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IL PICCOLO 9 11
Le organizzazioni dei profughi
hanno inviato un fax al presidente del Consiglio chiedendo
chiarimenti
Gli esuli infuriati scrivono a
Berlusconi
De’ Vidovich: «Il 19
novembre avremo alla Farnesina un incontro con Ruggiero»
TRIESTE - Sconcerto, imbarazzo, voglia di urlare trattenuta a stento.
E’ un’atmosfera tesa quella che si respira nelle sedi delle
associazioni degli esuli. «Siamo furenti» si lascia
scappare il sempre pacato Lucio Toth, ex senatore e presidente
dell’Associazione Venezia Giulia e Dalmazia. Chiede tempo per
riflettere il presidente della Federazione, Guido Brazzoduro, sempre
molto prudente nelle sue dichiarazioni. E chiede tempo, ma per
calmarsi, il più irruento Silvio Delbello, presidente
dell’Unione degli Istriani. Il rospo da digerire è grosso:
Italia e Croazia starebbero per liquidare l’annosa questione dei beni
abbandonati nel rispetto dell’odiatissimo (dai profughi) trattato di
Osimo, addirittura ritirando lo scottante denaro previsto da
quell’accordo. «Se è vero – affermano in coro – è
veramente troppo». «E’ una seconda Osimo – sbotta
Brazzoduro, dopo alcune ore di frenetiche telefonate con altri
esponenti della diaspora e con la Farnesina –, come al solito finiamo
per sapere le cose dai giornali e non direttamente. E’ forse questo
il decantato nuovo modo di impostare le relazioni con Slovenia e
Croazia? – ironizza – Facendoci conoscere dopo le decisioni? Abbiamo
spedito un fax a Berlusconi chiedendo chiarimenti. Di più non
voglio dire».
Lucio Toth sottolinea che la base è furibonda perchè
non capisce «che linea prevalga all’interno del governo». E
spiega che non si sono levate proteste per la sceneggiata croata
sulla medaglia a Zara solo per carità di Patria e affetto per
il presidente Ciampi».
Il mondo degli esuli è in piena ebollizione. Se ne fa
interprete Silvio Delbello che sintetizza in quattro punti il suo
malessere. Primo: «Il comportamento del governo italiano nei
nostri confronti è sempre lo stesso. Lo fece anche con
Garibaldi. Quando chiese di seppellire la moglie Anita in terra
italiana gli dissero di sì. Lui voleva seppellirla a Nizza e
gli assicurarono che era possibile. Ma il giorno successivo apprese
che Nizza era stata ceduta ai francesi».
Secondo: «Trieste ha avuto la sfortuna di avere esponenti
politici nel passato, corresponsabili del tradimento di Osimo e di
avere altri esponenti oggi che si comportano allo stesso modo».
A chi allude? «Lo capiranno i lettori», risponde
Delbello.
Terzo: «Con che cosa faranno la campagna elettorale nel 2003
(elezioni regionali, n.d.r.) i partiti del centrodestra una volta
risolto il problema sloveni con la legge di tutela, una volta
liquidati gli esuli e ottenuto pure il gasolio agevolato?».
Quarto e più importante: «Il governo di Centrodestra ci
tradisce dopo averci illusi. Un calabraghismo che ci umilia, anche
sul piano morale».
Nessuna sorpresa viene mostrata da Italo Gabrielli del Gruppo 88 che
sottolinea come venga «surretiziamente rinnovato il deprecato
Accordo di Roma dell’83 e con esso l’inaccettabile articolo 4 di
Osimo».
«Se è vero», si sente ripetere ossessivamente dagli
esuli, quasi per esorcizzare la notizia sperando che sia infondata.
Una notizia che cade nella più totale indifferenza di
un’opinione pubblica italiana che francamente se ne infischia di
questa questione. Un altro aspetto che brucia agli esuli. Ma la
notizia interessa i connazionali d’oltre Oceano. Lo assicura Giovanni
De Pierro, presidente di Alleanza Italiana Istria Fiume Dalmazia, che
afferma di aver mandato un messaggio urgente al vice presidente del
consiglio Gianfranco Fini. «Ci aveva assicurato cose ben diverse
nel suo recente viaggio a New York – ricorda De Pierro –. Se
c’è stato un cedimento totale nei confronti dei croati allora
è l’ultimo atto di un tradimento che questo governo
dovrà pagare».
