Venezia elessero il loro primo sindaco.
La forza spirituale
di questo comune, senza territorio - ma con il suo sindaco, la sua
giunta, i suoi consiglieri, con l'anagrafe - che riviveva nel solco
della storia della città, ha dato un senso alla loro
condizione di esuli in Patria.
Però, in
un'Italia dominata "non tanto dalla cultura comunista, ma da quella
pseudo cultura che - come aveva affermato Francesco Cossiga, allora
Presidente della Repubblica, - ci è stata propinata per
quarant'anni, in modo egemonico come cultura democratica", al nome di
Zara spettò l'ostracismo.
Quale non fu la
trepidazione quando, per la prima volta ad un raduno nazionale degli
alpini, e subito dopo dei bersaglieri, quasi di soppiatto, i reduci
di Zara vollero sfilare alzando l'azzurro striscione dove campeggiava
la scritta: "Morti o vivi i Bersaglieri (gli Alpini) di Zara - Pola -
Fiume sono qui presenti". Ignorati dalla televisione, imbarazzati i
Ministri e le autorità, quegli striscioni con il loro
messaggio furono - e lo sono tutt'ora - accolti dall'applauso
istintivo del popolo.
Per decenni il comune
lottò contro la burocrazia per far togliere dai documenti
anagrafici dei propri cittadini quella "Yu" (Jugoslavia) che
marchiava la nascita degli zaratini e degli altri italiani di
Dalmazia. Grazie proprio al MSI-DN, ed alla cosiddetta legge
Pazzaglia, furono finalmente liberati da una errata qualificazione
che li offendeva.
Per superare in
qualche modo l'ostracismo, per far conoscere la propria presenza in
modo più duraturo, il comune fece incidere il nome di Zara sul
marmo di quelle lapidi che riusciva a murare creando o sfruttando i
momenti. Una venne collocata al porto di Ancona, a ricordo dei legami
delle due città dirimpettaie. Un'altra fu scoperta nella
Piazzetta Dalmatica del Vittoriale a Gardone Riviera, dove Gabriele
d'Annunzio ha voluto conservare la prua della Regia Nave
Puglia. Curiosità quasi incomprensibile per gli
italiani di oggi. Per gli esuli, sacrario alla memoria del comandante
Tommaso Gulli e del suo motorista Aldo Rossi, caduti su quella tolda
per mano croata, il 12 luglio 1920, quando la nave si trovava a
Spalato. A Torino, è stata collocata una lapide sulla casa
dove aveva abitato Niccolò Tommaseo.
A Rosolini
(Siracusa), città natale di Vincenzo Serrentino, il comune
consacrò nel marmo il ricordo dell'ultimo rappresentante
ufficiale dell'Italia a Zara, ucciso dai titini, e ad Ercolano, nella
scuola dove insegnava, il sacrificio del professor Vincenzo Fiengo
soppresso a Zara dai partigiani. Un cippo venne eretto a Monte
Zurrone - dove sono ricordati i caduti senza croce - alla memoria dei
tanti anonimi figli di Zara scomparsi nella tragedia della
guerra.
Nel culto dei propri
morti il comune costituì il "Madrinato Dalmatico", affidando
alla pietà di un comitato femminile l'onere di salvare dalla
distruzione il plebiscito d'italianità e di storia espresso
dalle lastre tombali nel cimitero di Zara.
La città amava
ed ha sempre amato il soldato d'Italia che l'aveva redenta, ed il
comune in esilio, interpretando l'immutato sentire dei propri
cittadini, con l'apprezzato consenso degli stati maggiori, ha
consegnato le azzurre drappelle con i tre leopardi al 22^ Battaglione
carri che, nell'araldica del proprio stemma, racchiude quello di
Dalmazia.
Ha gemellato, durante
una particolare cerimonia, la nave San Marco
della marina militare che si fregia del motto dalmatico "Ti con Nu -
Nu con Ti".
Ha concesso la
cittadinanza onoraria della città ai reduci del comando
truppe, poi divisione, "Zara" ed ai reduci del battaglione
Bersaglieri "Zara". Al raduno nazionale dei Bersaglieri di Asti, al
gonfalone del comune di Zara in esilio furono resi gli onori
militari, poiché il battaglione Bersaglieri "Zara" era nato
dal 9^ reggimento, che aveva la propria sede ad Asti.
Gli zaratini, consci
che la loro identità è - e farà - parte della
storia d'Italia, anche quando i protagonisti di questi eventi non
più esisteranno, attraverso il comune ed il loro giornale, lo
Zara, con personale contributo di tutti e di
ciascuno, a Venezia, presso la chiesa dei Santi Giorgio e Trifone,
dove sin dal 1451 ha sede la "Scuola Dalmata" voluta dalla
Serenissima, hanno ristrutturato un intero stabile trasformandolo nel
loro museo-archivio. E lì, con documenti, libri, cimeli donati
dagli esuli stessi vive la incontrovertibile testimonianza della loro
storia, della cultura dalmata. Completa, in tal modo, l'altra
testimonianza racchiusa negli undicimila volumi della biblioteca
Cippico-Bacotich, conservata dalla gelosa cura del Senato della
Repubblica.
Intorno al comune
hanno gravitato le altre iniziative degli esuli. Ha rivisto la luce
La Rivista
Dalmatica, nata a Zara nel
1899, edita a Roma dall'Associazione nazionale dalmata che, con la
regolarità dei suoi fascicoli trimestrali, dopo novantacinque
anni di attività, si allinea oggi fra le più vecchie
riviste d'Italia. E' risorta la Società Dalmata di storia
Patria, fondata a Zara nel
1926, attiva a Venezia con le sue periodiche monografie, con le sue
tornate di studio.
Gli zaratini, dal
1953, sono fra loro collegati dal periodico Zara, cui
va il merito d'aver mantenuto vivo lo spirito della città,
raggiungendo anche le comunità degli esuli all'estero, con le
quali il comune mantiene un continuo contatto. A Sidney, a Brisbane,
a Melbourne, dove si sono organizzate in circoli dalmatici, a Toronto
in Canada, negli Stati Uniti, oltre ai concittadini in America
Latina. Impegno non indifferente, che costituisce una delle
attività più attentamente seguite dal comune.
Proprio nei giorni in
cui insorgeva il conflitto serbo-croato, per la munificenza di uno
zaratino, a Zara è stato consacrato il ricostruito santuario
della Madonna della Salute, centro di devozione della città,
integralmente demolito dai bombardamenti dell'ultima guerra.
Da Ancona, via mare e
via terra sono state inviate a Zara centinaia di tonnellate fra
viveri, indumenti, medicinali, raccolti dal comune. Gli esuli,
umanamente sensibili, superando ogni barriera politica e la
tragicità di ricordi sofferti in prima persona, hanno inteso
soccorrere quanti si trovano nella loro città, nuovamente
martoriata da una guerra.
* * *
Nel
1992, a settembre, gli zaratini si sono riuniti ad Assisi nel loro
38^ raduno nazionale. Hanno riconfermato come loro sindaco lo
"stilista" Ottavio Missoni, nato a Ragusa, educato a Zara. Su sua
proposta l'assemblea dei cittadini, nella città del Santo
patrono d'Italia, ha approvato un documento che facciamo nostro.
Dopo aver ringraziato
l'allora Presidente della Repubblica Cossiga, per le parole
pronunciate sull'incrociatore Garibaldi;
dopo aver ricordato il travaglio della città nella sua storia,
la tenace fedeltà all'Italia dei suoi cittadini, il loro
apporto in pace ed in guerra; dopo aver espressa la sentita
gratitudine alla Patria per le ricompense al valore individualmente
concesse ai propri figli che nel combattimento hanno esaltato il
proprio credo, ha chiesto: "che il Governo italiano voglia ricordare
anche il sacrificio dei tanti militari e civili anonimamente caduti,
soppressi, dilaniati dalle bombe, annegati, fucilati, con la
concessione di una medaglia d'oro cumulativa "alla memoria" della
città di Zara che, nel travaglio coscientemente affrontato in
nome della Patria, ritiene di averne legittimamente titolo".
* * *
Onorevoli
Colleghi!
Se
un Presidente della Repubblica si è inginocchiato davanti alla
grande lastra tombale di Basovizza, onorando quei caduti senza nome
troppo a lungo ignorati, siamo convinti che la Camera dei deputati,
oggi, ben possa deliberare la concessione al comune di Zara in esilio
di una medaglia d'oro "alla memoria" dei suoi cittadini che con il
loro sangue hanno impregnato le macerie della città perduta in
un patto che, confermando la storia, trascende gli eventi.
* * *
I
dati riportati in questa relazione sono stati ripresi, in
particolare, dal volume Per
l'Italia - Centocinquanta
anni di Storia
dalmata, che raccoglie quanto
Zara ed i dalmati hanno dato all'Italia. Documentazione necessaria
per valutare i momenti e le circostanze che presiedono alla
concessione della massima ricompensa al valor militare.
Il volume è da
considerare come essenziale parte integrante della presente
relazione, e come tale viene parzialmente riprodotto in calce alla
stessa per la necessaria e più completa conoscenza degli
avvenimenti da parte degli onorevoli colleghi.
Una copia del citato
volume è stata già depositata nella scorsa legislatura,
a cura dei proponenti, negli uffici della Segreteria generale della
Camera dei deputati, ed altra copia, non appena la proposta di legge
avrà completato il proprio iter,
sarà trasmessa a cura dei proponenti alla commissione militare
cui compete l'esame dei titoli per la concessione delle ricompense al
valor militare.
* * *
Onorevoli
Colleghi!
Affidiamo
alla Vostra sensibilità questa proposta di legge, che conferma
alla nostra storia il sacrificio e la dedizione di una
comunità che ha sempre onorato l'Italia.
Si allegano con il consenso dell'autore,
avvocato Oddone Talpo, alcuni brani estratti dal volume
"Per l'Italia - Centocinquanta anni di storia dalmata -
1797-1947", Editrice
periodico Zara,
1987.
Parte prima
I FEDELISSIMI SCHIAVONI DELLA SERENISSIMA
E L'ULTIMA DIFESA CON VENEZIA
1796- La
Serenissima, minacciata da Napoleone, chiama a raccolta le milizie
Oltramarine. Convengono a Venezia 11500 Schiavoni, al grido di
"Viva San Marco! Viva
il nostro Principe!".
6 luglio - Nelle vicinanze di Verona, un drappello di
Schiavoni disperde un reparto di militi napoleonici. Il generale
francese Massena protesta. Il Provveditore Foscarini disarma gli
Schiavoni di stanza a Verona. Per protesta, uno Schiavone va in giro
con in dosso il solo camiciotto. A chi, ironicamente, gli chiede se
sentisse caldo, rispondeva: "No!
ma finché Principe non darà mia arma, mi no voler
so abito!".
Gli
Schiavoni presidiano Vicenza, Padova, Poveglia. Al comando del
dalmata Antonio de Galateo e del colonnello Giorgio Antonio
Matutinovich, da Spalato, difendono il forte di Brondolo. Altri 4000
sono schierati fra Fusina, Marghera e Campalto.
1797- Gli
Schiavoni, al comando del tenente Mazarovich respingono un tentativo
dei francesi contro Salò.
17 aprile - "Le Pasque Veronesi". Con i cittadini combatte
un reparto di Schiavoni ed i "soldati Oltramarini menano
strage degli avversari". In
soccorso di Verona giungono il generale Antonio Stratico ed il
capitano Antonio Paravia, ambedue nativi di Zara, con altri
Schiavoni.
Tre
battelli da guerra francesi cercano di forzare il canale del Lido. Il
conte Alvise Viscovich, da Perasto, al comando della goletta
Annetta Bella abborda il Libérateur d'Italie. L'equipaggio dei perastini, "infierendo contro il nemico, menava strage
completa". Fu l'ultimo
combattimento della Serenissima sul mare.
6 maggio - Nella incertezza che pervade il Maggior
Consiglio, Francesco Pesaro, Procuratore di San Marco, grida al Doge
Ludovico Manin: "Tolé su
el Corno e andé a
Zara".
Nelle
giornate dal 6 al 12 maggio, gli Schiavoni presidiano Venezia. Sono
sui burchi pronti a sbarcare. Lungo la Riva vigilano 150 Bocchesi in
armi.
12 maggio - Ultima seduta del Maggior Consiglio per
deliberare sui "Da mò di
Massima" (decreti). Si procede
in una indescrivibile confusione. Manca il numero legale. Una scarica
di fucileria, saluto a Venezia dei reparti Schiavoni che si stavano
imbarcando, sconvolge i Patrizi. Al grido di "sia mandata la Parte" (votazione) le decisioni sono approvate.
In Piazza
San Marco Bocchesi e Schiavoni, innalzano ancora una volta il
Gonfalone della Serenissima.
* * *
Gli
Schiavoni venivano ingaggiati da ufficiali detti 'capo-leva'. Il contratto di arruolamento aveva la durata di
sei anni. La statura minima per l'accettazione era di m. 1.62, e
l'età dai 17 ai 40 anni.
Erano
suddivisi in 11 reggimenti, contraddistinti dal nome del colonnello,
o del centro di reclutamento più importante da cui provenivano
gli effettivi.
Ogni
reggimento era composto da nove compagnie, salvo quello di Signo. Ne
aveva undici, per la maggior importanza del territorio di leva che
comprendeva Signo, Spalato, Salona e Clissa.
Ogni
reggimento era formato da 485 uomini, per cui ciascuna compagnia
risultava di 54 militi. In tempo di guerra il loro numero era
raddoppiato.
Per la
formazione degli ufficiali degli Schiavoni Venezia aveva istituito a
Zara, sin dal 1740, una Accademia Militare.
LA DEPOSIZIONE DELLE INSEGNE DI SAN MARCO
IN DALMAZIA
A ZARA
Il 1^
luglio 1797, verso le ore 15, alla Cittadella ed in Piazza delle
Erbe, vennero ammainate le insegne di San Marco.
I
vessilli, raccolti da due capitani, e con la scorta di alcune
compagnie in armi, furono portati in Piazza dei Signori, dov'erano
schierate le Milizie Venete.
Le
insegne, affidate al sergente generale Antonio Stratico, furono prese
in consegna da due colonnelli, uno dalmata ed uno veneziano.
Da Piazza
dei Signori, fra il tuonare delle artiglierie, lungo la Calle Larga,
seguite dai reparti in armi e dal popolo tutto, vennero portate nella
Cattedrale di Sant'Anastasia, e poste sull'Altar Maggiore.
Narra
Lorenzo Licini, testimone oculare, che "nel
terminare della funzione ascese
sulla detta ara il sergente
generale Antonio Stratico, che
con lacrime baciò le indicate venete
bandiere, il che fu eseguito da tutti gli Offiziali nazionali
(dalmati) ed italiani, al numero di 160;
ai quali seguì quantità di popolo
dell'uno e dell'altro sesso;
e talmente delle lacrime
rimasero bagnati i vessilli, come se fossero
stati immersi nell'acqua, quali si conservano nella sacrestia".
A PERASTO
Il conte
Giuseppe Viscovich, capitano di Perasto, deponendo nella chiesa le
insegne di San Marco, alla presenza di tutte le milizie e di tutto il
popolo - era il 22 agosto 1797 - pronunciò il seguente
discorso:
"In sto amaro momento, in sto ultimo sfogo de
amor, de fede al Veneto Serenissimo Dominio, al Gonfalon
della Serenissima Repubblica, ne sia de conforto, o
Cittadini, che la nostra condotta passada, che quella de sti
ultimi tempi rende più giusto sto fatto fatal, ma
virtuoso, ma doveroso per
nu.
Savarà da nu i nostri fioi, e la storia
del zorno farà
saver a tutta l'Europa che
Perasto ha degnamente sostenudo
fino all'ultimo l'onor del
Veneto Gonfalon, onorandolo co sto atto
solenne, e deponendolo bagnà del nostro
universal amarissimo pianto.
Sfoghemose, Cittadini, sfoghemose pur, ma in sti
nostri ultimi sentimenti, coi quali sigilemo la nostra
gloriosa carriera corsa sotto el Serenissimo Veneto
Governo, rivolgemose verso sta insegna che lo rappresenta
e su de ela sfoghemo el nostro dolor.
Per 377 anni la nostra fede, el nostro valor,
l'ha sempre custodia per terra e per mar, per tutto dove ne
ha ciamà i so
nemici che xe pur quelli della
Religion.
Per 377 anni le nostre sostanze, el nostro
sangue, le nostre vite, le xe stae sempre per ti, o San
Marco, e felicissimi sempre s'avemo reputà. Ti co
nu, nu co ti; e sempre con ti sul mar nu semo stati illustri e
virtuosi. Nissun con ti n'ha visto scampar, nissun con ti
n'ha visto paurosi.
Se i tempi presenti, infelicissimi per
imprevidenza, per
dissension, per arbitrj
illegali, per vizj offendenti la natura e
el gius delle genti non te avesse tolto dall'Italia, per ti in
perpetuo sarave stae le nostre sostanze, el sangue, la vita
nostra, e piuttosto che véderte vinto e desonorà
dai toi, el coragio nostro, la nostra fede se
averave sepelio soto
de ti.
