CASSAZIONE: sentenze nn. 4913/2001 e 8859/2001 COMMENTI e CRITICHE
|
||
Condivisibili
critiche dottrinali all’orientamento di Cass. n. 4913/2001 –
introduttiva di valori di concentrazione per la fruizione dei benefici
previdenziali per esposizione ad amianto – che, tuttavia, si riconferma
con la successiva Cass. n. 8859 del 28.6.2001 |
||
Uso
improprio delle soglie di allarme del D.Lgs. 277/91: genesi di una nuova
nozione di esposizione ad amianto (di Lisa Giometti)
A
più di un anno di distanza dalla pronuncia di legittimità costituzionale
(Corte Costituzionale, 12 gennaio 2000 n. 5) (1) dell’art 13, co. 8, L.
257/92, la sentenza in epigrafe (Cass. n. 4913 del 3.4.2001)(2)
afferma il principio per cui il beneficio della rivalutazione dei
periodi contributivi soggetti all’assicurazione Inail non va riconosciuto
per la semplice esposizione ad amianto protrattasi per più di dieci anni, ma
piuttosto per una esposizione qualificata dalla presenza di amianto negli
ambienti di lavoro quantomeno in una concentrazione media annuale pari a 0,1
fibre per cm cubo su otto ore al giorno, sulla base dei criteri di giudizio
mutuati dall’art 24, co. 3, D.lgs n. 277/91.
La
Cassazione ritiene in tal modo di aver completato il percorso logico
argomentativo della sentenza della Corte Costituzionale n. 5 del 2000.
In
quell’occasione, il Giudice delle leggi ha ritenuto il precetto normativo
immune dal vizio denunciato dai giudici a quo ed ha di conseguenza escluso la
fondatezza della questione di legittimità sollevata con riferimento all’art
3 della Costituzione sul presupposto dell’eccessiva indeterminatezza della
fattispecie.
Il
rinvio operato dall’art 13, co. 8 ai periodi soggetti all’assicurazione
Inail - quale presupposto e oggetto della maggiorazione - richiama la nozione
di rischio, assunta a condizione di operatività del sistema assicurativo, ad
integrare la fattispecie istitutiva del beneficio previdenziale.
E’
dunque in tal senso che la Corte Costituzionale ha affermato che “il
concetto di esposizione ultradecennale, coniugando l’elemento temporale con
quello di attività lavorativa soggetta al richiamato sistema di tutela
previdenziale (art 1 e 3 del Dpr n. 1124 del 1965), viene ad implicare,
necessariamente, quello di rischio, e, più precisamente di rischio morbigeno
rispetto alle patologie, quali esse siano, che l’amianto è capace di
generare per la presenza nell’ambiente di lavoro”.
Il
concetto di esposizione ultradecennale attraverso la combinazione di due dati,
il criterio di rischio assicurabile secondo il sistema delineato dal D.p.r. n.
1124/65 (art 1 e 3), e la durata dell’esposizione, appunto più che
decennale, rende la previsione normativa autosufficiente escludendo qualsiasi
residuo margine di intervento in funzione suppletiva – integrativa sia ad
opera della giurisprudenza che di organi amministrativi.
Col
che la Corte Costituzionale ritiene ab
origine la fattispecie sufficientemente determinata
e ridimensiona le preoccupazioni espresse dai giudici a
quo in merito al rischio che la norma, suscettibile di diverse
interpretazioni, possa trovare in sede amministrativa o giudiziaria
un’applicazione diseguale con lesione del principio di parità di
trattamento di cui all’art 3 della Costituzione.
Nell’impianto
ricostruttivo della pronuncia in commento, la soglia di esposizione che dà
diritto alla rivalutazione dei periodi lavorativi - se ed in quanto assistiti
dalla relativa copertura assicurativa - coincide con il raggiungimento delle
soglie di allarme di cui all’art 24 e 31 del D.Lgs. n.277/91.
Nonostante
il diverso avviso della Cassazione, tale conclusione pare disattendere l’iter
argomentativo della pronuncia del 2000 andando oltre le intenzioni della Corte
Costituzionale.
E’
infatti proprio sulla scorta del sistema di prevenzione così come strutturato
dal D.Lgs. 277/91 che la Corte Costituzionale prende atto che l’esposizione
ad amianto assicurabile non può essere predeterminata nella sua intensità.
Secondo
l’intendimento della Corte Costituzionale il rischio rilevante - tanto a
fini assicurativi che previdenziali - è tale in quanto morbigeno: lo si deve
pertanto apprezzare avendo riguardo
all’efficienza causale “rispetto
alle patologie, quali esse siano, che l’amianto è capace di generare per la
presenza nell’ambiente di lavoro”.