«Il ministro degli Esteri Ruggiero – dice ancora De Pierro – non
fa di testa sua, deve avere il benestare di Berlusconi e di tutto il
governo. Se Fini è coerente davanti a scelte di questo genere
dovrebbe dimettersi. Dovrebbe avere il coraggio di far cadere il
governo. Gliel’ho detto....».
E De Pierro non demorde: «Se è vero, è solo una
battaglia persa. La guerra continua...»
Più pacate le reazioni di Renzo de’ Vidovich (Libero Comune di
Zara in esilio): «La Farnesina tace e non conferma nulla –
spiega –. So solo che nessuna decisione è stata presa. Il 19
novembre ci sarà un incontro tra la Federazione degli esuli e
il ministro Ruggiero. E non è neanche sicuro che l’accordo di
amicizia italo-croato sarà firmato il 22 novembre a Trieste a
margine del summit dell’Ince. Tutto dipenderà evidentemente
dall’esito di quell’incontro».
Disincantata la reazione di Pietro Parentin dell’Associazione
Comunità Istriane. «Non ci siamo mai fatti illusioni
sulla restituzione – sottolinea – e abbiamo sempre sostenuto che la
questione dei beni era una questione interna italiana, come afferma
Ruggiero».
Pierluigi Sabatti
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IL PICCOLO 9 -
11
Italia-Croazia: l’intesa al
vaglio del governo
Il vicepremier Fini vuole
comunque chiedere il rispetto del diritto degli esuli a riavere i
beni
ROMA - Italia e Croazia hanno scritto il dopo Osimo. O meglio, le
diplomazie hanno redatto il testo del Trattato di cooperazione che
è nelle intenzioni del presidente del Consiglio, Silvio
Berlusconi e del premier Ivica Racan firmare a Trieste, a margine del
vertice Ince, il prossimo 23 novembre. La parola passa ora ai
rispettivi governi. E, in quello italiano, le posizioni sono
tutt’altro che univoche, con il vicepremier Gianfranco Fini deciso a
chiedere comunque il rispetto del diritto degli esuli a riottenere,
ove possibile, i beni abbandonati. E tutto diventa una questione
nazionale, una spinosa questione di governo e di equilibri al suo
interno. Mercoledì il ministero degli Esteri croato annuncia:
l’accordo è cosa fatta. Ma questa è una vicenda
intorcigliata. Tanto che, 24 ore dopo, la Farnesina mette i puntini
sulle «i». Un testo c’è, ma devono vagliarlo i
governi. Nessun comunicato però, come aveva fatto Zagabria.
Solo l’inesorabile stillicidio delle indiscrezioni che annunciano un
incontro Ruggiero-esuli il prossimo 19 novembre a Roma.
Riunioni-fiume alla Farnesina, toni accesi all’interno del governo,
mosse e contromosse, silenzi tattici, fughe in avanti, retromarce,
lettere: c’è un po’ di tutto dietro il contenzioso tra Italia
e Croazia sul Trattato di cooperazione. E, come trapela da Roma in
queste ore, il tormentone continua.
Questa storia infinita si apre lunedì 10 settembre del 2001.
Alla Farnesina il ministro degli Esteri Renato Ruggiero incontra il
vicepremier Gianfranco Fini. All’ordine del giorno c’è la
missione a Lubiana e Zagabria che il responsabile della nostra
diplomazia ha in agenda per il giorno successivo. Fini sdogana la
Slovenia in Europa. Stessa sorte per la Croazia ma... Sì
c’è un «ma». Perché è proprio come
conseguenza di quel «ma» che prende forma la strategia che
porterà l’Italia a chiedere a Slovenia e Croazia di rispettare
il principio di non discriminazione nei processi di
denazionalizzazione. A Lubiana l’istanza italiana rende gelido
l’incontro tra Ruggiero e il premier Janez Drnovsek e rovina la
colazione di lavoro al ministro degli Esteri, Dimitrij Rupel. A
Zagabria, un mese più tardi (nel frattempo c’è stato
l’11 settembre), fa scattare più direttamente il
«niet» al Trattato di cooperazione, dove la richiesta
italiana è stata formalizzata nell’articolo 9. Un
«no» a cui si arriva per gradi.
Prima il sottosegretario agli Esteri, Roberto Antonione va a
Zagabria. È l’1 ottobre. Si parla della visita del Presidente
della Repubblica, Carlo Azeglio Ciampi in agenda il 9 e 10 ottobre.