Ma za che altro no ne resta da far per ti, el
nostro cor sia l'onorata to tomba, e el più puro e
el più grande to
elogio le nostre
lagrime".
Il
conte Viscovich, deponendo le insegne, s'inginocchiò davanti
all'Altare, e rivolto al piccolo nipote che gli era accanto,
disse:
"Inzenocite anca ti; bàsile, e
tiénile a mente per
tutta la vita".
* * *
CON NAPOLEONE PER IL REGNO D'ITALIA
1805-1814
IL PROCLAMA DI NAPOLEONE AI DALMATI
Il
19 febbraio 1806, il generale di divisione Mathieu Dumas lanciava da
Zara il "Proclama"
di Napoleone ai Dalmati.
"Dalmati! L'Imperatore Napoleone, Re d'Italia,
Vostro Re, vi rende alla vostra Patria. Egli ha fissato
i vostri destini; il Trattato di Presburg garantisce la
riunione della Dalmazia al Regno d'Italia
(...).
Bravi Dalmati! Riempite i vostri destini,
ripigliate il vostro Rango, quello degli Avi vostri fra le
Nazioni, mostratevi fedeli alla Patria comune, anelanti
pel Servizio del Vostro Sovrano, sommessi alle Leggi sotto le
quali Egli ha riuniti li Popoli d'Italia come membri d'una
sola Famiglia".
* * *
LA LEGIONE REALE DALMATA
Con
decreto del 31 maggio 1806, dato da Saint Cloud, Napoleone costituiva
una "Legione in Dalmazia"
composta da quattro
battaglioni, che porterà il nome di Reale
Legione
Dalmata'.
Metà
degli Ufficiali venivano tratti dall'Armata d'Italia, l'altra
metà dai nativi della Dalmazia.
I
regolamenti di disciplina ed amministrativi erano gli stessi
dell'Armata d'Italia.
I due
primi battaglioni avevano il loro Consiglio
d'amministrazione'
(centro di reclutamento o
deposito) a Zara; gli altri due a Spalato.
La Reale
Legione Dalmata venne organizzata dal generale di brigata
Milossevich.
La
Legione, in seguito (8 gennaio 1808), prese il nome di
"Reggimento Reale Dalmato"
e partecipò alle
campagne del 1809-1810 contro l'Austria; del 1812 in Russia; del 1813
in Prussia.
Il
Reggimento fu sciolto il 18 agosto 1814.
(Omissis).
Seguono i nominativi degli ufficiali del "Reggimento Reale Dalmato".
* * *
DALLA CARBONERIA AL RISORGIMENTO
1813-1847
I DALMATI E LA CARBONERIA
Le sette dei "Guelfi" e dei "Greci del
Silenzio"
"Giuro
al Dio degli Eserciti, ed a Te Sommo Terribile di tenere custodito
nel profondo del mio cuore il segreto che io rilevo.
Giuro di
prestare assistenza ed ajuto, tanto con la vita, quanto con le
proprie sostanze a' miei Cugini.
Giuro di
prestare ajuto a difesa per l'Indipendenza e Costituzione
Italiana.
Ed in
fine giuro di esterminare gl'inimici sotto pena di esser trucidato,
ed il mio corpo venga dato alle fiamme e la mia cenere rimanga preda
al vento, e così estingua ogni mia memoria".
(Giuramento della setta dei
"Guelfi")
* * *
"Lo scopo dei Carbonari è lo
sconvolgimento e la
distruzione di tutti i
Governi.
Quello dei 'Greci del Silenzio' è lo
stesso.
Quello dei 'Guelfi' è la liberazione
dell'Italia dagli
attuali
Governanti".
(Da
una "Relazione redatta dall'I.R. Presidente del Tribunale d'Appello
della Dalmazia, in Zara, Giovanni Nepomuceno Vlach, per il conte
Venceslao Vetter nobile di Lilienberg, Governatore della Dalmazia" 15
gennaio 1834).
* * *
"La Setta dei Carbonari apparisce sia stata
introdotta in Dalmazia alla fine dell'anno 1813 o al
principio del 1814
dall'isola di Lissa, che si
trovava allora sotto il Governo
Britannico e che era l'asilo dei
faziosi di varie nazioni, i
torbidi progetti dei quali
furono distrutti col cangiamento politico
allora avveratosi.
Infatti li Vincenzo e Giulio fratelli Solitro di
Spalato furono aggregati alla Carboneria in Lissa verso
la fine del 1813, ivi ebbe le prime Comunicazioni Vito
Nicolich da un Uffiziale Inglese, ed in quell'epoca a Lissa
dimorava Pietro Gadola di Graz, che può ritenersi uno dei
primi che in Zara
abbia per questa Setta
aggregato.
A Lissa, poi, nel 1814 si ridusse, per quanto
sembra espressamente, per disseminare la Setta de'
Carbonari, certo
don Pasqual Cibotti da Casal
Bordino vicino Pesaro, medico di professione, il quale è indiziato come
l'aggregatore alla
Setta medesima di Francesco
Negretti, ora defunto. Ivi
soggiornarono pure per qualche
tempo anche li francesi Pinel
ed Ippolito Bertrand, che si
calcolavano avere idee esagerate dei
sistemi francesi, ed essere Capi Massonici. Dicesi che
in Ancona sia stato arrestato il Bertrand nell'anno
1818 come promotore di Sette.
Contemporaneamente apparisce dagli atti, che
siensi sparsi per la Provincia anche degli emissari di
questa Setta, mentre Antonio Franzoni negoziante da Venezia
oltre all'aver fatto associare in Puglia Gio. Papali,
procedente da colà,
venne in sua compagnia a Zara, e
vi fece, per quanto consta
fino ad ora, due aggregazioni
Carbonici; Gio. Menini da
Barletta arrivò quasi
contemporaneamente a Zara, ed è indiziato
d'aver fatto degli aggregamenti Carbonici, delle associazioni alla Setta de' Greci, manifestando
le ree tendenze contro il buon ordine e la
tranquillità d'Italia".
(Dalla
"Relazione dell'origine e dello stato dell'Inquisizione costruita in
Zara contro la Società de' Carbonari" a firma del barone de
Billemberg, consigliere - Zara, 9 settembre 1822).
(Omissis).
Seguono i nomi degli inquisiti sospetti Carbonari.
* * *
PER LA DIFESA DI VENEZIA
1848-1849
LA LEGIONE DALMATO-ISTRIANA
La Legione Dalmato-Istriana venne costituita per iniziativa di un Comitato formato dai dalmati, don Luca Antunovich, don Luca Lazaneo, Pietro Naratovich, e dall'istriano Matteo Petronio che, il 14 novembre 1848, lanciarono il seguente proclama:
AI GIOVANI DALMATO-ISTRIANI
che non militano ancora
sotto la Bandiera della Indipendenza Italiana
"Il caldo desiderio da Voi esternato,
giovani valorosi, nel 22 marzo, di formare una
legione Dalmato-Istriana, per combattere in campo aperto
l'austriaca tirannide, verrà esaudito, tosto che Voi
accorriate sotto il
vessillo tricolore italico
dell'indipendenza.
(...) Arruolati sotto lo stendardo
dell'Italico riscatto, ed organizzati in legione
Dalmato-Istriana,
diverrete la potenza armata ed
operosa contro l'austriaco
dispotismo, che in ogni maniera
si sforza, nei suoi aneliti
estremi, di carpire la
nazionalità perfino ai popoli da esso fin'ora
tormentati.
No, l'Istria e la Dalmazia marittima, non sono,
non possono essere, non saranno mai germaniche o
slave, ché non lo
consentono natura, né la
storia delle politiche loro vicende, non la
lingua, la religione, i costumi.
Il bel paese italiano non finisce al di
quà dell'Adriatico, ma sulle opposte sponde pur si
distende, e la barriera mal vietata delle Alpi è
separazione che la natura
pose tra le vandaliche masnade
dei barbari e la civiltà
dell'italo, dell'istriano e del
dalmata suolo.
Accorrete quindi senza indugio, accorrete
numerosi sotto le sospirate bandiere della santa guerra
d'Italia, ed efficacemente cooperando alla redenzione di
questa invidiata,
e perciò dai selvaggi
straziata penisola, coopererete del pari alla
redenzione dell'Istria e della Dalmazia.
All'armi, giovani generosi, all'armi; la Patria
vi chiama e vi incita. Il giorno della completa
indipendenza italiana,
sarà giorno
dell'emancipazione, pur anche dalmato-istriana, dalle
branche crudeli dell'esecrata bicipite aquila austriaca!
Viva l'Italia! Viva San Marco!
ANTUNOVICH - LAZANEO - NARATOVICH - PETRONIO
(Omissis).
Seguono i nomi dei volontari, dei caduti, dei feriti, dei proscritti dall'Austria.
* * *
I DALMATI NEL RISORGIMENTO
IL 1848 IN DALMAZIA
A ZARA
Il
18 marzo 1848, alle prime notizie dei moti insurrezionali di Vienna,
la popolazione di Zara si riversa per le calli e per le piazze
inneggiando alla libertà ed all'Italia.
Il 22
marzo, mentre il barone von Fluck, commissario di polizia, abbandona
la città, settecento zaratini, al comando del conte Francesco
de Borelli, si costituiscono in Guardia Nazionale.
La
Guardia Nazionale, oltre ai poteri di pubblica sicurezza, assume
anche quelli amministrativi, e come propria bandiera adotta il
Tricolore d'Italia.
I
dalmato-italiani, inquadrati nel reggimento "Wimpffen" al comando del
colonnello Sirtori, sono pronti ad insorgere al segnale di
Venezia.
Niccolò
Tommaseo, alcun tempo dopo, scrisse di non aver dato l'atteso segnale
poiché:
"non avendo Venezia né
legni da difendere la lunga costa, né
armi da mettere in mano a' volonterosi, né danaro, non
dico da premiarli ma da sfamarli (...), quel popolo
disgraziato rimaneva preda, non solo dell'Austria, che ci
avrebbe avventati a rapina i Croati e attizzata la
guerra civile (...)
ma preda alla Russia distendente
la sua rete di ferro su tutta
la gente slava".
A SEBENICO
La
notizia degli avvenimenti di Vienna arriva il 23 marzo. Tremila
persone percorrono la città e fanno una imponente
dimostrazione davanti alla casa natale del Tommaseo.
Vengono
innalzate le vecchie insegne di San Marco.
NELLE ALTRE CITTA' DALMATE
A Spalato, il 23 marzo, il popolo scende in piazza con una entusiastica dimostrazione. La Municipalità vota, in Consiglio comunale, l'unione a Venezia. Analogamente a Ragusa ed a Cattaro.
* * *
Se
il 25 marzo 1848 la Dieta croata di Zagabria chiede all'Imperatore
"una nuova e più salda
unione in ogni senso
del Regno di Dalmazia, nostro
per legge e per storia, al Regno di Croazia
e Slavonia", i dalmati fanno
immediatamente sentire la loro risposta.
Guidati
da Antonio Grubissich, di Spalato, rettore della chiesa italiana di
Vienna, diressero all'Imperatore "in
nome dei loro connazionali una
pubblica e solenne
protestazione contro
qualsivoglia proposta o deliberato che venisse
fatto in nome della Dalmazia, senza l'intervento di persone da
essa deputate a legalmente rappresentarla".
Il 29
marzo, Spalato chiese di condividere le sorti del Lombardo-Veneto, e
non quelle della Croazia.
Inoltre
la Municipalità di Spalato rispose a quella di Zagabria che le
aveva fatto pervenire un invito, scritto in lingua slava,
perché aderisse all'unione della Dalmazia alla Croazia, che:
"La Dalmazia è italiana;
un solo cittadino di
Spalato, che ne conta 12.000,
è stato capace di tradurre le vostre
onorevoli parole".
* * *
DALMATI ALLA DIFESA DI ROMA
A CURTATONE
(Omissis).
Seguono i nomi dei volontari.
* * *
NELLE GUERRE D'INDIPENDENZA E PER LA DIFESA DELL'AUTONOMIA IN
DALMAZIA
A
Zara e negli altri centri della Dalmazia, i cittadini di quegli
ottantasei comuni, tutti amministrati da podestà italiani,
sentivano incombere il confronto con i croati.
Nei
riguardi dell'imperial-regia polizia non si ebbero atti di violenza,
ma una costante e strisciante affermazione d'italianità.
Si
sfoggiavano i cappelli alla Cavour, i fazzoletti e le cravatte alla
Garibaldi, i ventagli alla veneziana, si ostentavano decorazioni di
San Marco e di Napoleone.
Se vi
erano delle manifestazioni, non avvenivano più nel nome di San
Marco. Ora il grido era "Garibaldi e Vittorio Emanuele".
In quel
1859, non era più possibile un afflusso di volontari, come a
Venezia nel 1848. Tuttavia, zaratini e dalmati presero parte alle
campagne della seconda guerra d'indipendenza con Garibaldi e con
l'esercito Sabaudo.
(Omissis).
Seguono i nomi dei volontari nelle campagne del 1859-1860.
* * *
LA PRIMA DIETA DALMATA
LA DIETA DEL "NON ACCOGLIMENTO" 1861
Con
la patente del 5 marzo 1860, l'Austria aveva istituito un Consiglio
dell'Impero "rinforzato" da rappresentanti regionali. Convocato a
Vienna, nel settembre di quell'anno, i croati chiesero l'annessione
del Regno di Dalmazia a quello di Croazia.
Insorse
il deputato conte Francesco de Borelli, di Zara, che, parlando in
italiano, decisamente affermò: "Nego che
alcuno abbia diritto di sorta
sulla Corona del Regno di
Dalmazia".
L'8
aprile 1861 furono istituite le Diete regionali. Quella della
Dalmazia era composta da quaranta deputati elettivi e da due membri
di diritto: l'arcivescovo cattolico, monsignor Giuseppe Godeassi, ed
il vescovo ortodosso monsignor Knesevich.
Le
elezioni si svolsero nella contrapposizione degli "autonomisti",
italiani, e degli "annessionisti", croati. Gli "autonomisti"
conquistarono ventinove seggi.
(Omissis).
Seguono
i nomi dei componenti la prima Dieta Dalmata.
Fra i
deputati "autonomisti" vi erano due serbi, l'avvocato Spiridione
Petrovic, ed il vescovo ortodosso, monsignor Knesevich.
Nella
seduta del 18 aprile 1861, l'imperial-regio commissario,
stabilì che la Dieta dovesse procedere:
"alla scelta dei deputati i
quali avranno a perpetrare il
quesito dell'unione della
Dalmazia alla Croazia e Slavonia, colla
Dieta di questi due Regni".
Il
deputato autonomista, Federico Antonio Galvani, in risposta
all'imperial-regio commissario, presentò la mozione:
"La proposta governativa sulla
nomina ed invio dei
deputati a Zagabria per trattare
sul quesito dell'annessione,
non sia svolta tanto per la
forma, quanto per la inopportunità dell'annessione stessa".
La
mozione, posta ai voti, venne approvata con ventisette voti
favorevoli e tredici contrari.
Il
corrispondente da Zara dell'Osservatore triestino telegrafava: "L'entusiasmo è immenso, la città
è in festa".
* * *
LA TERZA GUERRA D'INDIPENDENZA
1866-1867
Con
la guerra del 1866, l'Austria pose in stato d'assedio le città
della Dalmazia, poiché sentiva vigoroso fra quegli italiani il
convincimento di una prossima Redenzione.
A
Spalato, gli italiani avevano preparato i tricolori, ed erano pronti
ad accogliere l'arrivo delle navi d'Italia.
Un
ufficiale della squadra italiana aveva portato a Giorgio Giovannizio
- che a Spalato, in assenza di Antonio Bajamonti, guidava il partito
degli "autonomisti" - un messaggio dell'ammiraglio Carlo Pellion
conte di Persano.
Un
telegrafista, dall'isola di Lèsina, teneva informata
l'ammiraglia italiana dei movimenti della flotta austriaca.
Sui campi
di battaglia della Penisola, altri dalmati erano presenti alla
lotta.
Ma la
giornata di Lissa (20 luglio 1866) fu fatale per l'italianità
della Dalmazia.
Da quel
momento, i dalmati autonomisti dovettero iniziare la loro dura,
tenace battaglia per resistere e sopravvivere all'incalzare dei
croati sostenuti ed incitati da Vienna.
(Omissis).
Seguono i nomi dei combattenti nella Terza Guerra d'indipendenza.
* * *
PER LA DIFESA DELLA SCUOLA ITALIANA
1890
Il
6 novembre 1890, gli "annessionisti" croati, alla Dieta dalmata,
fanno approvare una mozione per la istituzione di scuole croate in
Dalmazia.
La
reazione popolare è immediata. A Zara si costituisce un
Comitato, sotto la presidenza del podestà Nicolò
Trigari, per elevare le più ferme proteste.
In
città viene diffuso il seguente manifesto:
"Concittadini,
il sei novembre sarà scritto con dolore
negli annali della patria nostra!
In quel giorno la maggioranza della dieta
provinciale esprimeva un voto all'i.r. governo per la
mutazione delle nostre scuole italiane in scuole
slave.
Noi dobbiamo tutelarci con tutte le nostre forze
dell'anima contro questo voto, che disconosce i nostri
diritti, che viola
lo statuto, che lede il nostro
sentimento nazionale.