A
tale ultimo proposito, si noti che il D.Lgs. n. 277/91 fa obbligo di adottare
le misure di protezione contro i rischi connessi all’esposizione ad amianto
per tutte le attività nelle quali vi è rischio di esposizione alla polvere
proveniente dall’amianto e dai materiali contenenti amianto (art 22). Analogamente,
la direttiva 83/477/CEE del 19 settembre 1983 ritenendo di dover escludere che
“le attuali conoscenze scientifiche siano tali da consentire di stabilire un
livello al di sotto del quale non vi sono più rischi per la salute”,
individua il proprio campo di applicazione con riferimento “alle attività
nelle quali i lavoratori sono, o possono essere, esposti durante il lavoro
alla polvere proveniente dall’amianto o dai materiali contenenti amianto”
e prescrive pertanto “per qualsiasi attività che possa presentare un
rischio di esposizione alla polvere proveniente da amianto o da materiali
contenenti amianto la valutazione del rischio in modo da stabilire la natura
ed il grado dell’esposizione” (art 3, commi 1 e 2). In
altri termini, la Corte di Cassazione pare ignorare che il D.Lgs. 277/91
configura un sistema di prevenzione il cui scopo è azzerare il rischio per
qualsiasi livello esposizione e non graduare l’efficacia delle misure di
sicurezza in relazione all’intensità dell’esposizione: diversamente la
norma si porrebbe in contrasto con il principio della massima sicurezza
tecnologicamente possibile che costituisce il fondamento del nostro sistema di
sicurezza ed igiene del lavoro (Corte Costituzionale, sentenza n. 312/96 (3). E’
infatti pacifico che le concentrazioni di fibre cui la Corte di Cassazione si
riferisce (art 24 e 31, D.Lgs. 277/91) “non possono correttamente essere
definite come valori limite, perché non hanno funzione specifica propria di
demarcare in modo rigido la linea di discrimine fra innocuo e nocivo, bensì
quella diversa di indicare semplicemente il raggiungimento di determinate
soglie di allarme a partire dalle quali, indipendentemente dall’adozione
delle normali misure tecniche organizzative per abbattere quanto più
possibile il rischio, deve attivarsi tutto un complesso e graduato sistema di
informazione e controllo, oltre che di impiego di mezzi personali di
protezione, allo scopo di intervenire sull’altro versante
della prevenzione riguardante la riduzione dei tempi di esposizione dei
lavoratori alle fonti di nocività, non altrimenti eliminabili.”(4). Dunque,
anche a voler tralasciare che non è consentito trasporre a fini previdenziali
le indicazioni fornite dal legislatore ai fini della prevenzione del rischio,
va fatto rilevare che l’impianto normativo del decreto non avvalora la
conclusione fatta propria dalla Cassazione, ma anzi la contraddice. Anche
sul versante preventivo, la presenza generica e non altrimenti qualificata di
amianto nell’ambiente lavorativo costituisce di per sé un rischio per la
salute (il rischio minimo o di partenza richiamato dalla Corte Costituzionale)
e allo stesso tempo rappresenta la concentrazione massima che un sistema di
prevenzione volto ad eliminare - non a contenere - il rischio possa concepire
prevedendo già in relazione al verificarsi di tale circostanza l’adozione
di tutte le possibili misure di abbattimento del rischio.
In
questo senso, la Corte Costituzionale constatava che la presenza di amianto
nei luoghi di lavoro è “evenienza
tanto pregiudizievole da indurre il legislatore a fissare, a fini di
prevenzione, il valore massimo di concentrazione di amianto nell’ambiente
lavorativo che segna la soglia minima del rischio di esposizione (decreto
legislativo 15 agosto 1991, n. 277)” e prendeva atto dell’operare
delle misure di sicurezza al verificarsi di un’esposizione generica in
quanto portatrice di un rischio effettivo per la salute. In
conclusione, “i lavoratori esposti
all’amianto sono secondo l’art 13, co. 8, come interpretato dalla Corte
Cost., quelli che per essere stati esposti alla sostanza per più di dieci
anni, hanno corso il rischio di contrarre le malattie da amianto quali esse
siano: questo, niente altro, è il rischio morbigeno secondo il sistema di
assicurazione gestito dall’Inail, ritenuto dalla Corte elemento della
fattispecie legale attributiva del beneficio previdenziale” con
l’avvertenza che “ogni riferimento
al sistema dell’assicurazione obbligatoria ed al concetto di rischio
morbigeno, contenuto nella sentenza della Corte Costituzionale, deve essere
letto ovviamente alla luce del sistema c.d. misto la cui introduzione
(sentenza Corte Costituzionale n. 179/88) ha segnato la fine del sistema
tabellare chiuso…ed ha consentito l’introduzione di un nuovo sistema,
appunto misto, con liste aperte in grado di tutelare più adeguatamente il
lavoratore (perché capace di allargare con i mezzi di prova ordinari l’area
dell’accertamento dell’eziologia professionale). Il sistema di
assicurazione misto, rifugge da limitazioni o regole predeterminate; ad
esempio la fissazione di un parametro rigido di esposizione a proposito della
tutela delle patologie correlate all’amianto porterebbe ad una nuova
chiusura del sistema misto costituzionalizzato dalla Corte (come l’unico in
grado di tutelare efficacemente, senza vuoti,il lavoratore sul piano
assicurativo)
(5). Col
che, l’esposizione ad amianto - ritenuta di per sé nociva tanto dal
legislatore comunitario quanto da quello nazionale - se di durata
ultradecennale, dà diritto alla rivalutazione contributiva a prescindere
dalle soglie di allarme individuate dal D.Lgs. n. 277/91.