Ma si parla anche del Trattato di cooperazione. L’Italia fa pressioni
perché si firmi. Magari proprio a Zagabria il 9 ottobre.
Zagabria frena. Ma già l’ala socialiberale del governo croato
(che ammicca alle derive nazionaliste dell’Hdz, l’ex partito di
Tudjman oggi all’opposizione), nella persona del vice ministro agli
Esteri, signora Vesna Cvjetkovic-Kurelec fa capire che quell’articolo
9, così com’è scritto, è inaccettabile. Nulla
però trapela, tutto resta nei «sancta sanctorum»
diplomatici.
Il 9 ottobre Ruggiero vede il suo collega croato Tonino Picula a
Zagabria, ma, soprattutto, Ciampi abbraccia il Capo dello Stato,
Stipe Mesic. Tra strette di mano e sorrisi tutto sembra superato.
È Ciampi stesso che dà l’annuncio dell’imminente firma
del Trattato di cooperazione e amicizia. Passano però solo 24
ore dalla partenza di Ciampi dalla Croazia e tutto torna in alto
mare, perché Zagabria comunica a Roma che quel trattato
così com’è, con quell’articolo 9, non lo vuole firmare.
Ancora una volta nulla trapela. Fino a quando non compare la notizia
del conferimento da parte del Quirinale della Medaglia d’oro al valor
militare all’ultima amministrazione italiana di Zara. La Croazia non
perde l’«occasione». Si offende e rompe le trattative in
corso sul Trattato di cooperazione. È il 25 ottobre.
La Farnesina resta in silenzio. La politica italiana anche, ma non
resta con le mani in mano. In una riunione di governo si parla dei
dossier Croazia e Slovenia e tra il vicepremier Fini e il premier
Berlusconi non c’è sintonia. Al punto che lo stesso Fini
prende carta e calamaio e scrive una lettera a Berlusconi
comunicandogli formalmente che, come concordato (nella riunione del
10 settembre alla Farnesina), nulla sarà deciso o firmato (con
Zagabria) in assenza di un consulto con le associazioni degli esuli.
Nel frattempo il ministro Picula telefona a Ruggiero (lo stesso fa il
Capo dello Stato Mesic con il Presidente Ciampi per il «caso
Zara») e tra Italia e Croazia torna il sereno. Si ricomincia a
trattare. E martedì scorso un nuovo testo del Trattato prende
forma in una riunione bilaterale alla Farnesina. Per Zagabria
è fatta. L’Italia accetta il pagamento dei 35 milioni di
dollari derivanti dagli Accordi di Roma del 1983, mentre il principio
di non discriminazione viene assorbito dagli obblighi assunti dalla
Croazia con la firma dell’associazione all’Ue. Tutto risolto? Non
proprio. Fonti diplomatiche italiane dicono che un testo preciso e
definitivo non c’è ancora. Eppoi manca il placet del governo.
E Ruggiero ha ora fissato per lunedì 19 novembre un incontro a
Roma con gli esuli. Scatta la «clausola Fini».
Perché su tutto torna quella fatidica riunione del 10
settembre alla Farnesina, da cui è scaturita la linea
ufficiale del governo italiano nei confronti di Lubiana e Zagabria.
Linea fortemente voluta proprio dal vicepremier e rimarcata con la
missiva a Berlusconi. Linea che chiede che nell’ambito della
denazionalizzazione Lubiana e Zagabria riconoscano il diritto agli
esuli di riavere, ove possibile, la restituzione di eventuali beni
nello spirito di quell’Europa cui entrambe aspirano. E così il
Trattato resta lì, tra color che sono sospesi. Tra l’ottimismo
croato e il pragmatismo italiano. E se si firmerà a Trieste,
in occasione del vertice Ince, lo si saprà solo dopo il 19
novembre.