La storia di tutti i tempi è per noi:
scuole slave entro
le mura della nostra ducale
città non esistettero mai; gli avi nostri
hanno adoperata, e nei pubblici e nei privati negozi, sempre la
lingua italiana; e noi, non degeneri eredi dei nostri
maggiori, vogliamo mantenuto questo santo retaggio -
lo vogliamo in nome della costituzione, che ci
conforta a difenderlo e a non permettere che da nessuno
venga manomesso giammai.
Noi abbiamo applaudito alle nobili e strenue
parole che a sostegno della lingua e civiltà nostra
fecero i nostri deputati: abbiamo coronato delle nostre
acclamazioni la provvida risoluzione votata ad unanimità
dal patrio municipio.
Importa però che la
reazione, così legittimamente iniziata, non per
anco s'arresti.
Domenica, 30 novembre, alle ore 11 a.m., il
Teatro Nuovo sarà aperto per noi. Ivi conveniamo
tutti in patriottico
comizio: l'amore ardentissimo
per la lingua dei nostri padri
colà indistintamente ci
chiami, la difesa di questa nostra lingua
dolcissima colà ci raccolga.
Nessuno deve mancare!
I nostri forti campioni, i coraggiosi patrioti
del nostro consiglio municipale hanno ancora una volta
diritto agli applausi di tutta Zara italiana; il voto fatale
del sei novembre ha d'uopo ancora di una legale, solenne
protesta da parte nostra; l'i.r. governo non dev'essere in
dubbio sui sentimenti della nostra
città.
Concittadini!
Sappiamo di combattere una grande battaglia; ma
convinti della giustizia della nostra causa, affratellati
all'ombra di quella sacra bandiera della patria nostra, resa
immortale da tanti secoli di storia gloriosa, ci arride la
speranza che trionferanno i nostri diritti e assurgeranno
più gagliardi i
nostri
entusiasmi!
Nessuno deve mancare!
Zara, 25 novembre 1890.
(Omissis).
Seguono
i nomi di coloro che firmarono il manifesto.
Imponente
fu l'afflusso alla manifestazione. Parlarono Luigi Ziliotto,
podestà di Zara, Michelangelo Luxardo, Roberto Ghiglianovich,
Vincenzo de Benvenuti, Ercolani Salvi, da Spalato, per gl'italiani
della Dalmazia, Vincenzo Battara, a nome degli operai di Zara.
Innumerevoli i telegrammi di plauso dalla Dalmazia, da Trieste,
dall'Istria, dal Friuli, dal Trentino, da Vienna, da città del
Regno, dall'onorevole Federico Seismit-Doda, dal professore presso
l'Università di Padova, Giuseppe De Leva, ambedue dalmati.
A ricordo
della memorabile protesta, nell'atrio del Teatro Verdi fu posta una
lapide.
In questo tempio dell'arte
confortati dal voto e dal plauso di tutte le parti
di Dalmazia
il XXX novembre MDCCCXC
convennero
duemila cittadini di Zara
a tutela dell'avita e lingua e civiltà italica
La società del Teatro
P.
* * *
ZARA
ONORA IL RICORDO DI RE UMBERTO
29 luglio 1900
PER LA MORTE DEL SOVRANO
I
colpi di rivoltella dell'anarchico Gaetano Bresci, che il 29 luglio
1900 uccisero a Monza Re Umberto, furono dolorosamente intesi anche a
Zara.
Venne
immediatamente costituito un comitato, "il quale comitato organizza
raccolte di denaro in città per deporre a nome dei cittadini
di nazionalità italiana una corona sulla tomba del defunto Re
Umberto, la quale fu ordinata a Venezia per il prezzo di fiorini
1500". (Dalla Relazione della Polizia Austriaca).
Il
comitato era composto da:
ALACEVICH PompeoMILLICH LuigiBATTARA GiovanniNAVARRO VittorioBRATTANICH AntonioSCHONFELD LudovicoDELICH GiuseppeSTERMICH (de) VenceslaoERZEG GiuseppeURSCHUTZ OscarMANDEL VittorioWODITZKA LeoneMILCOVICH LudovicoWONDRICH Giorgio
Il
5 agosto 1900, partirono da Zara, con il piroscafo Galatea, per partecipare alle onoranze funebri a Re
Umberto e per deporre la corona sulla Sua tomba:
BATTARA GiovanniPERLINI MarcoBRATTANICH AntonioSCHONFELD (de) EnricoNICOLICH RenatoSPERI FrancescoPERLINI Giuseppe, con tre figlieSVILICOSSI Francesco, da RagusaTESTA Girolamo
Dalla
Relazione della Polizia Austriaca di Zara:
"Anche in questa città le manifestazioni
di lutto furono nei giorni 8 e 9 m. corr. importanti,
mentre nei primi
giorni dopo il tragico
avvenimento soltanto il Console
italiano (Antonino D'Alia)
issò la bandiera con crespo di lutto a
mezz'asta ed i sudditi italiani coprirono le loro abitazioni
e locali d'affari con segni di lutto, una gran parte dei
cittadini seguirono tale esempio nei giorni 8 e 9 corr. e
specialmente i negozianti delle principali strade, Calle
Larga e St. Maria, dove quasi tutte le vetrine dei negozi
erano coperte da segni di lutto; mentre durante la Messa
funebre nella Chiesa del Duomo al 9 corr. e durante tutto il
giorno i negozi rimasero chiusi.
In tale occasione si è specialmente
distinta la locale
Società "Unione Zaratina"
che già al 31 u.s. espose nei locali sociali
tre grandi bandiere nere ed issò a mezz'asta
la bandiera sociale; tale esempio seguirono poi le
Società "Operaia" e quella dei "Bersaglieri".
* * *
PER L'UNIVERSITA ITALIANA DI TRIESTE
I FATTI D'INNSBRUCK
3 novembre 1904
I precedenti
22
settembre - Decreto ministeriale austriaco che istituisce, in via
provvisoria, a Wilten, sobborgo di Innsbruck, una Facoltà
giuridica italiana, dipendente dal Senato accademico
dell'Università.
20
ottobre - Il consiglio comunale d'Innsbruck eccita la popolazione a
difendere "con qualsiasi mezzo" il carattere tedesco della
città.
21
ottobre - Episodi di violenza contro gli studenti italiani.
I fatti
3
novembre - Inaugurazione della Facoltà giuridica italiana.
Alla sera, all'albergo "Croce Bianca" si riuniscono per una cena
professori e studenti italiani.
All'uscita
dal ritrovo, assalto da parte di gruppi tedeschi armati di bastoni,
randelli, pugni di ferro. Vengono sparati circa quaranta colpi di
rivoltella.
La
polizia, che interviene a sciabole sguainate, non è in grado
di sedare la zuffa, che diventa sempre più serrata. Viene
fatta uscire la truppa. Una ventina di studenti italiani rimangono
feriti; due da colpi di arma da fuoco.
Sedato lo
scontro e dominata la situazione, la polizia procede all'arresto
degli studenti italiani.
Fra i 138
studenti arrestati vi sono 16 dalmati.
ALLACEVICH PompeoZaraARICI UmbertoZara DELICH RodolfoZaravecchia GASPERINI PietroSpalato HOEBERTH (de) EdmondoZara INCHIOSTRI RodolfoZara KERSTICH MatteoZara
KIRCHMAYER GiovanniZara LINZ PietroZara
MONTIGLIA CarloSpalato NICOLICH IppolitoTenìn (Knin) NUTRIZIO UmbertoTraù OLUICH NicolòZara RADOVANI TrifoneScardona (Sebenico) SELEM StefanoSpalato TOLJA GiuseppeZara VUCASSOVICH StefanoRagusa
I FATTI DI VIENNA
22/27 novembre 1908
Ad
un reiterato rifiuto del Governo di Vienna di concedere una
facoltà italiana a Trieste, gli studenti delle province
italiane irredente che studiavano a Vienna, dove avevano costituito
il "Circolo Accademico Italiano", guidati dal dalmato Alessandro
Dudan, chiedono al Rettore un'aula per una riunione di protesta.
Il
Rettore nega il consenso. I 157 studenti irredenti che erano raccolti
nell'atrio dell'Università in attesa della risposta del
Rettore intonano l'Inno di Mameli. Gli studenti tedeschi rispondono
con la loro "Wacht am
Rhein". Si scatena una zuffa
gigantesca.
Fra i 157
studenti italiani, è possibile ricordare i seguenti nomi dei
dalmati:
DUDAN Alessandro, da Verlicca
(Spalato),organizzatoreBERCOVICH..., da Zara,CEGA (de)
Celio, da Ragusa,ferito COVICH Marino, da
Spalato,arrestato FANFOGNA Nino, da
Traù,GRISOGONO (de)
Amato, da Spalato,arrestato
GRUBISSICH Antonio,
da Dernis,LOBASSO Giuseppe,
da Spalato,MANDEL
Maurizio, da Cattaro,ferito ed arrestatoTACCONI
Grisogano, da Spalato,feritoTACCONI Ildebrando, da Spalato,feritoUNICH Giovanni,
da Sebenico.
* * *
CONTRO L'INTRODUZIONE DELLA LINGUA SLAVA
NELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE
1909
L'Imperial
Regio Governo, con ordinanza 26 aprile 1909, imponeva l'uso della
lingua slava nelle amministrazioni dello Stato.
La
protesta degli impiegati italiani della Dalmazia fu immediata.
Inviarono,
"A sua Eccellenza il signor dr.
Riccardo barone de Bienerth, Presidente del Consiglio dei
Ministri in Vienna", il "Memoriale dei funzionari dello Stato
di nazionalità italiana in Dalmazia"
che cominciava con le seguenti
parole:
"Presso tutte le autorità civili dello
Stato in Dalmazia, sin dal tempo in cui questo paese
venne ad appartenere all'Impero austriaco, la lingua
della trattazione
interna e della corrispondenza
tra ufficio ed ufficio in
provincia era esclusivamente
l'italiana".
E la
'Memoria' proseguiva:
"Gli impiegati di nazionalità italiana,
quali figli di questa terra e cittadini dello Stato, nel mentre
altamente apprezzano i saggi e provvidi intendimenti di
Vostra Eccellenza diretti a por fine una bella volta,
nell'interesse impreteribile del pubblico servizio, alla
confusione ingenerata negli uffici di questa provincia da
un arbitrario uso delle lingue (...), non possono nascondere
di esser stati messi in uno stato d'inquietudine e di
costernazione dalle
disposizioni dell'ord. 26 aprile
1909, le quali sconvolgono in
vero tutti i criteri fino ad ora
dominanti, introducendo -
salve poche eccezioni - il serbo
o croato quale lingua del
servizio interno e della
corrispondenza (...).
(Omissis).
Seguono
i nomi di 502 impiegati di nazionalità italiana.
I
soprascritti, "funzionari dello
Stato dalmati di
nazionalità italiana,
anche quali interpreti di tutti gli altri loro
colleghi, dei quali manca la firma causa la
brevità di tempo, animati dalla rettitudine delle loro
intenzioni, si permettono, fiduciosi, di innalzare il presente
memoriale sino a V.E. con la caldissima preghiera di voler, a
loro tranquillità, benignamente e quanto prima
prendere quelle disposizioni di saggia politica atte a
salvaguardare in una
agli interessi dello Stato anche
quelli legittimi dei
petenti".
* * *
I DALMATI E LA "DANTE ALIGHIERI"
1912
(Per ragioni di sicurezza i soci delle Sezioni dalmate della
"Dante Alighieri" erano iscritti presso quella di Udine)
"Dalle fonti che stanno a disposizione si
poté venire
alla conclusione che i capi di
tutti i partiti italiani della
Dalmazia stavano in relazione
coll'Italia e che tutta la loro
politica era diretta a
conservare e a rafforzare il legame spirituale-politico col Regno".
(Dal
Rapporto I. n. 800 ris. compilato dall'Ufficio Informazioni del
Comando della Difesa Costiera - noto come rapporto del capitano
Neubauer - nell'anno 1917).
(Omissis).
Seguono i nomi dei soci ordinari e straordinari delle sezioni di Zara - Sebenico - Spalato - Signo - Almissa - Curzola - Lesina - Cattaro.
* * *
I DALMATI NELLA PRIMA GUERRA MONDIALE
1915-1918
I
colpi di rivoltella sparati da Gavrilo Princip, il 28 giugno 1914, si
ripercossero anche a Zara, dove la notizia giunse nelle prime ore del
pomeriggio del giorno successivo, domenica.
La corsa
ciclistica per il "Campionato regionale della Dalmazia", indetta dal
Veloce Club Zaratino, venne sospesa in segno di lutto per la morte
dell'Arciduca Francesco Ferdinando e della moglie contessa Sofia
Chotek.
Fra i
ciclisti che, dallo striscione di partenza dove già si erano
allineati, rientrarono in città, vi era anche Francesco
Rismondo. Il presidente-corridore, che guidava la rappresentanza di
Spalato, iniziava, in quel momento, il cammino che lo avrebbe portato
al martirio.
Gli
zaratini sentirono che la guerra era prossima, e con i richiami alle
armi da parte delle autorità austriache, in città
cominciarono le preoccupazioni.
I mesi
della neutralità italiana, con la incertezza delle decisioni
che Roma avrebbe preso, incidevano sugli animi.
Presentendo
lo sviluppo degli avvenimenti, mentre ancora era possibile passare il
confine, ebbero inizio le fughe di coloro che intendevano indossare
il grigio-verde.
Con il 24
maggio 1915, le fughe e le diserzioni divennero eroiche. Gli anni
della guerra furono duri, ma la popolazione si rafforzava nei
propositi e nell'attesa.
Nel
segreto delle case, le donne cominciavano a confezionare i tricolori
per il giorno della Redenzione.
Persecuzioni,
internamenti, arrestati, processi per alto tradimento, non
incrinarono la compattezza nella speranza, che era fiducia.
(Omissis).
Seguono i nomi degli arrestati, dei confinati, degli internati, degli accusati di alto tradimento.
* * *
I TRENTANOVE DALMATI CHE - DOPO AVER DISERTATO
DAI REPARTI AUSTRO-UNGARICI - COMBATTERONO
CON L'ESERCITO ITALIANO
(Omissis).
Seguono
i nomi dei volontari.
Per la
singolarità della loro avventura ricordiamo le vicende di
sette degli undici disertori che combatterono per l'Italia nel Corpo
Italiano di Spedizione nell'Estremo Oriente (C.I.E.O.).
Con lo
scoppio della guerra
ALBORGHETTI SimeonePORTADA (de)
NicolòCONFALONIERI PaoloSUBOTICH NataleKAITNER GiovanniZAUNER AndreaMATESSI Antonio
erano stati destinati con altri
reparti austriaci in Galizia, sul fronte russo. Nel giugno 1916,
quando l'offensiva di Brussilov travolse gli austriaci, quegli
"irredenti" disertarono e passarono ai russi.
Vennero
inviati in un campo di raccolta, ma in attesa di potere raggiungere
l'Italia e combattere con l'Esercito italiano, furono coinvolti dagli
avvenimenti della rivoluzione bolscevica.
Abbandonati
a se stessi, da Kirsanoff, per Vologda, attraverso la Siberia, dopo
mesi di patimenti, raggiunsero fortunosamente Harbin, in Manciuria.
Proseguirono attraverso la Cina, ed il 18 giugno 1918 erano a
Pechino. Entrarono a far parte del reparto italiano che, al comando
del maggiore Cosma Manera, presidiava la Legazione d'Italia.
Dopo un
paio di settimane furono trasferiti a Tien-Tsin, dove era arrivato
dall'Italia il Corpo di Spedizione italiano nell'Estremo Oriente.
Inquadrati nel battaglione degli "irredenti" - "battaglione nero",
dal colore delle mostrine - vennero aggregati al C.I.E.O.
Il 15
settembre 1918 prestavano giuramento di fedeltà al Re
d'Italia. Durante quell'inverno - mentre la guerra in Europa finiva -
e sino al giugno 1919 combatterono sul fronte siberiano contro i
bolscevichi.
Il 25
novembre 1919, nel porto di Cin-Quan-Tao, s'imbarcarono sul piroscafo
Nippon, per rientrare in Italia.
Furono
necessari sessantanove giorni di navigazione prima di arrivare a
Brindisi. Proseguirono via mare, ed il 4 febbraio 1920 sbarcarono a
Trieste.
L'8
febbraio 1920 riapprodavano a Zara, dopo cinque anni e mezzo di
assenza.
Il
Ministero della Guerra concesse a questi sette un "Encomio Solenne",
ed a Matessi, Kaitner e Zauner anche la croce al merito di
guerra.
Degli
altri quattro che combatterono con il C.I.E.O.,
DRAGHICEVIC GiacomoMLADINOVICH GiuseppeMAESTROVICH GiuseppeOGRISEVICH Vladimiro
non si hanno particolari notizie, ma certamente furono protagonisti
di un'analoga odissea.
(Omissis).
Seguono i nomi dei 204 volontari dalmati che combatterono con l'esercito italiano, dei 19 caduti e le motivazioni delle ricompense al valor militare: una Medaglia d'oro (Francesco Rismondo); 10 d'argento; 8 di bronzo.