(per
concessione di “D&L, Riv. crit. dir. lav.” ove è stato poi pubblicato
sul n. 3/2001,794) NOTE (1)
Corte Costituzionale, 12 gennaio 2000, in D&L, Riv. crit.dir.lav., 2000,
318, n. Giometti. (2)
Cass. n. 4913/2001 ha così affermato: “Il
disposto del comma 8 dell’art 13 della legge 27 marzo 1992 n. 257 (“Norme
relative alla cessazione dell’impiego di amianto”) va interpretato nel
senso che il beneficio stesso va attribuito unicamente agli addetti a
lavorazioni che presentano valori di rischio per esposizione a polveri di
amianto superiori a quelli consentiti dagli art 24 e 31 D. Lgs. 15 agosto 1991
n. 277. Nell’esame della fondatezza della domanda di detto beneficio il
giudice di merito deve accertare, nel
rispetto dei criteri di ripartizione dell’onere probatorio ex art 2697 c.c.,
se colui che ha avanzato domanda del beneficio in esame, dopo avere provato la
specifica lavorazione praticata e l’ambiente dove ha svolto per più di
dieci anni (periodo in cui vanno valutate anche le pause “fisiologiche”
proprie di tutti i lavoratori) detta lavorazione, abbia anche dimostrato che
tale ambiente ha presentato una concreta esposizione al rischio alle polveri
di amianto con valori limite superiori a quelli indicati nel suddetto decreto
n. 277 del 1991. (3)
Corte Costituzionale, 25 luglio 1996 n. 312, in Foro it., 1996, I, 2957. (4)
A. Culotta, Il sistema prevenzionale
italiano dopo il recepimento in legge delle direttive comunitarie sui rischi
lavorativi da piombo, amianto, rumore, in questa rivista, 1992, I, 346; Nuovi
scenari prevenzionali dopo l’entrata in vigore del D.lgs 15.8.1991, n. 277
di recepimento delle direttive CEE sui rischi da piombo, amianto e rumore,
in Riv. pen. econ., 1992, 35. (5)
Trib. Ravenna, 13 aprile 2000, in “Lav. giur.”, n. 7/2000, p.651 e ss. con
commento di Miscione ed integralmente in “Lav. prev. Oggi” n. 5/2001; in
senso conforme, Trib. Terni, 18 dicembre 2000, n 221, inedita per quanto
consta; Pret. Firenze 13 gennaio 1999, in D&L, 1999, 730, n. Monaco, L’esposizione
ultradecennale ad amianto, fra legge e interpretazione; Pret. Pistoia, 31
dicembre 1998, in D&L, 1999, 729; Pret. Pistoia, 30 dicembre1998, in
D&L, 1999, 434. P.S. (di Mario Meucci) – Mentre piovono le critiche per una presa di posizione di natura “politica” più che “giuridica” della S. corte, volta a limitare la c.d. “platea suppostamente indeterminata dei beneficiari”, si ha notizia che la Cassazione ha riconfermato l’orientamento espresso nella decisione n. 4913/2001 nella successiva n. 8859 del 28 giugno 2001 (Pres. Amirante, Rel. Coletti). In quest’ultima decisione che sinteticamente si riassume - ma che di seguito pubblichiamo integralmente - è stato sostanzialmente detto che: “La legge 27 marzo 1992 n. 257 ha introdotto benefici pensionistici per coloro che abbiano lavorato in condizioni di esposizione alla inalazione di fibre di amianto. Essa ha una portata generale e pertanto non può essere interpretata nel senso che si riferisca ai soli lavoratori che, a seguito della soppressione della lavorazione dell’amianto, siano stati coinvolti in situazioni di crisi aziendale. Tuttavia, perché possa riconoscersi a un lavoratore il diritto ai benefici previsti da questa legge, non è sufficiente che egli sia stato comunque esposto ad inalazioni di polveri di amianto anche di minima identità. La legge infatti deve essere interpretata – come è stato affermato dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 5 del 2000 – nel senso che il beneficio pensionistico vada riconosciuto ai lavoratori che abbiano svolto la loro attività in ambienti in cui fosse presente una concentrazione di fibre di amianto superiore a determinati valori e tale da causare una situazione di effettivo rischio per la salute. Questi valori possono essere individuabili nei parametri indicati dagli articoli 24 e 31 del decreto legislativo n. 277 del 1991, che in attuazione delle direttive europee in materia di protezione dei lavoratori contro i rischi derivanti da agenti chimici, ha fissato i limiti di concentrazione di fibre di amianto respirabili nei luoghi di lavoro”.
|