Mauro Manzin
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IL GAZZETTINO 10 - 11
Evidentemente gli altri fanno la stessa fatica a conciliarsi con la storia che facciamo noi. Mi rendo conto che è assurdo verificare nel 2001 che l'Europa degli italiani e dei croati che aspirano a farne parte, non riesca a rendere omaggio alla memoria di una città martoriata dalle bombe. Perchè di questo soprattutto si parla. Non è in discussione la storia, quella è già limpida sui libri e nessuno può riscriverla. Ma di coraggio nel guardare il passato e di coraggio finalmente di rendere omaggio a quel passato. Zara è stata la provincia italiana del tempo più bombardata: nell'inverno 1943-1944 subì ben 54 incursioni aeree degli Alleati, caddero qualcosa come 900 tonnellate di bombe. Le vittime furono alcune migliaia e 16 mila dei ventimila abitanti, in gran parte italiani, emigrarono. Per gli altri ci furono nei mesi successivi le violenze e la terribile convivenza con i comunisti di Tito. Zara era allora italiana e fascista, come tutte le altre province italiane. Il grande esodo seguito ai bombardamenti fece anche sì che quella popolazione rimanesse poco coinvolta negli orrori di una guerra civile jugoslava in cui si massacrarono con odio gli ustascia del croato Pavelic e i titini.
Semplicemente Zara fu città colpita e martoriata e a questo il Presidente della Repubblica ha inteso concedere la medaglia d'oro: "all'ultima amministrazione italiana di Zara". E questo non credo possa offendere nessuno e neppure stravolgere il senso della storia. Può essere semmai il simbolo di una rappacificazione, di un'intesa del resto mai perduta tra i popoli sulle rive dell'Alto Adriatico. Suona quantomeno strano che il trattato bilaterale tra Italia e Croazia sia stato d'improvviso "congelato" come ha annunciato il sottosegretario nel tg di maggior ascolto. Stupisce che il ministro degli Esteri croato abbia definito la decisione del Quirinale "in contrasto con lo stabile sviluppo dei rapporti" tra i due Paesi. Tutto questo a pochi giorni dall'incontro cordiale tra Ciampi e Mesic.
Siccome, nel frattempo, non è successo niente che potesse incrinare le relazioni internazionali, la sola spiegazione possibile è che non si riesca a chiudere i conti col passato e che certe ferite rimarginate dal tempo, talvolta si riaprono strumentalmente. Questa medaglia d'oro non è alla Zara italiana che non c'è più, oggi si chiama Zadar ed è croata, ma alla Zara che sopravvive nel cuore degli esuli dalmati e dei loro figli. A chi ha fatto sopravvivere simbolicamente una città di Zara nella memoria e gli ha persino dato un sindaco altrettanto simbolico: non in esilio, ma nel cuore. Questo è il ruolo di Ottavio Missoni che è un po' l'esempio di un popolo che ha attraversato il Novecento: grande atleta sugli ostacoli anche alle Olimpiadi, grande stilista e ambasciatore del Made in Italy. Cittadino del mondo ma sindaco del paese che ha geografia nel cuore.
È una medaglia a un sentimento, al ricordo non a pietre e a uomini che sono stati cancellati dalle bombe e dal tempo. Che la politica ancora una volta abbia paura della memoria, deve far pensare a come siamo ridotti.
LA VOCE DEL POPOLO 13 11 2001
LE FONTI CROATE SULLA FIRMA DEL
TRATTATO DI AMICIZIA E COLLABORAZIONE CON L'ITALIA
«Trieste non è
il luogo adatto!»
Decisioni politiche
già prese, restano da fissare i dettagli tecnici
ZAGABRIA - L'accordo di amicizia e
collaborazione fra la Croazia e l'Italia, il cui testo è stato
messo a punto al recente incontro di Roma fra gli esperti dei due
Paesi, non verrà firmato durante il prossimo vertice
dell'Iniziativa centroeuropea (INCE) in programma a Trieste. Lo
scrive l'agenzia HINA richiamandosi a fonti del Governo croato. La
portavoce dell'Esecutivo Aleksandra Kolaric ha, infatti, dichiarato
che l'informazione apparsa sulla stampa, secondo la quale il trattato
sarebbe stato sottoscritto al summit dei capi di Governo dell'INCE a
fine novembre nel capoluogo giuliano, non è esatta.
Si valuta, ha rilevato la portavoce, che per motivi di ordine
storico, Trieste non sia un luogo adatto per la firma di questo
documento. Aleksandra Kolaric ha annunciato pure che in una delle
prossime riunioni in programma questo mese, l'Esecutivo
approverà il testo dell'accordo di amicizia e collaborazione
con l'Italia, che è già stato preso in visione dal
premier Ivica Racan.