* * *
DAL PATTO DI LONDRA AL TRATTATO DI RAPALLO
IL MANIFESTO DI PROTESTA
L'on.
Giuseppe Bevione, il 13 febbraio 1918, alla Camera dei Deputati, rese
noti - per la prima volta in Italia - i termini del Patto di Londra,
che garantiva all'Italia la Dalmazia sino a Capo Planca (fra Sebenico
e Spalato) e le isole curzolane. Era stato segretamente concluso il
26 aprile 1915, dall'Italia con l'Inghilterra, la Francia e la
Russia.
I dalmati
residenti a Roma
dott.
BIANCHI Simeone
dott. BONAVIA
Riccardo
prof. CARDONA
Giovanni
Battista
prof. COSTA
Giovanni
dott. DELICH
Silvio
dott. DIFNICO
(de) Antonio
dott. DUDAN
Alessandro
ing. FASOLO
Vincenzo
dott. FERRUZZI
Ferruccio
dott. FERRUZZI
Roberto
avv. GHIGLIANOVICH
Roberto
dott. TOMMASEO
PONZETTA Ruggero
il 16 febbraio, pubblicarono il seguente manifesto di protesta e di
fede:
"Gli Italiani della Dalmazia, consci della
originaria secolare italianità della loro sponda
nativa, non cancellata
dalle più brutali
sopraffazioni, non deformata dalle più perfide insidie
di un Governo usurpatore, riaffermano la
necessità storica e
proclamano la volontà
della restituzione della loro terra all'Italia.
La profonda indelebile impronta di Roma; la
latinità e
l'italianità di liberi
Municipi dalmati; l'efficace eloquenza delle
tradizioni e delle memorie; la conservazione e il
culto vivo della lingua; la costante azione dei suoi
uomini più
eminenti; il largo contributo
alle scienze, all'arte, al
Risorgimento italiano; le impari
angosciose lotte; il sangue
versato in questa guerra
tremenda; il sacrificio del martire di
Spalato, confermano e consacrano questa volontà e
questa necessità (...).
La restituzione della Dalmazia all'Italia,
richiesta da imprescindibili ragioni di sicurezza del suo
mare - poiché
questa sponda, quelle isole,
patrimonio della nazione, ne
costituiscono i baluardi
marittimi naturali - è soprattutto una
necessità storico-nazionale, un diritto che l'Italia
deve affermare e sostenere
strenuamente.
Rinunziandovi l'Italia verrebbe meno alla sua
missione nazionale; abbandonerebbe una così nobile
parte di sé al
sacrificio estremo; vedrebbe
sparire dalla sponda orientale
adriatica le sue tradizioni, la
sua lingua, la sua
civiltà".
* * *
DIARIO DI ZARA DAL 28 OTTOBRE AL 4 NOVEMBRE 1918
NELL'ATTESA DELLA REDENZIONE
28 ottobre
In
previsione di un improvviso crollo dell'Austria-Ungheria, sotto la
guida di Luigi ZILIOTTO, si costituisce il "Consiglio Nazionale", di
cui fanno parte
ERZEG GiuseppeKREKICH Natale
GHIGLIANOVIC GiovanniPACOMIO GiuseppeHOEBERTH (de) Carlo
30 ottobre
Si
forma la "Guardia Nazionale", al comando di
BATTARA AntonioMESTROVICH Aldo CADEL
Giuseppe
31 ottobre
Un
reparto della "Guardia Nazionale", formato da
ANTISSIN MiroGIOVEDI' Giovanni
BATTARA AntonioHOEBERTH (de) CarioCADEL GiuseppeMESTROVICH Aldo
CATTICH SimeonePERSICALLI ArturoDONATI GiuseppeROUGIER Temistocle
ERZEG GiuseppeWODITZKA Giovanni
ed altri, disarma il presidio austriaco comandato dal colonnello
Kramer, la gendarmeria agli ordini del consigliere Gustin, la guardia
di finanza alle dipendenze del maggiore Grund. Temistocle Rougier, di
fronte alle resistenze del colonnello Kramer, gli toglie la
sciabola.
Mentre
avviene il disarmo delle forze austriache, Luigi ZILIOTTO,
podestà di Zara sino allo scioglimento del Comune disposto
dall'autorità austriaca nel 1916, assieme ai vecchi
assessori:
ARTALE SpiridionePERSICALLI Arturo
CATTICH NicolòPERSICALLI AscanioMEDOVICH DemetrioROLLI Eugenio
PERLINI MarcoSTERMICH (de) Venceslao
e con altri consiglieri comunali, eletti ancora nel 1911 si recano in
Municipio. Allontanato l'imperial-regio commissario Matteo Skaric,
riprendono le proprie funzioni.
Durante
la giornata
ERZEG GiuseppeZANELLA Simeone
MESTROVICH Aldo
dalla sede dell'ex-Consolato
d'Italia, portano i ritratti dei Sovrani d'Italia in Municipio. Alla
presenza di Luigi Ziliotto, dell'assessore Demetrio Medovich, del
segretario comunale Giulio Leibl, collocano i ritratti nell'ufficio
del Podestà. Vengono liberati i prigionieri di guerra
italiani, rinchiusi nei 'Quartieroni'.
31 ottobre
Il
Governatore austriaco della Dalmazia, conte Mario Attems, scortato
dalla "Guardia Nazionale", abbandona Zara.
1^ novembre
Viene
nominato Comandante del Porto di Zara il capitano di lungo corso
Simeone PERICH che, assieme ai capitani marittimi
CADIA CarloSCHIATTINO Mario
MUSSAP Andrea
provvede alla riattivazione dei
fanali della costa e delle isole, per agevolare l'arrivo delle attese
navi d'Italia, qualora fossero giunte di notte.
3 novembre
Ore di
spasmodica attesa; a sera il telegramma del Correspondenz-Bùreau annuncia la firma dell'armistizio di Villa
Giusti.
La
città esplode in una notte di entusiasmo e di commozione.
4 novembre
Ore
14.30. Alla Riva Vecchia attracca la torpediniera A.S. 55,
al comando del tenente di vascello Pellegrino Matteucci e guidata,
sin da Venezia, dai piloti zaratini Rodolfo Scopinich e Vincenzo
Depinguente.
Fra una
marea di popolo, travolto dalla commozione, sbarca il capitano di
corvetta Felice de Boccard, designato comandante militare marittimo
di Zara, con un reparto di soldati del 225^ Reggimento della Brigata
"Arezzo".
Ore
14.50. Dal balcone dell'ex-Luogotenenza austriaca, dove già
sventola il Tricolore, il comandante de Boccard proclama di prendere
possesso di Zara in nome del Re d'Italia.
Ore
15.00. Entra in vigore l'armistizio di Villa Giusti. Zara è
italiana per diritto di guerra.
* * *
DA VERSAGLIA ALLA RATIFICA DEL TRATTATO DI RAPALLO
Alla
Conferenza della Pace, il Patto di Londra non ebbe più valore;
Vittorio Veneto era una vittoria che nessuno voleva riconoscere;
nessun peso sembravano avere i 680.000 morti; gli Stati Uniti
d'America, e con essi Francia ed Inghilterra, rifiutarono di
riconoscere i diritti italiani sulla sponda orientale dell'Adriatico.
Il rinunciatarismo si diffondeva in Italia.
Il
Governatore della Dalmazia, vice-ammiraglio Enrico Millo, nella sua
sensibilità, comprese che alla propaganda si doveva opporre
altra propaganda, ed approvò un progetto del Fascio
Universitario Dalmata.
A
metà gennaio 1919 partirono per Ancona, con un
cacciatorpediniere:
ADDOBBATI
Pietro, da Zara, laureando in medicina.
BRESSAN
Alessandro, da Zara, studente in giurisprudenza.
CARRARA
Marino, di Traù, nato a Zara, studente in
giurisprudenza.
FATTOVICH
Nino, da Zara, laureando in lettere.
INCHIOSTRI
Francesco, da Sebenico, studente in economia e
commercio.
MATESSICH
Giuseppe, da Zara, studente in giurisprudenza.
ROSSIGNOLI
(de) Roberto, da Zara, studente in giurisprudenza.
ZILIOTTO
Giuseppe, da Zara, studente in giurisprudenza.
A
questo gruppo, si unirono successivamente:
LUXARDO
Giorgio, da Zara, studente in economia e commercio.
RUGGERI
Ruggero, da Sebenico, farmacista.
SERRAGLI
(de) Enrico, da Ragusa, laureando in medicina.
Percorsero
la Penisola da Torino a Palermo per perorare la causa della Dalmazia,
per informare l'opinine pubblica, per sommuovere l'ambiente
universitario.
L'APPELLO DEGLI ITALIANI DI SPALATO
NELL'ATTESA DELLE DECISIONI DI PARIGI
MARZO 1919
"Nell'ora dell'attesa angosciosa, febbrile,
suprema, quando il nostro destino si compie e i fati di
questa città
tormentata stanno per decidersi
ineluttabilmente e per sempre
nell'alto Consesso delle
Nazioni, noi, vigilanti custodi dei più
sacri retaggi, assertori tenaci di tutti i diritti
della Patria più grande; noi sottoscritti
cittadini di Spalato,
nell'amore selvaggio che ci arde
e consuma, patrizi e popolo,
spiriti colti, anime semplici e
rudi, accomunati nella stessa
speranza e nella medesima fede,
ci rivolgiamo a voi e vi
invochiamo col coraggio dei
sacrifci compiuti, con la forza di tutta la
nostra abnegazione e di tutto il nostro martirio, perseverante, indefesso, crudele, tanto
più grande quanto più oscuro e
tenace.
"Le nostre anime, oppresse da nuovo sconforto,
erompono verso di voi in un impeto solo che nella voce ha
lo schianto di tutti i nostri morti e l'angoscia di tutti i
viventi, in una parola sola di invocazione, di incitamento e
di speranza: che la nostra città fedele fra tutte, per
le sue tradizioni
romane e italiche veda
finalmente spuntare sul mare nostro l'aurora
della sua redenzione, e compiendo i nostri voti
più ardenti, riallacci la sua alle gloriose fortune
d'Italia, reintegrata e riassunta Regina fra tutte le
genti".
L'appello
era firmato da settemila spalatini.
LA PROTESTA DEI DALMATI PRIMA DELLA DISCUSSIONE
ALLE CAMERE DEL TRATTATO DI RAPALLO
13 NOVEMBRE 1920
"I Dalmati residenti in Roma, sicuri interpreti
dei loro connazionali; visto il testo del Trattato
di Rapallo:
protestano col più acerbo dolore contro
la rinunzia che il Governo del Regno ha fatto dell'intera
Dalmazia in favore
d'altro Stato che incarna gli
interessi di un popolo con il
quale gli italiani dalmati
sostennero titaniche lotte per il diritto
d'Italia;
rilevano che, con quest'atto, il Governo del
Regno ha mancato al suo dovere di salvezza dei propri
connazionali, d'integrazione dei confini naturali della Patria
e di legittima valorizzazione di un trattato di
guerra e della vittoria;
riprovano la mutilata redenzione della capitale
della Dalmazia, che la gloria del suo nome, del suo
passato e del suo dominio vede compensata con la rescissione,
per terra e per mare, delle sue essenziali arterie di
vita;
ripudiano gli orpelli di garenzie atte soltanto
a mascherare la loro morte civile e a dar quiete
alle coscienze dei responsabili e, consci del proprio
sacrificio che saluterebbero con gioia se potesse render
all'Italia un solo
effettivo conforto o alleviarle
una angustia sola,
esprimono il voto che il destino, più
saggio e più
giusto degli uomini, storni
dalla grande, dalla generosa,
dalla magnifica Nazione
italiana, sempre tanto superiore a chiunque
la governi, la consumazione della terribile minaccia che
dall'Adriatico, consegnato ad altri, ormai,
perennemente, le incombe".
La
protesta, estesa da Ercolano Salvi, era firmata da:
CARDONA Giovanni
BattistaPERVAN Edoardo
COSTA GiovanniPEZZOLI CarloDELICH SilvioRANDI OscarDUDAN AlessandroRUGGERI Guido
FASOLO VincenzoSALVI Ercolano
GHIGLIANOVICH RobertoTANASCOVICH Giovanni
* * *
PER LA CAUSA DI FIUME E DELLA DALMAZIA
1919-1920
Il
12 settembre 1919, Gabriele d'Annunzio, alla testa di un battaglione
di Granatieri, e di altre truppe che si aggregarono durante la
marcia, parte da Ronchi ed entra in Fiume presidiata da forze
interalleate.
Alle
ore 18 di quella stessa giornata, dal Palazzo in Piazza Roma, il
Comandante proclama l'annessione della città all'Italia.
Il
17 settembre, con un motoscafo, partono da Zara
BRESSAN AlessandroSCHONFELD (de) EnricoDONATI GiuseppeSTORICH Giuseppe
ERZEG Giuseppe
ed avventurosamente raggiungono
Fiume. Dal Comandante ricevono la promessa che l'occupazione
legionaria sarà estesa a Zara ed alla Dalmazia.
Il 21 settembre, d'Annunzio indirizza la lettera, ai
"Fratelli di
Dalmazia,
Fin dalla notte stellata di Ronchi, fin dall'ora
della dipartita, una melanconia sempre più
amara s'andava addensando
in fondo alla mia risolutezza,
una spina sempre più acuta mi penetrava
nel cuore fidente.
Era il pensiero di Voi, era il rammarico di non
aver forze bastevoli a propagare l'incendio in quel
medesimo giorno fino a Spalato nostra, e più oltre
ancora, fino alle Bocche di
Cattaro, fino a quell'antica
Perasto che custodisce la
speranza ed il
Gonfalone.
La passione di Dalmazia non travagliò mai
così addentro
il mio petto come durante la mia
marcia verso Fiume.
Che dirà, che farà la mia Zara,
quando le giungerà
l'annunzio?
Che diranno, che faranno Sebenico, Traù,
Spalato e le sorelle?
E Zara rispose.
Il 23
settembre, 932 dalmati, convenuti al Teatro Verdi di Zara, giurarono
sul Tricolore di lottare per l'annessione delle loro città
all'Italia, e costituirono il battaglione "Rismondo".
Il
14 novembre d'Annunzio con un migliaio di volontari, imbarcatosi
sulla R. Nave Cortellazzo, preceduta dal cacciatorpediniere
Nullo, dal M.A.S. 22 (quello che a Premuda al comando
di Luigi Rizzo aveva affondato la Santo
Stefano) e dalla torpediniera P.N. 66,
sbarca a Zara.
Alle
14.30, dal balcone del Comune, in Piazza dei Signori, parlò al
popolo di Zara in tumulto.
"Siamo venuti da Fiume dove si dice: 'Italia o
morte'; siamo giunti a Zara dove si grida: 'Italia o
morte'; e voi giurerete ancora una volta con me, come i
fratelli fiumani
giurarono: 'Italia o
morte'".
Ed
il popolo urlò il suo giuramento.
Il
Comandante spiegò, allora, il Tricolore che aveva fatto da
capezzale al trapasso eroico di Giovanni Randaccio, caduto sul
Timavo, in vista di Trieste.
Ammutolita,
la folla s'inginocchiò davanti a quel Tricolore nel silenzio
di una meditazione rotta dai singhiozzi.
(Omissis).
Seguono i nomi degli zaratini e dalmati che combatterono a Zara nel Natale di sangue, e dei caduti per la Causa fiumana.
* * *
ZARA PROVINCIA D'ITALIA
L'Italia,
prima nazione vittoriosa fra Alleate, costrinse il nemico
all'armistizio (novembre 1918).
Ma, al
tavolo della Pace, i Governanti d'Italia non seppero difendere i
diritti sulla Dalmazia, suggellati da una guerra vittoriosa e
garantiti sin dal 26 aprile 1915 dagli Alleati con il Patto di
Londra.
Per il
Trattato di Rapallo, stipulato dall'Italia con il Regno dei
Serbi-Croati-Sloveni (ratificato dal Parlamento italiano il 17
dicembre 1920), di tutti i territori della Dalmazia, che all'Italia
erano stati assegnati con il Patto di Londra, rimasero solamente una
parte del vecchio comune di Zara (51 km quadrati) e l'isola di
Lagosta con gli scogli adiacenti.
Secondo
un rilevamento del 1921, il comune di Zara aveva 17.065 abitanti, e
quello di Lagosta 1.710. I due comuni costituirono la più
piccola provincia d'Italia, sia per superficie sia per numero
d'abitanti.
(Omissis).
Segue l'elenco delle strutture, degli uffici, degli enti, degli istituti, delle scuole, delle biblioteche, delle associazioni sportive e culturali, ecc., della Provincia di Zara nel 1938, con i nomi dei dirigenti.
LE AFFERMAZIONI DI ZARA
Dopo
le accese giornate della "Passione Adriatica" che travagliarono l'Italia durante le
trattative di pace a Versailles, il nome di Zara corse ancora sulle
bocche degli italiani. Questa volta per le vittorie dell'armo ad otto
della Canottieri "Diadora".
La
"Diadora", già nel 1911 si era presentata ai
campionati italiani, vincendo a Como nella yole ad otto, ma il titolo
non le venne riconosciuto, perché i vogatori erano cittadini
austro-ungarici. Redenta Zara, negli anni 1920, 1921, 1922 nella yole
ad otto, e nel 1923 nell'otto fuori scalmo con timoniere, la
"Diadora" non solo fu Campione d'Italia, ma nel 1923
conquistò anche il titolo di Campione d'Europa.
Nel 1924
la "Diadora" difendeva a Parigi, nella VIII Olimpiade, i
colori dell'Italia. Nel fuori scalmo ad otto, erano in testa sino ai
1200 metri quando un incidente di carrello ruppe il ritmo. Ripresero.
Furono terzi dopo gli Stati Uniti ed il Canadà.
(Sono omessi i nomi dei componenti
gli equipaggi).
Negli
anni fra le due guerre mondiali, altri atleti di Zara affermarono il
nome della loro città in Penisola, ed imposero quello
dell'Italia nelle competizioni internazionali. Nove atleti
ALACEVICH Ausoniopalla ovale BENEVENIA Luciopallacanestro GABRICH Gabredisco
MISSONI Ottavio400 m. piani ed ostacoliSAROVICH Antonioasta TESTA Bruno (Bundi)giavellottoTRELEANI SilviovelaNADALI GinovelaVUKASINA Antoniogiavellotto
vestirono complessivamente per 57 volte la maglia azzurra, e
lealmente gareggiarono.
Nei
decenni del '20 e del '30, Zara, proporzionalmente al numero degli
abitanti, per quattro volte, con le sue offerte per la lotta
antitubercolare, contribuì più delle altre province
d'Italia alle annuali campagne del "Fiore Italico" e della "Doppia
Croce".
Il
5 giugno 1932, le donne di Zara, madrina la signora Silvia de
BENVENUTI GHIGLIANOVICH, donavano la Bandiera di combattimento al
nuovo incrociatore Zara. Sul
complesso di poppa, in lettere capitali di bronzo il motto
"Tenacemente" scolpiva l'animo, la volontà, la
dedizione, la forza morale dei dalmati.
Durante
il secondo conflitto mondiale, Zara consegnava ancora una bandiera di
combattimento ad una nave d'Italia: al cacciatorpediniere
Mitragliere. Era l'ottobre 1942.
Quando
nel 1936, per la guerra d'Etiopia, fu necessario opporsi alle
sanzioni economiche, nuovamente Zara fu la provincia che, in
relazione al numero degli abitanti, donò alla Patria
più oro delle altre province.
Ma,
oltre all'oro, con i suoi figli, con quelli delle altre città
dalmate, Zara dette volontari e combattenti all'Italia, scrivendo una
nuova pagina nel suo Albo, con altri caduti, con altri decorati al
Valor militare.
* * *
PER LA CAMPAGNA D'ETIOPIA
1935-1936
La
guerra d'Etiopia fu intesa a Zara con entusiasmo, ma soprattutto come
un dovere.
Un dovere
verso quei 680.000 fratelli che vent'anni prima, per redimerla,
avevano sacrificato la loro giovinezza.
Ora, per
la prima volta dopo il conflitto mondiale, l'Italia chiamava a
raccolta la Nazione.
Ed i
dalmati risposero. Cinquantadue studenti del Gruppo universitario di
Zara chiesero volontariamente l'arruolamento.
Ma non
era semplice andare a combattere: troppe le domande presentate.
Così,
di quei cinquantadue volontari universitari dalmati, furono scelti
per ragioni politiche tre di Spalato che vennero inquadrati nel
Battaglione "Curtatone e Montanara".
Altri
combatterono in Etiopia con le forze regolari o come volontari
dell'Esercito.
(Omissis).
Seguono i nomi dei 7 dalmati caduti, le motivazioni delle ricompense al valor militare: 3 medaglie d'argento; 5 di bronzo; 5 croci di guerra al valor militare.
* * *
GUERRA DI SPAGNA
1937-1939
A
Zara, sensibilizzata dalla sua posizione di isolata testa di ponte
verso Oriente, la contrapposizione ideologica che si scontrò
sui campi di Spagna, fu intensa come una Crociata in difesa della
civiltà europea.
Era
l'Occidente ad essere accerchiato nel Mediterraneo; era il comunismo
che tendeva ad affacciarsi all'Atlantico.
I giovani
di Zara, gli italiani della Dalmazia, risposero al nuovo appello
della Patria, ed ancora una volta combatterono per la difesa della
civiltà latina.
(Omissis).
Seguono i nomi dei 6 caduti, le motivazioni delle ricompense al valor militare: 5 medaglie d'argento; 2 medaglie di bronzo; 1 croce al valor militare.
* * *
I DALMATI NELLA SECONDA GUERRA MONDIALE
1940-1945
Con
la dichiarazione di guerra del 10 giugno 1940, gli zaratini si
sentirono in prima linea, e ne furono orgogliosi.
Quando le
ostilità con la Jugoslavia apparvero imminenti (6 aprile
1941), si prepararono al confronto.
Sfollati
anziani, donne, infermi e bambini, affrontarono l'assedio. Quelli che
non erano stati richiamati si presentarono volontariamente al Comando
di Presidio, e costituirono una apposita compagnia. Altri indossarono
la divisa della Milizia Volontaria Sicurezza Nazionale (M.V.S.N.).
Poi passarono il confine.
Sarebbe
stata la breve primavera della seconda Redenzione. Sarebbe stata la
rivincita sul Patto di Londra del 1915, sul Trattato di Rapallo del
1920.
Le terre
dalmate venivano annesse all'Italia. Spalato e Cattaro erano le nuove
province. Quella di Zara ampliava il proprio territorio. Veniva
costituito il Governatorato della Dalmazia.
Regio decreto-legge 18 maggio 1941-XIX, n.
452, concernente la sistemazione dei territori della
Dalmazia, che sono venuti a far parte integrante del Regno
d'Italia. (In Gazzetta
Ufficiale n. 133 - 7 giugno
1941-XIX).
Articolo
1 - I territori i cui confini sono delimitati nella allegata carta,
vidimata, d'ordine Nostro, dal Duce del Fascismo, Capo del Governo,
fanno parte integrante del Regno d'Italia.
Articolo
2 - Dei territori di cui all'articolo 1, quelli confinanti con la
provincia di Fiume, le isole di Veglia e Arbe e le altre minori
appartenenti alle circoscrizioni delle isole predette, sono aggregati
alla provincia di Fiume.
Articolo
3 - Gli altri territori e le altre isole della Dalmazia di cui
all'articolo 1, costituiscono, insieme con l'attuale provincia di
Zara, il Governatorato della Dalmazia che comprenderà le
provincie di Zara, Spalato e Cattaro. Le circoscrizioni delle
provincie dalmate saranno stabilite con decreto Reale, il quale
determinerà anche le competenze del Governatore e i suoi
rapporti con i Prefetti delle dette Provincie. Il Governatore
risiederà a Zara e sarà alle dirette dipendenze del
Duce, Capo del Governo.
Articolo
4 - Ai Comuni di Spalato e di Curzola sarà dato un ordinamento
amministrativo speciale.
Le norme
relative saranno emanate con decreto Reale su proposta del Duce del
Fascismo, Capo del Governo, Ministro per l'interno, di intesa con gli
altri Ministri interessati.
IL CONTRIBUTO DI SANGUE
NELLA SECONDA GUERRA MONDIALE
Durante
il conflitto 1940-1945, gli zaratini ed i dalmati che - volontari,
richiamati, classe di leva - combatterono su tutti i fronti di terra,
del mare e dell'aria furono circa 3.500.
Con il
9,75 per cento di perdite della forza alle armi, con le 8 medaglie
d'oro, le 40 d'argento, le 52 di bronzo, le 115 croci di guerra al
Valor Militare conquistate, dimostrarono - ancora una volta - la loro
devozione alla Patria, iscrivendo nell'Albo del loro travaglio un
nuovo primato nazionale.
(L'autore ha qui riportato i dati aggiornati in
base ad ulteriori ricerche dopo la pubblicazione del
volume).
CADDERO
per l'Italia e per la loro terra 324 Dalmati
211 con le Forze di terra
53 con la Marina Militare
41 con la Marina Mercantile
19 con l'Aeronautica Militare
e ciascuna località della Dalmazia dette il suo contributo.
(Omissis).
Seguono i nomi dei 324 caduti, le motivazioni delle ricompense al valor militare: 8 medaglie d'oro; 41 d'argento; 52 di bronzo; 115 croci di guerra al valor militare.
* * *
IL MEDAGLIERE
1915-1945
... (omissis) ...
* * *
LE SOPPRESSIONI DURANTE LA PRIMA OCCUPAZIONE DELLA
DALMAZIA DA PARTE DEI TITINI
10-27 Settembre 1943
Subito
dopo l'8 settembre, i partigiani di Tito entrarono in tutte le
città di terraferma e nelle isole della Dalmazia, ma non a
Zara.
Immediata
fu la loro azione repressiva contro la popolazione italiana, contro i
carabinieri, le guardie di Pubblica Sicurezza, le guardie di
Finanza.
Infierirono
particolarmente a Spalato.
Su quanto
avvenne negli altri centri della Dalmazia si sono avute notizie
solamente frammentarie, ed i dati raccolti sono largamente
incompleti.
Il
massacro cessò là dove arrivarono le truppe tedesche,
ma non le uccisioni, le imboscate, le soppressioni nelle campagne,
sulle isole, nelle località non presidiate.
GLI ECCIDI DI SPALATO
I
partigiani di Tito occuparono Spalato dall'11 al 27 settembre
1943.
Il 18
settembre, le autorità titine, con un manifesto, annunciavano
che il Tribunale Militare aveva condannato a morte ventidue persone.
La sentenza era stata eseguita. I nomi dei fucilati iniziavano con
quello di Vincenzo Ferrone, comandante delle guardie carcerarie.
Il 23
settembre, un secondo avviso annunciava la avvenuta fucilazione di
altre sette persone.
Il 27
settembre, i tedeschi entravano a Spalato.
Il 9
ottobre, Maria Pasquinelli, insegnante a Spalato, otteneva dal
Comando tedesco di procedere al riconoscimento delle salme dei
condannati dal Tribunale Militare, inumate in fosse comuni.
Secondo
gli avvisi, la prima fossa doveva contenere ventidue cadaveri; ne
furono esumati trentanove. Dalla seconda fossa, al posto di sette
salme, vennero dissepolte ventiquattro. In una terza fossa furono
contati i corpi di quarantadue fucilati, dei quali nessuno aveva dato
notizia.
Non
è possibile precisare il numero di coloro che vennero
soppressi dai titini. Il Capo di Gabinetto del Prefetto di Spalato,
dottor Scrivano, che riuscì a fuggire dal carcere dove i
partigiani l'avevano rinchiuso, asserisce d'aver visto prelevare,
durante i giorni della sua detenzione, circa duecentocinquanta
persone.
(Omissis).
Seguono i nomi di 54 civili; 49 fra agenti e funzionari di P.S.; 15 Guardie di finanza; 10 Carabinieri, tutti soppressi a Spalato. Sono quindi riportati i nomi dei soppressi nelle altre località della Dalmazia: 38 civili; 18 agenti di P.S.; 16 Guardie di finanza; 29 Carabinieri.
* * *
LA DISTRUZIONE DI ZARA
2 novembre 1943 - 31 ottobre 1944
Ancor
oggi non è stato possibile accertare documentalmente le
ragioni o i motivi che hanno indotto gli anglo-americani a
distruggere la città di Zara.
La tesi
che Zara fosse una base marittima per i rifornimenti delle divisioni
tedesche che operavano nell'interno dei Balcani è priva di
obiettivo fondamento. I Comandi germanici alimentavano le loro
unità dall'Austria e dall'Ungheria, attraverso la rete
ferroviaria e le vie di grande comunicazione.
Zara non
era collegata da alcuna ferrovia con l'interno, e - salvo la rotabile
per Tenìn (Knin) - non vi era altra arteria di penetrazione
nel territorio jugoslavo.
Meglio si
prestavano i porti di Spalato e di Sebenico, tutti e due serviti
della ferrovia. Ma, se anche queste città vennero bombardate
dagli angloamericani, Zara fu distrutta.
Se Zara
fosse stata l'importante base navale, accreditata da una certa
storiografia, i Comandi tedeschi non l'avrebbero lasciata
assolutamente priva di una difesa controaerea, né avrebbero
trasferito in Penisola anche i militari della D.I.C.A.T. A Zara, gli
ultimi colpi dell'antiaerea furono sparati il 28 novembre 1943.
Restò la sirena d'allarme, ma cessò di funzionare con
il 30 dicembre dello stesso anno.
Zara
venne distrutta per un motivo essenzialmente politico. Sintomatico il
fatto che il 2 novembre 1943, quando in città s'insediò
il Capo della Provincia, Vincenzo Serrentino - battendo sul tempo
l'arrivo del funzionario croato che a nome del Governo di Pavelic
doveva amministrare la città come una Zupanja del Regno di
Croazia - proprio quel giorno vi sia stato il primo
bombardamento.
Se
l'ambita preda era sfuggita ai croati, i partigiani considerarono
indispensabile cancellare quel centro d'italianità, e ne
chiesero la distruzione. Non la domandarono, invece, per Sebenico o
per Spalato, dove i tedeschi avevano insediato un'amministrazione
croata. Ulteriore dimostrazione delle intese non tanto occulte che
intercorrevano fra titini ed esponenti del Regno di Croazia.
Zara fu
maciullata; i sopravvissuti sradicati dalla loro terra. Con le
macerie e con la diaspora venne eliminata quella collettività
che per oltre un secolo aveva affermato il nome, la cultura, la
lingua, il prestigio dell'Italia sulla sponda orientale
dell'Adriatico.
I BOMBARDAMENTI, GLI SPEZZONAMENTI,
I MITRAGLIAMENTI ANGLO-AMERICANI
1943
2 novembre
Ore 19.50
- Bombardamento di Zara. In via Roma sono colpiti gli stabili con i
negozi Pellicetti e Borin. In Calle del Sale crolla l'ingresso del
rifugio n. 34, sotto il Bastione delle Mura. Colpito in pieno il
rifugio tubolare di Cereria.
28 novembre
Ore
11.08 - Bombardamento di Zara. Alla Riva Vecchia affonda il piroscafo
Sebenico, attraccato alla banchina. Alla Riva di Cereria
il "vaporetto" di linea nel porto è colpito in pieno. Dietro
la Scuola Industriale le bombe fanno strage alla "giostra". Colpito
il Palazzo del Tribunale, la Colonia Agricola, il ponte
Zara-Cereria.
Mitragliato
il centro della città.
Incursione,
in due ondate successive, di 24 aerei Mitchell della 12ha Forza Aerea U.S.A., con il lancio di
29,5 tonnellate di bombe.
Ore 21.30
- Tre aerei lanciano spezzoni incendiari sul centro della
città.
Il Capo
della Provincia riferisce che nella giornata erano stati distrutti 43
edifici, ed altri 75 erano stati resi inabitabili.
Comincia
l'esodo della popolazione verso le campagne e le isole.
15 dicembre
Ore
10.20. - Spezzonamento e mitragliamento del campo di aviazione di
Zemonico. Incendiati baraccamenti e depositi di carburante.
Incursione
di 12 cacciabombardieri.
16 dicembre
Bombardamento
"preavvisato". I partigiani "consigliano" i contadini di non recarsi
a Zara perché nel pomeriggio la città sarebbe stata
bombardata.
L'avvertimento
si diffonde in città.
In
seguito, simili "preallarmi" si ripeteranno con frequenza e con quasi
assoluta precisione.
Negli
zaratini, il dubbio che questi bombardamenti, inutili sul piano
militare, siano stati determinati da motivi "politici"
diventò, anche per tale motivo, radicata convinzione.
Ore 13.30
- Gli aerei colpiscono il centro di Zara su tre allineamenti, da
nord-ovest a sud-est.
Al centro
colpiscono il Santuario della Madonna della Salute, il Teatro Verdi,
la Banca Dalmata di Sconto, il Battistero del Duomo, la Calle dei
Papuzzeri, La Calle Larga. Sulla sinistra il Palazzo della Provincia,
il deposito antincendi in Calle Angelo Diedo, Porta Catena, le Scuole
magistrali, San Rocco. Sulla destra, Viale Tommaseo, il Palazzo delle
Poste, Piazza dell'Erbe. Sono inoltre colpiti: la Chiesa di Santa
Maria, il Ginnasio-Liceo, l'Asilo delle Orfanelle, la canonica della
chiesa di Sant'Elia, il Cinema Nazionale. Il fuoco divora le case di
Calle Canova e parte di quelle di Calle San Zorzi.
Incursione,
in tre ondate successive, di 51 aerei Mitchell della 12ha Forza Aerea U.S.A., con lancio di 92
tonnellate di bombe.
Ore
21.30 - Lancio di spezzoni incendiari sulla città.
Incursione di 9 aerei
Boston con il lancio di 2,9 tonnellate di spezzoni.
Il capo
della provincia riferisce che i morti sono circa 60; il 40 per cento
delle case di abitazione distrutto; i rimanenti edifici, compresi
quelli pubblici, sono inabitabili al 90 per cento.