Ora Roma e Zagabria, sottolineano sempre le fonti croate, devono
ancora raggiungere l'intesa sul luogo e la data della firma del
trattato. Il Governo italiano, in base alla Costituzione, non ha
l'obbligo di emanare una delibera specifica di approvazione del testo
dell'accordo: si suppone, difatti, che sussista l'assenso del Governo
già nel momento stesso in cui viene definito il luogo e la
data della cerimonia di firma del documento.
Richiamandosi a fonti di Roma, la HINA scrive che la parte politica
del procedimento attinente alla stipulazione del trattato, si
è ormai conclusa. Oltre a fissare data e luogo della firma,
restano ancora da determinare le modalità e la dinamica di
pagamento del debito croato di 35 milioni di dollari, a titolo di
risarcimento per i beni abbandonati situati sul territorio dell'ex
zona B. Siccome la Croazia non ha corrisposto l'indennizzo nei tempi
previsti dal Trattato di Roma del 1983, rimane ad esempio, da
chiarire, se sarà chiamata a pagare gli interessi di mora.
A Trieste giorni fa l'annuncio che gli esperti dei due Paesi avevano
raggiunto un accordo sul trattato, senza che questo prevedesse
esplicitamente il diritto dei cittadini italiani ad essere inclusi
nel processo di denazionalizzazione in Croazia, aveva provocato
un'autentica levata di scudi da parte delle organizzazioni degli
esuli. Un invito al presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi,
affinché sostenga, nel contenzioso sui beni abbandonati, la
tesi di Gianfranco Fini improntata alla restituzione, dove possibile,
dei beni rispetto a quella del pagamento di indennizzi, è
stato rivolto dalla Federazione delle Associazioni degli esuli
istriani, fiumani e dalmati. La Federazione - ha spiegato Renzo de'
Vidovich, presidente della delegazione di Trieste del Libero comune
di Zara in esilio - contesta alcune delle ipotesi che potrebbero
essere inserite nel nuovo Trattato di cooperazione tra Italia e
Croazia. In particolare, la Federazione chiede che non ci siano
discriminazioni fra i cittadini italiani e quelli europei nell'ambito
della legge sulla denazionalizzazione, attualmente in discussione al
Parlamento di Zagabria.
"In sostanza - ha spiegato Renzo de' Vidovich - il Parlamento croato
sta per varare una legge che denazionalizza i beni incamerati dalla
vecchia Jugoslavia e ne permette l'acquisto o, dove possibile la
restituzione, a tutti i cittadini europei meno che agli italiani. Per
gli italiani - ha aggiunto - il Governo croato ritiene che sia
sufficiente il pagamento all'Italia delle quote spettanti alla
Croazia dei 120 milioni di dollari che la vecchia Jugoslavia
s'impegnò a pagare al Governo italiano con gli Accordi di Roma
del 1983, che attuavano il Trattato di Osimo del 1976. Su questa
posizione - ha aggiunto de' Vidovich - si è detto d'accordo il
ministro degli Esteri Renato Ruggiero, mentre Gianfranco Fini si
è schierato per l'inserimento anche degli italiani nelle legge
in discussione al Parlamento croato. Quindi gli esuli - ha rilevato -
si augurano che Berlusconi appoggi questa iniziativa, la faccia
propria e inviti il Governo croato a rivedere le sue posizioni".
Il presidente della delegazione di Trieste del Libero comune di Zara
in esilio ha anche confermato che il 19 novembre il titolare della
Farnesina Ruggiero riceverà a Roma una delegazione della
Federazione delle associazioni degli esuli, guidata dal presidente
Guido Brazzoduro, per discutere proprio di questi temi.
Sulla questione della restituzione dei beni degli esuli è
intervenuta, con una nota, anche l'Azione Giovani di Trieste. Il
movimento giovanile di Alleanza Nazionale, che ha fatto un presidio
sotto i portici di viale XX Settembre, nel capoluogo giuliano, ha
sottolineato che "la convocazione alla Farnesina delle Associazioni
degli esuli è politicamente e moralmente giusta prima della
firma del Trattato, subordinando tale firma al loro consenso".
"A quest'Italia che fino a oggi ha accantonato ogni rivendicazione
degli esuli - ha detto Alessia Rosolen, segretario provinciale di
Azione Giovani - chiediamo di ascoltare finalmente la voce di un
popolo che ha sofferto il dramma dell'esodo dalla Jugoslavia, che ha
perso tutto in nome di quell'italianità tanto duramente
conservata".