Da questa
data in poi, a causa dello scompaginamento degli uffici, della
dispersione della popolazione nelle campagne, non si avrà
più alcun riscontro attendibile dei morti e dei feriti.
22 dicembre
Ore 10.30
- Spezzonamento e mitragliamento di Puntamica. A Boccagnazzo viene
colpito e deflagra un deposito di munizioni.
Incursione
di 20 cacciabombardieri.
Ore
15.10 - Bombardamento e spezzonamento della vecchia cinta fortificata
della città; della zona di Diclo; mitragliamento sul centro di
Zara.
Incursione
di 12 aerei.
24 dicembre
Ore
08.20 - Da questa data in poi, ogni mattina, per un paio d'ore, due o
più aerei mitraglieranno qualsiasi cosa in movimento. Gli
zaratini li chiameranno le "mlikarizze", termine slavo per indicare
le donne che nei periodi di normalità portavano il latte a
Zara.
4 aerei
mitragliano la città e la periferia.
27 dicembre
Ore
08.10 - Le "mlikarizze" sono respinte dalle mitragliere del piroscafo
Italia che si trova nel Canale di Zara, di fronte alla
Riva Nuova.
Ore
12.40 - Attacco di 12 bombardieri, quindi di aereosiluranti contro il
piroscafo Italia,
che abilmente manovra. Rimane colpito a prua da una bomba.
Ore
13.40 - Bombardamento da alta quota della Riva Nuova e del centro
città. Parte delle bombe, per il forte vento di bora, cadono
in mare. E' colpito il molo della Riva Nuova.
Incursione
di 23 aerei Mitchell,
che lanciano 34 tonnellate di bombe.
30 dicembre
Ore
15.05 - Bombardamento da nord-ovest a sud-est. Colpite le case fra il
Viale Tommaseo e la Riva Nuova (casa Perlini, casa Hoebenth, Casa
Littoria, le carceri, la Scuola elementare "A. Cippico", l'Educandato
di San Demetrio), la caserma Vittorio Emanuele. Affondano due
dragamine tedeschi ormeggiati al molo della Riva Nuova. Colpite la
Prefettura e la Questura. Incendi in Calle Larga ed in Calle Luigi
Ziliotto. Brucia la casa Relja in zona San Giovannino.
Morti
imprecisati, ma in numero non elevato, dato lo sgombero della
popolazione dalla città; 12 morti fra i marinai tedeschi di un
dragamine.
Incursione,
in due ondate successive, di 24 aerei Mitchell della 12ha Forza Aerea U.S.A., che lanciano 39
tonnellate di bombe.
1944
9 gennaio
?-
- Il diario della Mediterranean
Allied Air Force
(M.A.A.F.)
riporta un bombardamento del porto di Zara da parte di 39
Baltimore. Trattasi di un errore di località. A Zara
vennero registrati solamente rumori di un bombardamento lontano,
verso le 11.30.
15 gennaio
"Preavviso"
di bombardamento per il giorno successivo.
16 gennaio
Ore
13.30 - Bombardamento. In città sono colpite Via Roma,
Cereria, Borgo Erizzo. Alla Riva Nuova bruciano il Palazzo delle
Poste e Casa Begna. Incendi lungo il Viale Malta.
Incursione
di 24 aerei Baltimore
della Mediterranean Allied Air Force (M.A.A.F.),
che lanciano 53,6 tonnellate di
bombe.
21 gennaio
?-
- Bombardamento verso Nona e zone circostanti.
22 gennaio
Ore
08.00 - Mitragliamento nel Vallone di Diclo di un mezzo navale
tedesco.
Ore
13.00 - Mitragliamento e spezzonamento di Zara.
Ore 16.30
- Spezzonamento e mitragliamento della città. Tre azioni di
mitragliamento contro il panfilo Elettra
(già di Marconi) immobilizzato nel Vallone di Diclo. A Zara,
in Piazzetta Marinia, brucia la casa con il negozio Aini.
Incursione
di 23 aerei Kittyhawk
e 12 Thunderbolt.
30 gennaio
Ore
08.15 - Mitragliamento di una motozattera fuori del porto di
Zara.
Ore
11.30 - Bombardamento e spezzonamento della città. Colpite
Riva Derna, Puntamica, i depositi di carburante in Val di Maistro. A
Diclo, il panfilo Elettra
viene incendiato e
semiaffondato.
Incursione
di 12 aerei Kittyhawk
e 6 Spitfire,
che lanciano 7,8 tonnellate di bombe.
4 febbraio
Ore
08.10 - Mitragliamento di una motozattera tedesca.
Ore
13.00 - Bombardamento e spezzonamento di una motozattera e di un
rimorchiatore tedeschi. Mitragliamento. Nuovamente colpiti i depositi
di carburante in Val di Maistro.
8 febbraio
Ore
12.30 - Bombardamento, spezzonamento e mitragliamento di una
motozattera tedesca, affondata presso Lucorano (Isola di
Ugliano).
Ore 16.30
- Bombardamento di Lucorano.
9 febbraio
Ore
16.15 - Mitragliamento e spezzonamento di mezzi tedeschi da trasporto
presso l'Isola di Ugliano.
10 febbraio
Ore
?- - Bombardamento. Ricognizioni con mitragliamento contro natanti
tedeschi presso l'Isola di Ugliano.
15 febbraio
Ore
15.45 - Bombardamento, spezzonamento, mitragliamento di Zara e zone
circostanti. In Val di Maistro viene affondato un motoveliero.
Bombardamento delle isole antistanti Zara.
16 febbraio
Ore
11.50 - Bombardamento, spezzonamento e mitragliamento su Zara e
dintorni.
17 febbraio
Mattino
- Bombardamento e spezzonamento di natanti tedeschi, fra le isole di
fronte a Zara.
22 febbraio
Ore
11.00 - Spezzonamento e mitragliamento di Zara.
Ore
11.25 - Spezzonamento e mitragliamento di Zara.
Ore
12.00 - Bombardamento di Zara. Sono colpiti il Santuario della
Madonna della Salute, il Teatro Verdi, il Convitto Nicolò
Tommaseo. Colpite Porta Catena, Porta Marina, la Scuola Industriale,
la Prefettura, la caserma a Porta Terraferma, l'Educandato di San
Demetrio, la Centrale elettrica. A Barcagno, distrutta la fabbrica di
liquori R. Vlahov, distrutto il Circolo Canottieri "Diadora". Bombe a
Bellafusa ed a Casali.
Incursione
di 38 Baltimore della M.A.A.F., che lanciano 80,8 tonnellate di
bombe.
23 febbraio
Ore
12.35 - Bombardamento, spezzonamento, mitragliamento di Zara e
dintorni. Le macerie ostruiscono Calle del Teatro Verdi, Calle Angelo
Diedo, Calle Florio, Via Roma, Calle dei Papuzzeri. Completata la
distruzione del Santuario della Madonna della Salute, distrutta la
stazione radio della Marina. Colpite Ceraria e Val di Bora. Lo squero
(cantiere navale) Cattalini è in fiamme. Bombe in Val di
Maistro. Lancio di spezzoni incendiari.
Incursione
di 39 aerei Kittyhawk,
che lanciano 15,2 tonnellate di
bombe.
24 febbraio
Ore 14.00
- Attacco di cinque cacciabombardieri al campo di aviazione di
Zemonico.
Ore
16.30 - Mitragliamento dalla Punta delle Colovare su Borgo
Erizzo.
25 febbraio
Ore
10.15, 11.00, 11.30 - Bombardamento, spezzonamento, mitragliamento.
Colpito quanto resta del Santuario della Madonna della Salute, del
Convitto N. Tommaseo, dell'Educandato di San Demetrio, della Scuola
industriale. Bombe a Casali e Bellafusa.
Ore
12.30 - Rinnovato bombardamento lungo l'asse Viale Trigari, Viale
Nicolò Tommaseo, Convento dei Francescani, Riva Nuova.
Incursione
di 9 aerei Baltimore
della 15ha Forza Aerea U.S.A., che lanciano 24,1 tonnellate di
bombe.
3 marzo
Ore 20.30
- Bombardamento di Zara, Borgo Erizzo, Barcagno, Bellafusa,
Puntamica, preceduto da lancio di razzi illuminanti. Nei presi di
Casali viene colpito un campo di concentramento istituito dai
tedeschi, circa 20 morti. A Barcagno è gravemente colpita la
fabbrica di maraschino Luxardo.
Viene
usato un nuovo tipo di bomba. I testimoni registrano uno schianto
più lacerante, più elevato potere calorico, maggiore
capacità dirompente.
Incursione
di 25 aerei Wellington, che lanciano 39 tonnellate di bombe, fra le
quali undici da 2.000 kg. Secondo un'altra fonte americana le
tonnellate di bombe sarebbero state 46.
14 marzo
Ore 07.30
- Mitragliamento di Zara.
15 marzo
Ore 14.00
- Mitragliamento di Zara e dintorni.
17 marzo
Ore 11.00
- Bombardamento e mitragliamento di Zara e località
vicine.
Ore 14.00
- Nuovo bombardamento e mitragliamento.
7 aprile
Ore ? -
Bombardamento di Val de' Ghisi. Viene colpita la fabbrica S.A.P.R.I.,
la fabbrica di cioccolato Zerauschek.
11 aprile
Ore 15.15
- Bombardamento e mitragliamento di Zara e dintorni.
26 maggio
Ore 14.00
- Bombardamento e spezzonamento di Zara e località vicine.
Spezzonamento del campo d'aviazione di Zemonico.
27 maggio
Ore 09.00
- Bombardamento dei dintorni di Zara.
29 maggio
Ore 12.30
- Bombardamento della periferia di Zara, del campo di aviazione di
Zemonico, dell'Isola Grossa (o Lunga).
2 giugno
Ore 10.10
- Mitragliamento dei dintorni di Zara.
14 giugno
Ore 10.05
- Bombardamento sul porto di Zara. La diga a protezione del porto
è colpita in tre punti.
17 settembre
Ore 15.30
- Bombardamento del porto di Zara e di Barcagno. Affondati alcuni
natanti tedeschi. Due piccole navi con munizioni a bordo esplodono.
Incendi in città ed a Cereria.
Incursione
di 6 aerei Venture e
6 Baltimore della Royal Air Force.
18 settembre
Mattino -
Bombardamento. La città brucia in quattro punti: Calle Santa
Maria, Calle de' Papuzzeri, Calla Larga, Calle e Piazzetta San Rocco.
A Cereria brucia la casa Tolja. Bombe a Bellafusa.
2 ottobre
Ore 14.15
- Bombardamento del porto di Zara e di Barcagno, colpite Val di Bora
e Val di Maistro. Colpita la Casa e la fabbrica Luxardo a
Barcagno.
Incursione
di 12 aerei Baltimore.
4 ottobre
Ore 16.15
- Bombardamento su Cereria e su Viale Malta.
Incursione
di 6 aerei Baltimore.
9 ottobre
Ore
08.00, 09,25, 10,07, 11,30, 15,20, 16,00 - Sei borbardamenti nella
giornata, dei quali il primo fu il più forte. Tutti hanno
avuto come obiettivo il porto, le rive, ed adiacenze. Colpita la
Riviera di Barcagno, la casa Gilardi, Val de' Ghisi, la Casa della
Gioventù italiana del Littorio (G.I.L.). Bombe nel Parco
Regina Elena.
Incursione
di 11 aerei Baltimore
e di 10 aerei Venture.
25 ottobre
Ore
10.00, 11.00, 14.05 - Tre bombardamenti nella giornata. Il primo su
Val di Bora, Cereria, Barcagno. In città, con il secondo
bombardamento, è colpita la Chiesa di San Simeone.
La prima
delle tre incursioni è effettuata da 17 aerei Venture.
28 ottobre
Ore? -
Bombardamento di Borgo Erizzo e delle Colovare. Incursione di 6 aerei
Baltimore e da 6 Venture.
31 ottobre
Ore
09.30, 11.00, 14.45 - Tre bombardamenti nella giornata. Sono
bombardati e spezzonati lo stradone di Val de' Ghisi ed il Rione
Costanzo Ciano (case popolari). Bombardata la Caserma Cadorna e le
adiacenze.
Nei
bombardamenti restano coinvolti, con morti e feriti i primi gruppi di
partigiani che stavano entrando in città.
Incursione
di 12 aerei Venture e
18 Baltimore.
I MORTI SOTTO I BOMBARDAMENTI
Il
numero dei morti a Zara, sotto i bombardamenti, non è
determinabile. Il primo bombardamento (2 novembre 1943) causò
circa duecento vittime, ed altrettante il secondo del 28 novembre.
Imprecisato, ma altrettanto elevato, il numero dei feriti.
Dopo il
secondo bombardamento la popolazione abbandonò la
città. Gli uffici anagrafici cessarono di funzionare,
all'Ospedale Provinciale i morti non vennero registrati; le salme
sepolte in fosse comuni.
Perciò
il Capo della Provincia, Vincenzo Serrentino, dopo il terzo
bombardamento (16 dicembre 1943), poteva riferire soltanto in via
approssimativa che i morti sarebbero stati una sessantina.
Oltre ai
continui e reiterati mitragliamenti giornalieri, sino al 31 ottobre
1944 vi furono 56 bombardamenti, ed il prefetto Gavino Sabadin, nel
1946, faceva ammontare a circa quattromila i morti di Zara.
La cifra,
forse, era in eccesso, però durante la preparazione di questo
'memoriale', dallo sbiadito ricordo dei superstiti, è stato un
continuo affluire di nomi.
Ma va
anche tenuto presente l'elevato numero di profughi - fatalmente
scomparsi in questi quarantatrè anni, le tante famiglie che si
sono estinte e nessuno, ormai, ne conoscerà i ricordi.
Ricordi
di coloro che sono scomparsi in mare proiettati dalle esplosioni, di
quelli che morirono sulle imbarcazioni mitragliate, di quelli che
fuggendo al rogo della città vennero dilaniati dagli
spezzonamenti.
Chi mai
ne raccoglierà i nomi? Forse nessuno.
Ma i
morti furono tanti! Certamente troppi.
2 novembre 1943
Alcuni
giorni dopo il bombardamento, il
Giornale di Dalmazia
pubblicò un elenco provvisorio di 156 deceduti e di 54 feriti.
Il dottor Giacomo Vuxani, funzionario della Prefettura di Zara, in
una relazione indica i deceduti in 163 ed i feriti in 260.
Con
l'aiuto dei superstiti, e con le annotazioni contenute nel registro
delle sepolture nel Cimitero di Zara, è stato possibile
ricostruire l'elenco delle vittime che ascendono a 173. Mancando sul
registro delle sepolture precise indicazioni circa la causa del
decesso, è possibile che qualcuna delle persone sottoindicate
sia deceduta per cause naturali.
(Omissis).
Seguono
i nomi di 173 morti del primo bombardamento.
28 novembre 1943
Da
una relazione del dottor Giacomo Vuxani, funzionario della Prefettura
di Zara, risulta che nel secondo bombardamento perirono 172 persone,
e 200 furono i feriti. Sin d'ora è stato possibile individuare
147 caduti. Gli altri, secondo gli accertamenti effettuati dal signor
Tommaso Ivanov, vanno compresi nelle 22 persone non identificate, che
risultano dal Registro delle persone sepolte nel Cimitero di Zara, e
fra coloro per i quali è stato annotato: "pezzi, circa una
salma", "pezzi di tre salme".
(Omissis).
Seguono
i nominativi di 153 persone morte durante il secondo
bombardamento.
16 dicembre
Fu il
più dirompente dei bombardamenti. Ma i nominativi dei caduti
sono pochi. La popolazione è fuggita nelle campagne. In
città non funziona più alcun ufficio. Scarse le
annotazioni sul registro del Cimitero di Zara.
E' stato
possibile ricordare solamente una trentina di nominativi.
(Omissis).
Seguono
i nominativi di 32 persone morte durante il terzo bombardamento.
3 marzo 1944
Per i
deceduti successivamente al 16 dicembre 1943 e sino al 31 ottobre
1944, ultimo bombardamento, non è possibile indicare con
sufficiente approssimazione né il numero, né le
rispettive date di morte, ad eccezione di alcune vittime
dell'incursione del 3 marzo 1944, per le quali esistono alcuni dati
nel registro delle sepolture nel Cimitero di Zara.
(Omissis).
Seguono
i nominativi di 17 persone morte durante il bombardamento del 3 marzo
1944.
Nel
registro sono comprese sette salme non identificate.
Il
seguente elenco è stato compilato sulla base delle annotazioni
contenute nel registro delle sepolture nel Cimitero di Zara, dal
gennaio al 22 ottobre 1944 (escluso il bombardamento del 3 marzo).
Mancando quasi sempre l'indicazione delle cause del decesso è
possibile che fra i nominativi riportati vi sia qualche deceduto per
cause naturali.
Va tenuto
presente che l'effettivo numero delle vittime è ben superiore,
non essendovi alcuna possibilità di riscontrare i deceduti nei
paesi e nelle località del circondario di Zara, o sepolti
nelle campagne, oppure scomparsi in mare. Ad esempio, nel
bombardamento del 30 dicembre 1943 perirono 14 soldati ed un
ufficiale superiore tedesco, dei quali non sono indicati i
nomi.
(Omissis).
Seguono
i nominativi di 132 persone.
Il nome
di tutti gli altri, che più non rispondono all'appello,
è compreso nell'ampio aggetto delle braccia d'una Croce, che
la pietà delle donne di Zara, profughe in Penisola, ha fatto
innalzare nel Cimitero della loro Città perduta.
* * *
DECEDUTI NEI CAMPI DI DEPORTAZIONE O UCCISI
DAI TEDESCHI
(Omissis).
Seguono i nominativi di 22 persone.
* * *
LE UCCISIONI A ZARA DOPO L'OCCUPAZIONE DA PARTE
DEI TITINI
31 ottobre 1944
L'eccidio,
al quale gli zaratini erano sfuggiti l'8 settembre 1943 grazie
all'occupazione tedesca, venne compiuto dai partigiani dal novembre
1944 in poi.
Fu
l'olocausto di quei cittadini di Zara che per amore della loro terra
non avevano voluto abbandonare i ruderi delle case, dove da
generazioni, nel travaglio delle vicende d'una città di
frontiera, avevano difeso il nome d'Italia.
Anche a
Zara, come a Spalato e nelle altre località della Dalmazia,
furono soppressi carabinieri ed agenti di pubblica sicurezza. Il loro
sangue ingrommato con le macerie, assieme a quello degli zaratini e
dei dalmati, conferma l'irrinunciabile significato di tutta una
storia comune.
* * *
Il 10 novembre 1944, sui ruderi di Zara, le autorità titine affissero un avviso con la seguente:
"NOTIFICAZIONE"
"Il Tribunale Militare del Territorio dell'VIII Corpo, Consiglio presso il Comando del Circondario di Zara, nel dibattimento tenuto addì 10 novembre 1944, ha emesso la sentenza con la quale vengono condannati come criminali di guerra e nemici del popolo, ai sensi degli articoli 14 e 15 dell'Ordinanza sui Tribunali militari, alla pena di morte mediante fucilazione ed alla confisca del patrimonio"
(Omissis).
Seguono
i nominativi di 31 persone.
Il 7
febbraio 1945, altra "notificazione", affissa a Zara, annunciava che
erano stati giudicati e condannati alla pena di morte quali criminali
di guerra, e che la condanna era stata eseguita:
(Omissis).
Seguono i nominativi di 15 persone.
FURONO UCCISI SENZA "NOTIFICAZIONE"
(Omissis).
Seguono i nominativi di 76 civili, di 15 agenti di P.S., di 6 Carabinieri.
SOPPRESSI O SCOMPARSI IN DATE E LOCALITA VARIE
(Omissis).
Seguono i nominativi di 75 civili, di 6 Carabinieri, di 32 fra collaboratori e simpatizzanti per l'Italia.
* * *
UN REGIO PREFETTO - UN CAPO DELLA PROVINCIA
Zara,
durante l'ultimo conflitto, fu l'unica città d'Italia
assediata. Dal 6 al 13 aprile 1941, circondata da ogni lato dal
nemico, senza alcun collegamento con la Madre Patria, rimase sola,
con se stessa, con le sue forze, nell'incognita della sorte.
E Zara fu anche
l'unica provincia d'Italia che, per mano nemica, perdette due suoi
prefetti. Li ricordiamo.
VEZIO ORAZI
Era
nato a Roma il 1^ novembre 1904. Dal 1919 aveva preso parte al
movimento fascista. Si era laureato in giurisprudenza nel 1927.
L'anno successivo venne nominato vice-segretario nazionale dei Gruppi
universitari. Nel 1933 fu chiamato a reggere la Federazione fascista
di Roma. Volontario in Africa Orientale. Prefetto di Cuneo e di
Gorizia. Direttore generale della Cinematografia italiana e dell'Ente
nazionale industrie cinematografiche (E.N.I.C.). Il 26 ottobre 1941
era stato nominato prefetto di Zara.
Il 26
maggio 1942, in un'imboscata di partigiani a Zegar, lungo la strada
da Ervenico ad Obrovazzo (Zara), perdette la vita. Con lui
caddero:
ed altri quattro soldati, dei quali non è stato possibile
trovare i nomi.
L'eccidio
di Vezio Orazi e della scorta ebbe risonanza su tutta la stampa
nazionale. Imponenti i funerali celebrati a Zara il 28 maggio.
Solenne la cerimonia che, nel Trigesimo, ebbe luogo a Roma in Santa
Maria degli Angeli.
VINCENZO SERRENTINO
Nacque
in Sicilia, a Rosolini, presso Noto, il 19 settembre 1897. Assolti
gli studi liceali, aveva frequentato l'Accademia militare di Modena.
Sottotenente di fanteria nel 1916. Partecipò, quale comandante
d'una compagnia mitraglieri, alle battaglie sul Carso e sul
Grappa.
Giunse in
Dalmazia con le prime truppe italiane, sbarcando a Sebenico. Dal 1919
passò a Zara, che divenne la sua "città". Congedato,
rimase a Zara. Si sposò e si affermò come organizzatore
sindacale, benvoluto da tutti per la sua umanità.
Nel 1939
nei quadri della Milizia Artiglieria Contraerea, con il grado di 1^
seniore, assunse il comando della difesa contraerea di Zara.
Il 2
novembre 1943, per prevenire l'insediamento a Zara d'un prefetto
croato, venne nominato d'urgenza, Capo della Provincia. Il suo
mandato coincise con l'anno dei bombardamenti della città.
Assunse e resse gli oneri del suo ufficio, prodigandosi oltre il
possibile.
Su ordine
del Ministero dell'interno, il 30 ottobre 1944, abbandonò i
cumuli di macerie di quella che era stata Zara, e ripiegò su
Trieste con l'ultimo reparto tedesco.
A
Trieste, il 5 maggio 1945, venne arrestato dai titini. Il 31 marzo
1947, in quella città che lo aveva visto sbarcare circa trenta
anni prima, subì la parvenza d'un processo. Venne condannato a
morte quale criminale di guerra. La sentenza fu eseguita il 15 maggio
1947 a Sebenico.
Nel clima
politico di quegli anni, dare rilievo alla soppressione d'un capo di
provincia italiano per mano titina, poteva essere imbarazzante. La
"ragione di Stato" consigliò di limitare l'informazione sulla
stampa nazionale a qualche riga di cronaca, nessun commento.
* * *
SEMPRE CON L'ITALIA
Gli
zaratini ed i dalmati, sradicati dalle loro città, sin dagli
anni del 1944 e del 1945 cercarono rifugio e salvezza in Italia.
Quando le
armi cessarono di sparare, a Zara ed in Dalmazia continuò il
sacrificio. Quanti ebbero la sorte di sopravvivere attesero, nel
tormento della speranza, che quella domanda d'opzione, presentata
come ultimo e disperato gesto d'orgoglio per restare italiani, fosse
accolta dalle autorità titine.
Ma anche
coloro che avevano avuto la sorte di trovare ricetto in Penisola, pur
se italiani di nascita, pur se combattenti, pur se mutilati o
decorati di guerra, dovettero confermare con l'opzione di voler
restare italiani.
E
subirono l'umiliazione di chiedere la riconferma della propria
cittadinanza - alla quale mai avevano rinunciato, e per la quale
avevano lottato gli avi ed i padri - non all'Italia, ma alla
Jugoslavia.
In quegli
anni, a questi suoi figli d'oltre Adriatico, la Patria poteva offrire
soltanto lo scarso aiuto dei campi di raccolta. Gli esuli non se ne
adontarono, ma in ogni modo ed il prima possibile, anche con i lavori
più umili, cercarono d'inserirsi nel processo ricostruttivo
dell'Italia.
E ci
riuscirono, dimostrando adattamento, volontà, capacità.
Altri scelsero la via dell'Australia e delle Americhe, e anch'essi,
dove giunsero, si affermarono.
Si
affermarono in Patria ed all'estero, mantenendo intatta la loro fede,
la loro dedizione, il loro credo.
Per
questo credo
Pierino ADDOBBATI, di 16 anni, figlio di un medico di
Zara, cadeva a Trieste il 5 novembre 1953, sotto il piombo della
polizia del Governo Militare Alleato di quella città, durante
una dimostrazione per il ritorno di Trieste all'Italia.
Per
questa fede
Antonio VARISCO, nato a Zara il 29 maggio 1927, tenente
colonnello dei carabinieri, cadeva a Roma il 13 luglio 1979, per mano
di terroristi, ed alla sua memoria veniva concessa la Medaglia d'Oro
al Valor civile.
"Comandante del Reparto Carabinieri
Servizi Magistratura, assolveva i suoi particolari e
delicati compiti
con assoluta dedizione,
responsabile impegno ed ammirevole tenacia,
pur consapevole del gravissimo rischio personale per il
riacutizzarsi della violenza eversiva contro l'intero ordine
giudiziario. Fatto segno a numerosi colpi d'arma da fuoco in
un vile e proditorio agguato tesogli da un gruppo di terroristi, sublimava col supremo sacrificio una
vita spesa a difesa della collettività e delle
istituzioni democratiche" -
Roma, 13 luglio 1979.
La sua
prematura e tragica morte commosse l'opinione pubblica di tutta
l'Italia.
Per
questa dedizione
Enrico BARISONE, nato a Zara nel 1941, capitano dei
carabinieri, per una operazione a fuoco condotta il 17 dicembre 1979,
conquistava, vivente, la Medaglia d'Oro al Valor militare.
"Comandante di compagnia territoriale,
particolarmente impegnata sotto il profilo della sicurezza
pubblica, di notte,
attraverso terreno impervio, in
remota località montana,
guidava una pattuglia fino al
covo di una banda di
pericolosissimi delinquenti, due
dei quali - latitanti già condannati
per omicidio - invigilavano, armi in pugno, all'esterno. Gravemente ferito da una scarica di
pallettoni - proditoriamente esplosa da distanza ravvicinata
e che gli produceva la frattura di una spalla - reagiva
con fulminea azione di fuoco uccidendoli. Malgrado il dolore
lancinante e sebbene indebolito da copiosa perdita di sangue,
rifiutava ogni soccorso e disponeva i suoi uomini in
posizione tatticamente idonea a contrastare eventuali
sortite degli altri malviventi che venivano tutti tratti in
arresto. Mirabile esempio di eccelse virtù
militari, di fulgido
ardimento ed assoluta dedizione
al dovere" - Sa Janna di Orune
(Nuoro), 17 dicembre 1979.
* * *
PERCHE' IL RICORDO NON SIA DISPERSO
"...troppi furon quelli che
suggellaron col proprio sangue
la santità d'una causa,
che altri sosteneva lento o
abbandonava
spergiuro..."
(Dall'"Orazione" di
Pier Alessandro Paravia per i morti di Novara - 5 maggio 1848).
Gli
Alleati, distrutta Zara con i bombardamenti aerei, perfezionarono
l'atto di morte della città con il Trattato di Pace, ed il
nome di Zara fu cancellato dal novero delle province d'Italia.
Per
salvare dall'oblio almeno il ricordo della loro dedizione alla
Patria, i figli di Zara ed i Dalmati, oggi esuli nei cento comuni
d'Italia, con questa monografia, affidano a futura memoria quanto le
generazioni degli avi, dei nonni, dei padri, ed essi stessi hanno
dato alla comune storia, e
ricordando
la loro presenza in ogni momento del travagliato Risorgimento;
ricordando
con quale audacia indossarono il grigio-verde nel primo conflitto
mondiale, per essere degni dell'attesa Redenzione;
ricordando
l'animo con cui il 4 novembre 1918 accolsero il fante d'Italia;
ricordando
l'orgoglio con il quale, nella isolata testa di ponte, per oltre
vent'anni rappresentarono l'Italia sulla sponda orientale
dell'Adriatico;
ricordando
l'abnegazione dimostrata nel secondo conflitto mondiale, sino
all'annientamento;
ricordando
il tributo di sangue che Zara e le altre città della Dalmazia
hanno dato all'Italia;
ricordando
la sensibilità con cui la Patria ha riconosciuto il sacrificio
del singolo, con tutta la gamma delle ricompense al valore;
ricordando
che, nel globale annientamento d'una città, innumeri atti di
vero ma sconosciuto eroismo sono stati consumati,
AUSPICANO
che la Patria voglia, ancor oggi, onorare la legione di quei cittadini che, nell'olocausto del loro martirio, bruciarono anche il ricordo del nome, e conceda una ricompensa "cumulativa" al Valor militare al Gonfalone del "Libero Comune di Zara in esilio", che raccoglie e rappresenta gli esuli delle città di Dalmazia.
Parte seconda
I DALMATI PER LA FEDE - LA CULTURA - LA GIUSTIZIA
CON ROMA E CON LA CHIESA
La
Dalmazia entrò nel novero della storia con la romanità,
ed a Roma dette imperatori, papi e martiri.
Non
sappiamo, esattamente, quanti sono stati i dalmati fra gli imperatori
che la storiografia chiama "illirici". Fra essi vi furono:
PROBO
CLAUDIO
II, il gotico
CARO
CARINO,
figlio di Caro
DIOCLEZIANO,
nato a Salona.
Diocleziano,
oltre ad essere il restauratore dell'impero, fu il creatore di quel
Palazzo entro il quale, fortezza e pegno della romanità, sorge
la città di Spalato.
* * *
Mentre
la Dalmazia dava a Roma i suoi imperatori, CAIO, dalmata di Salona,
poi santificato, saliva il trono di San Pietro, e dal 283 al 296 fu
il Pastore della Cristianità.
Passarono
circa quattro secoli, ed un altro dalmata, GIOVANNI IV, nato a Zara,
resse il pontificato dal 640 al 642.
Nei due
brevi anni della sua missione, fece traslare a Roma le spoglie dei
dalmati, martiri della fede, e per loro eresse, a lato del Battistero
di San Giovanni in Laterano, una cappella. Ancor oggi, il grande
mosaico ricorda
SAN
VENANZIO, al quale è dedicata la cappella
SAN
ANASTASIO
SAN
SETTIMIO
SAN
ASTERIO
SAN
DOIMO, protettore di Spalato.
Accanto
ai Santi, i quattro soldati che, a Salona, per ordine di Diocleziano,
pur di non abiurare, affrontarono il martirio.
ANTIOCHIANO
GAIANO
TELIO
PAOLINIANO
Intanto,
nei secoli intercorsi fra i due Papi dalmati, si era proiettata sulla
cristianità l'irruenza del dalmata SAN GIROLAMO (347-419),
dottore della Chiesa, che traducendo la Bibbia in latino ne
divulgò la conoscenza.
MARINO,
tagliapietra dalmata, per sfuggire alle persecuzioni di Diocleziano,
abbandonava la sua nativa isola di Arbe e trasmigrato in Penisola,
sulle pendici del Monte Titano creava una comunità religiosa
per ospizio e asilo dei perseguitati. Santificato, illumina ancor
oggi la Repubblica di San Marino, bastione di libertà.
Nella
battaglia della cristianità, nella giornata di Lepanto (7
ottobre 1571) combatterono 14 galere di Zara, al comando di
Pietro BORTOLAZZI.
* * *
Questi
cenni schematici rappresentano la sintesi della naturale vocazione
della Dalmazia, di quella vocazione che Gabriele d'Annunzio
incisivamente scolpì nella frase:
"Dalmati, amplissima è la civiltà
che vi illustra!
Siete quasi orlo di toga, ma
tutta la toga è romana".
NELLE ARTI - NELLE LETTERE - NELLE SCIENZE
Gli
zaratini ed i dalmati, pur impegnati nella secolare lotta per
rimanere italiani, sono stati presenti in ogni tempo, con eguale
animo, nell'affermazione della cultura.
Sulla
sponda orientale dell'Adriatico, difesero l'italianità della
loro stirpe arroccandosi intorno al valore primo della lingua, ed il
"Sì" della favella italica divenne simbolo della contesa
tenace. Ma la lingua, per i dalmati, fu anche studio e scienza, ed al
comune idioma dettero fondamentali contributi con due loro
figli.
GIAN FRANCESCO FORTUNIO
nacque a Selve (Zara) e concluse la sua
giornata terrena in Ancona nel 1517. Un anno prima della morte, nel
1516, per i tipi di Bernardin Vercellese, in Ancona, aveva pubblicato
le Regole grammaticali della
volgar lingua. Era la prima
grammatica italiana, precedendo di nove anni quella del Bembo.
Passarono
tre secoli, ed un altro dalmata offriva alla cultura linguistica
italiana due opere fondamentali.
NICCOLO' TOMMASEO
di Sebenico (1802-1874), pubblicava il Nuovo dizionario dei sinonimi della lingua italiana (1830-1831), ed il grande Dizionario della lingua italiana (1861-1879) in parte postumo.
* * *
In
ogni momento, i dalmati hanno partecipato alla civile evoluzione
dell'Italia, e sin dal Rinascimento furono presenti allo splendore
della nuova stagione, con l'ingegno dei loro figli.
Giorgio ORSINI, detto Giorgio da Sebenico, nato a Zara
(1400 circa-1475). Architetto, scultore, che si espresse nel Duomo di
Sebenico, nella statua della "Carità" sulla Loggia dei
Mercanti e nella facciata di San Francesco alle Scale, in Ancona;
nella Porta della Carta a Venezia, collaborando con Matteo Bon.
Luciano LAURANA, da Zara (1420 circa-1479). Architetto.
Sua l'aerea facciata ed il cortile del Palazzo Ducale di Urbino.
Lavorò al Palazzo Ducale di Mantova, ed ai castelli di
Tarrascona e di Villeneuve-lès-Avignons, in Francia.
Francesco LAURANA, da Zara (1425-1502). Architetto e
scultore, che manifestò il proprio talento nell'Arco di
Trionfo d'Alfonso d'Aragona al Castel Nuovo di Napoli; medaglista
alla corte di Renato d'Angiò; scultore di busti fra i quali
quello d'Eleonora d'Aragona. Lavorò a Palermo, Marsiglia e
Pescara.
Giovanni IL DALMATA, da Traù (1440 circa-1510).
Scultore della tomba di Giacomo Tebaldi nella chiesa di Santa Maria
Sopra Minerva, a Roma. Si associò a Mino da Fiesole, e nelle
Grotte Vaticane scolpì il monumento sepolcrale di Paolo II;
nella chiesa di San Marco a Roma, il tabernacolo.
Elio LAMPRIDIO CERVA, da Ragusa (1460-1520). Per la
perfezione del suo metro latino, venne incoronato poeta in
Campidoglio.
Andrea MELDOLA (detto "Lo Schiavone"), da Zara (1500
circa-1563). Pittore ed incisore. Le sue opere si trovano a Venezia,
nella Galleria dell'Accademia, nella Galleria Querini-Stampalia; a
Milano, nella Pinacoteca Ambrosiana; a Londra, ad Hampton
Court.
* * *
Trascorrono
i secoli, e la pittura nuovamente venne interpretata dalla magia del
pennello di:
Roberto FERRUZZI, da Sebenico (1854-1934), che ha
offerto la sua splendida "Madonnina" alla devozione d'una infinita
schiera di fedeli.
Assieme a
Roberto Ferruzzi, un altro pittore che, nel 1935, donò alla
sua città quello che coralmente è stato battezzato "Il
Cristo delle Masiere":
Andrea FOSSOMBRONE, da Zara (1887-1963). Ebbe quasi la
"premonizione" del destino di Zara. Ed il Cristo, soavissimo nella
soffusa mestizia, guarda la città condannata.
NELLE UNIVERSITA'
Anche
nell'insegnamento universitario, la Dalmazia dette il suo contributo.
Dai lontani anni del '300, sino ai primi decenni del 1800, quasi
sempre fu l'Ateneo Patavino ad accogliere i giovani dell'altra
sponda. Ed a Padova, i dalmati, non solo studiarono ed appresero, ma
insegnarono e ricoprirono gli incarichi più prestigiosi. Circa
venti furono i "rettori", ed una cinquantina i professori. Di questa
schiera siamo in grado di ricordare, con l'anno della loro
attività:
RETTORI DEI GIURISTI
1385
- Tebaldo NASSI, da Zara.
1397
- Matteo de RAGNINA, da Ragusa.
1492
- Simeone ROSA, dalmata.
1498
- Giovanni CASSIO, da Lesina.
1508
- Marino DE HUNGARIS, dalmata; sino al 1517.
1533
- Nicolò PALADINO, da Lesina.
1535
- Giovanni GIOVINO, da Zara.
1541
- Jacopo CICUTA, da Veglia.
1541
- Francesco FUMATI, da Zara - pro-Rettore.
1593
- Nicolò BOLIZZA, da Cattaro; anche nell'anno
successivo.
RETTORI DEGLI ARTISTI
1485
- Matteo da Sebenico.
1489
- Girolamo CIVALELLO, da Zara.
1490
- Donato CIVALELLO, da Zara.
1492
- Iadertino CRISALIO, da Zara.
1579
- Domenico SLATARICH, da Ragusa.
1583
- Giovanni Nicolò
ANDRONICO, da Traù.
PROFESSORI DI FILOSOFIA
1507
- Federico GRISOGONO BORTOLAZZI da Zara; sino al 1509.
1533
- Vincenzo SILVIO, dalmata.
1543
- Adriano VALENTICO, dalmata.
1583
- Giovanni Nicolò
ANDRONICO, da Traù.
PROFESSORI DI DIRITTO CANONICO
1318
- Matteo MATAFARI, da Spalato; sino al 1352.
1533
- Natale SALERNITANO, dalmata.
1535
- Antonio DE BACULIS, da Cattaro.
1536
- Vincenzo PEREGRINO, dalmata.
PROFESSORI DI TEOLOGIA E DI DOGMATICA
1415
- Giovanni DA RAGUSA, di Ragusa.
1465
- Tommaso BASSEGLI, da Ragusa (1511).
1468
- Serafino BONA, da Ragusa (1488).
1549
- Paolo Clemente
MIOSSICH, da Macarsca.
1458
- Giorgio DONATO, da Ragusa; sino al 1462.
PROFESSORI DI DIRITTO CIVILE
1503
- Matteo ANDREIS, da Traù.
1528
- Nicolò DE HUNGARIS, dalmata; anche nell'anno 1529.
1531
- Marco SOLONO, dalmata.
1534
- Giovanni GIOVINO, da Zara.
1538
- Francesco FUMATI, da Zara.
1539
- Pascalizio DE PASCALIZI, dalmata.
1541
- Francesco FUMATI, da Zara.
1543
- Giovanni PETREO, da Curzola.
1546
- Nicolò PATRIZIO, dalmata.
1545
- Paolo PETREO, da Curzola.
1546
- Antonio ROSANE'O, da Curzola.
1547
- Alessandro NICONIZIO, da Curzola (1501-1549).
1549
- Giacomo ARMERINO, dalmata.
1549
- Girolamo ERMOLAO, dalmata.
1552
- Ippolito CRAINA, dalmata.
PROFESSORI DI DIRITTO CRIMINALE
1550
circa - Marino CABOGA, da Ragusa. Fondatore della cattedra.
PROFESSORI IN MEDICINA
1492
- Iadertino CRISALIO, da Zara.
1532
- Giorgio Amelio
LIBURNESE, dalmata.
1570
circa - Teodoro BELLEO, da Ragusa.
* * *
Durante
il Rinascimento, nel pieno fulgore delle scienze, i dalmati, oltre ad
insegnare in altre Università della Penisola, affermarono la
cultura italiana nei più qualificati centri d'Europa.
Benedetto BEGNA, da Zara. Insegna verso il 1520, alla
'Sorbona' a Parigi, e viene proclamato "Monarca delle scienze".
Mariano BONDENOLIO, da Ragusa. Insegna teologia alla
'Sorbona' a Parigi, verso il 1465.
Giulio CAMILLO, detto "Delminio" (1479-1550). Insegna
logica all'Università di Bologna.
Giacomo DRAGAZZO, da Traù, nato verso il 1451.
Insegna all'Università di Arles.
Domenico GALEOTTI ROLANDIO, nato a Ragusa nel 1348.
Aggregato al Collegio dei medici e dei filosofi
dell'Università di Bologna, vi insegna matematica ed
astrologia sino al 1422.
Pietro GOZZE, da Ragusa (1500 circa-1564). Insegna
teologia all'Università di Lovanio.
Giovanni STAFILEO, da Traù (1472-1528). Insegna
diritto canonico alla "Sapienza" a Roma.
Nel '600
e nel '700, altri dalmati insegnarono nelle Università, con
prevalenza in quella di Padova, che assegnò loro cattedre ed
incarichi.
Giorgio BAGLIVI, da Ragusa (1668-1707). Insegna
chirurgia ed anatomia nelle Università di Roma, Napoli e
Padova.
Ruggero BOSCOVICH, da Ragusa (1711-1787). Insegna fisica
e matematica nelle Università di Roma, Pavia e Milano. In
questa città fonda l'Osservatorio astronomico di Brera.
Giovanni CAMPANARI, da Zara. Sindaco e pro-Rettore dei
Giuristi, nel 1723, all'Università di Padova.
Francesco GRASSO, da Ragusa. Sindaco degli Artisti
all'Università di Padova dal 1609 al 1610.
Raimondo CUNICH da Ragusa (1719-1797). Insegna Retorica
all'Università di Roma.
Marc'Antonio DE DOMINIS, da Arbe (1566-1624). Insegna
matematica, logica e filosofia all'Università di Padova.
Matteo DELL'ACQUA, da Zara. Insegna diritto civile
all'Università di Roma, nel 1780.
Giovanni DUBRAVCICH, da Lesina. Insegna diritto canonico
dal 1781 al 1795 all'Università di Padova.
Matteo FERCHIO, da Veglia. Insegna Filosofia e Teologia
all'Università di Padova nel 1639.
Marino GHETALDI, di Ragusa (1556-1627). Insegna
matematica nelle Università di Lovanio e di Roma.
Marino GREGO, da Curzola (1791). Insegna teologia
all'Università di Modena.
Giambattista LANTANA, da Zara. Sindaco e pro-Rettore dei
Giuristi all'Università di Padova, nel 1711.
Teodoro MISTACHIELI, dalmata. Sindaco e pro-Rettore
degli Artisti all'Università di Padova, nel 1643.
Giorgio RAGUSEO, da Ragusa (1579-1622). Titolare della
seconda cattedra di filosofia all'Università di Padova.
Giovanni Giulio SMACCHIA, da Curzola. Sindaco e pro-Rettore dei
Giuristi all'Università di Padova dal 1728 al 1730.
Benedetto STAY, da Ragusa (1714-1801). Insegna eloquenza
alla "Sapienza" a Roma.
Gian Domenico STRATICO, da Zara (1722-1801). Insegna sacre
scritture e letteratura greca nelle Università di Pisa e di
Siena.
Simeone STRATICO, da Zara (1738-1829). Nel 1757 insegna
filosofia e medicina; dal 1764 matematica e scienza della navigazione
all'Università di Padova. Nel 1797 Magnifico Rettore
dell'Ateneo Patavino.
Innocenzo de TERZIS, dalmata. Sindaco e pro-Rettore degli
Artisti all'Università di Padova nel 1692.
Matteo TETTA, da Sebenico. Sindaco e pro-Rettore dei
Giuristi all'Università di Padova nel 1666 e 1667.
* * *
Nel 1866,
quando in Dalmazia si attendevano le navi d'Italia fatalmente fermate
a Lissa, i non completati confini del Regno d'Italia fecero venir
meno i diretti contatti della sponda orientale dell'Adriatico con i
centri veneti della cultura. Tuttavia, pur nelle progressive e sempre
più complesse situazioni, molti furono i dalmati che
insegnarono nelle Università italiane.
Ancor
oggi, distrutta Zara e nell'esodo dalla loro terra, prestigiose
cattedre sono tenute da dalmati, o da figli di dalmati nati in
Penisola, oppure da professori che in Dalmazia hanno vissuto,
assimilandone lo spirito e l'animo.
(Omissis).
Seguono i nominativi di 36 fra zaratini e dalmati che, dalla fine del secolo scorso, hanno insegnato o tutt'ora insegnano nelle Università italiane.
* * *
AL SERVIZIO DELLA GIUSTIZIA
Con la prima Redenzione della Dalmazia (1918) entrarono nella magistratura italiana i dalmati che avevano prestato servizio nell'ambito della cessata monarchia austro-ungarica e, finalmente, poterono "dire giustizia" in nome della Patria.
(Omissis).
Seguono
i nominativi di 36 dalmati magistrati.
Unita
Zara all'Italia (1918) altri dalmati vestirono la toga, ponendosi al
servizio della giustizia; altri, ancora, assunsero l'alto ufficio
dopo la distruzione della città (1943-1944) e l'esodo in
Patria.
(Omissis).
Seguono i nominativi di 28 dalmati magistrati.
* * *
DALMATI AL PARLAMENTO ITALIANO
BARBI
Paolo, nato a Trieste da genitori dalmati (Lesina) -
Deputato e senatore al Parlamento italiano e europeo.
BETTIZA
Enzo, nato a Spalato il 7 giugno 1927 - Eletto
senatore nella VII legislatura repubblicana (5 luglio 1976-19 giugno
1979) - Parlamentare europeo dal 17 luglio 1979 a tutt'oggi.
CIPPICO
prof. Antonio, nato a Traù il 20 marzo 1877, deceduto a
Roma il 18 gennaio 1935 - Nominato senatore del Regno il 19 aprile
1923.
DUDAN
dott. Alessandro,
nato a Verlicca (Spalato) il 27
gennaio 1883, deceduto a Roma il 31 marzo 1957 - Deputato dalla XXVI
leglslatura (11 giugno 1921) per il collegio di Roma, sino a tutta la
XXVIII (20 aprile 1929-19 gennaio 1934) - Nominato senatore del Regno
il 3 marzo 1934 - Decaduto il 25 giugno 1946 con la soppressione del
Senato del Regno.
GHIGLIANOVICH
avv. Roberto, nato a Zara il 17 luglio 1863, deceduto a
Gorizia il 1^ settembre 1930 - Nominato senatore del Regno il 15
novembre 1920.
KREKICH
dott. Natale, nato a Scardona (Sebenico) il 6 gennaio 1857,
deceduto a Zara il 7 settembre 1938 - Deputato per la XXVI
legislatura (11 giugno 1921-25 gennaio 1924) nel collegio di Zara -
Nominato senatore del Regno il 9 dicembre 1933.
LUXARDO
Nicolò, nato a Zara il 15 luglio 1886, deceduto a Selve
(Zara) il 30 settembre 1944 per mano titina - Consigliere nazionale
nella Camera dei Fasci e delle Corporazioni dal 23 marzo 1939 -
Decaduto il 2 agosto 1943 con la soppressione della Camera dei Fasci
e delle Corporazioni.
PAOLUCCI
marchese Giuseppe,
di famiglia dalmata - Deputato
per la X (22 marzo 1867-2 novembre 1870) e la XII (23 novembre 1874-3
ottobre 1876) legislatura nel collegio di Oderzo.
SALVI
Ercolano, nato a Spalato nel 1861, deceduto a Roma il 19
novembre 1920 - Nominato senatore del Regno il 15 novembre 1920,
decede prima d'aver prestato giuramento.
SEISMIT-DODA
avv. Federico, nato a Ragusa il 1^ ottobre 1825, deceduto a
Roma l'8 maggio 1893 - Deputato dalla IX (12 novembre 1865) alla
XVIII (23 novembre 1892) legislatura per vari collegi: Comacchio,
Palmanova, San Daniele del Friuli, Ferrara, Perugia II, Udine -
Ministro per le finanze del governo di Benedetto Cairoli (1878) e nel
governo di Francesco Crispi (1889-1890).
SEISMIT-DODA
maggior generale Luigi,
nato a Zara il 20 aprile 1817,
deceduto a Roma il 25 novembre 1890 - Deputato della IX legislatura
(18 novembre 1865-13 febbraio 1867) per il collegio di Urbino.
MICHIELI
(de) VITTURI Ferruccio,
nato a Spalato il 6 giugno
1923, deceduto a Roma il 6 giugno 1984 - Deputato nelle legislature
repubblicane: III (12 giugno 1958-18 febbraio 1963), VI (8 maggio
1972-21 giugno 1976) e IX dal 26 giugno 1983 al decesso, nel collegio
di Udine.
TACCONI
avv. Antonio, nato a Spalato il 22 aprile 1880, deceduto a
Roma il 20 gennaio 1962 - Nominato senatore del Regno il 21 aprile
1923 - Decaduto il 25 giugno 1946 con la soppressione del Senato del
Regno.
TIVARONI
avv. Carlo, nato a Zara il 4 novembre 1843, deceduto a
Venezia il 6 luglio 1906 - Deputato per la XV legislatura (22
novembre 1882-27 aprile 1886) per il collegio di Belluno.
TIVARONI
avv. Enrico, nato a Zara il 13 maggio 1841, deceduto a Padova
il 13 agosto 1925 - Nominato senatore del Regno il 24 novembre
1913.
TOMMASEO
Niccolò, nato a Sebenico l'8 ottobre 1802, deceduto a
Firenze il 1^ marzo 1874 - Deputato nella VII legislatura (2 aprile
1860-17 dicembre 1860) per il collegio di Caraglio (Cuneo).
TOTH
Lucio, nato a Zara il 30 dicembre 1934 - Eletto
senatore nel 1987.
VIDOVICH
(de) Renzo, nato a Zara il 27 febbraio 1934 - Eletto
deputato della VI (8 maggio 1972-21 giugno 1976) legislatura
repubblicana.
ZILIOTTO
avv. Luigi, nato a Zara l'8 febbraio 1863, deceduto a Zara
il 5 febbraio 1922 - Nominato senatore del Regno il 15 novembre
1920.
Con
la costituzione della Camera dei Fasci e delle Corporazioni, Zara fu
rappresentata nel Parlamento italiano, in relazione alla carica
ricoperta, da
BARTOLUCCI
dott. Athos, nato a Ferrara il 28 ottobre 1902 - Segretario
della Federazione dei Fasci di combattimento di Zara (dal 21 maggio
1934 al luglio 1941, indi Ispettore nazionale del P.N.F. per la
Dalmazia) - Consigliere nazionale dal 23 marzo 1939 al 2 agosto 1943,
quando la Camera dei Fasci e delle Corporazioni venne
soppressa.
* * *